3
INTRODUZIONE
Il gioco d’azzardo patologico è una problematica ancora pressoché sconosciuta
nell’ambito dei Servizi Sociali e sulla quale incombono ancora infondati giudizi
moralistici.
Solo da un decennio il gioco d’azzardo patologico è stato riconosciuto nel DSM
come disturbo psichiatrico a sé stante e, nonostante il promettente avvio di ricerche
mediche e farmacologiche a livello internazionale, la cura e la riabilitazione sono ancora
relegati a sporadiche iniziative di volontariato.
L’iniziativa degli operatori dell’Unità Operativa per la Dipendenza da Sostanze
Legali di creare in una struttura dell’Azienda Sanitaria Locale un gruppo terapeutico per
giocatori d’azzardo patologici rappresenta una svolta nella direzione di una più ampia
partecipazione e collaborazione del pubblico nella complessa problematica della
dipendenza da gioco d’azzardo.
L’esperienza singolare presso il gruppo di giocatori d’azzardo nell’ambito del
tirocinio del III anno mi è stata proposta dalla supervisore, l’assistente sociale Paola Di
Giulio, promotrice del progetto sperimentale insieme alla dott.sa Ernestina Cariello.
Partecipando alle riunioni settimanali del gruppo per qualche mese, anche dopo
la conclusione effettiva del tirocinio, ho ritenuto interessante offrire un approfondimento
personale su come, in un futuro prossimo, i Servizi Sociali, a fronte di questo emergente
disagio, potranno intervenire per “soccorrere” il giocatore e sostenere le persone che lo
circondano.
4
L’iniziale inquadramento psicosociale del problema si è rivelato indispensabile
per offrire un quadro completo della complessità del disagio e per costruire una base di
informazioni utili alla stesura di un possibile intervento di rete.
Gli strumenti utilizzati per impostare un progetto di tale spessore sono stati:
la lettura della bibliografia inerente alla problematica (inesistente l’apporto
teorico riguardo al coinvolgimento dei Servizi Sociali e al ruolo
dell’assistente sociale);
le indicazioni delle operatrici responsabili del gruppo;
l’osservazione diretta delle situazioni problematiche portate dagli utenti
presenti alle riunioni del venerdì sera;
l’osservazione dei colloqui di accoglienza e di sostegno individuali;
il confronto con le metodologie utilizzate nella cura dell’alcolismo in
situazioni simili;
la ricerca su Internet di commenti e relazioni relativi a Convegni nazionali e
internazionali sul gioco d’azzardo patologico.
Descritto ampiamente il quadro clinico, psicologico e sociale del disturbo e
riportato un caso seguito durante il tirocinio e nei successivi mesi, ho teorizzato la
possibile modalità d’intervento applicabile, ipotizzando una potenziale disponibilità di
tutti i Servizi Territoriali, già presenti o attivabili nel Comune di Trieste.
Tale progetto non tiene effettivamente conto dei limiti tangibili insiti nella realtà
dei Servizi Sociali, ancora poco sensibili alla problematica e comunque carenti di risorse
umane e finanziarie, oltre che di occasioni di formazione adeguata e mirata.
La strada della ricerca sociale in questo campo è senz’altro ancora lunga e
difficile: prevenzione e informazione sono totalmente assenti e l’interesse dello Stato non
è certo incoraggiante, poiché attualmente ignaro e disinteressato ai gravosi costi sociali a
cui sta andando incontro legalizzando e favorendo l’offerta ludica.
Da dove iniziare?
Questa tesi vuole essere una prima modesta risposta.
Trieste, 20 giugno 2003
5
CAPITOLO 1
IL GIOCO D’AZZARDO PATOLOGICO
1.1 IL GIOCO
Il gioco rappresenta una forma di attività che contraddistingue universalmente i
viventi e, in quanto parte della vita collettiva, è un elemento della natura umana, della sua
cultura e della sua stessa individualità e potenzialità
1
.
Il gioco è una tappa fondamentale dell’infanzia e ricopre un ruolo fondamentale
per tutta la vita: “E’ nel giocare che l’individuo, bambino o adulto, è in grado di essere
creativo e di fare uso dell’intera personalità, è solo nell’essere creativo che l’individuo
scopre il Sé”
2
.
Huizinga, autore del primo classico contemporaneo sul gioco, attribuisce all’
esperienza ludica un ruolo fondamentale nello sviluppo delle civiltà come primo
operatore culturale: “La civiltà umana sorge e si sviluppa nel gioco, come gioco”
3
.
Ogni attività umana ed ogni aspetto della vita possono dunque essere ricondotti
al gioco: l’uomo non è solo sapiens e faber, ma è parimenti anche homo ludens.
Ancora, secondo Huizinga il gioco sarebbe un’azione libera, concepita come
un’attività che “non viene presa sul serio” e situata fuori dalla vita consueta, ma
comunque tale da impossessarsi totalmente del giocatore. A tale azione non è legato un
interesse materiale, si compie entro uno spazio e un tempo definiti di proposito, secondo
1
Cfr. Lavanco G., Psicologia del gioco d’azzardo, McGraw-Hill, Milano, 2001.
2
In Winnicott D.W., Playing and reality, Tavistock Publications, London, 1971; (Trad.it.) Il gioco e la
realtà, Armando, Roma, 1990.
3
In Huizinga J., HomoLudens, 1938; (Trad.it.) Homo Ludens, Einaudi, Torino, 1982.
6
un ordine e delle regole, essa perciò suscita rapporti sociali che facilmente si circondano
di mistero e si distinguono dal mondo “solito”.
Riassumendo, il gioco è un’attività libera (a cui il giocatore non può esservi
obbligato senza che esso perda la sua natura originale), separata (circoscritta entro precisi
limiti di tempo e di spazio fissati in precedenza), incerta (il cui svolgimento non può
essere determinato né il risultato acquisito preliminarmente), improduttiva (poiché non
crea né beni né ricchezza), regolata (sottoposta cioè a convenzioni che sospendono le
leggi ordinarie e instaurano momentaneamente una legislazione nuova che è la sola a
contare) e fittizia (ma accompagnata dalla consapevolezza specifica di una diversa realtà o
di una totale irrealtà nei confronti della vita normale).
Callois
4
nella sua opera Le jeux et les hommes (1958) propone una
categorizzazione in base alla quale i giochi sarebbero distinguibili in quattro tipologie:
giochi di competizione (Agon) quali combattimenti, corse, calcio,
scacchi,…
giochi di travestimento (Mimicry) quali le imitazioni infantili, il teatro, i
giochi di ruolo,…
giochi di vertigine (Ilinx) quali la giostra, l’altalena, le acrobazie,…
giochi basati sul caso (Alea) quali il “testa o croce”, le scommesse, la
roulette, le slot machines, le lotterie,…
Se i giochi di competizione, o di Agon, sono una rivendicazione del merito e
della responsabilità personale, quelli di Alea sono un’abdicazione della volontà e un
abbandono al destino.
Le quattro tipologie di gioco (Agon, Alea, Mimicry e Ilinx) non sono esclusive
tra loro, ma possono compenetrarsi: così nel poker ritroviamo la dimensione dell’Alea (le
carte buone), dell’Agon (l’abilità nel gioco), del Mimicry (il bluff), e l’Ilinx (la
sensazione di vertigine percepita in alcune situazioni).
Se nei giochi di Agon vi è un avversario reale da battere, nei giochi di Alea la
sfida è con il destino, con il fato ed è forse per questo motivo che Callois ritiene che i
giochi d’azzardo possano essere definiti “i giochi umani per antonomasia”.
4
In Callois R., Le jeux et les hommes, Gallimard, Paris, 1958; (Trad.it.) I giochi e gli uomini, Bompiani,
Milano, 1981.
7
Attendere passivamente e deliberatamente un pronunciamento del fato, rischiare
su questo una ingente somma di denaro o altri valori con il rischio di perdere ogni cosa è
un atteggiamento che esige una possibilità di previsione, di rappresentazione e di
speculazione che sono interdetti al mondo animale.
Nei giochi di Alea il risultato è legato al Fato, alla Fortuna, al caso e questo
porta il giocatore ad aggrapparsi a ogni indizio più vago nell’illusione di prevedere,
manipolare o interpretare come il Fato si esprimerà; tuttavia Callois ricorda come,
allorché il giocatore cessa di ritenere il Fato una forza neutra e impersonale, produce di
fatto una degenerazione, una corruzione del principio di Alea che nasce con la
superstizione.
Bolen e Boyd definiscono il gioco d’azzardo come “scommessa di oggetti o
qualsiasi altro valore in un gioco o su di un evento di esito incerto in cui la fortuna, in
misura variabile, ne determina il risultato”
5
.
La parola “azzardo” deriva dall’ arabo az-zahr, nome di un antico gioco
orientale con tre dadi dove il punteggio massimo ottenibile è 6-6-6, che – com’è noto –
rappresenta il numero del Diavolo. Croce osserva come questo sinistro numero compaia
anche nella roulette, dove la somma di tutti i numeri è 666.
Questa dimensione inquietante del gioco d’azzardo ci porta a valutare un aspetto
pericoloso dell’esperienza ludica in cui essa non è più simulazione, oasi della gioia
6
,
allenamento, palestra al confronto con la realtà, ma perdita di contatto con la stessa e
sensazione di impotenza dell’uomo rispetto all’ingovernabile forza del caso.
1.2 BREVE STORIA DEL GIOCO D’AZZARDO
“L’uomo gioca. Gioca da sempre. O almeno da quando, distinguendosi dagli
altri primati, diventa uomo”
7
e come prima evidenziato, Huizinga sostiene che: “La civiltà
umana sorge e si sviluppa nel gioco, come gioco”
8
.
5
Cfr. Capitanucci D., Il gioco d’azzardo problematico, in “Prospettive sociali e sanitarie”, n. 15/16, 2000, p.
10.
6
Cfr. Fink E., Oasi della gioia. Idee per una ontologia del gioco, Salerno Edizioni, 1957, pp. 10-17.
7
Cfr. Zerbetto R., Il gioco nel mito e il mito del gioco, in Croce M. e Zerbetto R., “Il gioco e l’azzardo”,
Franco Angeli, 2001, p.17.
8
In Huizinga J., Homo Ludens, 1938; (Trad.it.) Homo Ludens, Einaudi, Torino, 1982.