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negativo. Il contributo di questo autore aiuta a porsi verso le
difficoltà dei ragazzi di origine straniera in modo propositivo e non
solo descrittivo delle problematiche.
Nella seconda parte ho preso in esame tra gli altri l'opera di
Deschamps e la teoria dell'identità sociale di Tajfel e Turner, allo
scopo di approfondire le tematiche che riguardano l'aspetto sociale
e personale della struttura del Sè, analizzando gli aspetti
maggiormente legati alla situazione di soggetti immigrati.
Tali lavori sottolineano il bisogno di raggiungere e mantenere
un'immagine positiva di Sé e le possibili strategie cognitive e
comportamentali adottate per far fronte ad un'immagine negativa.
Nel capitolo successivo vengono esaminati diversi fattori che
svolgono un ruolo importante nella formazione dell'identità quali
l'appartenenza a gruppi minoritari, il ruolo della famiglia nella
formazione di modelli organizzativi interni, la società e il processo
di acculturazione che attua tramite, ad esempio, le istituzioni.
Il gruppo sociale può essere, infatti, considerato come una
dimensione sia spazio temporale sia relazionale, dove l'immagine
del proprio Sé si struttura, anche nella consapevolezza di
appartenere ad un certo gruppo etnico.
I problemi che riguardano la presenza di una discontinuità culturale
nei modelli di riferimento identitario e le modalità con cui essa
influenza la quotidianità sia nell'infanzia sia nell'adolescenza,
vengono presi in esame insieme alle difficoltà linguistiche e alle
caratteristiche del bilinguismo.
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Entrando nello specifico dell'argomento della tesi viene presentata
la psicologia transculturale come approccio in grado di analizzare in
modo specifico le problematiche legate alla compresenza di mondi
culturali differenti, al loro rapporto e alle possibili problematiche,
conflitti e risoluzioni, adattamenti cognitivi adottati.
L'adolescente si trova a vivere il confronto tra mondi culturali
differenti, a volte contrapposti, rappresentati rispettivamente dalla
cultura del paese d'origine e di quella della società in cui si trova
l'immigrato. Berry individua quattro differenti strategie di
adattamento: separazione, assimilazione, marginalità e integrazione.
Queste strategie sono riprese anche nell'esame delle possibili ipotesi
identitarie alle quali l'adolescente può attingere per lo sviluppo della
propria identità.
Nella parte finale della tesi presenterò diverse teorie sullo sviluppo
dell'identità etnica, termine molto controverso in quanto portatore di
significati che possono essere facilmente falsati, ma che utilizzerò
per descrivere quella parte del sentimento del Sé che deriva dalla
coscienza di appartenere ad un gruppo etnico.
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Etnocentrismo Teorico
Prima di affrontare il tema principale è importante considerare
come l'appartenenza della maggioranza degli autori da me citati,
oltre che io stessa, alla cultura definita occidentale, possa influire in
modo significativo in diversi aspetti del lavoro svolto, sui quali
deve essere fatta una riflessione iniziale.
Il termine etnocentrismo teorico viene per la prima volta
individuato da Summer (in Febietti, 1998): egli osservò come esista
una forte tendenza a considerare gli standard del proprio gruppo
culturale e quindi utilizzarli come parametri per valutare gli altri
gruppi.
Questa tendenza può essere considerata, secondo altri (Le Vine,
1984) come una caratteristica universale delle relazioni culturali di
gruppo.
Si pone il problema di un’osservazione non pregiudiziale e una
valutazione neutrale dei fenomeni, considerati nell’ambiente sociale
ed ecologico nel quale si verificano.
Oltre a condurre a interpretazioni inesatte delle osservazioni, gli
effetti dell’etnocentrismo possono influire a diversi livelli:
- nell’introduzione di significati specifici di una cultura, tramite
l’impiego di strumenti elaborati originariamente per essa per
valutare altre culture;
- nella scelta degli argomenti della ricerca;
- nella formulazione delle teorie: le nostre nozioni ed idee hanno
precedenti culturali, di conseguenza anche la ricerca guidata dalla
teoria può essere viziata da pregiudizi culturali.
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Un esplicito riconoscimento del potenziale di etnocentrismo è il
primo passo verso il suo controllo; la psicologia ha probabilmente
forti elementi etnocentrici che riflettono specifiche manifestazioni
di comportamento provenienti dalle società industriali urbane, dove
per lo più si è sviluppata la scienza psicologica.
Parlando in specifico di adolescenza è significativo il lavoro, ormai
classico, di Margareth Mead “Coming of age in Samoa” (1928) nel
quale viene messa in dubbio l’esistenza di un periodo di transizione
problematico dall’infanzia all’età adulta.
In estrema sintesi: la fanciullezza delle samoane è piuttosto faticosa
e poco gratificante (tra l'altro, si richiede di custodire i più piccoli e
d'apprendere le elementari tecniche domestiche). Con la pubertà e
l'adolescenza, la situazione cambia e la giovane samoana, in vista
del matrimonio, è molto libera e non sperimenta «complessi»
sentimentali più o meno traumatici.
Per cui se in Europa o in America l’adolescenza è un periodo di
transizione, in certi popoli è rappresentata come una soglia.
L’adolescente deve affrontare una serie di prove iniziatiche, al
superamento delle quali egli sarà riconosciuto come un membro
responsabile della società.
Nelle società primitive il giovane maschio solitamente è separato
dalla fami-glia in modo più o meno violento, sottoposto a prove e
torture, e infine reinserito nella comunità.
Le fasi hanno un preciso significato simbolico. La separazione ha la
funzione di tagliare i legami con il mondo quotidiano e introdurre in
una dimensione diversa, sconosciuta, a volte inospitale ma densa di
significati.
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Questa dimensione è di margine, in essa viene rivelata al giovane la
mitologia del gruppo di appartenenza, cioè l’insieme di credenze
sull’uomo e il mondo che fondano il modo di vivere e di convivere
di quel gruppo stesso.
In tale modo si introduce il giovane nella comunità e insieme nel
mondo dei valori spirituali. Egli apprende i comportamenti, le
tecniche e le istituzioni degli adulti, ma anche i miti e le tradizioni
sacre della tribù.
L’iniziazione non è un rito che riguarda la questione di identità
sessuale, ma svela al giovane le vere dimensioni dell’esistenza e,
introducendolo al sacro, lo obbliga ad assumere le responsabilità di
uomo.
Il momento centrale di ogni iniziazione è rappresentato dalla
cerimonia che simbolizza la morte del bambino e il suo ritorno tra i
vivi come adulto. Ma colui che ritorna alla vita è un uomo nuovo,
che assume un altro modo di essere. La morte iniziatica significa a
un tempo la fine dell’infanzia, dell’ignoranza e dell’irresponsabilità
del bambino.
La funzione primaria del mito e del rito nelle società tradizionali è
quella di trasformare i giovani in adulti e di tenerli quindi legati ai
ruoli loro assegnati, alla mitologia e al rituale. Per esistere, una
società dipende dalla presenza, nella mente dei suoi componenti, di
un certo sistema di sentimenti che regolano la condotta
dell’individuo conformemente alle esigenze della società stessa.
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PARTE PRIMA
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1. LA FORMAZIONE DELL'IDENTITÀ.
La formazione dell'identità si fonda su un rapporto di opposizione e
sulla messa in questione dei suoi limiti.
Marc Augè, Qui est l'Autre
Riprendendo diverse teorie psicologiche possiamo riassumere che lo
sviluppo della coscienza di sé è un processo che attraversa differenti
stadi: un neonato non ha coscienza della propria identità ed è solo col
passare del tempo che impara a riconoscersi come individuo distinto.
Questo apprendimento avviene inizialmente attraverso il corpo. I
bambini piccoli imparano a localizzare le tensioni, le sensazioni, le
emozioni nel loro corpo e a distinguere ciò che è interno da ciò che è
esterno (la mano dal giocattolo, gli stimoli della fame dal cibo, i propri
vocalizzi da quelli degli altri…).
L’esplorazione del corpo, la manipolazione degli oggetti, forniscono
una prima forma di coscienza di sé. Tra uno e due anni i bambini
imparano anche a riconoscere la propria immagine allo specchio e
successivamente ad usare il pronome “io”. Nel corso di questo
processo evolutivo una tappa importante è quella dell’“oggetto
permanente” (oggetto/persona che continua a esistere al di fuori del
soggetto e di qualsiasi contatto percettivo) (Piaget, 1974): da allora in
poi il bambino inizia a comprendere che un essere può restare identico
a se stesso anche se cambia il contesto.
Con l’emergere dell’identità corporea compare anche quella di genere.
I bambini vogliono sapere se sono maschi o femmine, se assomigliano
a mamma o papà e, naturalmente, sono interessati ai modelli di
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femminilità e di mascolinità che incontrano. Ciò che avviene a livello
motorio, sensoriale ed emotivo, avviene anche a livello cognitivo.
Tutto ciò non si verifica in solitudine, ma attraverso interazioni
sociali. Attraverso il “corpo a corpo” con la mamma il piccolo
sviluppa una percezione di sé come essere dipendente ma anche
separato.
René Spitz, teorico delle relazioni oggettuali, ha posto l’accento sulle
interazioni precoci nella formazione dell’identità sottolineando il
ruolo di tre “organizzatori”: il sorriso, che a volte esprime uno stato
interno e altre volte è una risposta a stimoli esterni; l’angoscia
dell’ottavo mese di fronte a persone sconosciute, che rivela come il
bambino sia in grado di conferire un'identità alle persone; il “no”, cioè
le affermazioni “no” con le quali attorno ai 2 e 3 anni il bambino si
contrappone a quello che sente estraneo da sé, consente al piccolo di
opporre il proprio Io a quello degli altri e quindi di differenziarsi.
Nelle prime fasi della vita l’identità emerge in un duplice movimento
relazionale fatto di avvicinamenti e opposizioni, aperture e chiusure,
assimilazioni e differenziazioni.
In questo processo ha un ruolo rilevante l’identificazione: i bambini si
identificano con i genitori, i fratelli, le sorelle, gli amici, gli ideali
della famiglia e della cultura nazionale (eroi, personaggi mitici, attori,
ecc.) e in questo modo assimilano norme e modelli di comportamento.
Interiorizzano anche i modelli di comportamento dei gruppi dei pari e
sviluppano le prime forme di identità di gruppo.
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1.1. La sfida dell’adolescenza: sintetizzare un’identità’
Erik Erikson condivide la teoria Freudiana per certi aspetti e la amplia
aggiungendo ad essa una dimensione psicosociale che scaturisce dai
numerosi studi da lui condotti.
La prospettiva psicosociale vede lo sviluppo cognitivo come
interazione tra maturazione fisica, che porta con sé nuove abilità e
nuove possibilità, e le richieste che la società indirizza al bambino
sollecitandolo affinché egli apprenda nuovi comportamenti.
La personalità, secondo Erikson, si differenzia e si organizza
gerarchicamente passando attraverso una serie di “crisi” psicologiche.
La ricerca dell’identità è il tema centrale della vita che comprende sia
l’accettazione del Sé che della civiltà in cui si vive, l’identità è
considerata come senso soggettivo di sé di una rinfrancante coerenza e
continuità.
In termini psicologici, la formazione dell’identità si serve di un
simultaneo processo di riflessione e osservazione, che si svolge a tutti
i livelli delle funzioni mentali, il senso consapevole di possedere
un’identità personale si fonda su due osservazioni simultanee.
L’identità dell’ego è, nel suo aspetto soggettivo, la consapevolezza del
fatto che esiste una continuità nei modi sintetizzati dell’ego, cioè lo
stile della propria individualità, e che questo coincide con
l’identificazione delle altre persone.
Questo processo è per massima parte inconscio, il compito dell’ego è
uno dei tre indispensabili processi grazie ai quali l’esistenza diviene e
rimane continua nel tempo ed organizzata nella forma.
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Nel particolare i processi sono:
1. processo biologico per cui un organismo viene ad essere
un’organizzazione gerarchica di sistemi organici che vivono il suo
ciclo vitale;
2. processo sociale grazie al quale gli organismi si organizzano in gruppi
geograficamente e culturalmente definiti;
3. processo dell’ego è il processo organizzativo in base al quale
l’individuo si mantiene come personalità coerente e continua sia nella
propria esperienza quanto nel suo rapportarsi agli gli altri.
Erikson suddivide lo sviluppo cognitivo dell’individuo in otto stadi
ognuno caratterizzato da una sfida o “crisi” peculiare. Il tipo di
soluzione dato alla crisi influisce sul modo in cui l’individuo affronta
lo stadio di sviluppo successivo, se la sfida di uno di essi non è stata
superata in modo adeguato, la persona è ostacolata nella risoluzione
positiva delle crisi successive.
Illustrerò gli stadi dello sviluppo psicosociale con la seguente tabella
riassuntiva nella quale sono sinteticamente indicate le coordinate
cronologiche degli stessi, la particolare crisi e le caratteristiche
principali dei rapporti sociali e le loro conseguenze psicologiche.
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Stadio Crisi
psicosociale
Caratteristiche principali
Prima
Infanzia
(0-1
anno)
Fiducia ↔ Sfiducia
Nella relazione con l’adulto che
si prende cura di lui, il bambino
sviluppa un senso di fiducia o
sfiducia nel fatto che i suoi
bisogni fondamentali, come
quello del nutrimento, calore,
pulizia e contatto fisico, saranno
soddisfatti.
Seconda
infanzia
1-3 anni
Autonomia ↔
Vergogna e dubbio
Il bambino apprende
l’autocontrollo come strumento
per rendersi autosufficiente (per
es. impara a controllare gli
sfinteri, a mangiare da solo, a
camminare), oppure sviluppa un
senso di vergogna e di dubbio
sulle proprie capacità di essere
autonomo.
Età del
gioco
3-6 anni
Iniziativa ↔ Sensi
di colpa
Il bambino è desideroso di
cimentarsi in ciò che fanno gli
adulti, ma la sua intraprendenza
e i suoi tentativi di essere
indipendente possono procurargli
dei sensi di colpa.
Età
scolare
7-11
anni
Operosità ↔ Senso
d’inferiorità
Il bambino sviluppa
immaginazione, curiosità e
nuove capacità di apprendimento
oppure, al contrario sviluppa un
senso di inferiorità, se non riesce
– o pensa di non riuscire – a
padroneggiare i vari compiti.
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Adole-
scenza
12-18
anni
Identità ↔
Confusione
L’adolescente cerca di capire chi
è, in che cosa consiste la sua
unicità come persona, se vuole
avere un ruolo significativo nella
società, come può definire per se
stesso un’identità sessuale, etnica
e professionale. Attorno a queste
decisioni possono nascere
sentimenti di confusione.
Inizio
dell’età
adulta
20-30
Intimità ↔
Isolamento
Il giovane adulto cerca la
vicinanza e l’intimità con una
persona affettivamente
importante, oppure evita le
relazioni e si isola dagli altri.
Età adulta
30-65
anni
Generatività ↔
Stagnazione
L’adulto sente il bisogno di
essere produttivo – per esempio
creando oggetti sviluppando idee
o allevando figli – oppure
diventa stagnante e inattivo.
Tarda
maturità
65 e oltre
Integrità ↔
Disperazione
L’anziano riconsidera tutta la sua
vita e tenta di darle un senso
riflettendo sulle mete raggiunte;
oppure dubita e si dispera per le
mete mai raggiunte e per i
desideri rimasti inappagati.