5
Chi scrive ha dato l’ordine che segue ai diversi argomenti perché ha ritenuto
importante partire dall’analisi del ruolo dell’anziano malato, all’interno delle dinamiche
intrafamiliari. Sono state pertanto esaminate, in primo luogo, la nozione e le caratteristiche
dell’invecchiamento, quindi quelle della famiglia e i mutamenti che essa ha subito nel corso
degli anni. Ci si propone quale fine la valutazione dei cambiamenti nella funzione svolta
dall’anziano all’interno della famiglia. Inoltre, poiché si intende somministrare il DSSVF ad
un insieme costituito da trenta famiglie di caregivers di un anziano malato di Alzheimer, si
ritiene necessario proporre sia una definizione del concetto di demenza e più specificatamente
della demenza tipo Alzheimer, sia procedere all’individuazione del ruolo e delle
caratteristiche del caregiver, inteso come colui che assolve al compito di assistere il malato,
con tutte le conseguenze che da ciò derivano.
Il lettore dovrà tenere presente il fatto che i dati e l’ampiezza del campo di indagine
risulteranno inevitabilmente condizionati dal grado di accessibilità dei dati.
6
CAPITOLO I
DEFINIZIONE DELL’INVECCHIAMENTO
1. L’età anziana nella prospettiva temporale
Il fenomeno della senescenza, oggi specialmente, è al centro degli studi scientifici. In
ragione dei recenti mutamenti demografici e sociali indotto dall’incremento della speranza di
vita dell’individuo e dal conseguente invecchiamento della popolazione, lo studio sulla
vecchiaia si è andato imponendo con sempre maggiore urgenza. Gli studiosi hanno cercato di
approfondire un tema così complesso, senza per altro arrivare ad un accordo definitivo sul
termine da usare: senescenza, vecchiaia, terza e quarta età, anzianità, etc. Il motivo di tale
difficoltà è da ricondursi ad un’incertezza di fondo circa il momento in cui ha inizio tale fase
della vita.
Esistono dei criteri applicabili al fine di determinare l’inizio della vecchiaia?
Esistono tre possibilità
1
:
a) legare l’inizio della vecchiaia ad eventi biologici (deterioramento delle cellule
cerebrali) o fisici (ad esempio perdita della capacità riproduttiva. Ma mentre questo fenomeno
può essere indicato con precisione nella donna, poiché coincide con la menopausa, risulta più
difficile determinarlo nell’uomo in quanto più graduale);
b) determinare l’inizio della vecchiaia facendo riferimento ad eventi sociali come per
esempio il pensionamento, l’uscita da casa dei figli etc.;
c) collegare l’inizio della vecchiaia alla “previsione dell’avverarsi della morte”
(attribuendo agli ultimi otto-dieci anni di vita la condizione di anzianità).
1
SCORTEGAGNA R., Invecchiare, Bologna 1999, pp. 45-55, 78-80, 82-84.
7
L’ONU ha definito l’anno 1999 come l’“Anno Internazionale degli Anziani”. Entro
l’anno 2030 un quinto della popolazione dei paesi industrilizzati avrà più di sessantacinque
anni di età e un numero crescente di anziani vivrà oltre i settantacinque anni. In particolare
secondo recenti indagini Istat si calcola che nel 2000 il 24,6% della popolazione avrà più di
sessanta anni e il 3,5% avrà più di ottanta anni. Secondo stime OCSE mentre nel 1990 la
popolazione con settantacinque anni in Gran Bretagna era pari al 6,8%, nel 2000 essa
raggiungerà il 10,6% dell’intera popolazione. In altri Paesi la crescita sarà maggiore. In
Giappone si passerà dal 4,7% al 14,7%, negli USA dal 5,3% al 10%, in Germania dal 7,2% al
12,4% e in Italia dal 6,5% al 13,4%. Gli ultimi dati disponibili (1990-95), pubblicati
dall’Istituto di Ricerche sulla Popolazione del CNR, fissano la speranza di vita media per
l’Italia a 77,5 anni, più alta rispetto alla media dell’Unione Europea (76,7) e molto più alta di
quella dei paesi industrializzati (62,9). L’Italia è l’unico paese in Europa in cui la porzione
degli ultra sessantacinquenni (16% della popolazione) ha superato quella dei giovani con
meno di quindici anni (15%). L’ invecchiamento progressivo della Nazione, come riportato
dalla Relazione al Parlamento sulla Condizione degli Anziani, curata dal Dipartimento degli
Affari Sociali per il biennio 1996-97, è dovuto alla combinazione di due fenomeni: la
longevità e la ridotta fecondità degli italiani; la speranza di vita è una delle più alte, mentre
l’indice di fertilità è uno dei più bassi d’Europa: nascono 1,2 figli per ciascuna donna.
Le scienze biologiche hanno legato l’invecchiamento all’età cronologica; l’esistenza
umana può essere suddivisa in tre fasi, l’età evolutiva o periodo di accrescimento (0-25 anni),
l’età adulta (25-65 anni con tendenza a posticiparla) e l’età senile (dopo i 65 anni) distinta in
due sottofasi, la “terza età” (65-85 anni) e la “quarta età” (dopo gli 85 anni). Al contrario, la
psicologia propone una visione più ampia che integra le diverse dimensioni che caratterizzano
la personalità del soggetto anziano (dimensioni biologiche, psicologiche e sociali).
La psicologia dell’invecchiamento si propone di spiegare i cambiamenti connessi al
processo di invecchiamento, ad esempio modificazioni della memoria, delle percezioni,
dell’affettività etc Questo approccio realizza un’integrazione tra i fattori biologici
(deterioramento neuronale) e socio-psicologici (come ad esempio l’analisi del grado di
importanza attribuita dalla società al ruolo dell’anziano e come ciò si rifletta sulla personalità
dei singoli). E’ noto che i comportamenti non possono essere esaminati attraverso analisi
stastiche, queste tuttavia forniscono informazioni di ordine descrittivo.
8
Il primo studioso che si è occupato della questione dell’invecchiamento secondo
un’ottica empirica è stato Quetelet nel 1835
2
. Era convinzione dell’A. che l’influenza
dell’ambiente in cui l’individuo vive determina evidenti differenze nei comportamenti
individuali, in funzione dell’età. Il primo psicologo che elaborò un resoconto preciso sulla
psicologia dell’invecchiamento fu Hall
3
. Egli smentì il pregiudizio secondo il quale
l’invecchiamento è mera regressione ad un’età precedente. Kohut sostenne che nella
vecchiaia si realizza la continuità del Sé onnipotente
4
. L’A.ipotizzò un processo di rottura
nell’equlibrio tra l’invecchiamento fisico e l’invecchiamento psicologico interiorizzato:
l’inconscio non prevede l’invecchiamento, presente invece all’esterno. L’immagine negativa
che gli altri hanno dell’essere anziano non coincide con l’immagine interiore che il singolo
anziano elabora su se stesso. Secondo questa prospettiva la maturazione dell’individuo non
cesserebbe mai: la sua esistenza sarebbe caratterizzata da un processo di apprendimento
continuo. Non esisterebbe secondo questo punto di vista una linea di confine tra la senescenza
e la maturità. Secondo lo psicanalista francese Messy, sarebbe la rottura dell’equilibrio tra
acquisizioni e perdite a determinare l’invecchiamento. Tuttavia una teoria psicologica
sull’invecchiamento deve potere spiegare l’aumento dell’età in rapporto al comportamento e
alle capacità.
2
QUETELET A., Sur l’homme et le développement de ses facultés, Paris 1835.
3
HALL G.S., Senescence , New York 1922.
4
KOHUT H., Narcisismo ed Analisi del Sé, Torino 1976.
9
CAPITOLO II
ANZIANI IERI E OGGI. CARATTERISTICHE DELL’INVECCHIAMENTO
I modelli socio-culturali vigenti hanno di fatto penalizzato l’anziano e il suo ruolo è
sempre più giudicato superfluo. I progressi tecnologici, i miti dell’efficienza e del
consumismo propri della nostra società hanno portato l’anziano verso l’emarginazione e
l’isolamento, in quanto la sua capacità di adattarsi ai cambiamenti e alle novità è minore
rispetto a quella dei giovani. Le carenze del sistema sanitario, i livelli bassi di reddito,
l’assenza di ruoli socialmente significativi in cui l’anziano possa inserirsi hanno aggravato
ulteriormente la condizione della popolazione anziana, che è sempre più frequentemente
sottoposta a stigmatizzazione.
La senilità è secondo Aveni Casucci l’unica fase della vita in cui la causa delle
sofferenze patite dalla persona anziana non è solo da ricondursi a fattori ambientali ma anche
al processo di invecchiamento in quanto tale
5
. Le modificazioni e i cambiamenti tipici della
vecchiaia sono molteplici e avvengono a vari livelli. Le modificazioni fisiologiche sono le
prime che si presentano, coinvolgendo profondamente i processi cognitivi. Con il termine
“abilità cognitive” viene indicato l’“insieme delle capacità che intervengono nel processo di
elaborazione delle informazioni” da quando queste si prospettano al soggetto fino a quando
egli produce una risposta adeguata
6
.
L’attenzione è stata una delle prime abilità ad essere esaminata negli studi di
psicologia sperimentale. Uno dei principali metodi utilizzati in ambito sperimentale per lo
studio dell’attenzione è stato quello denominato dell’“ascolto dicotico”. Ai soggetti vengono
fatti ascoltare contemporaneamente due serie di stimoli, ognuno in ciascun orecchio (per es.
parole a destra e numeri a sinistra).
5
AVENI CASUCCI M.A., Psicogerontologia e Ciclo di Vita, Milano, 1992.
6
AMORETTI G.-RATTI M.T., Psicologia e terza età, Roma 1994, pp. 20-22, 31-40, 46-47, 49-52, 79-80, 85-
95.
10
Gli individui devono ricordare entrambe le serie anche se generalmente ricordano
prima i componenti di una serie e poi quelli dell’altra. Questo tipo di paradigma sperimentale
presuppone che l’attenzione del soggetto debba essere distibuita tra i due stimoli. È stato
notato come gli anziani abbiano molte difficoltà a svolgere questo tipo di compiti o per una
ridotta disponibilità del soggetto a disporre delle risorse attentive necessarie per potere
svolgere tali compiti, o per errori compiuti nella scelta delle strategie, inadeguate ai compiti
designati. Secondo Baddeley ed Hitch, i teorici della “working memory”, esiste un “sistema
esecutivo centrale” dotato di funzioni di controllo
7
. Con l’avanzare dell’età questo sistema
andrebbe incontro ad un progressivo deterioramento, causa del deficit attentivo.
Un’altra abilità che diminuisce con l’età è la percezione. Alcuni problemi percettivi
sono indotti da modificazioni fisiologiche degli organi di senso: la vista diminuisce, l’udito si
indebolisce etc. I deficit percettivi possono però anche essere legati alle trasformazioni che si
verificano nei processi cerebrali centrali, che dovrebbero essere deputati a compensare
possibili difetti degli organi sensoriali. Gli anziani sono maggiormente sensibili alle illusioni
ottiche e meno capaci di distinguere le figure ambigue rispetto ai giovani. Bisogna tenere
conto però che questi compiti sono legati a situazioni artificiali e che questa lentezza potrebbe
non essere così accentuata nella vita quotidiana.
Un’altra area che è stata recentemente indagata con riferimento al problema
dell’invecchiamento è quella del linguaggio. Per parecchio tempo, in ambito scientifico, si era
diffusa la convinzione che le abilità linguistiche rimanessero costanti per tuuta la vita
dell’individuo. In realtà il linguaggio si mantiene stabile rispetto ai normali effetti
dell’invecchiamento (i test verbali all’interno della batteria dei test di intelligenza non sono
suscettibili all’aumento dell’età), ma in compiti verbali a tempo o in prove in cui vengono
coinvolte le capacità mnestiche è stata riscontrata una diminuizione della prestazione da parte
delle persone anziane. Nella vita quotidiana si osserva, inoltre, come l’anziano abbia
comunque difficoltà ad intendere il significato di parole complesse, a recuperare nomi propri
o determinati vocaboli, senza essere tuttavia affetto da alcuna particolare malattia.
Il “vocabolario passivo”, cioè quell’insieme di conoscenze linguistiche possedute da
ogni individuo, cambia in relazione al grado di istruzione, ma resta costante durante l’intero
arco di vita: grazie a questo vocabolario l’individuo riuscirà a comprendere le parole e la
7
BADDELEY A.D.-HITCH G.Y., Working Memory, in BOWER G.A. (ed.), The Psychology ofLearning and
Motivation, 8, New York 1974.
11
scrittura. I deficit uditivi non influiscono sulla capacità di comprensione del discorso, poiché
il soggetto è in grado di ricostruire le parole percepite parzialmente adoperando le
informazioni contestuali.
Questa capacità di deduzione e ricostruzione è connessa alle esperienze proprie
dell’individuo e si mantiene stabile anche con la vecchiaia. Al contrario la velocità con cui
viene esposto un discorso influisce sulla sua comprensione. Mentre per merito della
ricostruzione fonemica possibili distorsioni fonemiche non incidono sulla comprensione, la
rapidità con cui vengono enunciate le parole può comportare per l’anziano una maggiore
difficoltà nel comprendere i discorsi. Questa eventualità non ha luogo quando si tratta di
intendere un testo scritto. La rapidità nella lettura è difatti fissata dall’individuo ed è correlata
alla rapidità di comprensione della stessa. La competenza contestuale non viene alterata
dall’età. Diverso è il caso in cui viene coinvolta la produzione linguistica scritta e orale. Il
“vocabolario attivo”, cioè il complesso di vocaboli utilizzati dalla persona, viene influenzato
dall’invecchiamento. L’ampliamento di tale vocabolario è determinato dall’accrescimento di
quello passivo ma il recupero delle parole dal vocabolario attivo (“accesso lessicale”)
diminuisce con l’età.
L’analisi della relazione tra età ed intelligenza costituisce una delle prime ricerche di
psicologia finalizzate a studiare i processi di invecchiamento. I dati emersi dagli studi
psicometrici hanno consentito di formulare l’ipotesi di un “declino intellettuale globale”:
l’intelligenza inizierebbe a decrescere in maniera lineare e costante fin dalla prima età adulta.
Diverse indagini hanno rivelato un incremento del Q.I. fino a trenta anni (secondo l’ipotesi
del “massimo adolescenziale” in cui l’individuo raggiunge il picco dell’intelligenza a venti
anni) e un progressivo declino già a partire dai sessanta anni, seguito da un ulteriore
decremento dopo questa età. La teoria del declino intellettuale globale presuppone che
l’intelligenza sia organizzata come insieme di capacità intercorrelate. Le analisi fattoriali dei
test di intelligenza hanno tuttavia smentito questa ipotesi, provando l’esistenza di capacità
indipendenti. Attraverso la somministrazione a campioni di anziani di batterie di test, si sono
potute valutare le diverse abilità implicate nell’intelligenza. E’ stato osservato come la
capacità di astrazione declinasse più velocemente rispetto alle altre, mentre è stata rilevata
una certa stabilità quando le prove richiedono l’utilizzo del patrimonio delle conoscenze
proprie dell’ individuo (vocaboli, informazioni etc.).
12
Recentemente la teoria del declino intellettuale globale è stata sostituita e superata da
quella proposta da Horn e Cattel i quali distinguono tra un’“intelligenza fluida” e
un’“intelligenza cristallizzata”
8
. La prima sarebbe legata allo sviluppo neuronale e seguirebbe
un processo simile a quello descritto dalla teoria del declino intellettuale globale.Questo tipo
di intelligenza si riferisce ai processi fondamentali implicati nella strutturazione e
organizzazione delle informazioni e nella risoluzione dei problemi e si manifesta nei compiti
che comportano agilità mentale, rapidità di organizzazione etc. La seconda sarebbe invece
caratterizzata da una maggiore stabilità nel tempo, in quanto è connessa ai fattori socio-
culturali e ambientali ed è influenzata dall’istruzione; essa si esprime in compiti di cultura
generale, vocabolario etc. Secondo Horn e Cattell l’intelligenza fluida, al contrario di quella
cristallizzata, sarebbe sottoposta a declino con l’avanzare dell’età. Gli AA. tuttavia
sostengono che i due sistemi di intelligenza sono collegati tra loro e che quindi solamente
l’esercizio e l’estensione dell’intelligenza fluida permette lo sviluppo di quella cristallizzata.
Naturalmente secondo i ricercatori anche alcune capacità dell’intelligenza fluida possono
rimanere invariate nella vecchiaia a condizione di rispettare le consuetudini acquisite nell’età
adulta.
Ricerche trasversali che analizzavano il confronto tra le prestazioni di individui
giovani e quelli di individui più anziani hanno rivelato che gli ultimi ottengono prestazioni di
livello inferire in prove di ragionamento induttivo e deduttivo. La spiegazione di questo
fenomeno è stata attribuita in parte ad una diminuizione delle capacità mnestiche, in parte ad
una maggiore inflessibilità nell’uso di strategie consolidate che non sempre risultano adeguate
alla risoluzione dei problemi assegnati. Grazie a ricerche che impiegavano invece metodi
longitudinali, quando cioè i medesimi compiti vengono ripetuti dagli stessi soggetti a distanza
di tempo, è stato possibile dimostrare che l’età smette di essere un fattore corresponsabile
delle differenze considerate. È stato infatti provato che la maggior parte delle differenze
rintracciate negli studi trasversali sono imputabili alla “coorte di nascita” a cui viene collegato
il grado di istruzione dei soggetti. Il livello di istruzione ha quindi un’influenza importante
nell’attenuare gli effetti negativi che l’invecchiamento determina nell’intelletto. Una
formazione culturale solida incide positivamente sull’invecchiamento mentre un livello
culturale carente agevola un decadimento intellettuale più rapido. L’esercizio continuo delle
8
HORN J.L.-CATTEL R.B., Ages Differences in Primary Mental Ability Factors, in Journal of Gerontology, 21,
1996, pp. 210-220.
13
funzioni intellettive può aiutare l’anziano a ridurre il deterioramento cerebrale
9
. La teoria
formulata da Denney presuppone la suddivisione delle capacità intellettive in due classi:
quelle “poco esercitate” e quelle “ottimizzate”
10
. Le prime sarebbero influenzate dall’età
mentre per le seconde l’esercizio è così fondamentale che un individuo anziano potrebbe
addirittura raggiungere performances simili a quelle di un ragazzo di venti anni, naturalmente
in compiti che richiedono abilità ottimizzate dall’anziano ma non esercitate dal giovane.
Ovviamente l’esercizio delle capacità mentali dipende anche dal contesto in cui l’individuo
vive. La frequentazione di un ambiente culturalmente stimolante favorisce l’uso e la tutela dei
processi logico-astratti, mentre ad esempio l’isolamento in una casa di cura facilita il
decadimento cerebrale. Lo stesso pensionamento, che comporta l’interruzione dell’attività
intellettuale, può diminuire l’utilizzo dell’intelligenza. E’ necessario quindi che l’anziano
impari ad usare le capacità residue allo scopo di compensare quelle perdute.
Un’altra abilità cognitiva che con l’età si riduce concerne l’efficienza mnestica. È
opinione comune in ambito scientifico che con la vecchiaia si conservi la Memoria a Lungo
Termine, che viene fissata nel cervello da processi biochimici, mentre diventa insufficiente
quella a Breve Termine, basata su processi biofisici di eccitazione nervosa. Già da parecchi
anni la memoria è diventata oggetto di studio in psicologia e proprio per tale ragione sono
stati elaborati diversi modelli validi a spiegarne il funzionamento
11
. Le teorie formulate da
Waugh e Norman e da Atkinson e Shiffrin si basavano su un sistema a “tre stadi” in cui
l’informazione veniva immagazzinata in tre differenti “storages”
12
. Il primo (registro
sensoriale) accoglierebbe le informazioni ricevute dagli organi di senso. Atkinson e Shiffrin
hanno suddiviso questo registro in due componenti, iconica (informazioni visive) ed ecoica
(informazioni uditive). Se le componenti attentive vengono attivate, le informazioni contenute
nel registro sensoriale per brevissimo tempo (nell’ordine di frazioni di secondi) passano alla
MBT (Memoria a Breve Termine).
9
CESA-BIANCHI M., Giovani per sempre, Bari 1998, pp. 38-41, 84-88, 94-95, 103-105, 108-111, 120-122,
146-150, 155-163.
10
DENNEY N.W., Aging and Cognitive Changes, in B.B. WOLMAN (ed.), Handbook of Developmental
Psychology, New York 1982.
11
DENES G.-PIZZAMIGLIO L., Manuale di Neuropsicologia, Bologna 1996, pp. 426, 428-429, 432-433.
12
WAUGH N.C.-NORMAN D.A., Primary Memory, in Psychological Review, 72, 1965, pp. 81-104;
ATKINSON R.C.-SHIFFRIN R.M., Human Memory: a Proposed System and its Control Process, in SPENCE
K.W.-TAYLOR SPENCE J. (edd.), The Psychology of Learning and Motivation, New York 1968, pp 89-195.
14
Quest’altro storage può contenere una quantità limitata di informazioni per breve
tempo (nell’ordine di secondi) qualora non subentri, da parte dell’individuo, l’interesse per
questi contenuti; diversamente le informazioni decadono, cioè vengono dimenticate. Se
queste informazioni sono ritenute importanti dal soggetto esse, attraverso il rehearsal o
ripetizione subvocalica, passano nel magazzino della MLT (Memoria a Lungo Termine) che
può conservare una quantità maggiore di informazioni (ad es.il proprio nome o la data di
nascita) e teoricamente per un periodo di tempo indeterminato (da minuti ad anni).
Recentemente attraverso l’introduzione del concetto di “working memory” (memoria
di lavoro) Baddeley e Hitch hanno proposto una migliore definizione della MBT. Il nuovo
modello presuppone l’esistenza di un sistema “esecutivo centrale” che regola la ripartizione
delle risorse attentive e la realizzazione dei processi strategici, cui si aggiungono due
sottosistemi: l’uno utile all’elaborazione delle informazioni verbali (“loop articolatorio” che
consente la ripetizione subvocalica); l’altro destinato all’elaborazione delle informazioni
visuo-spaziali (“blocco per appunti visuo-spaziali”). Diversi studiosi (tra cui Baddeley) hanno
inoltre proposto una suddivisione della MLT in diverse componenti. La “memoria
esplicita/dichiarativa” che riguarda “la conoscenza consapevole di fatti ed eventi” (che
possono oscillare dai ricordi autobiografici alla conoscenza del significato di una parola) e la
“memoria implicita/non dichiarativa”, che invece concerne l’immagazzinamento di
informazioni non consapevoli (si fa riferimento ad una area molto vasta che va dalle abilità
percettive, motorie e cognitive al linguaggio). Tulving ha proposto un’ulteriore distinzione
all’interno della memoria dichiarativa in due componenti: la “memoria episodica” e la
“memoria semantica”
13
. La prima è un sistema che contiene informazioni riguardanti episodi
ed eventi; la seconda racchiude la conoscenza di parole, simboli, etc.
Nella senescenza la capacità di ricordare diminuisce notevolmente. Una delle
spiegazioni proposte fa riferimento ai fattori affettivo-motivazionali. L’anziano dimentica di
più perché si interessa meno alle situazioni che non lo coinvolgono da vicino. La persona
anziana ricorda infatti eventi passati della sua vita, mentre i problemi si presentano quando
deve immagazzinare informazioni estranee ai suoi interessi. Le ricerche più recenti hanno
dimostrato che la riduzione delle capacità mnestiche evidenziate dai test psicologici non
esprime la condizione reale degli anziani.
13
TULVING E., Episodic and Semantic Memory, in TULVING E.-DONALDSON W., Organization of
Memory, New York 1972, pp. 381-403.
15
Questa si apprezza meglio se si valuta non tanto la memoria esplicita, che risulta dalle
risposte a domande dirette su cosa viene immagazzinato e sulla quantità di informazioni che
si ricordano, quanto piuttosto quella implicita, in cui per effettuare specifiche azioni debbono
essere utilizzate esperienze passate legate alle medesime azioni. Né si ritiene più che la
“working memory” declini inevitabilmente con gli anni. Essa permane, ma per lo più sotto
forma di automatismi comportamentali spesso inconsci.
Le ricerche psicologiche svolte negli ultimi 20 anni hanno riguardato quasi
esclusivamente le modificazioni cognitive che si verificano durante il processo di
invecchiamento
14
. I risultati di tali studi hanno permesso ai medici di raccogliere parecchie
informazioni in relazione sia all’organizzazione dei processi cognitivi in condizioni normali,
sia in presenza di malattie che determinano modificazioni neurologiche cognitive (ad es.le
demenze), dati importanti al fine di pervenire ad una diagnosi precoce. Allo stesso tempo si è
contratto il volume dei lavori mirati a far luce sulla sfera affettiva dell’anziano. L’attenzione
degli studiosi si è incentrata sulle emozioni negative (ansia, tristezza, depressione) provate
dall’anziano, tralasciando le potenzialità e le risorse che l’individuo anziano possiede e il
modo in cui le applica nella vita quotidiana. Ciò ha determinato la diffusione sopratutto tra i
giovani dello stereotipo di un anziano “triste, malinconico, irritabile”. Secondo Tomkins ad
esempio la dimensione affettiva in età senile sarebbe contraddistinta da un aumento delle
emozioni negative e da una diminuizione di quelle positive
15
. In realtà diverse ricerche - tra le
quali si segnala quella di D’Urso e Baroni
16
- hanno smentito questo pregiudizio, dimostrando
come esista invece una grande differenza tra le emozioni riferite da un campione di anziani e
quelle attribuite dagli stessi anziani ai loro coetanei. In relazione alle proprie emozioni gli
anziani dichiarano di avere provato negli ultimi tempi sia emozioni positive che emozioni
negative ma attribuiscono ai loro coetanei più emozioni negative di quante non ne
attribuissero ad un campione composto da giovani. Un’altra ricerca condotta da Poderico ha
dimostrato come i giovani assegnino agli anziani emozioni e sentimenti negativi come
14
ANNONI G.-CATANEO M.T., Affettività e invecchiamento. L’esigenza di un approccio multi-disciplinare, in
Ricerche di Psicologia, 4, 1997, pp. 305-310.
15
TOMKINS S., Affect, Immagery, Cosciusness: the Positive Affect, New York 1962; TOMKINS S., Affect,
Immagery,Cosciusness: the Negative Affect, New York 1963.
16
D’URSO V.-BARONI M.R., Io e noi: stati emotivi degli anziani, in DELLANTONIO A. (cur.), Ricerche
Psicologiche sull’invecchiamento, Milano 1989, pp. 66-81.
16
depressione, rassegnazione, senso di solitudine etc.
17
. Gli anziani riferiscono invece nostalgia,
vulnerabilità, angoscia. Poderico ha riscontrato quindi una notevole divergenza tra il modo in
cui gli anziani descrivono se stessi e gli stati d’animo loro attribuiti dai giovani.Gli anziani
inoltre si reputano meno saggi di quanto non credano i giovani.
Secondo studi recenti, che sostengono l’esistenza di un rapporto inversamente
proporzionale tra espressività emozionale ed età (l’intensità dell’espressività emozionale
tenderebbe a diminuire con l’aumentare dell’età), la motivazione principale della riduzione
nell’espressione delle emozioni risiederebbe in una maggiore capacità di rappresentare
simbolicamente gli oggetti
18
. Gli anziani avrebbero inoltre, rispetto ai giovani, maggiori
attitudini nell’instaurare rapporti empatici. Secondo Smither la capacità empatica dell’anziano
è connessa alle interazioni interpersonali: accumulare diverse esperienze emozionali
rappresenterebbe un “vantaggio”
19
. Anche l’ambiente in cui l’individuo vive ed opera è da
ritenersi importante quanto alla possibilità di esprimere pienamente le proprie emozioni.
Spesso l’istituzionalizzazione o il pensionamento conducono l’anziano verso uno stato di
isolamento. Secondo Cesa-Bianchi l’affettività dell’anziano è caratterizzata da un
atteggiamento di malinconia e di ripiegamento verso il passato, concentrato su se stesso e sul
proprio vissuto. Ma spesso il soggetto anziano tende a simulare stati d’animo negativi o
depressione solo al fine di ricevere l’attenzione delle persone care. Salomon spiega la
diminuizione dell’intensità dell’emozione come dipendente da un effetto di “abituazione” agli
“stimoli emotigeni”
20
. Rosen e Neugarten asseriscono che con il progredire dell’età, in
presenza soprattutto di malattie, il vecchio tende ad essere più introverso ed egocentrico e
riduce la motivazione al successo.
17
PODERICO C., Le emozioni degli anziani attraverso la percezione di un gruppo di giovani, in BETOCCHI G.,
Psicologia della Famiglia: problemi e ricerche, Napoli 1991, pp. 119-127.
18
IZARD C.F., The Face of Emotion, New York 1971.
19
SMITHER S., A Reconsideration of the Developmental Study of Empaty, in Human Development, 20, 1977,
pp. 253-276.
20
SALOMON R.L., The Opponent Process Theory of Acquired Motivation: the Cost of Pleasure and the
Benefits of Pain, in American Psychologist, 35, 1980, pp. 691-713.