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proprio spazio di autonomia. E’ quindi necessario che si
sviluppino forme di comunicazione alternative rispetto a quella
verbale, ampiamente accettata e condivisa da tutti, una
comunicazione cioè veicolata dai gesti, dalla mimica, dalla
postura e dagli atteggiamenti.
Nel primo capitolo sono presentate le definizioni di
handicap che nel corso degli anni hanno contribuito a mutare la
terminologia e il modo stesso di considerare l’handicap. Un’altra
conquista importante riguarda la spinta della società verso la
valorizzazione delle differenze che ha portato al riconoscimento
dell’originalità e ad evitare che si identifichi il disabile con il suo
deficit. Si analizza poi il concetto di ritardo mentale in rapporto
alla sua classificazione, alle sue cause e alle sue conseguenze.
Oggi appare chiaro come la misurazione dell’intelligenza, che in
passato era determinante per la diagnosi di insufficienza mentale,
- 5 -
fornisca dati meramente quantitativi. Per definire il ritardo
mentale, infatti, è attualmente necessario considerare l’individuo
nella sua globalità e controllare i livelli di sviluppo in tutte le
aree della personalità, non solo quindi nell’aspetto cognitivo ed
in relazione alle componenti psico – sociali.
Nel secondo capitolo si affronta il tema del rapporto tra il
soggetto in situazione di handicap mentale e il contesto
familiare, a partire dal delicato momento della diagnosi, in cui si
scatenano sentimenti di ansia, di incapacità, di frustrazione e di
incredulità, che poi si traducono in atteggiamenti di
iperprotezione o di rifiuto, agli inevitabili cambiamenti nella vita
familiare, fino a giungere al riconoscimento della famiglia come
risorsa, nel senso di una sua partecipazione attiva agli interventi
educativi e di una sua collaborazione con la scuola. Genitori ed
insegnanti potranno così supportarsi a vicenda per la
- 6 -
realizzazione di un progetto comune, trasmettendosi utili
informazioni ricavate sia in ambito domestico che scolastico.
Inoltre avere un quadro completo di quanto si fa a casa e a scuola
è fondamentale per cercare di conciliare gli interventi nei due
ambienti e garantire così una maggiore probabilità di successo.
Nel terzo capitolo si analizza la tematica dell’integrazione
scolastica dell’alunno disabile nella scuola comune,
presentandola come il risultato di un’evoluzione legislativa verso
una maggiore integrazione che ha avuto il suo culmine nella
Legge Quadro n. 104 del 5 febbraio 1992. Affinché si realizzi
una vera e propria integrazione dell’alunno disabile nella scuola
bisogna che ci siano alcune componenti. Innanzitutto la scuola si
deve preparare alla sua presenza, adattando i programmi ed
attuando un percorso educativo individualizzato rispondente ai
suoi bisogni particolari e che gli consenta di raggiungere gli
- 7 -
obiettivi prefissati. Entra in campo allora la figura
dell’insegnante di sostegno, il cui ruolo fondamentale è quello di
fungere da punto di raccordo fra il disabile, la classe e gli
insegnanti, e fra la scuola e la famiglia. Inoltre si sottolinea
l’importanza del supporto fornito dagli stessi compagni di classe,
grazie ai quali è possibile realizzare forme di tutoring e di
apprendimento cooperativo che creano un clima favorevole
all’apprendimento. Anche gli alunni normodotati, d’altro canto,
traggono degli enormi benefici dal rapporto con un compagno
disabile, a partire da una maggiore consapevolezza della
diversità.
Nel quarto capitolo si elencano alcuni dei possibili
interventi educativi e riabilitativi attuabili con i soggetti ritardati
e/o autistici. Tali interventi perseguono lo scopo di migliorare le
capacità e di raggiungere il massimo grado di autonomia o di
- 8 -
insegnare a comunicare attraverso altri canali, come nel caso
della musicoterapia, oppure di sviluppare la sfera intellettiva
attraverso il potenziamento delle componenti motorie, come nel
caso della psicomotricità. L’educazione psicomotoria nella
scuola serve a prevenire le cause di insuccesso scolastico e a
favorire l’integrazione degli alunni con handicap, strutturando
una didattica per situazioni, non centrata sulla prestazione, e che
non richiede l’esecuzione di esercizi codificati, ma predispone le
condizioni in cui possono avvenire delle attività motorie. La
musicoterapia si propone di produrre un cambiamento
nell’individuo e di offrire un mezzo di comunicazione non
verbale avvalendosi della musica. Essa diviene una terapia nel
momento in cui, attraverso l’ascolto e la produzione della
musica, il soggetto migliora nella realizzazione di sé, nella
relazione con gli altri e quando da passivo diviene attivo. Tra gli
- 9 -
interventi maggiormente seguiti con i soggetti autistici si
menzionano il programma di intervento precoce di tipo
comportamentale, che utilizza stimoli introdotti nell’ambiente
per incentivare il comportamento desiderato ed inibire quello
problematico; il programma TEACCH, che parte dalle capacità
del soggetto per migliorare le sue carenze; la comunicazione
facilitata che richiede il supporto di un facilitatore che aiuti il
soggetto a muovere la mano nel modo corretto per scegliere
l’elemento desiderato.
Nell’appendice si descrive un caso di ritardo mentale grave.
Le informazioni raccolte riguardano il gruppo familiare del
bambino, le sue difficoltà, rilevate attraverso gli esami effettuati
dal servizio di Neuropsichiatria Infantile della ASL 3 di Catania,
i suoi progressi, i miglioramenti e gli interventi a cui è stato
sottoposto.
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CAPITOLO I
HANDICAP MENTALE E
DIFFICOLTÀ NELLA COMUNICAZIONE
- 11 -
I.1 - DEFINIZIONE DI HANDICAP
Il termine handicap è di origine irlandese ed ha assunto
diversi significati nel corso del tempo. Letteralmente esso
significa mano nel cappello, hand in cap, infatti in origine era
consuetudine dei mercanti di cavalli mettere il loro denaro nel
berretto indicando così la conclusione del mercato.
In seguito il termine ha indicato un gioco d’azzardo
praticato sui campi da corsa da tre giocatori, i quali mettevano
ciascuno la stessa somma di denaro nel berretto, che sarebbe
spettata ad uno di loro tirando a sorte.
Nell’ambito delle corse dei cavalli il termine handicap si
riferisce alla finalità di assicurare che tutti i concorrenti abbiano
la stessa probabilità di vincere, applicando dei pesi ai cavalli in
base alle loro qualità. Naturalmente il cavallo peggiore è il meno
appesantito. Per molto tempo, comunque, il termine handicap è
stato male interpretato ed ha dato vita a comportamenti e
- 12 -
atteggiamenti errati. Per fare maggiore chiarezza sul termine
1
,
nel 1980 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha precisato
che:
- la menomazione è la riduzione quantitativa o qualitativa
di un organo o di una funzione;
- la disabilità si riferisce all’assenza o alla riduzione
quantitativa o qualitativa delle capacità di azione di una
persona rispetto a quelle di un individuo normale;
- l’handicap è la somma delle difficoltà che risultano, per
una persona, dall’impatto di un determinato deficit in un
determinato ambiente
2
.
Da ciò si può dedurre che l’handicap non è altro che una
condizione di svantaggio vissuta da una persona in conseguenza
di una menomazione o di una disabilità, che limita o impedisce
le sue normali funzioni, in relazione all’età, al sesso e ai fattori
socioculturali.
1
A. L. F., Ma chi è l’handicappato?, in “Hpress”, Anno V, n.1, 2000, pp. 7 - 8
2
Ianes D., Tortello M. (a cura di), La qualità dell’integrazione scolastica, Trento,
Erickson, 1999
- 13 -
Appare chiaro, quindi, che tale concetto non riguarda solo il
soggetto, ma anche l’ambiente che lo circonda e il suo gruppo di
riferimento, che gli chiede di conformarsi ad aspettative o a
norme, alle quali egli non potrà corrispondere a causa del suo
deficit
3
.
Secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della
Sanità, in definitiva, è handicappato chi è riconosciuto tale dal
suo gruppo di riferimento e dalla cultura di appartenenza, che
stabilisce, in base alle sue aspettative, il concetto di norma e
quindi di handicap
4
.
Ci sono però altre definizioni di handicap che prendono in
considerazione aspetti diversi, come ad esempio quella del
documento Falcucci, redatto nel 1975, che è più adatta a
situazioni tipiche dell’ambito scolastico: “Handicappati sono i
minori che in seguito ad un evento morboso o traumatico,
intervenuto in epoca pre – peri – post natale, presentino una
3
Soresi S., Psicologia dell’handicap e della riabilitazione, Bologna, Il Mulino,
1998
4
Trisciuzzi L., Manuale di didattica per l’handicap, Bari, Laterza, 1996
- 14 -
menomazione delle proprie condizioni fisiche, psichiche e/o
sensoriali, che li mettano in difficoltà di apprendimento o di
relazione”
5
.
A questa definizione si ricollega l’art. 3 della Legge Quadro
per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone
handicappate del 5 febbraio 1992, n. 104: “E’ persona
handicappata colui che presenta una minorazione fisica,
psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di
difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione
lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio
sociale o di emarginazione”
6
.
La Legge 104/1992 insiste sul fatto che la società deve
assicurare a tutti una piena integrazione scolastica, lavorativa e
sociale. Il concetto stesso di integrazione va al di là di quello del
semplice inserimento e si lega con quello di qualità della vita,
che permette di considerare il disabile un membro attivo della
5
Ibi, p. 37
6
Ibi, p. 37
- 15 -
società e non più un essere relegato in un ruolo di totale
passività.
La svolta a livello legislativo ha contribuito anche a
produrre un cambiamento negli atteggiamenti, nella mentalità
comune e del concetto stesso di handicap, il quale viene
considerato come la somma di una serie di barriere
architettoniche, sociali, psicologiche ed educative, che possono
ostacolare le persone più deboli, compresi i disabili, e creare una
situazione di emarginazione e di svantaggio
7
.
Insieme al modo di percepire l’handicap è mutata anche la
terminologia che lo riguarda. Al termine portatore di handicap,
infatti, è subentrato quello di soggetto in situazione di handicap,
per sottolineare il fatto che l’handicap non è attribuibile
esclusivamente all’individuo, che lo porta con sé, bensì
all’impatto col contesto più ampio in cui ciascuno vive.
7
Trisciuzzi L., Fratini C., Galanti M. A., Manuale di pedagogia speciale, Bari,
Laterza, 1996
- 16 -
Un rischio insito nella disabilità è quello di identificare
totalmente il soggetto con il suo deficit
8
. Ciò comporterebbe una
categorizzazione ed una perdita di originalità, ma fortunatamente
si è constatato che la riduzione dell’handicap si potrà realizzare
proprio con il riconoscimento di tale originalità: “L’importanza
di esprimere la propria originalità è per un disabile forse più
importante che per un “normodotato”. (…) Il disabile è una
persona che si deve esprimere nella sua originalità, con la
propria ricchezza d’esperienza di vita: è un individuo del tutto
originale come ognuno di noi è originale ed in questa originalità
si colloca anche la sua diversità, caratterizzata dall’handicap.
Questo status lo porta ad arricchire il mondo circostante e le sue
difficoltà divengono attributi che lo rendono diverso dagli altri
pur non privandolo dei propri diritti e doveri”
9
.
8
Canevaro A., Pedagogia speciale, Milano, Bruno Mondadori, 1999
9
Ferrari G., Diversità è originalità, in “Hpress News”, Anno III, n. 18, 1998, p. 45
- 17 -
I.2 - CARATTERISTICHE DEL RITARDO MENTALE
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha criticato il
termine ritardo mentale, ed ha preferito ad esso quello di
insufficienza mentale che indica: “l’insieme di una vasta gamma
di condizioni che si presentano con grado, causa, patologia,
aspetti sociali diversi, caratterizzati però da uno stato e da uno
sviluppo incompleto della psiche, in modo tale che l’individuo è
incapace di adattarsi all’ambiente sociale in modo ragionevole,
efficiente e armonioso”
10
.
Il concetto di insufficienza mentale riconosce l’importanza
di non dover classificare gli individui sulla base di schemi
precostituiti e di misurazioni dell’intelligenza, essendo
necessaria, invece, un’analisi dei livelli di sviluppo, delle
potenzialità e delle attitudini, in rapporto alle componenti psico –
sociali che permettono di considerare l’individuo nella sua
10
Rapisarda V., Petralia A., Salmeri B., Lezioni integrative di Clinica Psichiatrica,
“Quaderno n. 5 di Formazione psichiatrica”, Catania, 1988, p. 147