1
Il rallentamento della crescita demografica può costituire un fattore di rigidità per il sistema
economico in quanto potrebbe sfavorire la propensione al risparmio e scoraggiare gli
investimenti. Infatti “l’aumento demografico è una componente, se non la sola, della crescita del
mercato dei prodotti; e le decisioni di investimento rispondono anche, sebbene non
esclusivamente, alla prospettiva di ampliamento del mercato” Fuà (1986). Secondo l’ipotesi del
ciclo vitale di Modigliani esiste un legame inverso tra età e propensione al risparmio. Da
quest’ipotesi dovrebbe conseguire perciò che l’invecchiamento tende a diminuire la quota del
reddito nazionale disponibile destinata al risparmio. Alcuni studi tesi a valutare gli effetti sul
risparmio privato esercitati da cambiamenti della struttura demografica hanno dimostrato però
che in realtà questi sono piuttosto modesti. In tali lavori ci si pone in un’ottica di simulazione
longitudinale, supponendo cioè che le strutture osservate trasversalmente (coorti fittizie)
rappresentino l’evoluzione del comportamento dei soggetti decisionali lungo il loro arco
d’esistenza.
Lo scopo di questa tesi riguarda il secondo aspetto accennato all’inizio: si vuole contribuire a
chiarire in che modo le tendenze demografiche in corso in Italia possono influenzare i livelli e la
composizione dei consumi aggregati. La complicazione che sorge però quando si mette in
relazione la demografia con l’economia riguarda le interrelazioni esistenti; esse permettono
difficilmente di stabilire relazioni causa-effetto. L’approccio adottato è quindi spesso “parziale”,
nel quale si escludono cioè gli effetti di variabili che possono interagire con quelle sotto esame.
Con la consapevolezza che sarebbe stato troppo oneroso includere nell’analisi un insieme più
esaustivo di variabili economiche si è assunto allora che le variabili demografiche varino in
maniera esogena, tentando di valutare mediante un modello deterministico basato su
considerazioni identiche a quelle del ciclo vitale il peso che esse hanno esercitato ed eserciteranno
in futuro.
Le ricerche effettuate in precedenza indicano che le variabili più rilevanti da questo punto di
vista possono essere individuate sempre nell’invecchiamento, che tende ad abbassare la spesa
media pro capite e nella tendenza alla diminuzione dell’ampiezza media familiare, che tende
invece a farla crescere.
I dati ai quali si è fatto riferimento sono quelli delle indagini ISTAT sui consumi realizzate
negli ultimi 18 anni. Con essi si è valutato innanzitutto quanto le variabili suddette abbiano
contribuito a far variare le principali categorie di consumo (alimentari, abitazione, combustibili
2
ed energia elettrica, spese sanitarie etc.) nel periodo 1984-1994. La scelta di questo decennio è
giustificata dal fatto che l’ISTAT, per la realizzazione dell’indagine, ha potuto usufruire in questi
due anni di risultati censuari. Infatti i dati di maggior interesse erano da una parte le spese
familiari, dall’altra soprattutto le stime del numero di famiglie classificate nell’indagine in 14
tipologie differenti. Le strutture percentuali ottenute e le stime del numero totale di famiglie
presentavano nelle loro evoluzioni temporali evidenti incoerenze e sono state perciò rettificate.
Confrontando le stime secondo le indagini 1981 e 1991 del numero delle famiglie secondo
l’ampiezza con i risultati censuari, sono stati ottenuti dei coefficienti correttivi. Questi coefficienti
sono serviti a correggere le stime delle distribuzioni percentuali secondo il tipo di famiglia.
Effettuando le rettifiche sugli anni 80,81,82,90,91 e 92 si è visto che le distribuzioni percentuali
mostravano una evidente tendenza lineare fra il 1984 ed il 1994. Gli anni precedenti non sono
invece in sintonia con quest’andamento. Ciò sarà dovuto sicuramente alla circostanza che in
questi anni il piano di campionamento era stato realizzato sulla base di proiezioni della
popolazione rilevata al censimento 1971, mentre successivamente si è fatto ricorso ai risultati
derivanti dall’indagine sulle forze di lavoro.
In base alle rettifiche si sono ottenuti tre percorsi evolutivi nei due quinquenni 1984-1989 e
1989-1994 delle distribuzioni percentuali delle famiglie, ritenuti più plausibili: il primo è quello
in cui alle percentuali del 1989 sono state sostituite le semisomme del 1984 e del 1994. L’altro
deriva dall’interpolazione con rette dei minimi quadrati sugli undici punti 1984-1994 delle
percentuali rettificate. Ognuno dei tre percorsi è servito per valutare quantitativamente l’influenza
dei mutamenti familiari (visti principalmente come sintesi del processo d’invecchiamento.del
calo della fecondità e dell’aumento della propensione a vivere da soli) sulla variazione delle spese
medie familiari nei due quinquenni 1984-1989 e 1989-1994. Inoltre, i criteri adottati
nell’indagine per stimare il numero totale di famiglie nel 1994 sono apparsi molto discutibili.
Sono stati perciò ipotizzati valori differenti, stimando per ogni scenario l’influenza della
dinamica demografica a seconda di questi. Queste valutazioni sono state confrontate anche con le
risultanze della contabilità nazionale. Per quanto riguarda le spese specifiche riferite alle singole
tipologie familiari si è assunto invece che esse siano state stimate con un livello di precisione
sufficiente.
Il modello utilizzato integra un metodo di scomposizione con la relazione
F=hP [1]
3
(numero famiglie = headship rate moltiplicato per l’ammontare della popolazione) e consente
di ottenere la variazione percentuale dei consumi aggregati (
~
) C come semplice somma delle
variazioni percentuali del numero di famiglie (
~
) F e della spesa media familiare (
~
) S secondo la
relazione
~ ~ ~ ~~
C F S FS [2]
ulteriormente scomponibile nelle seguenti componenti:
~ ~ ~ ~~
F h P hP [3]
~ ~ ~ ~
S E E E
D S I
. [4]
~
E
D
indica l’effetto dovuto ai mutamenti familiari, cioè la variazione della spesa media
familiare che si verificherebbe qualora rimanessero costanti le spese specifiche per ogni singola
tipologia familiare.
~
E
S
indica invece l’effetto dovuto alla variazione delle spese specifiche,
mentre
~
E
I
rappresenta un’interazione fra i due effetti.
I risultati dimostrano che le differenze fra le variazioni dei consumi aggregati calcolati con
l’ausilio dei dati dell’indagine e quelli della contabilità nazionale sono più piccole quando si
ipotizza una moderata crescita del numero complessivo di famiglie nel quinquennio 1984-1989
ed una crescita più sostenuta nel periodo 1989-1994. Tale risultato sembra piùttosto
controintuitivo giacché si ritiene che la crescita del reddito sia correlata positivamente con
l’aumento del numero di famiglie ed il primo è aumentato con più vigore nel quinquennio 1984-
1989. Occorrerebbe approfondire pertanto quest’aspetto, per scoprire se l’aumento del numero di
famiglie ha contribuito ad attenuare la forte flessione dei consumi verificatasi nel 1992-1993
oppure se si tratta di un risultato dovuto ad errori campionari o ai metodi di calcolo adottati.
Prescindendo però dai risultati riguardanti le quantità aggregate e concentrandosi invece su
quelli relativi alle spese medie familiari si può dire che il modello ha pienamente confermato
l’ipotesi di partenza secondo la quale l’invecchiamento (stimato in questo caso tramite i
mutamenti familiari) con la sola eccezione delle spese sanitarie, esercita nel tempo un’influenza
negativa sulla crescita della spesa media familiare di tutte le altre categorie. L’effetto negativo
viene però abbondantemente superato da quello positivo esercitato dall’incremento del numero di
famiglie, ovvero secondo la [2] dalla tendenza all’aumento del headship-rate (
~
) h 0 , o in altre
parole ancora, dalla diminuzione dell’ampiezza media familiare.
4
La [3] ha dato risultati concordi per le distribuzioni familiari ottenute con le rettifiche, mentre
ha portato a conclusioni decisamente assurde con le distribuzioni non rettificate.
Estrapolando poi all’anno 2004 le tendenze osservate nei mutamenti familiari, sono state
realizzate delle proiezioni, supponendo che le spese specifiche per le varie tipologie familiari
rimangano ferme ai livelli del 1994. Con questa ipotesi la variazione dei consumi aggregati
sarebbe dovuta esclusivamente alle tendenze demografiche secondo la formula
~ ~ ~ ~~
C F E FE
D D
. [5]
Utilizzando previsioni IRP sul numero totale di famiglie si è riscontrato che per tutto il
decennio 1994-2004
~ ~
F E
D
e che quindi la dinamica demografica contribuirebbe in questo
periodo a far crescere i consumi di tutte le categorie considerate.
La [5] è stata utilizzata anche per realizzare proiezioni regionali al 2014, considerando però
due sole tipologie familiari (capofamiglia in età fino a 59 anni e capofamiglia in età di 60 anni e
più). Anche qui sono state utilizzate previsioni IRP. La procedura seguita in questo caso è
essenzialmente una standardizzazione tesa ad accertare le differenze regionali nella dinamica dei
consumi imputabili alla dinamica demografica.
Come ci si poteva aspettare dalle ipotesi adottate (spese costanti ai livelli del 1994 ed identiche
per tutte le regioni) le proiezioni indicano che nelle regioni meridionali e nelle isole i consumi
aumenteranno in tutto il ventennio, mentre in quelle del centro-nord subiranno una flessione.
Questa avverrebbe all’incirca a partire dal quinquennio 2009-2014 ed in alcuni casi anche prima.
Gli incrementi delle spese pro capite risultano invece sempre positivi per tutte le categorie di
consumo in tutte le regioni, seppure con guadagni, di quinquennio in quinquennio sempre più
bassi.
A parte i risultati descritti, la ricerca ha confermato l’opportunità di sviluppare più accurate
metodologie di stima e di previsione delle famiglie, non solo in chiave prosopettiva ma anche
retrospettiva. Essa suggerisce inoltre che potrebbe essere proficuo integrare tali metodologie con
le tecniche d’analisi adoperate abitualmente negli studi econometrici sui consumi.
Capitolo Primo
3
I. Cambiamenti demografici e consumi
I.1. Un quadro di riferimento generale
Nello studio statistico dei fenomeni economici il consumo occupa un posto di
particolare rilievo, sia per la sua importanza quantitativa (in Italia, ogni a nno circa
il 60 per cento del prodotto interno lordo viene destinato ai consumi privati), sia
perché, in definitiva, il consumo è la meta finale cui tende l‟intero processo di
produzione e distribuzione dei beni e servizi. E‟ per questi motivi che la lette ratura
economica sviluppatasi in proposito è vastissima.
La consistenza e composizione dei beni di consumo dipende da numerose variabili,
fra cui quelle demografiche. Quando si mette però in relazione la demografia con
l‟economia, le forti interrelazioni delle variabili in studio rendono difficoltoso
verificare l‟esistenza di relazioni causa ed effetto. E‟ vero infatti che ” i processi
demografici sono influenzati dal contesto economico-sociale nel quale si esplicano,
ma questo, a sua volta, viene condizionato dalle caratteristiche dinamiche e
strutturali della popolazione” (Freguja, 1994). La figura 1.1 schematizza questo
concetto. Le attuali tendenze esercitano la loro forza anche su altri aspetti della
vita economica, che negli ultimi anni sono stati oggetto di indagini specifiche,
per quanto riguarda il caso italiano, da parte dell‟IRP/CNR e dal Dipartimento di
Scienze demografiche di Roma (Bruno, 1994; Buldo, 1995; Scazzocchio, 1995;
Golini, Racioppi e Pozzuoli, 1996). Per ciò che concerne la produzione di beni di
consumo e le strategie di mercato delle aziende, un‟indagine condotta da questi
due istituti nel 1990/1991
2
ha evidenziato che il mondo imprenditoriale italiano
2 A. Golini, P. Castaldi; Mutamenti demografici e mercato. Alcune strategie aziendali ed i risultati di una
indagine.W orking Paper 04/92; IRP/CNR, Roma.
Capitolo Primo
4
sembra manifestare una certa attenzione al riguardo: dalle interviste è risultato che
l‟83 per cento dei responsabili di 41 aziende (in prevalenza private), operanti a
livello nazionale ed internazionale in diversi settori, dichiaravano che i mutamenti
demografici sono considerati “molto influenti nelle politiche di marketing”
3
. Le
risposte in merito ai fenomeni demografici che maggiormente influenzano le
strategie aziendali riguardavano, in ordine d‟importanza, l‟invecchiamento, il calo
delle nascite, i mutamenti nella famiglia, la crescita zero e l‟aumento della durata
della vita. L‟importanza attribuita ad ognuno di questi fenomeni si diversificava
ovviamente da azienda ad azienda. Quelle che mostravano nelle risposte una
sensibilità più spiccata verso i mutamenti nella famiglia sono risultate la Fiat Auto,
la Fondedile, la Candy, la Kraft, la ex-SIP e la Saatchy & Saatchy. Considerando
poi la combinazione data da mutamenti nella famiglia, invecchiamento e/o crescita
zero fra le aziende sensibili possono essere citate anche le Ferrovie dello Stato,
l‟Ariston e la Ford Italia.
Fra i vari settori produttivi considerati, quello automobilistico appariva il più
suscettibile ad includere nei propri studi di mercato le variabili demografiche.
Questo non deve meravigliare, perché si tratta di un settore che richiede una
programmazione industriale per il medio e lungo periodo, un arco di tempo in cui
possono avvenire consistenti mutamenti demografici. E‟ stata citata inoltre
un‟attenzione particolare verso i cambiamenti nella numerosità ed ampiezza della
famiglia: questa specifica attenzione deriva dalla circostanza che l‟automobile è
sostanzialmente un “bene household”, destinato cioè proprio alla famiglia. Gli studi
di previsioni della Fiat Auto, in particolare, per pianificare quantità e qualità della
produzione futura si sono basati sulla costruzione ed interrelazione di due scenari:
quello demografico e quello economico. Nel primo scenario vengono analizzate
contemporaneamente alcune variabili demografiche ed i livelli di motorizzazione
che le “competono”, ottenendo, in tal modo, un indicatore della domanda auto
potenziale, che viene poi analizzata con i vincoli imposti dallo scenario economico.
I responsabili FIAT hanno rilevato con l‟ausilio di questi scenari un evidente
aumento del consumo pro capite di automobile dovuto all‟impatto dell‟incremento
del numero di famiglie sulla domanda. L‟insieme delle variabili demografiche
considerate comprendeva anche età, sesso e tassi di attività dei consumatori. Per
impostare uno studio del genere, anche prescindendo dallo scenario economico,
occorrono dati e metodologie di lavoro ad hoc. Negli Stati Uniti si è sviluppata negli
ultimi anni una letteratura specializzata al riguardo (business demography). Un
esempio di valutazione quantitativa diretta delle conseguenze delle tend enze
demografiche sul mercato di un qualunque prodotto comporterebbe la piena
collaborazione da parte di un‟azienda, e quindi anche l‟esibizione dei dati utilizzati,
delle proprie strategie di mercato e metodologie di lavoro. Tutti questi aspetti sono
considerati, in genere, strettamente riservati da parte della dirigenza aziendale. Si
può quindi, con ogni verosimiglianza, sostenere che la limitata letteratura
statunitense e la scarsissima letteratura esistente in Italia siano dovute soprattutto a
questo motivo, opinione questa, che è condivisa anche da parte dei business
demographers americani con riguardo al loro paese (Kintner, Merrick, Morrison,
Voss, 1994). Volendo allora valutare in qualche modo le attuali implicazioni fra
livello e composizione dei consumi da una parte e mutamenti nella struttura ed
ammontare della popolazione dall‟altra, non resta, in genere, altro da fare che
affidarsi ai dati disponibili per il pubblico resi noti dagli Istituti responsabili per lo
studio dell‟andamento dell‟economia. In Italia, l‟istituto più importante in questione
è naturalmente l‟ISTAT. I dati più adatti per svolgere una simile ricerca sembrano
quelli desumibili dall‟indagine annuale relativa ai consumi delle famiglie. La sia pur
ricca mole di dati dell‟indagine contiene una lista di attributi socio-demografici che
però è relativamente limitata. L‟effettuazione di ricerche sull‟argomento trattato è
perciò ostacolata non tanto dalla mancanza od inadeguatezza di modelli teorici che
interpretano il comportamento dei consumatori alla luce delle loro caratteristiche
demografiche, ma dalla “limitata disponibilità di osservazioni empiriche sulla
3 C‟è da avvertire però che i settori erano stati appositamente selezionati fra quelli che si ritiene sia no i più
suscettibili ad avvertire i mutamenti nelle caratteristiche della popolazione.
Capitolo Primo
5
struttura socio-demografica dei consumatori in relazione ai comportamenti espressi
sul mercato per il soddisfacimento dei bisogni” (Bollino, Cusi e Gerbi Sethi, 1987)
4
.
In generale però, si ritiene che gli sviluppi demografici in corso non ostacoleranno
la crescita dei consumi; sicuramente non sarà possibile sentire i loro effetti nel
breve periodo, da sempre dominato da altri fattori legati ad altre categorie di
variabili (psicologiche, sociali ecc.) che mutano con una rapidità maggiore rispetto
a quelli demografici. E‟ sul medio e lungo periodo che occorre concentrare
l‟attenzione. Certamente nei periodi di crescita della popolazione, le imprese se ne
avvantaggiano, come è avvenuto nel periodo del boom economico: bastava
produrre qualcosa perché fosse venduto, si poteva ancora evitare il ricorso a
strategie di marketing basate sulla caratterizzazione dei potenziali clienti. La
crescita demografica si sommava alla crescita economica ed implicava un continuo
incremento dei consumi. Tuttavia, anche in una popolazione stazionaria è possibile
che i consumi aumentino. Si deve parlare però, in questo caso, non di crescita
quantitativa, bensì di crescita qualitativa dei consumi. In questo senso, lo scenario
che si delinea, o per lo meno si auspica, riguardo al futuro di una popolazione
stazionaria è quello di una società con un ideale di illimitato progresso mondano,
nella quale gli imprenditori sono quindi più che mai costretti ad innovarsi
continuativamente per interpretare e soddisfare le esigenze della popolazione
5
Dall‟insieme delle considerazioni delineate nel paragrafo, emerge un quadro
abbastanza preciso all‟interno del quale si inserisce l‟analisi del consumo in
relazione alle variazioni strutturali della popolazione. Osservando la figura 1 si
intuiscono facilmente le difficoltà che possono sorgere quando si tratta di decidere
quali dati - demografici ed economici - utilizzare e con quali metodologie
analizzarli. In genere si finisce poi per realizzare uno studio ad approccio parziale:
si studia cioè uno alla volta un certo problema economico o demografico,
considerando nell‟uno o l‟altro caso le rispettive variabili demografiche od
economiche come variabili indipendenti secondo una relazione a senso univoco. Si
vedrà in seguito che anche in questa sede si è fatto uso di tale tipo di approccio.
4 C.A. Bollino, A. Cusi, M. Gerbi Sethi Composizione demografica e domanda di consumo privato (1987); in
Conseguenze economiche dell‟evoluzione demografica, a cura di Giorgio Fuà, Il Mulino, Bologna
5 S. Ricossa Popolazione e stazionarietà economica (1987) in: Conseguenze economiche dell‟evoluzione
demografica; a cura di Giorgio Fuà, op. cit. e:
A. Ascolani Invecchiamento e consumi in (1988): Secondo rapporto sulla sit uazione demografica italiana;
IRP/CNR, Roma.
Capitolo Primo
6
I.2. Le reazioni delle aziende ai mutamenti demografici
Il raccordo fra microeconomia e demografia mediante la business demography, che
rende la demografia uno strumento per i problemi degli imprenditori, (in particolare
per i problemi di marketing) rappresenta una interessante novità nel campo
dell‟analisi demografica. Tuttavia, in questa sede non verrà focalizzata l‟attenzione
sulle conseguenze esercitate dai mutamenti demografici su singoli mercati di
prodotti. Se ne darà soltanto qualche cenno in questo paragrafo.
La somma dei mutamenti indotti dai cambiamenti demografici sui comportamenti di
spesa dei consumatori restituisce ovviamente un effetto macroeconomico che
interessa perciò l‟insieme costituito da tutte le imprese del sistema economico che
producono beni destinati alle famiglie; il resto del presente lavoro è teso
fondamentalmente ad accertare quanto le tendenze demografiche in corso
potrebbero contribuire ad alimentare o restringere i consumi nazionali disarticolati
nelle varie categorie merceologiche. Sarebbe apprezzabile valutare le
corrispondenze trovate in questa tesi con quelle risultanti da singoli studi di
mercato, ma per i motivi che sono stati spiegati (riservatezza di dati e metodologie
aziendali), questo non è possibile. Si è accennato anche al fatto che negli Stati
Uniti si è sviluppata una letteratura ad opera di specialisti che si occupano dello
studio dei fenomeni demografici con finalità operative. Il rapido sviluppo della
business demography e dell‟utilizzo di demographics (termine che indica dati
demografici con finalità operative in ambito pubblico e privato) in que sto paese è
da attribuire ad una serie di motivi, fra i quali però l‟assenza dell‟anagrafe della
popolazione occupa sicuramente un posto di rilievo. La disponibilità di dati recenti
è, naturalmente, fondamentale nell'impostare qualsiasi ricerca di mercato, e la
mancanza di dati demografici ufficiali a livello locale negli anni successivi ai
censimenti rappresenta perciò un certo problema per le aziende statunitensi.
Qualora queste siano interessate a compiere ricerche di mercato nei periodi
intercensuari, sono costrette a ricorrere a stime della popolazione. Le aziende
effettuano queste stime mediante l'utilizzo di dati provenienti da fonti disparate. In
questo modo si instaura un rapporto più stretto tra azienda e studio della
popolazione.
6
Il progresso delle tecnologie informatiche ha reso inoltre più conveniente il
trattamento di grandi quantità di informazioni. Già nel 1970 il Census Bureau,
l'organo responsabile di condurre i censimenti negli Stati Uniti, dette il via alla
distribuzione sotto forma di nastri magnetici dei dati rilevati. Divenne possibile
acquistare rulli di nastro magnetico contenente dati del censimento del 1970 (il
quale passò alla storia come electronic census) al costo di 70 dollari per nastro.
Negli anni successivi, come si sa, le tecnologie informatiche vennero perfezionate
ed il trattamento delle informazioni divenne più conveniente di anno in anno. La
diffusione elettronica dei dati favorì così la nascita di numerose compagnie
(denominate data vendors) che acquistavano i dati ufficiali e li mettevano in
commercio. Le banche dati di queste società contenevano informazioni,
demografiche e non, relative all'intero territorio degli Stati Uniti ed erano di grande
interesse per le imprese clienti. Queste ultime affrontavano i prezzi più a lti praticati
dai data vendors innanzitutto perché i dati acquistati potevano essere forniti con
opportune rielaborazioni secondo le proprie esigenze, in secondo luogo perché le
compagnie di dati assicuravano la tempestività della consegna e l‟aggiornamento
dei dati ogni anno.
Oggigiorno invece, i dati occorrenti in ambito commerciale vengono integrati
spesso dentro a dei prodotti software sofisticati quali i sistemi informativi geografici
(GIS - Geographic Information Systems), in grado di incrociare i dati e presentare
le informazioni richieste anche in una piacevole veste grafica. Sulla rivista
6 Golini A., Castaldi P. (1992) “Mutamenti demografici e mercato...”, op. cit.
Capitolo Primo
7
American Demographics vengono pubblicizzati in ogni edizione, denominandoli, a
volte, con un termine ancora più specialistico, sistemi informativi geodemografici
(Geodemographic Information Systems)
Le tendenze demografiche che interessano le aziende americane sono
praticamente le stesse che suscitano l‟interesse di quelle italiane, ad eccezione dei
movimenti migratori. In Italia si ritiene che il fenomeno non sia ancora tale da poter
influenzare il mercato
7
, mentre negli USA hanno costituito da sempre materia di
riflessione. Le aziende americane hanno infatti capito che nelle aree caratterizzate
da un momento di forte crescita demografica la fiducia dei consumatori si può
acquisire più velocemente, e ad un ritmo che non ha eguali nei mercati già
consolidatisi. Per guadagnarla è essenziale studiare innanzitutto come e quanto gli
immigrati modificano il mercato esistente, verificare cioè se i nuovi residenti
manterranno le proprie abitudini di vita, gusti e preferenze, se si uniformeranno a
quelli dei loro nuovi vicini oppure si verificherà una interazione. Una volta stabilito
qual‟è l‟evoluzione più probabile, occorre determinare il numero dei nuovi residenti
per valutare l'impatto. Ciò spiega perché può essere utile analizzare le località con
dinamiche immigratorie - attuali e/o previste - più intense della norma: è qui che
presumibilmente conviene situare le filiali di aziende di credito, i negozi di catene
franchising, ecc.; la crescita della popolazione in queste zone fa lievitare i ricavi
delle imprese.
8
.
Niente è stato detto però finora su come le imprese facciano fronte alle modifiche
di mercato dovute a fenomeni riconducibili al mutamento nella struttura della
popolazione. In generale si può dire che le aziende rispondono con la
diversificazione della produzione e/o creandosi nicchie di mercato dedicando
inoltre maggiore attenzione al messaggio pubblicitario. Va sempre sottolineato
tuttavia che la demografia viene vista in ogni caso tutt‟al più come un background
su cui impostare le strategie commerciali. Altri fattori, più dinamici e mutevoli nel
tempo (principalmente i gusti e le abitudini dei consumatori) influenzano i
responsabili aziendali nel definire le azioni da intraprendere.
Ovviamente non tutte le imprese sono sensibili ai cambiamenti demografici, e fra
quelle che lo sono, non tutte lo sono con la stessa intensità. Esistono cioè aziende
che sono state definite indifferenti, parzialmente coinvolte e molt o coinvolte
9
. Le
prime sono soprattutto aziende produttrici di materie prime e beni industriali. La
loro indifferenza è connessa alla “distanza” che li separa dai consumatori finali.
Anche fra le aziende produttrici di beni durevoli e di largo consumo ci s ono
comunque aziende indifferenti. Per queste l‟indifferenza si spiega con la
trasversalità e la conseguente limitata capacità esplicativa del comportamento
d‟acquisto delle caratteristiche “tradizionali” di segmentazione dei potenziali
consumatori quali età, sesso, reddito ecc. Per riuscire a vendere nei mercati
caratterizzati da elevata concorrenzialità come quelli dei paesi occidentali
contemporanei è sempre di più necessario affidarsi a strumenti sofisticati quali ad
esempio le ricerche psicografiche.
Le uniche aziende che hanno modificato il loro approccio al mercato anche in
funzione dei mutamenti avvenuti nella composizione della popolazione sono quindi
quelle parzialmente o molto coinvolte. La distinzione fra queste due categorie di
aziende appare però un po' sfumata. Si può dire piuttosto, che una bipartizione più
coerente delle aziende può effettuarsi considerando se esse avvertano i mutamenti
demografici come fenomeni di necessità o di opportunità. Nel primo caso l‟azienda
è costretta a modificare le proprie azioni in seguito ai mutamenti demografici. Nel
secondo, l‟azienda riconosce nelle tendenze demografiche, in particolare
nell‟aumento degli individui appartenenti a particolari fasce d‟età o nell‟evoluzione
della famiglia, una possibilità per la creazione di nuovi ricavi.
7 Golini A., Castaldi P. (1992) “Mutamenti demografici..., op. cit.
8 Merrick T. W . Tordella S.J. (1988), "Demographics: People and Markets", PRB, Population Bulletin - Vol. 43 No
1, pagg.16-17
9 C.A. Bollino, A. Cusi, M. Gerbi Sethi Composizione demografica e domanda di consumo privato, op. cit.
Capitolo Primo
8
Il calo delle nascite, per esempio, ha interessato sia le aziende produttrici di
giocattoli che quelle produttrici di alimenti per neonati. Mentre il primo settore ha
potuto controbilanciare il restringimento del numero dei consumatori sia con il forte
aumento del consumo pro capite sia coll‟aumento di valore aggiunto dei giocattoli
(è un esempio di fenomeno di necessità), il secondo non ha avuto alcuna
possibilità di contrastare la diminuzione del fatturato influenzando né il co nsumo
pro capite né incrementando il valore aggiunto innovando i prodotti.
Per quanto riguarda la famiglia ed i fenomeni di opportunità si possono citare per
esempio le aziende produttrici di beni di largo consumo che sono state spinte a
mutare le confezioni dei loro prodotti verso due direzioni: multipack per famiglie
costituite da marito e moglie impegnati a lavorare e con tendenza all‟acquisto
settimanale in grandi punti di vendita e monodose o prodotti pronti per i singles che
acquistano all‟ultimo momento i prodotti nei negozi “sotto casa” senza badare al
prezzo
10
. Oppure le società operanti in campo immobiliare, come la Gabetti e la
Fondedile che hanno iniziato a costruire appartamenti di dimensioni più ridotte; ed
anche quelle del settore degli elettrodomestici che hanno adeguato l‟offerta alle
esigenze di famiglie più piccole.
Da quanto detto emerge chiaramente che la variazione dei consumi a livello
globale nasconde una miriade di fenomeni di necessità e di opportunità
appartenenti ai vari settori che per ovvie ragioni non è possibile considerare. E‟
altresì evidente che con i dati a disposizione non si può separare esattamente
l‟effetto demografico totale nelle sue componenti costituite dal processo
d‟invecchiamento, dalla nuzialità etc.. Visto però che i mutamenti nelle famiglie
sono una risultante di tutte queste tendenze e che l‟indagine ISTAT sui bilanci di
famiglia considera un numero abbastanza alto di tipologie familiari si può parlare
per lo meno di stimare l’effetto totale a livello macroeconomico esercitato sui
consumi dalle tendenze demografiche globali in corso. L‟estensione a singoli casi
aziendali, o prodotti, della metodologia adottata sarebbe poi vincolata soltanto al
possesso di nuovi dati, più analitici. In una tale eventualità, il met odo da adottare
sarebbe naturalmente un‟altro, tanto più preciso quanto più dettagliati sono i dati in
possesso.
10 Questo esempio mette però in evidenza che alla determinante demografica si sovrappone in parte quella
dovuta a nuove abitudini.
Capitolo Primo
9
I.3. Mutamenti familiari e consumi
I.3.1. Premessa
Il fenomeno economico “consumo” può essere studiato sia seguendo una
impostazione macroeconomica, sia secondo un punto di vista microeconomico.
Seguendo quest‟ultimo approccio, con l‟obiettivo di evidenziare le connessioni fra
caratteristiche demografiche degli individui o famiglie e rispettivi consumi, si
sarebbe portati, intuitivamente, a distinguere quei beni che sono destinati a
soddisfare esigenze individuali da quelli che invece sono destinati a soddisfare
esigenze familiari, come ad esempio i beni rientranti nella categoria “vestiario e
calzature” e la categoria “abitazione”. In verità, però, anche le decisioni d‟acquisto
dei beni con destinazione individuale vengono prese, di solito, in famiglia, cosicché
questa risulta essere, in definitiva, l‟unità d‟analisi fondamentale nello studio del
consumo. In altre parole, gli economisti sono interessati a scoprire in che modo i
vari vincoli economici e sociali influenzano le scelte delle unità d‟analisi, e queste
devono quindi possedere la caratteristica di unità decisionale fondamentale.
L‟unico caso di consumatore individuale degno di ricevere un‟attenzione particolare
sembra essere perciò quello del “single”, che poi viene comunque considerato una
tipologia familiare particolare costituita da una persona che vive da sola e decide
autonomamente che cosa e quanto comprare.
Ora, è evidente che le decisioni di spesa di una famiglia costituita da genitori e due
bambini sono diverse da quelle di una famiglia costituita da quattro adulti oppure
da un dirigente single di 35 anni; appare chiara allora l‟opportunità di considerare
tipologie familiari possibilmente omogenee rispetto alle caratteristiche di spesa. Le
classificazioni operate con questo criterio sono utili sia per coloro che si occupano
di politiche sociali, sia per coloro che lavorano in ambito commerciale. I primi
appunto, possono valutare in questo modo le esigenze delle famiglie ed intervenire
coerentemente. I secondi riescono invece a valutare le strategie di marketing da
adottare. E‟ evidente infatti che la definizione di tipologie familiari può
rappresentare una delle fasi di segmentazione del mercato costituito dall‟insieme
dei potenziali consumatori.
La struttura delle famiglie però non è invariante nel tempo. Sembra anche
importante allora tener conto come si modifica tale struttura onde poter misurare in
che modo i cambiamenti nelle abitudini e quindi nelle decisioni di spesa dovuti alle
modificazioni nelle strutture familiari si ripercuotono sui consumi a livello micro e
macroeconomico.
Sennonché lo studio sistematico della famiglia da parte dei demografi è stato, forse
paradossalmente, abbastanza trascurato in passato. Si ritiene che il motivo sia
dovuto alla mancanza di dati empirici, alla rilevante complessità dell‟oggetto o ad
entrambe le cause
11
. Per concretizzare uno studio in proposito è necessario partire
innanzitutto da una definizione dell‟unità d‟analisi in questione. A tal riguardo
conviene precisare che la complessità della materia rende anche difficoltoso
definire un concetto di famiglia universalmente accettabile per ogni tipo di
cultura
12
.
L‟Italia, in particolare, si distingue in questo senso nettamente dalla maggior parte
degli altri paesi del mondo: in italiano esiste soltanto il termine ”famiglia”, mentre
11 Keyfitz N. Form and substance in famiy demography; in: Bongaarts J. Burch T., W achter K. (1987): Family
demography. Methods and their applications, Cla rendon press, Oxford, NewYork, pp.3 -15.
12 Keilman N., Keyfitz N. (1988) Recurrent issues in dynamic household modelling; in :Modelling household
formation and dissolution, a cura di N. Keilman, A. Kuijsten, A. Vossen, Clarendon press, Oxford, NewYork.
Questi due autori sostengono, comunque, che non è neanche il caso di attribuire un‟eccessiva importanza a
corrette definizioni, nel senso che quella più appropriata dipende dagli scopi della ricerca nella quale l‟unità
familiare viene presa in considerazione.
Capitolo Primo
10
nella grande maggioranza delle lingue e culture straniere si distingue la famiglia da
ciò che in inglese, ad esempio, viene definito household, in francese ménage o in
tedesco Haushalt. Queste parole (in seguito si dirà “aggregato domestico”) stanno
tutti ad indicare in genere un nucleo di persone che, anche se non hanno stretti
legami di parentela, convivono abitualmente nella stessa abitazione, e/o gestiscono
assieme il budget delle entrate e delle spese della casa. Tenendo presente le
definizioni adottate dai vari paesi, allo scopo di favorire la comparabilità
internazionale, le Nazioni Unite hanno proposto quindi tre possibilità di definizione
di household che dovrebbero essere adottate nei censimenti
13
: La prima definisce
un household secondo il concetto di “unità di gestione domestica” (housekeeping-
unit concept), la seconda è definita in base al concetto di abitazione (household-
dwelling concept) e l‟ultima considera anche gruppi di persone con finalità e regole
comuni e che convivono abitualmente in comunità ed altre istituzioni similari quali
ospizi, dormitori, ospedali e così via. L‟utilizzo della definizione da adottare
dipende poi essenzialmente dalle finalità della ricerca nella quale l‟unità familiare
viene presa in considerazione. Se si tratta di studiare i consumi, la definizione più
adatta è probabilmente la prima.
L‟espressione household comprende quindi come caso particolare la famiglia
”classica”, intendendo in questo senso la comune famiglia nucleare costituita da
genitori e figli. Quando si parla di familiy anziché di household, ci si riferisce di
solito appunto ad una famiglia nucleare.
In Italia, invece, secondo la definizione data dal censimento “per famiglia si intende
un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione,
affiliazione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti o aventi dimora abituale nella
stessa unità abitativa”. Viene capovolta in un certo senso l‟accezione spiegata
sopra, nel senso che nella lingua italiana l‟equivalente di household è un sottocaso
della definizione “ufficiale” di famiglia.
Le famiglie registrate all‟anagrafe, prese come unità di rilevazione nell‟indagine
ISTAT sui consumi, sono in realtà degli aggregati domestici perché definite in base
al concetto di residenza, che può non dipendere da legami di parentela. Quando
nella indagine viene poi estratta una famiglia “allargata”, nel senso che la famiglia
anagrafica non corrisponde a quella di fatto perché convivono, ad esempio, più
nuclei familiari, i dati considerati nella rilevazione vengono riferiti alla famiglia di
fatto anziché a quella anagrafica. I dati dell‟indagine sono riferiti insomma ad
aggregati domestici secondo la definizione del “household-dwelling concept”. E‟
importante sottolinearlo, perché qualora si volessero confrontare i consumi italiani
con quelli di altri paesi, occorre considerare che quest‟ultimi si riferiscono s empre
alla definizione di household e che le statistiche italiane, sebbene parlino di
famiglie, sono riferite in realtà anch‟esse a questo concetto.
Si diceva dunque delle difficoltà che hanno ostacolato lo sviluppo di una family
demography. E‟ opinione di molti demografi che lo studio dei cicli di vita familiari
consenta di approfondire tanti aspetti dell‟analisi demografica. Eventi come
nuzialità, fecondità, mortalità possono essere studiati all‟interno del ciclo di vita
familiare e molti sostengono che l‟utilizzo del ciclo di vita familiare anziché dell‟età
degli individui riesce a spiegare con precisione superiore i comportamenti umani
14
.
Uno dei primi studi sul ciclo di vita delle famiglie si può far risalire a Glick (1947).
Questo autore ha definito il ciclo vitale delle famiglie nucleari, dividendo la storia
della famiglia in sei fasi, cominciando dalla costituzione mediante matrimonio e
finendo con la sua dissoluzione quando muore il vedovo o la vedova che aveva
dato origine ad essa (tabella 1.1).
13 ONU (1987), Demographic Yearbook.
14 C. Höhn, The family life cycle: needed extensions of a concept; in: Modelling household formation and
dissolution, op. cit.
Capitolo Primo
11
Il ciclo vitale di Glick è un esempio di studio qualitativo (o descrittivo) del
comportamento familiare nelle varie fasi della sua esistenza. Gli studi quantitativi
sul comportamento familiare, che tentano di spiegare la relativa dinamica, sono
sorti invece più recentemente. Si tratta di modelli che tentano di spiegare la
formazione e la dissoluzione delle famiglie in base a considerazioni di natura
sociologica, economica, biologica, socio-psicologica od anche in base ad approcci
basati sulla teoria dei giochi
15
. L‟utilizzo di questi modelli avviene poi all‟interno di
micro o macrosimulazioni
16
che forniscono distribuzioni di famiglie in funzione dei
parametri di input (cadenza fra le nascite, tassi specifici di nuzialità, tassi di
divorzialità ecc.).
In questa sede non si farà riferimento a questi modelli, ma verrà sfruttato il
concetto di ciclo di vita familiare per spiegare l‟impatto delle tendenze
demografiche sui consumi. Si passerà ora, dunque, ad illustrare le tipologie
familiari più comunemente considerate dall‟ISTAT nelle sue rilevazioni.
15 Keilman N., Keyfitz N.; (1988) Recurrent issues in dynamic household modelling; op.cit.
16 Per microsimulazione si intende l‟utilizzo di un modello all‟interno di un programma che sfrutta i dati contenuti
nei record relativi ad ogni individuo o gruppo omogeneo di individui; la specifica di nuovi valori degli attibuti del
record fornisce poi l‟output. I nuovi valori da specificare per gli attributi dovrebbero derivare da relazioni
comportamentali ottenuti in base alla teoria sottostante al modello e/o dai dati disponibili. Spesso però, il
comportamento individuale è semplicemente postulato. In un pr ogramma di macrosimulazione la popolazione
viene suddivisa in un certo numero di categorie oppure vengono assegnate agli individui le probabilità di trovarsi
nei relativi stati. Scelto un intervallo di tempo, si considerano le transizioni da uno stato (o c ategoria) all‟altro
per ottenere l‟output.
Capitolo Primo
12
I.3.2. Le tipologie familiari considerate negli ultimi due Censimenti
La definizione di famiglia adottata per il Censimento 1991, recependo quella data
dal regolamento anagrafico (art. 4 del D.P.R. 223/1989), differisce da quella
adottata nei passati Censimenti poiché è stato abolito quello che rappresentava il
terzo elemento costitutivo della famiglia anagrafica e cioè l‟unicità del bilancio
corrispondente alla messa in comune del reddito da parte dei componenti la
famiglia.
Ciò comporta che l‟aumento del numero di famiglie verificatosi nel decennio non è
quantificabile con precisione assoluta.
Nel Censimento del 1991 la nuova classificazione più disaggregata delle relazioni
di parentela ha permesso anche di individuare nuove tipologie familiari che si
basano sulla presenza-assenza all‟interno della famiglia di nuclei familiari e sulla
loro diversa composizione.
Un confronto delle diverse definizioni delle tipologie di famiglie adottate negli u ltimi
due censimenti e delle relative consistenze, si può effettuare utilizzando le tabelle
riportate nel seguito.
Capitolo Primo
13
Tab.1.2: Tipologia completa delle famiglie residenti al censimento 1981
Famiglia
di tipo
Capo-
famiglia
Coniuge
Figlio/a
Genitore
Suo-cero/a
Genero
Nuora
Altro
parent
e o
affine
Altra
persona
convi-
vente
add
etti
ai
ser
vizi
dell
a
fami
glia
numero
A x - - - - - - 3.418.967
B x x - - - - - 3.194.108
C1 x x x - - - - 8.755.691
C2 x(M) - x - - - - 273.836
C3 x(F) - x - - - - 902.677
D1.1 x x - * *
104.528
D1.2 x x - - - * *
94.118
D2.1 x x x * *
545.943
D2.2 x x x - - * *
356.491
D3.1 x(M) - x * *
24.321
D3.2 x(M) - x - - * *
137.051
D4.1 x(F) - x * *
36.951
D4.2 x(F) - x - - * *
147.619
D5 x - - x(M)(F) - 17.452
D6 x - - x(M) - 8.892
D7 x - - x(F) - 153.215
D8 x - - - x(M)(F) - 111
D9 Altri casi 460.366
Totale
18.632.337
Legenda:
x = Componente presente
- = Componente assente
= Componente che può essere presente o assente
* * = Componenti entrambi presenti o almeno uno dei due presenti
(M) = Maschio
(F) = Femmina