La figura stereotipata dell’Infermiere come operatore sanitario di serie B è ormai
lontana anni luce. Oggi l’infermiere è un professionista di livello europeo, scientificamente
formato nell’università ed autonomo professionalmente; è abilitato ad erogare una assistenza
generale infermieristica, dalla prevenzione alla cura delle malattie, dalla riabilitazione di
malati e disabili alle cure palliative.
Egli pianifica e gestisce l’intervento assistenziale infermieristico valutandone gli effetti;
garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni terapeutiche e diagnostiche; interagisce
con la persona prima ancora che con il paziente, svolgendo compito delicato quanto
determinante per il buon esito della cura; accompagna altresì verso una morte dignitosa
quanti perdono la battaglia contro la malattia; lavora nel settore dell’Evidence based nursing
(EBN) come ricercatore.
L’abrogazione dell’anacronistico “mansionario”, che per decenni ha limitato il campo di
azione degli infermieri, avvenuta nel 1999, ha affiancato una serie di novità legislative
introdotte negli ultimi dieci-quindici anni, che stanno colmando il divario con i servizi di
assistenza alle persone dei Paesi più evoluti sotto il profilo sanitario.
Il percorso formativo dell’Infermiere è oggi universitario, lo era già a partire dal 1990,
anno in cui viene varata la Riforma universitaria “Ruberti” e vengono istituiti nelle
Università i primi corsi di Diploma universitario.
Con la trasformazione, avvenuta nel 2001, da corso di Diploma universitario in corso di
laurea in infermieristica, l’infermiere entra a pieno titolo nel mondo accademico
universitario.
Il percorso formativo dura 3 anni: si fonda su lezioni teoriche, studio guidato correlato ad
attività cliniche, seminari, esercitazioni e tirocinio clinico.
Si conclude con una prova teorico-pratica, la dissertazione di una tesi e al termine il
conseguimento di un titolo abilitante. Per poter esercitare la professione occorre essere
iscritti all’albo professionale.
L’infermiere può esercitare la sua professione in strutture sanitarie pubbliche o private,
in Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (I.R.C.S.S.) e Fondazioni, nei Policlinici
universitari, nel campo dell’assistenza domiciliare, della formazione e dell’educazione
sanitaria, ma anche nelle industrie, nei ministeri, negli assessorati, nelle scuole, nei Comuni
e negli enti locali in genere, nelle comunità terapeutiche e di recupero, nei penitenziari, nelle
forze armate, all’interno di organizzazioni umanitarie e di solidarietà sociale, nella Caritas e
altro ancora.
Da alcuni anni si va sempre più diffondendo l’esercizio della libera professione
infermieristica segno di un’elevata professionalità ed autonomia e dell’attività di
“consulenza” per conto di enti pubblici, privati, istituzioni, associazioni.
La carenza di personale infermieristico nelle dotazioni organiche di gran parte delle
strutture sanitarie sia pubbliche che private, pone questa figura al centro del mercato del
lavoro con numerose richieste che non riescono ad essere soddisfatte. Molti luoghi di cura,
specialmente nel Nord d’Italia assicurano persino vitto e alloggio a chi è disposto a spostarsi
e retribuzioni di tutto rispetto.
Intraprendere tale percorso significa aprirsi ottime possibilità di lavoro anche all’estero
visto che il titolo è riconosciuto in tutti i Paesi dell’UE. Infermiere, però, non è solo un
occupazione sicura, significa responsabilità e possibilità di carriera fino ai livelli dirigenziali
più alti, previsti dal nostro ordinamento, specie alla luce dell’avvio della formazione post-
base con i master di I° livello, la laurea specialistica in infermieristica, i master di II°
livello e il dottorato di ricerca.
Pertanto l’Infermiere può specializzarsi in diverse aree, abilitarsi alle funzioni
manageriali di coordinamento per gestire l’attività assistenziale di unità operative semplici e
complesse, dipartimenti o servizi, può dirigere i servizi infermieristici delle Aziende
sanitarie e ospedaliere, insegnare ai corsi universitari, progettare, organizzare corsi di
perfezionamento ed aggiornamento professionale per il personale in servizio anche
nell’ambito del recente programma di educazione continua in medicina (E.C.M.).
Quella dell’infermiere sembra essere una professione in continua ascesa, moderna, senza
confini, con un futuro sicuro ed aperto a varie prospettive di carriera a tutto campo.
La professione infermieristica s’imbatte con frequenza in situazioni critiche, spesso molto
differenti tra loro, che necessitano di scelte comportamentali, il più delle volte determinanti
per l’utente. Le situazioni critiche sono identificabili come dilemmi etici, che implicano la
presa di decisioni. Ma da parte di chi? Come tutti i professionisti della salute, oggi
sicuramente più di ieri, l’Infermiere è chiamato a servire il miglior bene possibile per la
persona e a rispondere con competenza, pertinenza, responsabilità e tempestività.
Il Codice deontologico degli infermieri all’art.3.4 recita: “L’infermiere si attiva per
l’analisi dei dilemmi etici vissuti nell’operatività quotidiana e ricorre, se necessario, alla
consulenza professionale e istituzionale contribuendo così al continuo divenire della
riflessione etica”.
Nell’ambito dell’attività professionale ci s’imbatte quotidianamente in discussione di
dilemmi etici di natura più ampia rispetto a quelli trattati dalla deontologia; tali dilemmi di
rilevanza bioetica richiedono una riflessione più estesa e complessa ed esigono una
conoscenza sicuramente più approfondita della metodologia, degli strumenti e delle linee
guida necessarie per poter essere esaminati, discussi, affrontati e risolti.
Il progresso scientifico e tecnologico ha sollevato nuovi problemi: l’uomo è in grado di
sostituire organi malati prelevandoli da un deceduto oppure di realizzare un nuovo essere
senza l’ausilio del concepimento.
La scienza medica ci permette di prolungare la vita e di migliorarne la qualità, ma alcune
volte l’impiego della tecnica può creare danni irreversibili o ledere valori umani
fondamentali.
La bioetica ha il compito di esaminare la liceità dell’intervento dell’uomo sull’uomo; ci
insegna e ci guida a ritrovare il valore umano fondamentale e l’essenza dell’uomo stesso
nel dedalo dell’universo tecnologico.
La bioetica non può più essere disciplina per pochi esperti e, accanto alle mere
disquisizioni teoretiche, la pratica clinica diviene il teatro delle riflessioni etiche a letto del
malato. Le realtà vissute nel processo assistenziale obbligano i professionisti della salute
ad un approccio che richiede una riflessione consapevole e responsabile.
Il paternalismo medico, fino a non molti anni fa, ha favorito, per alcuni operatori la
scelta delle cure, facilitati dallo stato di subordinazione e di rassegnazione che molti
pazienti assumevano.
Oggi l’atteggiamento dei cittadini è mutato, il paternalismo medico fortemente
ridimensionato, e l’infermiere ha assunto nell’equipe curante un ruolo di rilievo, per il più
alto livello della sua formazione e cultura rispetto al passato, ma soprattutto in virtù della
sua intima relazione con l’utente che gli permette di possedere numerosi elementi di
analisi dei conflitti vissuti dal e con il paziente stesso.
L’infermiere è colui che divide con l’assistito il lungo percorso della malattia, che pone
frequentemente dei limiti di libertà, non solo di tipo fisico.
Molti pazienti vivono il ricovero con senso di sfiducia nei confronti della sanità e
dell’ambiente poco confortevole; spetta all’infermiere il più delle volte restituire alla
persona la dignità che la struttura, gli spazi, le regole gli sottraggono. Il percorso
assistenziale permette l’instaurarsi di una relazione che ha una peculiare rilevanza perché
implica la salute olistica della persona.
Si crea un rapporto di intimità e complicità, che consente di trasformare la malattia in
un’esperienza di crescita personale.
La qualità dell’incontro costituisce l’elemento determinante dell’efficacia
dell’assistenza anche sotto l’aspetto etico. Prendendosi cura della persona, l’infermiere ne
apprende i bisogni, sia fisici che psichici, conosce i suoi desideri e le sue paure, entra in
relazione con i suoi familiari e con le persone per lei significative. I medici prescrivono il
trattamento, ma gli infermieri condividono con il malato la sofferenza di una terapia o il
disagio di una qualità di vita peggiorata.
L’infermiere è nella migliore posizione per valutare il modo in cui la persona percepisce
e vive la qualità della sua vita, quindi è in grado di tradurre le speranze e le illusioni
dell’assistito e può rappresentare il fulcro dell’analisi di eventuali conflitti etici. Un vero
professionista, dotato di competenza e responsabilità, deve guidare la persona verso la
ricerca del bene. Lo stato di necessità e di dipendenza dato dalla malattia, non deve
autorizzare l’operatore a monopolizzare la situazione e a gestire autoritariamente le scelte.
La riflessione etica è obbligatoria perché è insieme segno e frutto della responsabilità
professionale verso se stessi e l’intera disciplina.
L’infermiere è un agente morale, cioè una persona che compie scelte di natura etica
poiché il suo agire è condizionato, ma non interamente determinato, dal contesto, dal
cliente, dalle prescrizioni, dall’organizzazione del lavoro. Egli agisce continuamente una
sintesi tra valori, norme morali e giuridiche, deontologia professionale, cultura e situazioni
contingenti.
Ma quanti infermieri hanno le conoscenze sufficienti per operare questa sintesi?
In qualità di docente di Etica e bioetica ai corsi di laurea in Infermieristica posso
affermare che la risposta non può venire se non partendo dall’innalzare il livello formativo
di base.
Occorre sviluppare nuove e migliori competenze studiando ai corsi di base i fondamenti
teoretici ed elaborando successivamente in sede di tirocinio clinico discussione di casi
incontrati, anche con la consulenza ed il supporto degli infermieri più esperti presenti nei
comitati etici locali. In ogni caso clinico emergeranno idee o sensazioni, preferenze legate
a ideologie personali o a valori culturali e religiosi, ma il confronto, il possesso di
strumenti di analisi metodologica dei fatti e delle istanze, permetterà di scartare contenuti
e giustificazioni prive di una base etica e di trovare la migliore soluzione possibile che
risponde al miglior bene per quel paziente e non per altri.