INTRODUZIONE
L'arte cinematografica ha sempre seguito di pari passo l'avanzare della tecnologia: ogni
scoperta tecnologica ha portato a mutamenti anche radicali nel linguaggio
cinematografico, basti pensare all'avvento del sonoro e del colore.
E sin dai primordi si è compreso che l'immagine cinematografica poteva essere
manipolata per ottenere effetti sorprendenti. Quando poi questo mezzo tecnologico, non
ancora assurto al rango di Arte, cominciò ad essere utilizzato per narrare delle storie, si
capì che gli “effetti speciali” potevano essere un importante ausilio alla narrazione, in
particolare nel genere fantastico. Della storia e tecnica degli effetti visivi si è scritto e
trattato abbondantemente, così come dell'evoluzione del linguaggio e dell'estetica
cinematografica in parallelo al progresso tecnologico: pertanto, molto è stato detto su
come sia cambiato, in più di un secolo, il mestiere del regista, del montatore e di tante
altre figure professionali. Ma riguardo a come, e in che misura, le nuove tecnologie per
l'immagine influiscano sul lavoro dell'attore cinematografico non si è riflettuto
altrettanto. In particolare è con l’avvento del cinema digitale, che utilizza per le riprese
delle telecamere digitali in HD senza alcun uso di pellicola, che riscontriamo una
significativa svolta sia nella teoria che nella pratica del film-making. Sulla base di tali
premesse vedremo come, in questo nuovo modo di fare cinema, sia in fase di produzione
che post-produzione il ruolo e il lavoro dell’attore risultino ampiamente mutati.
Partendo dai primi casi in cui gli effetti visivi digitali determinarono significative novità
per la pratica attoriale sul set, con un uso della classica tecnica del Chroma Key sempre
più frequente ed affinato, fino alla cancellazione totale della scenografia e talvolta anche
dei costumi e make-up tradizionali, giungeremo ad analizzare i casi in cui il cinema
digitale si è unito alle migliori tecniche di Computer Grafica nel trasferire l’ “anima”
della performance attoriale a personaggi sintetici incredibilmente fotorealistici.
Si parla di trasferimento giacché è stata provata l'inefficienza dei digital characters creati
senza alcun contributo di veri attori in carne ed ossa, oppure limitandosi alla sola cattura
dei movimenti del corpo.
1
Emblematico in tal senso è stato il caso di Final Fantasy: The Spirit Within (2001,
Hironobu Sakaguchi), il quale però offre un primo collegamento al discorso del rapporto
tra le performance attoriali cinematografiche, in regime digitale, e i personaggi dei
videogiochi. L'analisi della pietra miliare nella creazione di personaggi digitali
rappresentata dalla genesi di Gollum/Smeagol nella saga de Il Signore degli anelli (The
Lord of The Rings, Peter Jackson, 2001-2003), introdurrà l'argomento dell'indissolubilità
tra attore reale ed il suo omologo numerico, che nei casi più evoluti assurge al rango di
Synthespian. Un personaggio di sintesi è definibile “Synthespian” quando l'unione dell'
“essenza”, dell'identità dell'attore che gli presta la sua performance e la successiva
modellazione informatica è così evoluta da conferire alla creatura numerica un carisma
tale da permettergli di avere un ruolo preponderante nell'opera filmica, capace persino di
“togliere la scena” ad attori reali. Diverso è il caso in cui l'ibrido digitale si configura
come un'amplificazione delle potenzialità di un divo hollywoodiano, non nascondendo,
anzi talvolta sottolineando, la loro stretta parentela. Ma prima di giungere a queste
riflessioni sarà d'obbligo analizzare il progresso della procedura tecnologica atta alla
cattura dell'attore, di come il passaggio dalla Motion Capture alla Performance Capture
(o Motion Capture Facciale), grazie al lavoro pionieristico del regista Robert Zemeckis,
stia conducendo ad un esponenziale affinamento di tali tecnologie.
L'ultimissima novità del sistema Contour, sperimentata ne Il curioso caso di Benjamin
Button (The Curious Case of Benjamin Button, David Fincher, 2008), si presenta come lo
stato dell'arte che apre nuovissime frontiere.
Potenzialità attuali e future di cui si tratterà nel paragrafo conclusivo, non prima di aver
concentrato l'attenzione sulla pratica dell'attore cinematografico odierno alle prese con le
tecnologie digitali. Partendo dall'analisi di come la rivoluzione delle telecamere digitali
abbia portato sensibili cambiamenti alla routine recitativa, attraverso interviste con artisti
che si sono cimentati con set in cui lavorare totalmente “spogliati” di ogni riferimento
materiale alla recitazione, prenderemo in esame le tecniche di training che da
Stanislavskij a Strasberg sono state sviluppate per dotare gli attori dei tools necessari per
un'immedesimazione totale, che non necessiti di ausili materiali.
2
In tal modo, dovremmo avere una panoramica abbastanza esaustiva su come il cinema
digitale abbia radicalmente mutato il lavoro dell'attore, facendolo agire sempre più in set
minimali molto simili ad un certo tipo di teatro, fino a renderlo, grazie all'ausilio della
Computer Grafica tridimensionale, reale ispiratore di una creatura numerica, che nei
migliori dei casi ne amplifica a dismisura il potenziale recitativo.
3
Capitolo 1
L'ATTORE E L'AMBIENTE
La recitazione per il cinema ha visto nei decenni notevoli cambiamenti, sia per quanto
concerne il lato artistico e tecnico che la mera routine dell'attore. Una delle macro-aree di
cui il lavoro dell’attore si può comporre è senza dubbio l’Ambiente, inteso come insieme
di “setting” (ambientazione naturale o scenografica) e “props”, ovvero l’oggettistica qui
intesa nel senso più ampio che comprende tutti gli elementi materiali con cui l’attore
deve relazionarsi. L’attore cinematografico naturalmente non ha mai lavorato in ambienti
del tutto reali: anche nelle riprese in esterno l’altissimo livello di organizzazione fa sì che
non si possa definire tale set “reale”, in quanto i passanti sono delle comparse previste, e
pertanto pagate, e tutto è predisposto affinché non accada nulla che non sia nel
programma delle riprese. Probabilmente solo nel cinema indipendente low-budget è
possibile riscontrare l’uso di ambientazioni “così come sono”, sia in esterni che in interni.
1.1 Dai mascherini al BlueScreen
Il primo giro di boa per l’attore cinematografico è stato lo sviluppo di tutte le tecniche
grazie alle quali è possibile simulare un’ambientazione con cui l’interprete non ha alcun
contatto fisico. Pertanto gli attori vengono sfidati, nel cinema, ad affinare una parte del
lavoro determinante a teatro: l’immaginazione, il “crederci”. Prima ancora del moderno
Chroma Key, le vecchie tecniche di utilizzo dei Mattes (mascherini) rendevano possibili
effetti simili, sebbene con un “trucco” diverso e molto più dispendioso, in termini sia di
tempo che di denaro. La tecnica consisteva nel combinare un’immagine in primo piano
con una di sfondo, spesso un gran dipinto su tela.
4
Ciò richiedeva che nella pellicola venissero mascherate certe aree di emulsione - con del
cartone nero - per controllare quali zone fossero esposte. Si procedeva dunque alla
fotografia della parte esposta, quindi si invertivano i ruoli: la zona fotografata veniva
mascherata e la pellicola riavvolta per riprendere l'area precedentemente non esposta.
Questa era la tecnica base, detta In-Camera Matte. Si arrivò ad utilizzi molto complicati,
come la stratificazione di più Mattes una sopra l’altra: un esempio noto si può vedere ne
La grande rapina al treno (The Great Train Robbery, 1903), dove è usata per porre un
treno e un paesaggio in movimento fuori da una finestra. Tuttavia, ancora non potevano
esserci contatti tra la parte live-action e lo sfondo delle Mattes: non fino al 1925, quando
lo sviluppo dei Mascherini in movimento (Traveling Mattes) portò al superamento di tale
limite. Questo aggiornamento della tecnica rende la parte live-action un mascherino al
pari delle altre nell'immagine, rendendo possibili i contatti tra di esse. In tempi recenti,
l’informatica ha permesso di ottimizzare questa antica tecnica e di associarla anche
all’uso di immagini 3D: è il caso del Digital Matte Painting.
Tale tecnica, secondo Maurizio Terzo, «raccoglie l’eredità delle scenografie dipinte, per
ricreare scene di grandissimo impatto drammatico, storicamente non riproducibili o di
fantasia, con un inganno simile al trompe-l’oeil [..] Il Matte Painting è una vecchia
conoscenza del cinema [..] Dalla metà degli anni 80, con le tecnologie digitali si assiste
ad un nuovo slancio della tecnica. Nel 1985, in Le avventure del giovane Sherlock
Holmes (Piramide di paura; Young Sherlock Holmes, Barry Levinson, 1985) è usato per
la prima volta il Matte Painting per una scena parzialmente digitale in cui un cavaliere
salta fuori da una vetrata»
1
. Un’altra tecnica molto utilizzata fu quella degli sfondi
proiettati (Background Projection), che consisteva nel proiettare una sequenza pre-
fotografata sullo sfondo libero di un’altra immagine. Lo sfondo poteva essere aggiunto in
retro-proiezione o in proiezione frontale. Largamente utilizzata per le scene in
automobile,
2
il suo utilizzo eccessivamente complesso fece in modo che venisse
rimpiazzata dal moderno Compositing elettronico.
1
M. Terzo, Ambienti digitali, in M. Gerosa (A cura di ), Cinema e tecnologia. La rivoluzione
digitale: dagli attori virtuali alla nuova stagione del 3D, Genova, Le Mani, 2011, p. 79.
2
Un altro memorabile esempio è la sequenza dell’attacco aereo in Intrigo Internazionale (North
By Northwest, Alfred Hitchcock, 1959).
5
Esattamente come i suoi successori, anche la tecnica del Traveling Mattes prevedeva
l'utilizzo di sfondi dal colore uniforme, principio dal quale presero il via tutte le
sperimentazioni per la composizione di immagini live-action con background di diversa
origine. Una di esse fu utilizzata con esiti particolarmente positivi in produzioni Disney
come Mary Poppins (Robert Stevenson, 1964) o Pomi d’ottone e manici di scopa
(Bedknobs and Broomsticks, Robert Stevenson, 1971 ), nei quali gli attori si trovarono di
fronte alla sfida di recitare con pochissimi elementi “materiali” e di relazionarsi con
personaggi inesistenti, che sarebbero stati aggiunti in post-produzione come cartoni
animati. Si trattava di un procedimento fotochimico, sviluppato nei tardi anni '50, che
utilizzava potenti luci al vapore di sodio che assicuravano risultati migliori dal punto di
vista della resa cromatica. Detta anche Yellowscreen, questa tecnica consentiva un uso dei
tradizionali Mattes senza il rischio di influire sui colori e sui contorni delle riprese live-
action, ma venne abbandonata perché lo schermo e le lampade al vapore di sodio
richiedevano set enormi e costi molto elevati.
Fu così che la tecnica del Traveling Matte perfezionata con lo schermo blu (da qui in
avanti chiamata semplicemente BlueScreen) prese il sopravvento. Tale procedimento è
stato sviluppato negli anni ’30 da Larry Butler, degli studi RKO Radio Pictures, premiato
con un Academy Award per il suo utilizzo nel film Il ladro di Baghdad (The Thief of
Baghdad, Michael Powell,1940). Ma il contributo che ha lanciato definitivamente questa
tecnica, partecipando alla nascita di un cinema moderno, fu quello di Petro Vlahos, che
per l’innovazione della tecnologia di compositing con Bluescreen è stato premiato con
l’Academy Scientific and Technical Award nel 1964 e nel 1994, per la sua ulteriore
evoluzione in regime elettronico, chiamata Ultimatte.
Innovazioni tecnologiche che hanno consentito, nel 1977, a George Lucas e il suo Guerre
stellari (Star Wars, 1977) di fondare un cinema basato sulla spettacolarità degli effetti
speciali.
6
Erano gli anni di un’altra rivoluzione, quella delle telecamere elettroniche ad alta
definizione, che hanno permesso un nuovo mondo di effetti speciali visivi, uniti ai primi
esempi di Computer Grafica.
Lucas vede nell’elettronica non solo un potenziamento della regia, ma anche un supporto
basilare per un cinema pienamente spettacolare [...] Per questo fonda nel ‘75 la sua società
di sviluppi tecnologici, la Industrial Light and Magic [...] In questo nuovo paesaggio nasce
il cinema digitale, che non è e non è mai stato un tipo di cinema, un genere, ma piuttosto
una nuova dimensione produttiva, realizzativa del cinema [...] Non è tanto il cinema che si
serve della tecnologia digitale, quanto il primo passo dell’assorbimento del cinema nel
sistema informatico [...]. Lucas è la figura cardine di quanto sta accadendo: non solo
perché inaugura un cinema altamente spettacolare legato agli effetti speciali con Guerre
stellari [..] ma anche perché con la sua ILM stabilisce un nuovo approccio agli effetti
speciali, all’apporto della tecnologia digitale (per es. lo standard del suono digitale THX
appartiene alla Lucasfilm), definendo alcuni basilari parametri dell’immaginario
cinematografico [...] Un crogiolo di interessi tecnologici e trovate digitali che ha
caratterizzato la società e cultura degli ultimi 40 anni.
3
Dopo Lucas e la sua ILM, molte sono state le case di produzione cinematografica che
hanno fondato un centro di sviluppo di tecnologie per il film. L’innovazione delle
telecamere elettroniche rende possibile vedere l'immagine nel momento in cui si accende
la telecamera, senza dover necessariamente registrare su un supporto. E, dato che
l'immagine può esser fruita in tempo reale, può anche essere manipolata in tempo reale e
venire più facilmente a contatto con particolari elementi della scienza informatica
emergente, le immagini generate al computer (CGI).
Ma prima di compiere un tale passo avanti, soffermiamoci nuovamente sul Chroma Key,
anch'esso notevolmente progredito grazie alle telecamere elettroniche. Immediatamente
adottata dagli studi televisivi, per le previsioni del tempo e la simulazione di studi o
location nei TG, questa tecnica aggiornata non prevedeva grandi cambiamenti per il
lavoro degli attori. Dal loro punto di vista non vi è molta differenza tra le prime forme di
Traveling Matte, il processo a vapori di sodio della Disney e il Bluescreen moderno,
perché l’utilizzo che i registi ne facevano era ancora piuttosto classico: anche per via del
tipo di film in produzione, non vi era molto spazio per la sperimentazione.
3
S. Arcagni, Cinema, scienza e tecnologia, in M.Gerosa (a cura di ), Cinema e tecnologia. La
rivoluzione digitale: dagli attori virtuali alla nuova stagione del 3D, pp. 43- 45.
7
L’unico artista che si è dedicato all’esplorazione delle possibilità del Chroma Key è stato
Zbigniew Rybczynski. Nel 1987 ha prodotto un video intitolato STEPS, in cui parte
dimostrando chiaramente il funzionamento della tecnica:«Entra in una sala con lo sfondo
blu, e comincia a salire delle scale invisibili, mentre afferma che le scale sono reali, ma
invisibili. A questo punto l’esperimento può partire.»
4
Immagine 1. Fotogramma del film Steps.
Rybczynski unisce il suo girato ad alcune scene de La corazzata Potëmkin (Bronenosec
Potëmkin, 1926), facendo in modo che le inquadrature di diverse fonti visive fossero
«proporzionate e prospetticamente credibili rispetto agli sfondi rappresentati dalle scene
del film di Ejzenstejn»
5
.
Fa una scelta in controtendenza rispetto all'uso che del Chroma key si era fatto finora [...]
non promotore della narrazione ma anche e soprattutto produttore di un linguaggio.[...]
Il regista polacco inserisce i suoi turisti dentro a immagini preesistenti, usa come spazio
dell'azione dei personaggi un immaginario [..] Il Chroma Key mette in contraddizione il
concetto usuale di campo e fuori campo, e spezza l'usuale idea di compattezza del
profilmico. [...] La contraddizione di tutto ciò è che il risultato, paradossalmente, è
convincente, non tanto realistico, quanto credibile [...] La materialità del cinema quindi
deve attraversare l'immaterialità per mutare forma [...] Ciò prima significava lavorare con
la discontinuità: il Chroma Key e l'elettronica aggiungono a questa idea un fattore
tecnologico importante, la continuità. [...] Rybczynski la definisce "post-produzione in
diretta". I movimenti di macchina sono gestiti dal Motion Control System: usando più
telecamere si gestisce tutta l'azione, come nelle soap opera, e si mixano in tempo reale i
vari contributi.
6
4
A. Amaducci, Anno zero. Il cinema nell’era digitale, Torino, Lindau, 2007, p. 52.
5
Ivi, p. 54.
6
Ivi, pp. 56-66.
8