INTRODUZIONE La seguente tesi si propone di approfondire le difficoltà specifiche che
possono essere riscontrate in età evolutiva nell’apprendimento in
ambito logico-matematico. Infatti, nonostante negli ultimi anni siano
stati fatti molti studi sui disturbi dell’apprendimento, le difficoltà nel
calcolo e nel problem solving rappresentano un tema ancora poco
conosciuto dal punto di vista riabilitativo e sul quale esistono ben poche
trattazioni che ne riportino un quadro completo e organico.
Si è dunque tentato di fornire un’analisi il più possibile completa
sull’argomento. A tal fine si è raccolto e rielaborato il materiale presente
in letteratura, integrandolo, soprattutto per quanto riguarda la
riabilitazione, con elementi derivanti dall’esperienza personale di
tirocinio.
Si è potuto infatti approfondire meglio l’aspetto riabilitativo grazie alla
possibilità di assistere al trattamento di alcuni casi clinici che
presentavano difficoltà nell’apprendimento delle abilità logico-
matematiche.
Inoltre, l’attività di tirocinio effettuata è stata rilevante non solo perché
ha permesso di comprendere meglio le sfaccettature di un disturbo
sempre più frequente nell’età evolutiva, ma anche perché ha fornito un
esempio concreto di possibilità di intervento.
Ricercare gli strumenti per aiutare i bambini con difficoltà
nell’apprendere significa affrontare un problema attuale che incide
negativamente sulla costruzione delle conoscenze ed influisce sullo
sviluppo della personalità di questi soggetti.
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1. APPRENDIMENTO DELLA CONOSCENZA
ARITMETICA Solo negli ultimi anni è aumentato, nella letteratura internazionale,
l’interesse per questo tema e recentemente sono stati fatti studi
nell’ambito della neuropsicologia cognitiva per quanto riguarda
l’apprendimento delle abilità matematiche.
In sintesi, da questi sono emerse due conclusioni: i bambini in età pre-
scolare possiedono competenze circa i numeri molto superiori a quanto
non ipotizzasse Piaget; numeri e calcoli costituiscono un dominio
cognitivo articolato e complesso che non va confuso con le sue
applicazioni formali come la risoluzione di problemi.
Infatti si può ritenere che i sistemi dei numeri e del calcolo siano la base
su cui in seguito verranno applicate le abilità logico-matematiche per la
risoluzione di problemi.
Le indagini psicologiche hanno spostato l’interesse dal numero,
presentato tradizionalmente come concetto astratto da utilizzare in
determinati contesti, alle modalità mentali che sviluppano le intuizioni
numeriche. La ricerca psicologica ha infatti dimostrato che, come
nasciamo predisposti all’intelligenza verbale, allo stesso modo possiamo
dire di avere una predisposizione anche per un’intelligenza numerica:
capacità di intelligere, capire, ragionare e interpretare i fenomeni
attraverso la quantità e il complesso sistema cognitivo dei numeri.
Dovendo dunque rivolgere l’attenzione ai processi cognitivi specifici che
sono alla base della costruzione della conoscenza numerica e del calcolo
è importante prima capire in che modo questi si sviluppano fin dalla
nascita.
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1.1 Sviluppo dell’intelligenza numerica Per comprendere meglio l’importanza dei risultati raggiunti dalla
riflessione psicologica contemporanea, risulta utile partire dai principali
modelli di riferimento teorico, in cui emerge il dibattito che concerne il
rapporto tra conoscenza numerica e le altre competenze cognitive.
1.1.1 Rapporto tra conoscenza numerica e le altre competenze
cognitive
Le prime fondamentali teorie cognitive riguardo l’elaborazione del
concetto di numero le ritroviamo in Piaget, il quale sostiene che vi è un
rapporto inscindibile tra l’evoluzione di competenze numeriche nelle
abilità di pensiero e le strutture d’intelligenza generale. Secondo Piaget,
l’apprendimento del sistema numerico è determinato dall’adeguato
sviluppo di abilità intellettive generali. In particolare ritiene che la
conoscenza numerica si evolva e si strutturi nel momento in cui
l’intelligenza passi dal livello del pensiero concreto irreversibile e
preoperatorio al livello del pensiero concreto reversibile e delle
operazioni logiche.
Grazie a tale passaggio il nostro pensiero giunge alla padronanza di
operazioni logiche (che consentono di essere abili nel coordinare in vario
modo i dati seguendo nessi di diverso genere logico) e operazioni spazio-
temporali (capacità di collegare in svariati modi dati di ordine spaziale,
temporale e spazio-temporale).
Con le operazioni logiche il bambino può utilizzare nozioni come quelle
di classe, serie, e di numero. Con le operazioni spazio-temporali è in
grado di attribuire un valore invariante ai rapporti spaziali di ordine
topologico e di ordine metrico (distanza, lunghezza, area, volume) o a
certe quantità fisiche come la quantità della sostanza, il peso, la durata,
la velocità.
D’altra parte, Piaget evidenzia come il bambino debba padroneggiare
proprio le operazioni logiche di classificazione e seriazione per poter
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comprendere appieno il significato del numero, il che non avviene prima
dei 5-6 anni. Nei periodi precedenti a questo stadio è incapace di
ragionare in modo logico, poiché è vincolato esclusivamente ai dati
percettivi. Questo comporta che la capacità che il bambino ha in età
pre-scolare di produrre la sequenza verbale dei numeri, non è indice di
saper contare. L’apparente abilità di conteggio è in realtà un’attività
senza significato, priva di valore cognitivo, appresa in seguito
all’imitazione di quanto fanno gli adulti. I bambini di 2-3 anni, infatti,
non si rendono ancora conto che ad ogni parola-numero corrisponde un
oggetto, e che ad ogni numero corrisponde una determinata quantità.
Da queste affermazioni deriva l’ipotesi su come avviene la costruzione
della conoscenza detta PRICIPLES AFTER : “le conoscenze, i principi
verrebbero dopo, sarebbero una costruzione successiva all’ esperienza
del bambino” (Biancardi, 1995).
Molti studi successivi hanno però trovato degli elementi di debolezza nel
modello piagetiano, soprattutto in relazione alla scansione degli stadi di
sviluppo delle abilità numeriche.
Robbie Case (2000), sostenendo la presenza di schemi primitivi innati,
ha portato una svolta nell’ approfondimento della ricerca sullo sviluppo
della conoscenza numerica.
L’idea fondamentale alla base del modello psicologico di Case è che nella
mente del bambino vi siano dei potenti schemi organizzatori,
denominati “strutture concettuali centrali”, che costituiscono reti di
concetti e relazioni che sottostanno alla maggior parte dei compiti che il
bambino deve apprendere.
La comprensione del senso del numero si sviluppa quando due degli
schemi primitivi si consolidano. Uno verbale, digitale e sequenziale, che
fornisce al bambino l’abilità di compiere le prime operazioni di
conteggio; l’altro spaziale e analogico che gli permette di individuare
situazioni di numerosità relativa (sono di più/sono di meno) e di
operatività concreta (aggiungere/togliere).
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L’interconnessione di queste due strutture concettuali crea un nuovo
schema: una linea mentale del conteggio su cui, applicando il più e il
meno, il bambino si sposta muovendosi in avanti o indietro.
In seguito il bambino impara, tramite le rappresentazioni delle proprietà
numeriche, a differenziare unità, decine e centinaia, e a comprendere le
relazioni esistenti all’ interno del sistema numerico.
Molte ricerche, per rispondere agli interrogativi circa lo sviluppo nel
bambino della capacità di riconoscere le quantità relative a eventi e
fenomeni, sono partite dalle dimostrazioni di numerosi studi
sperimentali basati sull’osservazione delle competenze di animali e
neonati (Thomas e Chase, 1980; Washburn e Rumbaugh, 1991).
Due psicologi americani (Antell e Keating, 1983), utilizzando la “tecnica
dell’abituazione-disabituazione”, hanno dimostrato che anche in animali
(topi e scimpanzé) e neonati possiamo trovare delle competenze
numeriche: sembra che siano in grado di discriminare tra diverse serie
di elementi in base alla loro numerosità.
Ad esempio gli scimpanzé riuscirebbero a compiere semplici operazioni
di transcodifica dal sistema di notazione arabico a quello pittografico, e
a individuare il numero arabico corrispondente a una certa numerosità.
Bimbi di 10/12 mesi sarebbero in grado di riconoscere le variazioni di
quantità (n+1 o n-1) di insiemi di 3-4 elementi; all’età di 2 anni e mezzo
riuscirebbero a fare delle induzioni su piccoli insiemi di 2 o 3 elementi.
Contrariamente alle ipotesi di Piaget, un bimbo a pochi mesi di vita è
già sensibile alla quantità ed è capace di categorizzare il mondo che
vede e sente in termini di numerosità. Questo succede perché nasce con
la capacità di formarsi una rappresentazione della numerosità di un
insieme di oggetti, e di memorizzarla, nel breve termine, e di
richiamarla.
Gelman e Gallistel (1992), rifacendosi ai risultati di questi studi, sono
giunti ad ipotizzare che le basi stesse della competenza numerica
umana si possono trovare nei meccanismi preverbali per il calcolo e nel
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ragionamento aritmetico che la specie umana condivide con altre specie
animali.
Questi riscontri sperimentali permettono inoltre di presumere, in
maniera piuttosto attendibile, l’esistenza di una competenza numerica
non verbale mediata da una rappresentazione mentale della quantità.
Possiamo parlare in opposizione all’orientamento piagetiano di ipotesi
PRINCIPLES BEFORE , che riconosce l’esistenza di principi cognitivi
innati alla base dell’evoluzione delle diverse abilità implicate nella
comprensione e nella rappresentazione del mondo. E dunque anche alla
base della costruzione della conoscenza numerica vi è un’abilità innata,
che consente di stimare e di esprimere giudizi di numerosità.
Secondo Gallistel e Gelman (1992) i bambini prescolari danno risposte
apparentemente povere nel dominio cognitivo relativo al numero non
tanto perché hanno una struttura ancora inadeguata, ma piuttosto per
un’incapacità ad utilizzare abilità che di fatto possiedono già, perché
innate. Un’ulteriore dimostrazione dell’ipotesi innatista sono le
filastrocche dei numeri che, anche se non sono correttamente associate
a un set di riferimento, sono segno che i bambini riconoscono il
significato cognitivo del contare, identificando i numeri come base per
l’enumerazione.
Le competenze logico-matematiche innate che questi bambini devono
possedere per poter interagire con numeri e calcoli vengono definite
come il rapporto tra processi di “astrazione numerica” e “ragionamento
aritmetico”. I processi di astrazione numerica sono processi operatori
che procedono attraverso operazioni di tipo sintattico di quantificazione
e rappresentano gli effetti della manipolazione di un set nei vari modi
possibili. Il ragionamento aritmetico si basa invece su processi
estimatori che procedono attraverso un percorso analogico di
approssimazione.
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1.1.2 Rapporto tra abilità verbali e abilità numeriche
Un’altra importante questione, su cui le ricerche di oggi focalizzano
l’attenzione e che costituisce argomento di dibattito, è il rapporto tra
abilità verbali e abilità numeriche. Che relazione c’è tra il linguaggio e i
numeri?
Per esprimere i numeri, e le quantità che essi rappresentano, noi
utilizziamo delle parole, che come tutti i segni linguistici hanno un
rapporto convenzionale con il significato che sottintendono. I processi di
quantificazione non hanno bisogno per svilupparsi di competenze che
dipendono dalle abilità di conteggio, cioè la capacità di elaborazione del
numero non è legata solo allo sviluppo di abilità di processazione
linguistico-simbolica. Alla base vi è l’attivazione di una
rappresentazione mentale della quantità numerica di tipo analogico,
NON verbale, che ci permette di compiere operazioni cognitive di
quantificazione.
Questa rappresentazione mentale avviene grazie alle capacità specifiche
del subitizing (riconoscimento visivo intuitivo di quantità) e della stima
di grandezze (Dehaene, 1992).
Il subitizing è quel meccanismo che interviene ad esempio nel momento
in cui di fronte ad un insieme costituito da n elementi siamo in grado di
riconoscere immediatamente e senza ricorrere a veri e propri
meccanismi di conteggio verbale, la quantità precisa degli elementi.
Questo vale però per insiemi costituiti da pochi elementi (massimo 4-6
nei soggetti adulti). Infatti se aumentiamo la quantità aumenta anche
l’imprecisione nella risposta.
Si ritiene che per le numerosità più grandi non ci avvaliamo più del
subitizing ma di un altro meccanismo: la stima di grandezze, che
diventa il processo di riconoscimento di quantità maggiori di 6-7
elementi; e che ci permette di fornire risposte poco accurate e precise.
Dunque la comprensione e la rappresentazione mentale della
numerosità non è necessariamente mediata da codici verbali.
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Successivamente nel percorso evolutivo il bambino creerà un lessico
specifico, parole-numero, per poter definire ogni numerosità con una
parola , che andrà ad occupare una posizione precisa nella retta
numerica.
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1.2 Ipotesi specifiche di sviluppo e acquisizione della
conoscenza numerica 1.2.1 Primi apprendimenti relativi al numero
Come sopra detto secondo l’ipotesi innatista, il bambino in età
prescolare ha delle competenze preverbali per cui riconosce il significato
cognitivo del contare perché possiede già determinate abilità innate. Ma
per poter avere la piena competenza dei meccanismi implicati nella
conta, dovrà imparare ad utilizzare queste abilità. Il bambino dovrà
imparare a codificare le quantità attraverso il sistema verbale dei
numeri mettendo in relazione i concetti-numero con le parole-numero.
Ogni parola-numero non si riferisce a significati univoci, ma a proprietà
di insiemi di elementi. Per questa ragione non sarà facile per il bimbo
acquisire il significato corretto di ogni parola-numero, che dovrà
dedurre tra molti significati logicamente possibili.
Il delicato passaggio tra le competenze preverbali e l’acquisizione della
capacità effettiva di contare è stato descritto da Gelman e Gallistel
(1978) con la Teoria dei principi di conteggio . Tale teoria è fondata sulla
convinzione che, tra le competenze preverbali, vi sono alcuni principi
innati che guidano l’acquisizione delle parole-numero e consentono
l’evolversi del concetto di numero nell’acquisizione delle procedure di
calcolo. I principi impliciti nella conta sono:
a. il principio della corrispondenza biunivoca , secondo cui per
ogni oggetto dell’insieme contato deve essere utilizzata una sola
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N.d.A. La spiegazione di questi fenomeni è stata portata avanti da Gelman e Gallistel (1992) ed è
un’ulteriore prova della probabile esistenza di una base innata e di una predisposizione negli
apprendimenti relativi ai numeri.
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etichetta numerica (parola-numero). Si possono distinguere
dunque due categorie: item da contare e item già contati;
b. il principio dell’ordine stabile , si riferisce alla capacità nel
contare di rispettare un determinato ordine di enunciazione
(ordine ripetibile);
c. il principio della cardinalità , per il quale l’ultimo numero
utilizzato rappresenta e contiene tutti gli oggetti contati, cioè la
loro numerosità.
I bambini apprendono dal linguaggio le parole-numero e le sistemano
nella loro lista innata di “etichette-numero mentali”: uno, due, tre… quindici… cinquanta… Iniziano a padroneggiare tali principi verso i 2-3 anni, e verso i 5 anni la
maggioranza dei bambini ne ha pieno possesso.
Attorno ai 2 anni appare il concetto di corrispondenza biunivoca ,
senza che sia stata necessariamente già acquisita la sequenza corretta
dei vocaboli-numero. Per fare un esempio, un bambino, dovendo
distribuire dei giocattoli a degli amichetti, darà un oggetto ad ogni
persona. Anche quando imparerà la sequenza delle parole che
esprimono i numeri tenderà a indicare uno a uno gli oggetti che conta.
Ma se, ad esempio, il bambino distribuisce equamente degli oggetti
utilizzando in modo corretto la strategia “uno a te, uno a me…”, non è
in grado di capire che alla fine risulterà che tutti possiedono la stessa
quantità di oggetti. Solo a 4 anni la strategia verrà applicata in maniera
chiara al conteggio.
Il principio di cardinalità sarà l’ultimo ad essere acquisito. Spesso i
bambini di 3 anni e mezzo san dire l’ultima parola del conteggio come
numero degli oggetti contati. Ma ciò succede perché imitano il
comportamento dell’adulto, e non perché comprendono davvero che il
contare fornisce la numerosità dell’insieme. Se infatti poi chiediamo loro
quanti siano gli oggetti che hanno appena contato, è probabile che si
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mettano a contarli di nuovo; molti credono che le parole-numero siano
semplici etichette attaccate agli oggetti.
La Teoria dei principi di conteggio evidenzia nuovamente come la
competenza numerica non verbale abbia un ruolo fondamentale nello
sviluppo della competenza verbale. E’ proprio la competenza innata di
riconoscimento non verbale della quantità a consentire, fornendo la
base dei principi impliciti, lo sviluppo dei meccanismi di conteggio
verbale. Secondo Gelman e Gallistel (1992), il ruolo di schema di
riferimento svolto dal meccanismo non verbale, viene reso possibile
dall’isomorfismo e dalla similarità della struttura formale delle
grandezze non verbali e delle parole-numero. Le due forme di
rappresentazione sono distinte, ma allo stesso tempo interrelate.
Pensano cioè che imparando a contare si formi una “mappatura
bidirezionale” tra le grandezze non-verbali (che rappresentano la
numerosità) e le parole-numero. E’ tale mappatura bidirezionale che
consente l’uso e la specificità sia dei meccanismi analogici di
quantificazione non verbale, sia dei meccanismi verbali di conteggio. Il
saper passare da un meccanismo all’altro non ne esclude la specificità,
ma non ne esclude neanche la reciproca relazione. Anzi la determina
proprio grazie agli stessi processi di sviluppo. Infatti, secondo i due
studiosi, i bambini giungono a padroneggiare le complesse competenze
alla base di meccanismi del conteggio verbale proprio attraverso quella
stessa spinta, impressa dallo sviluppo, che consente inizialmente ai
neonati di possedere competenze innate di riconoscimento non verbale
delle quantità.
Tra i principi che vengono rispettati nell’operazione di contare, se ne
possono aggiungere altri due:
- il principio dell’irrilevanza dell’ordine : una determinata etichetta
numerica può venire assegnata a qualunque oggetto. I bambini
quando iniziano le loro procedure di conteggio non considerano
rilevante l’item dal quale partire;
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- il principio di astrazione : la procedura di conteggio può essere
applicata ad ogni cosa.
In letteratura quella di Gelman e Gallistel (1992) non è la sola posizione
teorica riscontrabile sulla questione. Anche Fuson (1991) ha analizzato
il modo in cui il bambino impara ad associare i significati alle parole-
numero e ha dato importanza alle competenze innate (che lei definisce
“competenze concettuali”). Ma nella Teoria dei contesti diversi (Fuson,
1988) riconosce il valore attribuito alle strutture innate come uguale e
non primario rispetto alle competenze apprese, che sono da considerarsi
indispensabili quanto quelle innate; e riconosce l’importanza
dell’interazione costante che avviene tra le due. Secondo questa teoria, i
principi di conteggio e di calcolo hanno una struttura innata e specifica,
tuttavia affinchè vengano utilizzati nel modo corretto e competente, il
bambino dovrà vivere molti momenti di apprendimento. Con ripetuti
esercizi, per imitazione, e attraverso l’interazione con l’ambiente il
bambino gradualmente svilupperà e formerà la propria conoscenza del
numero. E’ componente fondamentale perciò la relazione con ciò che lo
circonda, tenendo in considerazione che le situazioni in cui vengono
utilizzati i numeri possono essere le più diverse, nonostante i semanti
(le quantità corrispondenti ai numeri) siano sempre gli stessi. Infatti
possono esserci differenze sostanziali nei significati e nell’uso dei
numeri.
A questo proposito sono state fatte ricerche (Lucangeli e Tressoldi,
2002) che hanno raccolto le risposte di bambini italiani alle domande:
“ Cosa sono i numeri? A cosa servono i numeri secondo te? ”. Alcune delle
risposte sono state:
R. (5 anni e 2 mesi): “ I numeri sono fatti per dire uno due tre, e poi non sbagliare fino a dieci o fino e dove sai tu. ”
L. (5 anni): “Sono che ti servono quando hai i soldini o le bambole… ” T. (5 anni): “ Sono numeri scritti o detti a voce. O anche sulle dita, uno
per uno ci si conta. ”
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S.(5 anni e 2 mesi): “ I numeri piccoli servono a contare, i numeri grandi a scrivere a scuola. ” D.(5 anni): “ I grandi ci fanno molte cose. Di più che i bambini. Infatti ci
fanno anche la spesa .” Come risulta da questi esempi, spesso i bambini, nel corso
dell’apprendimento, sono in grado di individuare vari aspetti che sono
implicati nel numero: aspetti semantici (che riguardano le quantità che
essi rappresentano), aspetti lessicali (i numeri si dicono, si
scrivono,ecc.), aspetti funzionali di conteggio e calcolo (i numeri servono
a…).
L’integrazione di tali aspetti e dei vari significati del numero, secondo
Fuson (1991), avviene quando il bambino riconosce che ogni parola-
numero rappresenta e contiene tutte le unità precedenti compresa sé
stessa e, in secondo luogo, quando comprende che ogni unità ha valore,
nella serie numerica, di “più uno” in relazione all’unità precedente e
“meno uno” in relazione all’unità successiva.
Nell’acquisizione della conta vi sarà in particolare l’integrazione di tre
concetti numerici:
a) la sequenza numerica , che prevede la differenziazione delle parole
che indicano numeri e l’apprendimento del loro ordine in sequenza. Nei
bambini inizia l’utilizzo competente di questi concetti a 3 anni, 4 anni e
procede a intervalli, fino agli 8, 9 anni ( la sequenza corretta
inizialmente arriverà fino alla parola 10, poi 20, 80, 100 nei periodi
successivi).
b) la corrispondenza uno a uno tra le parole-numero e gli elementi di
un insieme, la cui acquisizione è spesso accompagnata da alcuni errori
tipici. Gli errori “parola-indicazione”, dove il bambino indica un oggetto
pronunciando più parole-numero, oppure indica senza pronunciare
alcuna parola; e gli errori “indicazione-oggetto”, in cui c’è coordinazione
tra conteggio e indicazione, ma l’indicazione è imprecisa, viene saltato
un oggetto o viene toccato più volte. Si possono notare anche errori più
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generali: quando il bambino pur avendo terminato di contare,
ricomincia a indicare gli oggetti già contati. Riscontrare queste diverse
tipologie di errori dimostra che i bambini possono avere delle difficoltà
nell’ integrare l’indicazione e il conteggio vero e proprio.
c) il valore cardinale dei numeri , per cui vale ciò che è stato
precedentemente detto circa il terzo principio della Teoria dei principi di
conteggio di Gelman e Gallistel.
In sintesi, secondo il modello di Fuson, possiamo distinguere almeno
cinque livelli evolutivi per descrivere la costruzione e l’integrazione dei
concetti numerici. Inoltre le risposte dei bambini italiani, esito delle
indagini di Lucangeli, possono aiutare a descrivere le varie fasi:
1.la sequenza di numeri è usata come stringa di parole (Luca, 4
anni: “ Uno, due, sette, quattro, cinque, tre, venti ”);
2. le parole-numero vengono distinte, ma usate in sequenza
unidirezionale in avanti, prodotta a partire dall’uno (Alberto, 4
anni e 6 mesi: “ Uno, due, tre, quattro, cinque e poi non so bene
bene ”);
3. la sequenza può essere prodotta a partire da un numero
qualsiasi della serie stessa governata dalle relazioni numeriche di
subito, prima, dopo, ecc. (Sara, 5 anni: “Subito vicino a cinque c’è
sei e poi sette e otto e poi fino a venti te li dico tutti giusti ”);
4.le parole-numero della sequenza sono trattate come entità
distinte che non devono più ricorrere a elementi concreti di
corrispondenza biunivoca (Lucia, 5 anni e 3 mesi: “ Quattro è più
di tre. Cinque è di più di quattro ”);
5.la sequenza è usata come catena bidirezionale , sulla quale e
attraverso la quale operare in diversi modi (Mattia, 6 anni e 5
mesi: “Sette, otto, nove, dieci, …, venti, diciannove, diciotto, … ”).
Questa evoluzione mostra come vi sia una continua interazione tra
competenze cognitive e apprendimenti significativi.
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