5
In particolar modo, sono illustrate le due principali categorie di
emozioni, fondamentali e complesse, e le definizioni di ognuna che
i vari studiosi hanno proposto.
Il secondo capitolo si occupa di definire la gelosia, dal punto di
vista linguistico, antropologico e cognitivo, attraverso la teoria
cognitivo-fenomenologica di Lazarus (1966).
Sempre all’interno di questo capitolo sono poi indicate le principali
cause che suscitano la cosiddetta gelosia “insana”, ovvero la forma
patologica della gelosia romantica.
Nel terzo capitolo sono descritte le tre principali forme di gelosia:
Romantica, Materiale e da competizione sociale, indicandone le
cause scatenanti.
Per quanto riguarda la gelosia romantica, sono descritti i sentimenti
provati dalla persona gelosa verso il Sé, verso la Persona Amata e
verso il Rivale, e mi sono poi soffermata sulla teoria cognitiva
proposta da Mathes (1991).
In riferimento alla gelosia da competizione sociale, invece, mi sono
ricollegata alla teoria dell’attribuzione proposta da Weiner (1985).
Nel quarto capitolo è presentata un’ emozione affine alla gelosia, e
spesso erroneamente confusa con essa : l’invidia.
6
Sull’argomento sono dapprima proposte un’analisi linguistica e
psico-sociale, la descrizione delle principali tipologie, i suoi effetti
e le analogie e differenze con la gelosia.
Il quinto capitolo, infine, affronta la questione sull’ipotesi delle
differenze tra uomini e donne nell’esperire le emozioni e, in
particolare, nel provare la gelosia e l’invidia.
7
CAPITOLO I
1. Le emozioni
Gli psicologi contemporanei delle emozioni ritengono non sia
ancora possibile formulare una definizione consensuale di
emozione, a causa della poliedricità che la caratterizza.
Nel linguaggio corrente, per farlo, occorre ricorrere ad altri termini,
come passioni, affetti o sentimenti.
Al contrario, nella terminologia scientifica, esse sono descritte in
base a tre importanti fattori:
a) le reazioni fisiologiche che le caratterizzano;
b) le situazioni ambientali che le provocano;
c) le valutazioni cognitive che le hanno indotte o sono state da esse
provocate.
Le emozioni sono state definite come momenti di cambiamento per
l’individuo [Rimé, Philippot, Boca, Mesquita 1992], cambiamenti
che coinvolgono l’organismo a tutti i livelli: neurologico, viscerale,
cognitivo e comportamentale (Caprara, 1990).
8
Allo stesso tempo si può affermare che tutte le esperienze emotive,
poiché sono momenti di cambiamento della sfera psicologica
individuale, diano origine a processi di elaborazione che non sono
soltanto di tipo cognitivo ma anche sociale.
Oatley e Johnson-Laird (1987), hanno avanzato l’ ipotesi che la
funzione delle emozioni sia di tipo comunicativo: le emozioni
comunicano sia a noi che agli altri.
Secondo la teoria comunicativa di Oatley e Johnson-Laird (1987), i
motivi delle comunicazioni all’interno dell’individuo sono da
ricercare nel fatto che le parti del sistema cognitivo sono abbastanza
autonome. Coordinare le varie parti separate, quindi, implica
l’esistenza di una comunicazione tra loro.
Sebbene non sia indispensabile essere fisicamente a contatto con gli
altri per poter sentire le emozioni, tuttavia le relazioni interpersonali
sono la principale fonte delle risposte emozionali.
Questo significa che le emozioni non hanno solo una origine
genetica, ma sono attivate da specifici contesti relazionali,
situazionali ed interattivi (Di Blasio e Vitali, 2001).
Rimé e coll.( Rimé et. al., 1991; Rimé, Noel e Philippot, 1991; Rimé
et.al., 1992), hanno mostrato con una serie di ricerche condotte negli
9
anni ’90, il verificarsi di fenomeni di condivisione delle esperienze
emotive quotidiane.
La condivisione si verifica sia nel caso di emozioni di carattere
positivo sia negativo
1
.
Le principali funzioni che gli individui attribuiscono alla
condivisione delle esperienze emozionali, sono la ricerca di
supporto sociale (Shortt e Pennebaker, 1992), la ricerca di
significato per la propria esperienza (Rimé, Corsini e Herbette,
2002), il senso di benessere (King, 2001), il senso di autoefficacia e
di continuità del sé (Chu, 2000), la risposta ad influenze sociali e
riferimenti culturali (Chu, 2000), la costituzione di nuovi obiettivi di
vita e/o il radicamento a obiettivi già adottati (Emmons, Colby e
Kaiser, 1998) .
Pertanto ci si aspetta che in seguito ad esperienze emotive gli
individui manifestino, non solo ruminazione mentale, ma anche il
desiderio di condividere socialmente queste esperienze
2
.
1
Confrontando emozioni di gioia, rabbia, paura, tristezza e vergogna ,Rimè e coll.
(1991), non riscontrate differenze nella frequenza dello sharing.
2
Nella generalità dei casi la condivisione riguarda sia episodi emozionali traumatici,
che di intensità moderata.
10
1.1 La natura delle emozioni
Fino agli anni ’60 gli studi sull’emotività si sono organizzati intorno
alla controversia tra la teoria di James e quella di Cannon.
James nel 1884 ha proposto la teoria periferica, secondo la quale
l’evento emotigeno causerebbe una serie di cambiamenti a livello
viscerale e questi cambiamenti sarebbero percepiti dall’individuo
come esperienza emotiva.
L’autore pone, quindi, alla base di questo sentire emotivo
l’attivazione fisiologica dell’organismo, l’arousal, senza la quale
non si potrebbe neanche definire un’emozione in quanto tale.
L’emozione dipenderebbe, così, dalla percezione dei propri
movimenti e delle proprie reazioni fisiologiche, quali, ad esempio,
respirazione e battito cardiaco
3
.
Ne consegue che a combinazioni di sensazioni diverse
corrispondono emozioni differenti e specifiche
4
.
3
La teoria di James è sostenuta da altri autori (Zajonc, 1985; Murphy e Inglehart,
1989), i quali affermano che le emozioni derivano da cambiamenti nella temperatura
del cervello che producono delle modificazioni locali nel rilascio dei
neurotrasmettitori.
4
Un’emozione è uno stato mentale caratteristico che ha luogo normalmente in
condizioni identificabili di elicitazione, ha parti distintive e conseguenze riconoscibili
(Ekman, 1984; Frijda, 1986; e Scherer, 1984).
11
Nella teoria centrale, invece, Cannon (1927), ha affermato che le
emozioni hanno un’ origine “centrale”, nella regione talamica
dell’encefalo.
La prospettiva di Cannon ha spinto, negli anni ’60, alcuni studiosi,
tra i quali Lazarus (1966), a formulare le cosiddette teorie
cognitive
5
.
La teoria di questo autore, detta fenomenologica, afferma che la
mediazione cognitiva e, in particolar modo, i processi di valutazione
dello stimolo, l’appraisal
6
, risultano essere un elemento
fondamentale nell’esperienza delle emozioni Scherer, 1984; 2001).
Frijda (1986),seguendo questa teoria ha definito l’emozione come
un processo suddiviso in cinque fasi:
1) codifica dell’evento;
2) valutazione della rilevanza (appraisal);
3) valutazione del significato;
4) preparazione all’azione
7
;
5
Cannon sosteneva anche che normalmente il talamo è soggetto ad un certo grado di
inibizione da parte della corteccia. Si hanno espressioni emotive di alta intensità solo
se questa inibizione viene rimossa. Queste considerazioni spiegano anche il carattere
involontario delle emozioni.
6
Non esiste una situazione fisica che dia luogo in modo sistematico a particolari
emozioni, poiché le emozioni dipendono dalle valutazioni di ciò che è accaduto in
relazione agli scopi e ai pensieri di ognuno (Oatley, 1992).
7
Il cambiamento nella preparazione all’azione si basa sulla valutazione di qualcosa
che sta avvenendo e che concerne degli elementi per noi importanti (Lazarus, 1966;
Frijda, 1986; Roberts, 1988).
12
5) azione.
Questa linearità delle emozioni è stata proposta anche da Scherer e
Leventhal (1987), secondo i quali le emozioni sono risposte
comportamentali complesse che riflettono l’attività di un sistema
multi-componenziale di processamento, organizzato in tre livelli:
sensomotorio, schematico, concettuale.
Anche il modello dei piani proposto da Schank e Abelson (1977),
definisce l’emozione come costituita da una serie di avvenimenti,
routine più o meno fisse che, però, riconoscono la presenza di
“deviazioni” che possono attivarsi in particolari circostanze o in
relazione alle caratteristiche di personalità del soggetto che
esperisce l’emozione.
Un’ altra teoria “sistemica” che considera il sistema cognitivo
costituito da una serie di moduli, è quella proposta da Oatley e
Johnson-Laird (1987).
Secondo questa teoria, infatti, ogni modulo è programmato in modo
da eseguire un particolare compito e in ciascun modulo è
rappresentata la conoscenza necessaria per raggiungere uno scopo
specifico.
13
Tutti questi moduli pur essendo relativamente autonomi tra loro,
sarebbero coordinati gerarchicamente.
La mente umana, però, oltre ad avere una certa organizzazione
innata, è capace di apprendere e, quindi, di assemblare nuove
procedure che potrebbero essere incongruenti con quelle
preesistenti.
Questo comporta dei problemi di coordinazione in un sistema
modulare che costruisce continuamente nuove parti di sé.
Nasce così, l’esigenza di processi che abbiano la funzione delle
emozioni.
Esse, infatti, portano questi problemi a livello di coscienza e, in
questo modo, permettono all’individuo di usare un modello di sé,
per cercare di coordinare i nuovi elementi con le parti esistenti del
sistema mentale (Oatley e Johnson-Laird, 1983).
Un secondo gruppo di teorie (Ekman, 1984; Argyle, 1975; Oatley,
1997; Johnson-Laird, 1987), può essere definito teorie differenziali
(Galati, 1993), in quanto ritengono sia possibile identificare
categorie emozionali differenziate, alcune delle quali sono primarie
e altre, invece, secondarie.
14
I sostenitori delle emozioni primarie, o di base, ritengono che questo
tipo di emozioni siano originate da un processo evolutivo che, nel
tempo, ha selezionato dei sistemi comportamentali adattivi in modo
da mobilitare le risorse dell’organismo per poter affrontare
efficacemente le richieste ambientali.
Ekman (1984), è stato uno dei propositori di questa visione delle
emozioni.
Egli, infatti, ha indicato alcuni criteri empirici che permettono di
distinguere ciò che è definibile come emozione di base da ciò che
non lo è
8
.
L’elenco aggiornato di queste caratteristiche ne presenta nove:
• presenza di distinti segnali non verbali;
• presenza in altri primati;
• distinte reazioni fisiologiche;
• presenza di eventi antecedenti distinti e universali;
• coerenza tra le risposte emozionali;
• rapida insorgenza;
• breve durata;
8
La dimostrazione potenziale del fatto che vi siano emozioni primarie proviene dalla
fenomenologia, dagli stati cognitivi di preoccupazione, dalle concomitanti
manifestazioni fisiologiche ed espressive, dalle condizioni elicitanti, dalle
conseguenze delle emozioni sulle azioni e dai modi in cui le emozioni si sviluppano
nell’infanzia (Oatley, 1997).
15
• valutazione cognitiva automatica;
• occorrenza spontanea.
Quindi, sono definite primarie o fondamentali tutte quelle emozioni
la cui espressione è universale, spontanea e quindi innata.
Il termine “universale” si riferisce al fatto che alcune emozioni sono
espresse allo stesso modo in culture diverse; mentre “spontaneo” si
riferisce al fato che l’espressione non può essere totalmente
controllata dall’individuo.
Alcuni autori, quali Argyle (1975), Chance (1980), Barret e Campos
(1984) sono concordi nell’identificare come emozioni primarie, o
fondamentali, la felicità, la paura, la tristezza, la rabbia, alle quali si
possono aggiungere sorpresa, disgusto e disprezzo.
In quanto tali le emozioni fondamentali sono vissute senza un
motivo apparente, possono presentarsi in modo aspecifico rispetto
alla situazione o all’evento che le evoca; al contrario, le emozioni
definite “complesse” (Oatley e Johnson-Laird, 1987) appaiono
legate ad una valutazione di sé.
Questo tipo di emozione, infatti, riflette un aspetto della situazione
e fa riferimento al modello del Sé a livello della coscienza.