della nostra città abbiamo affrontato vari argomenti: l’errore di ortografia (causato nei bambini
stranieri, e non solo, dalla confusione spesso presente nell’uso corretto di gl/l, h, c/q, z/s, c/cq,
p/b, t/d, doppie/scempie, essere/avere e dell'apostrofo); la suffissazione (attraverso la regola del
codino e del doppio codino) e la differenza tra nome e verbo. L’intero gruppo si è sempre riunito
in incontri extra per affrontare decisioni sul materiale da utilizzare, per organizzare il lavoro e
decidere le date utili per gli incontri da dover svolgere nella scuola assegnataci e io
personalmente, in qualità di capo gruppo, mi sono sempre tenuta in contatto con la Direttrice e la
referente della scuola, oltre che con la Prof.ssa Sardo e il Prof. Todaro in modo tale da coordinare
e svolgere al meglio il lavoro. Quando ho contattato per la prima volta la Direttrice della scuola
mi è stato chiesto di operare con due classi anziché una e così abbiamo avuto a che fare con una
prima e una seconda elementare; così operando abbiamo potuto notare le differenze di intervento
necessarie per le due classi dal momento in cui i bambini di prima elementare sono ancora molto
piccoli e hanno molte difficoltà nella lettura di un brano e soprattutto negli argomenti di cui ci
siamo occupate noi, mentre i bambini di seconda sono autonomi nella lettura e molto veloci nello
svolgimento degli esercizi, ma hanno comunque bisogno di qualche intervento di correzione.
Dovendo operare con due classi abbiamo dovuto modificare il nostro iniziale piano di lavoro,
abbiamo dovuto ridurre al meglio il lavoro da far svolgere in due ore ai bambini per poterlo
svolgere nell’arco di una sola ora per classe. L’unico problema che si è presentato in questo
percorso è stato il fatto che la Direttrice non ci ha dato il permesso per scattare foto o fare riprese
nelle classi e per raccogliere i fascicoli dei singoli bambini che mi sarebbero stati molto utili per
questo lavoro. Nella cooperazione con la ragazza di Scienze della Formazione mi sono occupata
di organizzare il materiale, di inventare la storiella da sottoporre ai bambini, il relativo gioco e di
realizzare il fascicolo che poi avremmo dovuto consegnare ad ogni bambino. Il fascicolo
2
includeva:
ξ un decifratore da me realizzato in cui ad ogni lettera dell’alfabeto corrispondeva un
disegnino;
ξ una storiella da completare attraverso l’uso del decifratore;
ξ degli indovinelli che ho cercato nei siti internet dedicati ai bambini, accanto ai quali
ho realizzato dei disegni a mano che rappresentavano la risposta in modo tale da
poter in qualche modo aiutare l’alunno nel trovare la soluzione e dargli la possibilità
di divertirsi nel colorarli;
2
Cfr. Appendice.
ξ le filastrocche e le storielle necessarie per la spiegazione corredate da disegni che i
bambini potevano colorare (tratte dal testo I cinque libri. Storie fantastiche, favole,
filastrocche di Gianni Rodari, disegni di Bruno Munari, Einaudi);
ξ la “Storia di un sassolino rosa” nella quale lo studente doveva scegliere tra due
opzioni alcune parole, dopo aver ascoltato la lettura del brano;
ξ il testo di alcune canzoncine da dover cantare insieme;
ξ una poesia da completare con verbi tolti precedentemente dal testo e che venivano
mimati dai compagni di classe a turno che dovevano far indovinare quante più
risposte possibili alla propria squadra;
ξ una tabella tripartita in colonne dove inserire i verbi scritti nella poesia a seconda che
si trattava di tempi passati, presenti o futuri.
I bambini con cui abbiamo operato erano 48 (24 in prima e 24 in seconda) e di questi
soltanto due erano bambini stranieri: frequentava la prima elementare una bambina della Florida
e la seconda un bambino di origini cinesi (nato però a Licata). E’ particolare la condizione di
quest’ultimo in quanto è l’unico della famiglia a parlare italiano infatti quando abbiamo parlato
del caso con le maestre ci hanno detto di avere enormi difficoltà nella comunicazione scuola-
famiglia. Al primo incontro con la classe ho riscontrato che la bambina frequentante la prima
elementare aveva, sull’argomento trattato, le stesse difficoltà di tutta la classe, mentre il bambino
cinese mi ha particolarmente colpito in quanto è stato il primo fra tutti a capire l’esercizio e
finirlo. Quando mi ha fatto vedere di averlo finito senza il mio aiuto ero abbastanza sorpresa e
così gli ho detto di proseguire il lavoro leggendo la storiella per intero e, dopo averla capita, farne
un disegno o colorare le immagini che trovava nel fascicolo nell’attesa che gli altri finissero e che
noi avremmo cominciato la spiegazione, ma in quel momento ho capito la difficoltà del bambino:
non sapeva leggere! Per un attimo ho esitato nel credere che fosse vero, ma poi ne ho avuto la
conferma e così mi ci sono dedicata cercando in qualche modo di insegnarglielo e cercando di
creare quello che mi ero comunque prefissata, cioè un rapporto diverso tra insegnante e alunno
che consentiva uno scambio tra me e il bambino in modo da fargli capire che lui non è diverso
rispetto a tutti noi.
Nel contatto diretto con la bambina della Florida, che in ogni occasione ha lavorato con me,
ho notato alcuni lati del suo carattere, ad esempio il fatto che non accetta le sconfitte. Questo si è
verificato particolarmente nel momento in cui, durante il terzo incontro, abbiamo diviso la classe
in due gruppi per fare il gioco del mimo e fargli così indovinare i verbi che avrebbero completato
la storiella consegnatagli. Alla fine la squadra da me gestita ha avuto un punteggio inferiore
rispetto all’altra squadra e anziché ricevere come premio una corona, ha ricevuto un medaglia.
Questo ha reso molto triste la bambina che si è addirittura messa a piangere. Ho percepito inoltre
in lei un particolare attaccamento alla mia persona in quanto sceglieva sempre di stare nei miei
gruppi e cercava a tutti i costi di stabilire un dialogo e farmi sentire quasi tutte le paroline
straniere che conosceva. A proposito di questa particolare attività posso registrare un
comportamento diverso tra le classi: è vero che sia in prima che in seconda la squadra perdente si
arrabbiava, ma è anche vero che in seconda c’era più cooperazione fra i bambini della stessa
squadra mentre in prima i bambini cercavano di prevalere sulle bambine un po’ più timide e
quindi si creava più confusione.
Nel contatto diretto invece col bambino cinese ho notato che lui è molto diffidente e timido,
infatti quando gli ho chiesto di dirmi qualche parolina nella sua lingua non me l’ha voluta dire,
ma poi ho scoperto che ai suoi compagnetti l’aveva detta e solo facendo finta di esserci rimasta
male sono riuscita a fargli dire qualcosa. Questa è stata per me una grande conquista. Altra
conquista è stata l’aver suscitato interesse e simpatia nei bambini tanto che ogni volta che
dovevamo andar via erano dispiaciuti e non vedevano l’ora che tornavamo.
Tutti i bambini hanno sin dal primo istante imparato i nostri nomi e ci chiamavano
“maestra”, ma per un migliore rapporto di cooperazione io dicevo loro di chiamarmi solo per
nome cosicché ho reso il lavoro come un gioco e non come un vero e proprio esercizio dal
momento che un bambino messo davanti a una prova che sarà poi oggetto di valutazione entra
automaticamente in soggezione. Per quanto riguarda l’ultimo incontro, dedicato alla realizzazione
di cartelloni inerenti gli argomenti trattati nei precedenti incontri, mi ritengo molto soddisfatta in
quanto il mio gruppo di lavoro (formato da 7 bambini) si è comportato abbastanza bene, tutti i
bambini stavano seduti così come li avevo disposti io a cerchio intorno ai banchetti uniti,
facevano il loro dovere senza fare baccano e si aiutavano a vicenda. In totale abbiamo fatto
realizzare ai bambini 6 cartelloni, 3 in prima e 3 in seconda (uno per ogni tutor), e per poterlo fare
siamo state costrette a non entrare tutte e sei nelle classi, ma solo tre per classe altrimenti ci
sarebbe stata troppa confusione. Per realizzare un cartellone piuttosto ordinato, prima
dell’incontro, ho disegnato su di esso delle cornici colorate all’interno delle quali i bambini
dovevano attaccare le fotocopie di alcune filastrocche e di qualche indovinello (con i relativi
disegni) utilizzate per la spiegazione dell'argomento che avrebbero colorato in classe. Inoltre ho
realizzato l’intestazione del cartellone e, come decorazione, ho scritto sparsi gli argomenti che
abbiamo trattato a lezione e ho dato poi la possibilità a ciascun bambino di colorarli. I bambini
hanno inoltre contribuito nelle decorazioni del cartellone facendo piccoli disegni su di esso. A
questo proposito aggiungo che durante l’attività una bambina di un altro gruppo è venuta
piangendo da me perché voleva collaborare col mio gruppo e per farla contenta ho fatto disegnare
qualcosa anche a lei e poi l’ho fatta firmare – grande soddisfazione per lei in quanto si è sentita
“speciale”. Alla fine di ogni incontro abbiamo dato un regalino a tutti i bambini: caramelle,
cioccolatini, corone, medaglie, e dopo l’ultimo incontro, una mollettina colorata con attaccato
sopra un animaletto o un mezzo di trasporto in legno come ricordo delle attività svolte insieme.
Prima di entrare nelle classi, consapevoli della presenza di alunni non italofoni in esse, ci siamo
documentate sull’insegnamento ai bambini stranieri: di conseguenza abbiamo snellito le unità
didattiche adeguando l’insegnamento al ritmo e alla necessità dei bambini cambiando
continuamente attività e siamo riuscite in tal modo di catturare a lungo la loro attenzione.
[…]
2. Esperienza 2007/2008: Istituto Comprensivo “F. Petrarca” - Catania
Nella seconda esperienza diretta che mi ha vista coinvolta nelle classi dell'Istituto
Comprensivo “Francesco Petrarca” di Catania nell'anno accademico 2007/2008, ho puntato la
mia attenzione in particolare sull'apprendimento del verbo da parte di alunni non italofoni. Quasi
contemporaneamente agli incontri che tenevo con gli studenti del suddetto istituto frequentavo un
laboratorio utilissimo nel campo dell'educazione linguistica e interculturale che mi ha molto
aiutata nella programmazione di altri interventi nelle classi dell'istituto.
2.1. “Percorsi di educazione pragmalinguistica e interculturale”: raccontare e
raccontarsi.
La mia seconda esperienza diretta con bambini frequentanti le scuole catanesi è andata di
pari passo con la partecipazione al laboratorio Percorsi di educazione pragmalinguistica e
interculturale, organizzato dalla Prof.ssa R. Sardo e dal Prof. L. Todaro, che ha visti impegnati
nell’anno accademico 2007/2008 la Facoltà di Lettere e Filosofia, la Facoltà di Scienze della
Formazione e l’I.C. “Campanella-Sturzo” di Catania. Esso si è basato su un accordo di rete
denominato “Raccontare, raccontarsi” che ha voluto rappresentare la possibilità concreta di
organizzare una modalità d’intervento strutturato in vista di un arricchimento e di una
qualificazione della progettualità formativa. Con questo progetto è nata la proposta di far
incontrare, intorno alla costruzione e alla co-gestione di percorsi educativo-formativi mirati e
condivisi, una pluralità convergente di soggetti istituzionali (Scuola – Facoltà Universitarie – Enti
territoriali), di dimensioni di azione e di ricerca scientifica, di strategie metodologiche-operative e
di dimensioni pratiche della formazione. Tutto questo proprio perché oggi la formazione
scolastica si muove all’interno della sfida proposta dalle grandi prospettive di cambiamento
socio-culturale del nostro tempo, caratterizzate da una crescente complessità nella circolazione
dei saperi e nelle relazioni d’interazione tra persone e sistemi della conoscenza.
In primo luogo si è scelto di parlare della narrazione in quanto questa rappresenta un
macro-contenitore valido come modello globale di riferimento e paradigma formativo
fondamentale e come centro di un percorso di educazione linguistica in chiave interculturale. Il
modello narrativo rappresenta la dimensione generale di snodo di specifici campi di intervento
educativo (linguistico, ludico-creativo, sociale, interculturale) che trovano comunque e sempre la
loro sintesi nella possibilità offerta ad ogni persona e ad ogni soggetto educativo di organizzare,
nel ‘raccontare’ e nel ‘raccontarsi’, non soltanto significati ed elementi di conoscenza personale,
ma anche valori propri di crescita affettiva, etica e relazionale. L’obiettivo finale è stato quello di
educare alla narrazione e all’ascolto delle memorie proprie ed altre, recuperare il valore
simbolico e il linguaggio evocativo, immaginifico, poetico-creativo del ‘narrativo’ e ritrovare la
propria risonanza nel mondo variegato e pluricodice del racconto. Tutti questi fattori consentono
ad una comunità scolastica, in relazione sistemica di condivisione, di essere un’autentica
comunità educativa, luogo di ricerca ed inclusione.
L’articolazione operativa del progetto intendeva svilupparsi intorno a quattro fasi di
riferimento:
ξ Formazione e incontri guidati tra docenti;
ξ Workshop, laboratori, spettacoli;
ξ Giochi e organizzazione di set narrativi in classe;
ξ Mostra ed esposizione dei prodotti finali.
La prima fase prevedeva la trattazione dei codici, dei linguaggi, delle pratiche e dei
significati della narrazione e le possibilità della sua concreta mediazione in un reticolo di azioni
formative.
Nella seconda si intendeva affiancare una sessione articolata di workshop e di momenti di
spettacolo (tenuti e condotti da riconosciuti autori della produzione editoriale e multimediale per
l’adolescenza e per l’infanzia) in modo da creare uno spazio di cross-over aperto tra docenti
scolastici, mondo accademico, universo autoriale, nonché tra noi studenti.
Con la terza fase si sarebbe dovuta offrire la possibilità concreta di organizzare micro-
esperienze e setting laboratoriali-educativi con la partecipazione diretta degli studenti tirocinanti
delle due Facoltà impegnate e con il coinvolgimento degli alunni delle classi dell’I.C.
partecipante al progetto. Tutto questo sotto la guida tutoriale dei docenti di ruolo abilitati nella
professione delle sezioni di Scuola dell’Infanzia e Scuola primaria dell’Istituto stesso secondo
modalità orarie concordate con la stessa scuola. Si trattava di organizzare e sperimentare
concretamente sul campo la possibilità di usare i linguaggi e le modalità della narrazione come
strategie del fare educazione, creando percorsi di lavoro variamente selezionati e studiati.
A conclusione delle attività si è raccolto il risultato dei lavori svolti in una mostra
conclusiva, riepilogativa dell’operosità prodotta ed espressiva degli esiti raggiunti, organizzata
presso l’ex Monastero dei Benedettini di Catania nel mese di Maggio 2008.
La prima fase del progetto è stata caratterizzata da incontri formativi presso l’Istituto
Comprensivo “Campanella-Sturzo” nei mesi di Marzo, Aprile e Maggio 2008 ed è stata divisa in
due nuclei tematici: modelli narrativi e modelli linguistici sotto vari aspetti (nei mesi di Marzo-
Aprile) e raccontare per immagini e suoni (nei mesi di Aprile-Maggio).
Nel primo incontro si è partiti dalla domanda: quale rapporto intercorre tra la narrazione e
la formazione? Oggi più che nel passato la narrazione è presente nella nostra cultura ed è la
cornice entro la quale tutta l’attività linguistica dell’uomo rientra. Nasce proprio dai sociologi
l’idea secondo cui le narrazioni hanno a che fare con tutta la cultura di una civiltà. Oggi non ci
sono più le grandi narrazioni in cui si credeva, ma le grandi narrazioni immaginarie che ci hanno
dato l’idea, il valore simbolico della nostra forma e della nostra identità sia a livello individuale
che collettivo. Ci sono alcune narrazioni che ruotano anche intorno a simboli e immagini per
darci regole di vita: le rappresentazioni sacre. La capacità di fondo del raccontare e del
raccontarsi è quella di immedesimazione e di riconoscimento nell’altro. Da questa capacità
scaturisce quella di leggere e scrivere un testo. Si è anche parlato dell’universo narrativo come
habitat riferendosi al fatto che all’interno delle narrazioni ci sentiamo a casa e in quanto uomini
siamo legati in modo molto stretto alla narrazione. Caratteri primari della narrazione sono la
diffusività e la precocità. Il raccontare è infatti una pratica che accompagna continuamente la vita
quotidiana dell’uomo che mostra, già a partire dall’età infantile, una speciale attitudine a
raccontare. Perché affidarsi alle narrazioni in classe? Perché i bambini hanno bisogno di sentirsi
raccontare delle storie e di diventare al più presto i soggetti protagonisti di una propria
pragmatica narrativa. A questo proposito si è parlato del grande Bruner e delle funzioni
significanti della narrazione: agentività (stabilire una relazione semantica tra agente-azione,
azione-oggetto, agente-oggetto, azione-luogo), straordinarietà (capacità di discriminare
l’ordinario e l’insolito), linearità (costruzione di una trama sequenziale secondo rapporti
temporali e causali). L’identità è il risultato di atti narrativi che cercano di ordinare in un racconto
una selezione dei sé possibili che vivono dentro di noi; è a questo proposito che si parla della
funzione narrativa come funzione centrale della costruzione del senso di identità personale.
In altri incontri si è discusso dei vari tipi di strumenti didattici da utilizzare in classe (ad
esempio libri illustrati e audiovisivi), dei tipi di linguaggio da usare a seconda della fascia d’età
degli studenti cui si propone l’attività didattica, dell’intercultura – riferendosi alle modalità di
intervento nelle classi dei nostri istituti che accolgono studenti stranieri e alle grandi possibilità
che offre la narrazione per un maggior inserimento del bambino che parla la nostra come seconda
lingua e dunque tende, all’inizio, a sentirsi un ‘diverso’ – , della didattica del melodramma e sono
stati proposti dei percorsi guidati per le classi mediante l’utilizzo del Libro degli errori di G.
Rodari o del format Tivà Tivù (progetto di sperimentazione televisiva per bambini condotto
nell’ambito dei laboratori didattici tenutisi presso la nostra Facoltà che si sviluppa a partire da
una ricerca interdisciplinare condotta dalla Prof.ssa R. Sardo, dai Prof. M. Centorrino, G.
Caviezel, A. De Filippo e A. Lizzio).
Dal Libro degli errori sono state lette, con la partecipazione diretta delle maestre
dell’istituto, alcune filastrocche che G. Rodari ha scritto sulla suffissazione, sui verbi ausiliari e
sull’uso del tempo dei verbi. Dopo queste letture è stato suggerito alle docenti dell’I.C. di fare
una sorta di raccolta-dati sui vari tipi di errori che i nostri studenti compiono nelle prime fasi di
apprendimento della lingua (e non solo). Si è proposto di attenzionare in particolar modo il
conflitto tra pronuncia regionale e ortografica, il sistema pronominale, il sincretismo morfologico,
l’uso degli ausiliari, la semplificazione del sistema verbale e la fraseologia.
Durante gli incontri è stata proposta inoltre la visione di alcune delle dieci puntate previste
dal format Tivà Tivù. Le puntate realizzate ruotano intorno a un nucleo tematico diverso con
esplicita funzione didattica oltre che di intrattenimento. Recuperando la dimensione dell’oralità
primaria, i vari personaggi protagonisti delle storie, hanno provato a instaurare un dialogo con i
bambini rendendoli protagonisti della televisione col bollino blu! E’ questo in sostanza quello che
si dovrebbe ricreare in ogni classe per un rapporto quanto più diretto con i bambini: renderli
partecipi e protagonisti del lavoro svolto.
2.2. Esperienza nelle classi dell’I. C. “F. Petrarca”
Nell'anno accademico 2007/2008 ho operato, come detto sopra, con le classi dell'I.C. “F.
Petrarca” di Catania. Questa volta ho programmato e condotto tutto il lavoro da sola ponendomi
come obiettivo principale l'osservazione dell'utilizzo e dell'apprendimento del sistema verbale da
parte di alunni non italofoni. Ho iniziato a programmare l'intervento didattico realizzando un
fascicolo da consegnare ad ogni singolo alunno.
Il fascicolo
3
era formato da:
ξ Carta d'identità!!! – attraverso la quale poter ricevere le informazioni utili al fine di
analizzare le difficoltà dello studente in rapporto all'età, all'origine e al tempo di
permanenza nel nostro Paese;
ξ scheda Quando ero piccola... (per le bambine) e Quando ero piccolo... (per i
bambini) – attraverso la quale ponevo lo studente di fronte alla dimensione del
raccontarsi, lasciandolo libero di scrivere qualunque cosa volesse raccontare sulla sua
infanzia (con l'obiettivo di fare usare verbi al tempo passato);
ξ scheda I verbi... – nella quale lo studente doveva collegare il verbo che indicava
un'azione o un verso di animali alla giusta immagine in modo da rilevare la
conoscenza dei significati di verbi di uso comune;
ξ scheda Completa la storia e metti in ordine le vignette (con la favola “Il leone e il
topo”) – nella quale lo studente era impegnato ad inserire negli spazi vuoti del testo il
tempo corretto del verbo posto all'infinito tra parentesi, esercizio utile per rilevare il
grado di conoscenza dell'uso dei tempi verbali;
ξ scheda Proviamoci... – contenente esercizi di grammatica italiana, ideati da me, che
ponevano lo studente davanti a varie prove più o meno difficili;
ξ scheda Raccontami una storia... – nella quale lo studente era posto davanti alla
dimensione del raccontare una storia, libero di decidere se inventare o raccontare una
storia già conosciuta.
Ho utilizzato tale fascicolo per lavorare con piccoli gruppi misti di bambini italiani e
stranieri in modo da non far sentire lo studente straniero differente dal resto della classe e posto
sotto osservazione. Ho lavorato con bambini di prima e terza media e di scuola elementare: una
bambina proveniente da Cuba e un bambino proveniente dalla Colombia frequentavano la prima
3
Cfr. Appendice.
media, un bambino originario di Santo Domingo frequentava la terza media e tre sorelline
polacche arrivate in Italia da appena una settimana erano inserite temporaneamente tutte insieme
nelle classi della scuola elementare. Ho lavorato con i bambini nelle ore pomeridiane di scuola
così da alleggerire loro la giornata ed evitare che, facendo un'attività di tipo ludico nelle prime
ore della giornata, avrebbero poi perso l'attenzione per le restanti ore di lezione. Confrontando i
lavori degli alunni italiani e di quelli stranieri ho potuto notare che avevano tutti più o meno le
stesse difficoltà in quanto i bambini italiani presenti nelle classi con cui ho lavorato sono per lo
più di matrice dialettofona e dunque anche per loro la lingua italiana è una sorta di “lingua
straniera”. Gli incontri venivano fatti in tempi differenti a seconda della classe. I gruppi di
bambini stavano seduti in cerchio attorno ai banchi appositamente sistemati e si creava così
un'atmosfera familiare che non metteva in soggezione nessuno dei partecipanti. Cosa abbastanza
positiva è stata l'attenzione catturata nei bambini e il rapporto che si è instaurato con me.