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Capitolo 1 Apprendimento di una LS
1. Principi glottodidattici.
“Più un docente parla, meno parlano gli studenti;
più un docente parla, meno gli studenti acquisiscono;
più un docente parla, più risulta evidente allo studente
che il vero protagonista della lezione è il ‘prof.’, non lui.”
Paolo E. Balboni
1.1 LS e L2.
La LS (lingua straniera) è una lingua appresa dopo la lingua madre, “tipicamente in
contesti scolastici, in un paese dove non viene parlata abitualmente” (Pallotti, 2003, p. 13).
Quindi una volta uscito dalla struttura scolastica (o universitaria) chi studia una LS
normalmente non la pratica e non è soggetto all’esposizione della LS. Mentre la L2 (lingua
seconda) è “una lingua appresa nel paese dove essa viene parlata abitualmente” (idem.).
Bettoni (2001, p. 3) identifica 3 criteri che differenziano la L2 (ma anche LS) dalla
L1: la cronologia (la si impara dopo la L1); la competenza (la si conosce meno bene); l’uso
(la si usa meno spesso).
Nel caso della LS l’input (vd. par. 1.4) in lingua straniera è fornito (direttamente o
con tecnologia didattica) dall’insegnante, che quindi sa che cosa è stato presentato agli
studenti e in quale misura, di conseguenza il docente è direttamente responsabile della
quantità e della qualità dell’input offerto ai discenti. E questo, da un certo punto di vista,
potrebbe rappresentare un vantaggio per il docente in quanto egli/ella può controllare
meglio il percorso dell’apprendimento del discente, seguendolo passo dopo passo.
1.2 Acquisizione guidata e acquisizione spontanea.
L’acquisizione guidata (o mediante istruzione) avviene solitamente “in un contesto di
istruzione esplicita, ed esempio mediante lezioni.” (Pallotti, 2003, p. 14). Un esempio di
acquisizione guidata potrebbe essere l’insegnamento della lingua cinese a studenti italiani
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in Italia. L’acquisizione spontanea, invece, si riferisce all’acquisizione della lingua “in un
contesto naturale, in cui nessuno la insegna esplicitamente ma tutti la usano nelle
interazioni” (Ibidem, p. 13). Ad esempio, un italiano che vive in Cina e che usa il cinese
nelle sue interazioni quotidiane senza frequentare corsi specifici di lingua cinese.
1.3 Input, intake e output.
Studiando una LS l’apprendente normalmente ha un contatto con la lingua piuttosto
limitato, ridotto a volte solo alle lezioni in classe e allo svolgimento di compiti a casa. Per
tanto appare di importanza assai rilevante offrire all’apprendente un’ampia quantità di
input - un insieme di materiale linguistico di lingua straniera con cui l’apprendente viene a
contatto (Ibidem, p. 13), sia durante la lezione sia dopo, per permettere ad esso un adeguato
sviluppo delle abilità ricettive (orale e scritta).
L’input che si offre agli studenti oltre ad essere ampio e ricco deve essere anche
comprensibile. Che cosa vuol dire l’input comprensibile? L’input comprensibile è tutto il
materiale linguistico
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che lo studente è in grado di capire partendo dalle conoscenze
acquisite in precedenza. Il concetto di input comprensibile è la parte integrante della teoria
di apprendimento naturale di Krashen (vd. cap. 1, par. 2.4, il Natural Approach).
Nella realtà dei fatti, purtroppo, non tutti i docenti di lingua ricorrono a questo
concetto, esponendo il discente a un input di gran lunga superiore alle sue reali capacità
con la pretesa di spingerlo a superare i propri limiti. E’ sbagliato? Non è sbagliato? Sta a
ogni singolo docente decidere come organizzare le proprie lezioni, ma rimane il fatto che
c’è chi va avanti malgrado le difficoltà, in altri, invece, tale input provoca l’ansia, lo
scoraggiamento e la sfiducia in se stessi. Oltre tutto, l’input che non sia comprensibile
raramente può diventare un intake, “quella parte di input a cui l’apprendente presta
attenzione” (Pallotti, 2003, p. 14) e che quindi può immagazzinare nella memoria (non
importa se sia a breve o a lungo termine).
Per output, invece, si intende tutto il materiale linguistico che l’apprendente
produce. Anche l’output, come i concetti sopra esposti, ha una sua importanza non
trascurabile nell’apprendimento. Ad esempio, favorisce il consolidamento delle
conoscenze acquisite in precedenza.
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Ma anche il contesto extra-linguistico, la gestualità, gli schemata (situazioni comunicative), ecc.
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1.4 L’interlingua.
Nel percorso dell’apprendimento verso la LS l’apprendente passa inevitabilmente per una
fase in cui la lingua che esso usa per esprimersi non corrisponde esattamente alla LS, ma è
una lingua intermedia che ha tratti sia della L1 sia della LS (e a volte anche di altre LS
conosciute). Questa particolare lingua in continua evoluzione prende il nome
dell’interlingua. Un ampia definizione dell’interlingua è data in Gass e Selinker (2001, p.
14):
The basic assumption in SLA [Second Language Acquisition] is that learners create a language
system, known as an interlanguage (IL). This consept validates learners’ speech, not as a
deficit system, that is, the language filled with random errors, but as a system on its own with
its own structure. This system is composed of numerouse elements, not the least of which are
elements from the NL [Native Language] and the [Teacher Language]. There are also elements
in the IL that do not have their origin in either the NL or the TL. These latter are called new
forms and are the empirical essence of the interlanguage.
Il concetto dell’interlingua è di fondamentale importanza nella didattica delle lingue.
L’interlingua è un sistema imperfetto, vale a dire è un sistema linguistico che omette
l’esistenza degli errori. E gli errori che compaiono nell’interlingua non sono
necessariamente segnali negativi che dimostrano l’incompetenza dell’apprendente, ma, al
contrario, all’occhio di un docente di lingua esperto, rivelano una quantità enorme di
informazioni utili tra cui lo stadio a cui si trova l’apprendente nel suo cammino verso la
lingua d’arrivo. L’atteggiamento che il docente può avere nei confronti dell’errore può
variare a seconda dell’uso che egli/ella intende farne: si può correggerlo, farlo correggere
dal discente stesso, invitare gli altri studenti ad aiutare il discente a correggersi oppure
annottare l’errore e usarlo in futuro per scopi didattici, infine, si può ignorarlo. Qualunque
sia l’uso che il docente deciderà di fare dell’errore, esso non è più visto come un “nemico”
dell’apprendimento, ma, anzi, negli ultimi tempi il significato dell’errore
nell’apprendimento è stato rivalutato e valorizzato, sicché esso sta diventando una fonte
assai utile per la didattica.
Lo sviluppo dell’interlingua nell’apprendimento di una lingua come LS è
certamente più lento rispetto a chi studia la lingua trovandosi in un paese dove essa è
utilizzata nell’interazione di tutti i giorni, quindi dove l’apprendente ha maggiori
possibilità e occasioni per mettere in pratica le conoscenze acquisite/apprese a lezione. Da
qui segue l’importanza che il discente di LS abbia a propria disposizione una cospicua
quantità di materiale in lingua.
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1.5 La modularità.
È utile anche sottolineare che l’acquisizione di una LS non è un processo unico e lineare,
come conferma di questa affermazione vi è il concetto di modularità. La modularità
comprende le quattro abilità linguistiche e sono: ascoltare, parlare, leggere e scrivere.
Ciascuna di queste abilità è un modulo con proprie caratteristiche particolari. Come scrive
Bettoni (2001, pp. 10-11):
“In primo luogo, la modularità spiega come mai i risultati dell’apprendimento possano variare
anche profondamente secondo il modulo considerato. […] In secondo luogo, la modularità
suggerisce che l’intervento per rendere più efficiente l’apprendimento posso (ma anche debba)
variare secondo il modulo.”
Bisogna dire, però, che la suddivisione di queste quattro abilità non è così netta come
si potrebbe pensare (e come generalmente si pensa). Infatti, Balboni (1998, p. 12) dice che:
l’abilità di dialogare, ad esempio, non può essere intesa come una semplice somma di
ascoltare e parlare, né quella di riassumere risulta da una semplice giustapposizione di una
fase di lettura ed una di scrittura.
e così distingue le “abilità primarie” (ascoltare, parlare, leggere e scrivere) e le “abilità
integrate” (dialogare, riassumere, prendere appunti, tradurre ecc.).
1.6 Teoria, approccio, metodo, tecnica.
Nel paragrafo seguente parleremo degli approcci menzionando le varie teorie sulle quali
sono fondate (o dalle quali prendono la loro origine), mentre negli ultimi due capitoli
useremo i termini tecniche e metodi. Ma che cosa sono esattamente una teoria, un
approccio, un metodo e una tecnica? Nell’utilizzo di tali vocaboli ci atterremo alle
definizioni date ad essi da Balboni (2008, p. 23 e segg.) secondo cui:
• le teorie forniscono alla glottodidattica delle basi su cui poggiare e sviluppare il
proprio pensiero;
• gli approcci per essere tali devono avere una propria idea di lingua, di cultura, di
persona, di insegnante nonché le finalità dell’educazione linguistica;
• un metodo è un insieme di principi metodologico-didattici che traducono un
approccio in modelli operativi, in materiali didattici, in modalità d’uso delle
tecnologie didattiche, in modelli di relazione insegnante-studenti e studenti-studenti;
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• le tecniche sono le azioni didattiche che vengono utilizzate per raggiungere un
obiettivo.
Va, però, precisato che tali definizioni non sono affatto universalmente condivise nel
mondo della glottodidattica e ci servono soltanto come punti di riferimento per il presente
lavoro.
2. Approcci nella didattica delle lingue.
“dimmi… e io dimentico,
mostrami… e io ricordo,
fammi fare… e io imparo.”
Confucio
2.1 Osservazioni generali.
Gli approcci nell’insegnamento delle lingue sono molteplici e ciascuno di essi pone più o
meno attenzione ad alcuni aspetti della didattica e ne tralascia degli altri. Difatti, negli
ultimi tempi si tende ad escludere l’idea di un approccio globale che sia adatto a tutte le
situazioni che si presentano nella didattica delle lingue, ragion per cui ci si avvia ora verso
una didattica alquanto flessibile nella scelta dell’approccio. Di conseguenza, è
fondamentale per un docente di lingua sapere tutti gli approcci glottodidattici per
adoperarli in modo consapevole e mirato.
Gli approcci si potrebbe riunire in tre gruppi:
• approcci tradizionali: strutturati e relativamente rigidi, centrati più sulla lingua
che sulla pedagogia (cioè sull’apprendente).
• approcci alternativi (o umanistico-affettivi): più flessibili, variamente strutturati,
fondamentalmente centrati sull’apprendente e gli aspetti pedagogici;
• approcci misti: relativamente poco strutturati, attenti sia agli aspetti linguistici
pratici sia alle caratteristiche dell’apprendente.
Gli aspetti sotto i quali si potrebbe analizzare gli approcci sono molti per cui mi
limiterei a indicarne alcuni i quali ci serviranno da guida nella nostra analisi:
a) La maniera di insegnare:
• in maniera deduttiva, cioè spiegando subito le regole e facendole poi
applicare attraverso esercizi e altre forme pratiche;
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• in maniera induttiva, cioè partendo da molti esempi e lasciando che le
regole vengano applicate a mano a mano che si chiariscono nella mente
dell’apprendente, senza una vera e propria spiegazione;
• in maniera costruttivista, cioè lasciando che l’apprendente scelga cosa
imparare, costruendosi un proprio sistema di riferimento con l’aiuto
dell’insegnante.
b) Il ruolo dell’insegnante:
• l’insegnante direttivo (autoritario), che assume un ruolo molto deciso nella
classe, ne organizza le attività e impone a ciascuno quello che deve fare (in
generale è anche visto come il “depositario del sapere” che cala da sopra
verso il basso le conoscenze);
• l’insegnante facilitatore (facilitatore dell’apprendimento), che ha un
ruolo molto più morbido, lascia molta libertà agli apprendenti, ne segue le
esigenze e interpreta i bisogni, è vicino a loro più come un consigliere che
come una figura dominante. In questa prospettiva il sapere viene ricercato e
costruito insieme agli apprendenti.
c) Il ruolo dell’apprendente.
• Attivo. L’apprendente prende attivamente parte nella lezione, svolgendo
esercizi e attività pratici, si sente coinvolto nella lezione.
• Passivo. L’apprendente si limita ad ascoltare l’insegnante ed esegue
passivamente le istruzioni dell’ultimo.
d) L’interazione tra gli apprendenti nella classe.
• È prevista. Gli apprendenti interagiscono tra loro assistendo l’un l’altro e
svolgendo attività ed esercizi insieme.
• Non è prevista. Gli apprendenti non interagiscono tra loro durante la
lezione.
2.2 Approcci deduttivi.
Approccio grammaticale-traduttivo (1770-1882)
L’approccio grammaticale-traduttivo è basato prevalentemente sulla lingua letteraria,
quindi è incentrato sulla lingua scritta, esso segue la progressione grammaticale la quale
appare come fondamento su cui costruire le altre competenze, infine, ricorre
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continuamente alla L1 che adopera per fare attività di traduzione e di confronto con la
lingua d’arrivo (Balboni, 2008).
Sapere una lingua, secondo la teoria, significa conoscere le sue caratteristiche,
saperla descrivere. La tecnica di insegnamento utilizzata è quella deduttiva con il ricorso ai
seguenti tipi di esercizi: la ricostruzione della lingua straniera e la formazione di frasi
tramite applicazione di regole; traduzione dalla lingua straniera e nella lingua straniera;
lettura in lingua; riassunto e tema in lingua, dettato.
Pro e contro. I vantaggi sono dalla parte dell’insegnante in quanto questo metodo
non richiede competenza linguistica pratica particolarmente elevata e può quindi essere
adottato abbastanza facilmente anche da insegnanti non di madre lingua. Inoltre,
l’insegnante può semplicemente seguire un libro di testo ben strutturato senza affiancare ad
esso alcuna integrazione.
I vantaggi (relativi) per lo studente può costituire il fatto che la spiegazione su come
funziona la lingua straniera avviene nella L1 del discente (è di grande conforto per gli
apprendenti adulti che ne ricavano un senso di sicurezza), inoltre, l’apprendente si può
affidare completamente all’insegnante per quanto riguarda l’organizzazione della didattica.
Gli svantaggi sono quasi tutti dalla parte dell’apprendente poiché egli non ha
accesso rapido alla lingua e a quella di uso comune quindi spesso si trova in difficoltà
quando deve comunicare in LS e a interagire con parlanti nativi. A questo generalmente si
abbina una cattiva pronuncia. Inoltre, pur conoscendo molti vocaboli e le regole
grammaticali, non conosce il contesto in cui vanno utilizzati. Ciò che riguarda la cultura,
egli ne ha una visione limitata e legata alla lingua stessa: ne conosce gli aspetti “nobili” ma
non le abitudini di tutti i giorni, le formule correnti, la cultura giovanile o popolare. In
conclusione, si può dire che l’apprendente ha una conoscenza astratta della LS e ne ha poca
pratica, un po’ come per le lingue classiche da cui il metodo deriva la sua impostazione.
Ecco come parla del metodo grammaticale-traduttivo Balboni (2002, p. 237):
È l’approccio che ha dominato la scuola italiana almeno fino agli anni Settanta e che ancora
domina molte università. In questo approccio sono cresciuti, nella maggioranza dei casi, i
docenti di lingue e quindi è questo approccio che inconsapevolmente essi tendono ad applicare,
pur integrandolo con approcci più comunicativi.
Approccio cognitivo
Il metodo cognitivo nasce dalla teoria cognitiva di N. Chomsky come risposta agli approcci
comportamentistici che vengono aspramente criticati perché “concepivano
l’apprendimento come lo sviluppo di una serie di ‘abitudini’ in seguito al condizionamento