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INTRODUZIONE
Questa tesi di laurea nasce da una serie di dubbi, domande e coincidenze in
cui mi sono imbattuta durante la lettura di The Waste Land di T.S. Eliot e delle
svariate opere letterarie di Cesare Pavese.
Due autori molto diversi, con vite personali e intellettuali che hanno preso
vie difformi, ma che entrambi si sono imbarcati in un non troppo dissimile viaggio
agli inferi della società e della mente umana, arrivando poi a risultati a volte simili
e a volte opposti.
Ho intrapreso la lettura di Pavese successivamente a quella di Eliot e al
suo studio accademico, e fin da subito ho ravvisato delle somiglianze stupefacenti
tra i due autori. Ho iniziato allora un mio personale viaggio negli inferi delle loro
opere, cercando delle prove che potessero avvalorare le mie idee: la prima
scoperta è stata la comune fonte antropologica utilizzata per i loro scritti, cioè The
Golden Bough di James George Frazer, di cui riprendono molto spesso gli stessi
capitoli e gli stessi insegnamenti. Da questa rivelazione, ho iniziato a voler
analizzare in modo approfondito quanto dell’insegnamento di Eliot, il quale fu
colui che utilizzò in modo più esplicito e massiccio il lavoro di Frazer nella sua
opera e lo presentò al mondo letterario, potesse essere filtrato, direttamente o
indirettamente, nell’opera di Cesare Pavese.
Io e la mia relatrice Giuliana Ferreccio, che ha coraggiosamente accettato
la sfida, ci siamo trovate di fronte ad una materia ampia e problematica,
soprattutto per la mancanza di studi precedenti che mettessero a confronto i due
autori: questi due scrittori, infatti, rimangono ancora distanti e incongruenti per la
critica e mai comparati sulle tematiche comuni, se non per brevi allusioni che non
vanno oltre le poche righe e mai veramente approfondite.
Lo scopo della tesi è quindi quello di cercare cosa del master-piece di T.S.
Eliot sia presente nelle variegate opere letterarie di Cesare Pavese, concentrandosi
soprattutto su alcune che sono sembrate più significative per questo studio, cioè
Dialoghi con Leucò, Feria d’agosto, La luna e i falò e Lavorare stanca.
Il lavoro è organizzato in quattro capitoli.
6
Nel primo capitolo vengono cercati e analizzati i riferimenti ai riti di
fertilità e di rinascita presenti in The Waste Land, sottolineando gli aspetti che
torneranno nei libri di Pavese.
Nel secondo capitolo vengono presentate le tematiche “primitivistiche” e
dei rituali ancestrali in Pavese, compiendo continui rimandi con l’opera dello
scrittore anglo-americano, entrando quindi nel vivo della ricerca di cosa di
eliotiano ci sia in Pavese.
Il terzo e il quarto capitolo hanno rispettivamente la stessa impostazione
dei due precedenti, ma il tema analizzato è quello del mito classico, di come i due
autori l’hanno utilizzato e sotto quale luce i due autori l’hanno riscritto nel
contemporaneo.
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CAPITOLO I
T.S. ELIOT: LA MORTE ERA SOLTANTO IL
PRINCIPIO
I.1 Riti primitivi in T.S. Eliot: il passato oscuro dell’uomo contemporaneo
Leggere The Waste Land equivale molto più che per altre opere a mettersi
in discussione, a operare uno sforzo su se stessi, non solo per capire cosa l’opera
stia cercando di farci vedere, ma anche per sentire quello che l’opera scatena nella
nostra mente. T.S. Eliot ci propone un viaggio negli Inferi, cioè nelle zone più
recondite della nostra mente: come uno psicanalista che cerca di penetrare nel
nostro inconscio per aiutarci a risolvere traumi e conflitti, il poeta vuole aprire la
nostra mente per farci giungere ai punti più oscuri e nascosti di noi, dove
risiedono il passato e gli archetipi che ci portiamo con noi da un mondo
dimenticato.
Per tutta l’opera traspare un tema di fondamentale importanza che ritorna
ciclicamente, come faceva nella realtà tangibile dei nostri antenati: i riti di
fertilità. L’ossimoro che si crea accostando questo tema al titolo dell’opera, ci
conduce ad un elemento imprescindibile della vita, cioè la morte. La Waste Land,
la Terra Desolata, è il luogo dove nulla può più crescere, dove la vita non ha più
senso di essere.
Ma non sempre è stato così. Prendendo le mosse dalle opere di Jessie
Weston
1
e di James Frazer
2
, ai quali Eliot afferma di essere grato
3
, l’autore ci
1
Jessie Weston, From Ritual to Romance, Cambridge, Cambridge University Press, 1920
2
James Frazer, Il Ramo d’Oro, vol. I-II, Milano, ed. Boringhieri, 1973
3
“[…] Il libro di Miss Weston spiegherà le difficoltà del poemetto molto meglio di quanto
possano fare le mie note […] Verso un’altra opera di antropologia sono indebitato in generale, cioè
The Golden Bough; mi sono servito in particolare dei due volumi Adonis, Attis, Osiris. Chiunque
abbia dimestichezza con queste opere riconoscerà immediatamente nel poemetto certi riferimenti
ai riti della vegetazione”. (T.S. Eliot in T.S. Eliot, La Terra Desolata, a cura di Alessandro
Serpieri, Milano, Ed. Rizzoli, 1922 (reprinted 2007)
8
mostra com’era concepita la morte nel passato e i riti sacrificali di fertilità a cui
erano fortemente legati, infatti “sacrifice, even the sacrificial death, may be life-
giving, an awaking to life”
4
. La morte era quindi soltanto il principio, un momento
che non segna la fine della vita, ma uno dei passaggi che scandiscono il ciclo
perenne di morte-rinascita, il quale è uno degli “archetipi che si trovano al fondo
delle buie profondità dell’anima, e queste sono le forme in grado di garantire
ordine e unità all’ “immenso panorama di anarchia e futilità’ che è la storia
umana”
5
. Da ciò si evince che questo ciclo non è “metafora della vita
contemporanea”, ma fa parte dei “contenuti originari che si vuole riscoprire”
6
.
Questi contenuti originari fanno parte dell’immenso patrimonio chiamato
tradizione, che per quanto riguarda i riti di fertilità non si ferma a quella di un
singolo popolo, ma è quello comune a tutta l’umanità. La tradizione può essere
recuperata solo dalla poesia, “erede del pensiero selvaggio”
7
, essendo l’unica
forma che crea un collegamento diretto tra uomo e mondo esterno. Ma non è un
recupero ovvio, infatti lo stesso Eliot afferma che essa “cannot be inherited, and if
you want it you must obtain it by great labour”
8
; è un percorso che il poeta, e
anche il lettore in un certo senso, devono compiere, ma che mai porterà al
significato ultimo della poesia e della tradizione.
Allora, tornando ai riti, non è possibile nemmeno una loro interpretazione,
infatti “in a graduate-student paper intitled ‘The Interpretation of Primitive Ritual’
composed 1912-13, Eliot establishes a dinstiction between fact and
interpretation”
9
; per l’autore è più proficua la comparazione, dato che necessita
solo del fatto. Importante è accettare il rito come tangible entity
10
che non siamo
più in grado di comprendere a fondo, non per una nostra mancanza intellettuale,
4
Cleanth Brooks, “The Waste Land: Critique of the Myth”, in Critical Essays on T.S. Eliot’s The
Waste Land, a cura di L.A Cuddy & D.H. Hirsch, Boston, ed. G.K. Hall & co., 1991, p. 88
5
Fabio Dei, La discesa agli inferi, Lecce, ed. Argo, 1998, p. 341
6
Dei, Ibidem.
7
Dei, Id., p. 336
8
T.S. Eliot, Tradition and the Individual Talent,
<http://www.engramma.it/eOS/index.php?id_articolo=444> , 1922, agg. Marzo 2013 [ultima cons.
19/04/2013]
9
Marc Manganaro, Myth, Rethoric, and the Voice of Authority, New Heaven, ed. Yale University,
1992
10
Cfr. Manganaro
9
ma al contrario per il nostro “troppo” sapere: il processo storico-culturale ha
caratterizzato l’uomo moderno e portato l’uomo alla Waste Land. Lo stesso Eliot
cita ancora nel suo saggio sulla tradizione “The dead writers are remote from us
because we know so much more than they did”; questa affermazione vale non
solo per la poesia in sé, ma anche per la cultura in toto: “Eliot, as the good
comparativist, tears the texts of the ideal order from their original cultural and
authorial contexts, so that they lose their old ‘meanings’ as they are fitted into the
pyramid whose eye, at top, is Eliot”
11
.
Anche Pavese avrà un’idea simile, quando affermerà nel suo diario “un
mito per essere storicamente legittimo va creduto al suo tempo”
12
: il significato
originario del mito, o del testo, ha validità nel tempo in cui è nato,
successivamente esplode in “molteplici fioriture”
13
, che si accavallano e uniscono
ai significati passati cambiandoli a seconda del contesto in cui vengono formulati.
Quindi sempre nuove interpretazioni, mai l’interpretazione finale che
spieghi il significato che i riti avevano al tempo in cui facevano parte della vita
quotidiana dell’uomo. Anzi, quella sarebbe un’operazione “pericolosa”: parlando
in Notes
14
delle culture primitive, Eliot dice che lo studioso-antropologo deve
viverne l’esperienza, ma non praticarla, poiché “the man who” ad esempio “in
order to understand the inner world of a cannibal tribe has partaken the practice of
cannibalism, has probably gone too far: he can never quite be one of his own folk
again” e aggiunge in nota “Joseph Conrad’s Heart of darkness gives a hint of
something similar”
15
.
Infatti, nell’opera di Conrad Kurtz è l’uomo che prende parte totalmente
alla civiltà tribale e che non può più far parte della sua gente, portandosi infine
alla distruzione. Marlow è invece “un eroe della civiltà occidentale” poiché “come
Odisseo ascolta il canto delle sirene ma non può permettersi di seguirne il
11
Manganaro, Id., p.79
12
Cesare Pavese, Il mestiere di vivere, Torino, ed. Einaudi, 1952 (riedizione 2000), p. 43
13
Cesare Pavese, Feria d’agosto, Torino, ed. Einaudi, 1946 (riedizione 2002), p. 151
14
T.S. Eliot, Appunti per una definizione della cultura [trad. Giorgio Manganelli], Milano, ed.
Bompiani, 1948 (reprinted 1952)
15
Eliot, Appunti, id., p. 42
10
richiamo”
16
; è colui che, come se seguisse il consiglio di Eliot, non si fa avvincere
dalle profondità infernali della mente umana, ma semplicemente le rievoca come
nostro passato non più recuperabile, e che perciò viene degradato nel nostro
mondo.
Non a caso, forse, Eliot aveva scelto come epigrafe di The Waste Land una
citazione di Conrad – “The horror, the horror” – quasi a segnalare un legame con
l’opera precedente
17
.
Come il viaggio di Marlow era un viaggio negli inferi della società, anche
l’opera di Eliot è un invito a scrutare l’oscurità dell’umano, non solo per
conoscere la verità, ma soprattutto per “rifondare la cultura”, “far emergere un
nuovo ordine” e “rendere il mondo moderno possibile per l’arte”
18
.
Cesare Pavese descrive il fare poesia proprio con questa immagine della
catabasi, poiché è grazie ad essa che il poeta raccoglie i simboli che gli serviranno
a costruire la sua opera.
Sarà un discendere nella tenebra feconda delle origini dove ci accoglie
l’universale umano, e lo sforzo per rischiararne un’incarnazione non mancherà di
una sua faticosa dolcezza. Si tratta di cogliere nella sua estasi, nel suo eterno, un
altro spirito. Si tratta di respirarne un istante l’atmosfera rarefatta e vitale, e
confortarci alla magnifica certezza che nulla la differenzia da quella che stagna
nell’anima nostra o del contadino più umile
19
Fare poesia e conoscere se stessi attraverso i simboli, prendendo coscienza
che tutta l’umanità ha una tradizione simbolica comune. L’autore piemontese
sembra quindi molto vicino alle idee di T.S. Eliot riguardanti i riti primitivi, infatti
per quanto distante dalla poetica modernista […], egli vi è accomunato proprio
per il costante tentativo di incorporare nei suoi romanzi la dimensione del mito,
inteso come modello universale e atemporale di ordinamento dell’esperienza,
nonché come richiamo a un’autenticità perduta.
20
16
Dei., id., p. 367
17
Verrà poi sostituita su consiglio di Ezra Pound con quella della Sibilla
18
Dei, id., p. 341
19
Pavese, id., p. 160
20
Dei, id., p. 386
11
Nell’opera di Eliot questa autenticità perduta porta il poeta a mostrare il
passato come viene percepito, usato e trasformato nel mondo contemporaneo,
portandolo necessariamente alla sua degradazione e al suo svilimento.
Analizzeremo in modo approfondito le loro somiglianze nel prossimo
capitolo, ora ci concentreremo sull’opera di Eliot.
I.2 The Burial of the Dead
Con il celeberrimo inizio, il poeta ci mette subito davanti al tema
accennato precedentemente: la morte che non porta a rinascita. Aprile è
tradizionalmente il mese primaverile per eccellenza, quello in cui la natura
resuscita dopo la morte invernale; è dunque ovvio che durante questo periodo si
concentrino i riti di fertilità e di rinascita di tutte le culture. Definire questo mese
come crudele è paradossale, perché si nega “il momento della gioia e della festa
per la rinascita della vita”
21
.
Ma il paradosso viene “spiegato” dalle parole del poeta “winter kept us
warm”, poiché viene segnalato il cambiamento negli uomini contemporanei, i
quali “dislike to be roused from their death-in-life”
22
. Il ciclo morte-rinascita
viene interrotto per volontà dell’uomo stesso, che forse si sente più protetto nella
morte.
“Mixing memory and desire” è una frase importante per il suo contenuto
pregnante, in quanto il poeta con queste parole ci dice cosa andrà a fare per tutto il
resto del poemetto: aprile, cioè l’arrivo della primavera, mescola passato
(memory) e futuro (desire), creando “il dramma del presente”
23
.
Eliot con quattro parole afferma che l’uomo è un bagaglio di ricordi che
sempre si porta con sé, che quindi gli archetipi della tradizione rimangono sempre
in lui per tutta la durata della sua vita, ed escono fuori dall’oscurità scontrandosi e
fondendosi con quello che l’uomo si aspetta per il futuro e in questo modo
21
Note di Serpieri a The Waste Land, in T.S. Eliot, id., p. 96
22
Brooks, id., p.89
23
Serpieri, ibidem.