18
Il Marocchino, rispetto all’arabo classico, è caratterizzato dall’assenza delle
vocali brevi, l’unica che resiste è la u, oltre a ciò, spesso le vocali convergono in un unico
suono indistinto, ə, mentre spesso le vocali lunghe diventano brevi.
Il Marocchino è caratterizzato da un consistente numero di consonanti che presentano
una variazione allofonica minima, e da uno scarso numero di vocali con un discreto grado
di allofonia.
Le vocali invece, presentano un moderato grado di allofonia e complessi processi di
sillabazione basati su vincoli che operano in funzione della categoria grammaticale.
Inoltre, rispetto all’arabo classico non sussiste più la differenziazione tra ظ e ض, che in
trascrizione fonetica diventano rispettivamente ẓ e ḍ, ma in marocchino confluiscono
entrambe nel fonema ḍ, per quanto riguarda la ث e la ذ, rispettivamente ṯ e ḏ che
convergono in t e d.
I.1.1 L’arabo classico, le teorie sulla sua nascita
Inizialmente utilizzato per indicare le popolazioni nomadi che abitavano
la zona centrale della Penisola arabica ,il termine ‘arab è uno dei più antichi della storia
del linguaggio . La prima attestazione di questo concetto è un’iscrizione assira in
cuneiforme utilizzata per indicare un esercito nemico, presente nella stele di
Shalmaneser
1
del 853 d.C. Generalmente si può affermare che tale accezione indica dei
nomadi erranti per il deserto , la cui presenza è dimostrata dalla differenziazione
linguistica esistente tra dialetti urbani e beduini; per di più si ritiene che le popolazioni
beduine siano le custodi dell’ essenza della lingua araba.
1
Monumento assiro alto 2,2 metri, contenente, nella sua parte finale, una descrizione
della battaglia di Qarqar, Le iscrizioni su questa stele descrivono i primi sei anni del regno del re
assiro Salmanassar III.
19
Verso il V secolo d.C. l’arabo emerse inizialmente come lingua della poesia
preislamica e del Corano, prima di allora rimase nascosto in un antro sperduto della
Penisola Arabica. Nell’Arabia preislamica si diffusero il Nordarabico, nella zona che
comprende l’Arabia settentrionale, la Mesopotamia meridionale e la parte nordorientale
dell’Arabia, e il Sudarabico, a Sud, specialmente nell’attuale Yemen.
La semitistica si suddivide in due correnti di pensiero : la prima appoggiata da
Ferguson afferma l’esistenza di una koinè
2
protodialettale nata dalla fusione delle
differenti parlate militari, considerata lingua colloquiale dell’impero arabo e formatasi
spontaneamente assieme alla fuṣḥā
3
, reputata la forma letteraria della lingua parlata. La
seconda sostenuta da Fuck e Veerstegh
4
ritiene che l’arabo della poesia preislamica sia il
medesimo di quello parlato quotidianamente , ma che dopo l’espansione araba al di fuori
della penisola, i popoli conquistati iniziarono a parlare con i conquistatori, una lingua che
non era né la loro né l’arabo un Pidgin , ovvero una lingua semplificata derivante dal
contatto di diverse lingue , che viene parlata fra gruppi socio-culturali che interagiscono
tra loro in diverse circostanze, e il cui utilizzo è limitato a certi ambiti.
L’arabistica ha rifiutato la teoria veersteghiana, sostenendo quanto fosse
insolito che ad essere pidginizzati non furono soltanto le campagne siriane e nordafricane,
ma anche i dialetti del Najd
5
. Anche se si potrebbe parlare di veicolarizzazione
2
Termine greco utilizzato per indicare una lingua comune, come uso linguistico accettato e
seguito da tutta una comunità nazionale e su un territorio piuttosto esteso, con caratteri
uniformi. (Treccani, consultato il 12 settembre 2022 url:
https://www.treccani.it/enciclopedia/koine/#:~:text=koin%C3%A8%20Lingua%20comune%2C%
20come%20uso,%2C%20territorialmente%20limitati%20e%20disformi).
3
Ovvero lingua araba classica, pura , letteraria derivante dall’aggettivo elativo afṣaḥ che significa
purezza nel linguaggio, eloquenza, proveniente a sua volta dal sostantivo faṣīḥ
4
Petrantoni, G. (2011), 285–307.
5
Regione del centro dell'Arabia Saudita.
20
linguistica, che avviene quando ad un popolo viene imposta una lingua differente , che
sarebbe la contrattazione operata dagli autoctoni, consistente in una semplificazione e in
un’aderenza alla L1.
Basandosi sull’analisi linguistica del Corano, l’arabista tedesco Karl
Vollers, affermava tenacemente e coraggiosamente, che il testo sacro, posteriormente alla
morte del profeta, venne corretto basandosi sulla lingua poetica, dato che Muḥammad era
analfabeta e perciò non poteva padroneggiare la fuṣḥā. Sconsideratamente lo studioso
affermò quanto sopra sostenuto nel 1905, durante un congresso ad Algeri, e questo per
ovvie ragioni, destò non solo scalpore, ma anche e soprattutto indignazione nel pubblico
islamico
6
. Vollers teorizzò l’esistenza di due gruppi dialettali proto-islamici l’Hijazeno,
che avrebbe dato vita alle parlate popolari e simile ai dialetti odierni, e il Tamimita, base
della lingua classica e letteraria. Appoggiando quanto detto, si può affermare che la
rivelazione coranica sarebbe avvenuta nel dialetto del Profeta, perciò in una lingua
accessibile al volgo
7
. La questione proposta da Vollers, non venne ampliamente
analizzata in quanto la ricerca scientifica incontrava e si scontrava con la religione; infine
lo studioso ebreo tunisino David Cohen, considerava invece la koinè come un punto di
arrivo, in quanto riconosceva che i dialetti presentati non potessero non essere risultanti
da diverse parlate della medesima lingua, relativa a tempi, ceti sociali, regioni e ambienti
differenti, raggruppate e convergenti, ciò è stato favorito da: il senso di appartenenza ad
una comunità araba, dalla diffusione della fuṣḥā a tutti gli strati della popolazione,
mediante mezzi di massa, dall’intensificazione dei contatti tra alloarabi
8
, benché esiste
questa molteplicità di teorie, ancora oggi , non si ha la certezza su quale sia l’origine
della fuṣḥā.
6
DURAND,O. (2009), pp.87-93.
8
Ovvero delle persone arabe che non parlano il medesimo dialetto.
21
Successivamente alla morte del profeta Muḥammad, il Califfato si espanse e
perciò la lingua araba, si diffuse anche nell’Asia anteriore e centrale, in Nordafrica , nella
Penisola Iberica e in Sicilia
9
. Nonostante i propagatori della lingua siano analfabeti,
giungono nei territori conquistati, accompagnati dal Corano, che funge da astrato
10
.
L’arabizzazione al di fuori dell’Arabia avvenne mediante due ondate, la prima operata da
contingenti militari intorno al VII secolo d.C. la seconda invece da gruppi arabofoni
beduini.
I.1.2 La diglossia
La diglossia è una particolare situazione sociolinguistica che caratterizza le
società arabe, consiste nello sdoppiamento dell’idioma arabo in due varietà ben distinte,
l’eloquentissima e il volgare. Difatti l’ arabofono acquisisce sin dai primi anni di vita una
darija , il dialetto , sua reale lingua madre, che utilizza per la comunicazione quotidiana;
mentre a partire dall’età scolare apprende la fuṣḥā , ovvero la lingua letteraria , utilizzata
nei contesti più formali, legata all’istruzione e alla cultura. Il primo linguista ad occuparsi
di diglossia fu William Marcais nel 1930
11
, sebbene si debba a Ferguson la minuziosa
analisi di questo fenomeno, effettivamente lo studioso spiega l’ esistenza di due varianti
della medesima lingua , una elevata ovvero l’arabo classico e una umile , ovvero i vari
9
TURNER Languages Mark (2019),483-485.
10
Fenomeno di contatto e di interferenza tra due lingue parlate senza che nessuna prevalga
sull’altra.
11
L’Autore affrontò questo argomento nell’opera “La diglossie arabe”.
22
dialetti nazionali. Tale classificazione viene rifiutata e criticata dal modello Badawi che
ritiene questa sia un’evoluzione linguistica del medesimo idioma
12
.
La darija
13
non è unica e comune a tutti gli arabofoni, bensì conosce una
variazione diatopica riguardante principalmente le realizzazioni orali della lingua, che
cambia in relazione alle diverse aree geografiche nelle quali viene utilizzata e ciò è
determinato da differenti aspetti . Versteegh invece crede che sin dal principio la Penisola
arabica ha conosciuto l’esistenza di molteplici varietà di lingua araba, ma data
l’espansione islamica il fenomeno si è intensificato, in quanto l’idioma sopracitato è
riuscito a raggiungere il Medio Oriente e il Nord Africa, e lì si è confrontato alle parlate
autoctone che hanno costituito un sostrato, e oltre a condurre ad un’ulteriore
differenziazione linguistica all’interno del mondo arabo, favorirono la nascita dei dialetti.
Parlando di diglossia è necessario parlare degli effetti dei sostrati e dei parastrati
incontrati dall’arabo, intanto è necessario definire il sostrato, una lingua gradualmente
abbandonata in favore della lingua “colonizzatrice”, si definisce parastrato invece, la
convivenza delle due lingue. Le lingue autoctone possono influenzare l’arabo a livello
fonologico, morfologico o sintattico, se il condizionamento invece avviene a livello
lessicale si dovrà parlare invece di prestito linguistico
14
.
12
GRANDE Francesco (luglio 2006-gennaio 2007,.pp.42-45.
13
Sostantivo femminile utilizzato per indicare i dialetti parlati nel Magreb, il termine deriva da
dārij “popolare”.
14
CAUBET, D. (2004), pp. 59-63
23
I.2 La dialettologia
Di norma, la dialettologia è una branca della linguistica impegnata
nello studio del funzionamento delle lingue non standardizzate e che si occupa
della variazione linguistica da un punto di vista interno, anche in rapporto
all'evoluzione diacronica e all'influenza sociale su tale cambiamento. Nonostante
la dialettologia sia una disciplina oramai attenzionata dalla comunità scientifica
internazionale, essa stenta ad affermarsi nel mondo arabo è di fatto un’ invenzione
europea, invero è che la colonizzazione ha permesso l’affermazione della darija
in contesti più formali e pertanto venne inizialmente considerata una politica
coloniale e i dialettologi strumenti dell’imperialismo
15
.
Nella sua opera The Arabic language Kees Veerstegh effettua anzitutto
una differenziazione tra dialetti orientali e dialetti occidentali e poi li classifica
concentrandoli in cinque macrogruppi geografici, che a loro volto includono altri
dialetti linguisticamente affini tra loro
16
:
I DIALETTI ORIENTALI ( o mashreqini ) comprendono quelli del
Vicino e del Medio Oriente :
- I dialetti della Penisola Arabica, che si presentano come beduini o
fortemente beduinizzati ;
- I dialetti della Mesopotamia, altresì divisi in due raggruppamenti, i
qetlu ossia i sedentari e i gilit ovvero le parlate beduine, somiglianti ai dialetti
peninsulari.
15
GERMANOS, M. MILLER, C. (2011), pp. 5-19.
16
DURAND.O (2009), pp.172-185.
24
- I dialetti Siropalestinesi ;
- I dialetti Egiziani; comprendenti anche i dialetti subegiziani, parlati
in Sudan, Ciad e Nigeria, così denominati perché esportati dall’esercito egiziano.
I DIALETTI OCCIDENTALI
17
, comprendono l’arabo parlato nella zona
nordafricana e sono molto eterogenei tra loro, ad eccezione di alcune
differenziazioni dovute ad un maggiore o minore contatto con l’arabo orientale.
Inoltre, sono influenzati dal sostrato punico, fenicio e berbero e dal substrato
occidentale dovuto alla colonizzazione. E sono:
Il Libico, ovvero il complesso di dialetti parlati in Libia,
decisamente beduinizzato e fonologicamente affine alle parlate levantine;
L’Algero-marocchino, i cui tratti mostrano tracce
dell’arabizzazione preislamica;
L’Hassani, ovvero il complesso di idiomi parlati nella Mauritania
e nel Sahara Occidentale;
- I Dialetti andalusi; oramai estinti, ma documentati da una notevole
produzione letteraria;
Il Maltese, unico dialetto arabo ad essere una lingua nazionale in
Europa, si tratta di un arabo trascritto in caratteri latini, ed è strettamente
correlato alla parlata tunisina.
Si ritiene dunque, necessario sottolineare che nella descrizione delle
differenze tra i dialetti arabi bisogna considerare che elementi geografici, sociali
e storici operano in contemporanea; perciò, effettuare una suddivisione dialettale
in base alle aree in cui sono parlati non è dunque sufficiente, dato che anche in un
medesimo territorio, da nord a sud o da est ad ovest vi può essere una mutazione
17
TURNER Mark (2019), pp.462-468
25
nei termini o nella grammatica, e ciò a volte sfavorisce l’intercomprensione tra
connazionali.
Gli aspetti salienti del classico sono riassumibili nelle seguenti
caratteristiche
18
:
- Conservatività sintattica e morfologica, che si colloca in posizione di
continuità rispetto alla lingua di Maometto e del Medioevo.
- Il lessico, invece, ha subito una profonda rivisitazione, principalmente
mediante l'introduzione di neologismi. La ricchezza lessicale è probabilmente
dovuta al fatto che la varietà elevata è nata dalla convergenza degli idiomi parlati
nelle varie tribù della penisola arabica. Di conseguenza, ciascuna parlata ha
contribuito a formare la fuṣḥa e di fatto, il lessico in uso presso le diverse tribù
sopravvive in esso: soprattutto, si manifesta nel linguaggio quotidiano co
l’esistenza di svariate parole per uno stesso concetto.
- L'esistenza di una letteratura che si estende lungo vaste coordinate
spazio-temporali , a partire da Muhammad ad oggi, sia nei territori del vecchio
Impero Ottomano che in quelli di emigrazione, che, come la lingua inglese, viene
utilizzata per la composizione anche da persone non arabofone.
In quanto alla varietà bassa, le sue caratteristiche più importanti sono, in
sintesi, le seguenti:
- Influenza dei linguaggi delle presenze dominanti (ottomani, potenze
coloniali), soprattutto a livello lessicale, un esempio di ciò potrebbe essere la
18
CAUBET, D. (2004),pp.68-71.
26
parola marocchina ksida
19
, che proviene dalla parola francese accident
20
.
Si tratta di un aspetto in parte frenato dalle immissioni di neologismi arabi nel
classico: questi termini dal momento in cui diventano parte di esso, rimpiazzando
termini amministrativi e tecnologici provenienti dalle lingue occidentali, possono
anche spostarsi nei dialetti
21
.
-L’assenza di una produzione scritta, anche se ultimamente si assiste ad
una proliferazione opere di letteratura scritte in darija, come ad esempio l’opera
di Amine Youssouf El Alamy “Tqarqib Nnab”
22
-La trasversalità tassonomica: nonostante sia possibile suddividere le
varietà dell'arabo colloquiale secondo un parametro geolinguistico in macroaree,
va comunque considerato che queste sono attraversate da un'altra suddivisione
areale, quella basata sul tipo di insediamento umano (arabo colloquiale urbano,
rurale o beduino). Si devono inoltre contemplare alcuni indicatori sociolinguistici,
quali il livello di istruzione e il background sociale; ne consegue una
classificazione non sempre completa e in alcuni casi singolare.
Nonostante questa premessa sulle differenti aree dialettali, il linguista Charles
Ferguson ha isolato dei tratti comuni e condivisi da tutti i dialetti
23
, sconosciuti al classico
ovvero :
19
Incidente stradale.
20
DURAND.O. 1994, p.8.
21
SOUSSI, H. 2015, pp.142-145.
22
Tradotto letteralmente significa rumore dei canini, ma significa chiacchierare.
23
DURAND.O (2009), pp.130-133.