INTRODUZIONE
Leggendo il canto ventinovesimo del Paradiso un lettore attento non può non percepire la
stonatura stilistica dei versi 124-126. Proprio da quella lettura è cominciato il lavoro di ricerca.
Quali sono state le motivazioni di quella stonatura, perché appare così evidente, se è stata fatta
casualmente, sono solo alcune delle domande che stimolato lo studio di quei versi.
Questo lavoro si è prefisso, infatti, di analizzare il termine “porco” nel presente nell’ultima
Cantica con tutte le sue rilevanze. Lo scopo non è solo quello di ipotizzare una possibile
motivazione psicologica di Dante nell’utilizzo di quel termine poco adatto al luogo, ma è quello
di chiarire le motivazioni stilistiche, tecniche e lessicali. Si sono comparate, quindi, situazioni in
cui sono già stati utilizzati termini “bassi” e “materiali”, in cui compaiono le invettive e in cui
personaggi considerevoli disquisiscono con veemenza su argomenti di importante levatura
morale. Con queste comparazioni si è cercato di comprendere quel “porco” come il prodotto di
un insieme di fattori che non possono essere analizzati singolarmente, ma nel loro insieme.
Solamente osservando tutta la Commedia nella sua totalità si può percepire quanto, con quel
“porco”, Dante abbia voluto trasmettere.
Nel primo capitolo di questo studio si affrontano le tematiche riguardanti lo stile e la lingua
dantesca nella Commedia. Per chiarezza ed efficacia lo si è diviso in tre sezioni ben distinte: una
riguardante gli aspetti teologici, la seconda l’innovazione tecnica e stilistica della terza Cantica e
l’ultima prende in considerazione a analizza vari esempi di stile.
Tale suddivisione si è resa necessaria in quanto il fare di tutte le sfaccettature stilistiche un unico
calderone sembrava assopire il merito di tutti quei critici che hanno donato molto delle loro
analisi ad individuare un senso più profondo alle parole e alle semplici costruzioni.
Si sono presi in considerazione alcuni autori piuttosto che altri, alcuni argomenti invece di altri,
lo si è fatto per coerenza argomentativa più che per pigrizia intellettuale, cercando, in questo
mare magnum che è la critica dantesca, di non perdere la focalizzazione della meta prefissa da
questo lavoro.
All’interno di questo capitolo, si è cercato di dare un quadro generale di come la poesia dantesca,
soprattutto nell’ultima Cantica, sia pervasa da un sentimento teologico e di come lo stile
adoperato sia paragonabile al più alto esempio di arte. «Qualsiasi forma di attività dell’uomo in
quanto riprova o esaltazione del suo talento inventivo, e della sua capacità espressiva nel campo
estetico»
1
viene definita arte. Appunto, arte, quello Dante ha fatto del suo stile e del suo
linguaggio nel Paradiso. Discutere di questa innovazione dello stile nella terza Cantica è
necessario per evidenziare la “caduta” di tono e di stile effettuata proprio nei versi 124-126. Una
volta definito lo stile “arte”, il lettore è posto innanzi ad un’ulteriore stonatura, la
contrapposizione cioè dei toni utilizzati come “arte” nel Paradiso e il termine “porco”, che ne
amplifica il suo significato.
Si è voluto mantenere la sezione conclusiva del capitolo ben distinta per la funzionalità
argomentativa di questo lavoro. Se si fossero trattate le peculiarità del linguaggio e dello stile
dantesco, così formali e specifiche, nei paragrafi precedenti, probabilmente il lettore avrebbe
trovato non poche difficoltà nel procedere senza rallentamenti. Si è pensato quindi di riporre
queste argomentazioni dettagliate e stilistiche in una sezione che le racchiudesse in un ambito
determinato, in modo da mettere il lettore in grado di comprendere più approfonditamente
attraverso l’uso di esempi pratici di stile. Con questo non si intende che ciò che è qui riportato
non sia interessante, ma sicuramente meno discorsivo di altre sezioni di questo lavoro.
Col secondo capitolo, si entra nel merito del lavoro prestabilito. Dopo una sommaria
ricapitolazione del canto e delle tematiche ad esso connesse, si sono analizzati i versi chiave. Gli
studi e i saggi di critici danteschi non sono riportati cronologicamente ma per tematiche, in
questo studio, prestabilite.
Partendo da una contestualizzazione, necessaria per aver un corretto inquadramento sullo studio
che si effettuerà in seguito, si giunge ad analizzare tutto ciò che ruota intorno alla “stonatura” dei
versi 124-126. Le esegesi letterarie, condotte da critici di rilievo come Ferrari e Mellone, sono
state raggruppate per affinità di indagine. Pietrobono, Bufano, Marietti, per citarne alcuni, hanno
considerato in quei versi la stonatura stilistica, retorica e di tono, evidenziandone le origini e le
sfumature. Per questo sono raggruppati nella tipologia della critica “critica dell’inopportuno”,
definita più avanti in questo lavoro. Altri invece, come Mineo, Bertoni, hanno stigmatizzato, più
che la forma, il contenuto. Ne hanno criticato la passionalità, la comicità con tutte le implicazioni
emotive. Questi ultimi sono raggruppati nella “critica emotiva” che ha focalizzato l’attenzione
sulle atmosfere, i comportamenti, i luoghi, i personaggi e i toni piuttosto che sulla struttura, le
parole e la composizione.
1
G.Devoto e G.C.Oli, Dizionario della lingua italiana, Firenze, 1971
II
III
Nel terzo capitolo, ci si discosta dalle esegesi letterarie e si entra nel merito dei versi intesi, non
in senso letterale ma inseriti in una veduta più ampia. Si è cercato infatti di fare chiarezza su due
questioni principali: la stonatura del personaggio di Beatrice che esterna parole “basse” e “crude”
e la possibile motivazione di tale stonatura linguistica nel Paradiso.
Sugli stili utilizzati da Dante nelle tre cantiche la critica si è già espressa lungamente ed anche
nel presente lavoro, nel I capitolo, è stata affrontata. Per non ripetersi e quindi smarrirsi nelle
migliaia di figure retoriche, nel quarto capitolo vengono rappresentati solo alcuni dei notevoli
esempi di similitudini e metafore dell’Inferno e del Paradiso, per dare ancora una visione del
plurilinguismo dantesco e ancora descrizioni. La decisione di trattare esclusivamente di figure di
animali non è stata dettata solo dalla volontà di rimanere nel tema del “porco” ma anche
dall’intenzione di evidenziare come e quanto spesso Dante faccia riferimento al mondo animale
per stigmatizzare comportamenti e personaggi.
Affianco a questi esempi di poesia si è ritenuto essenziale trattare delle invettive. I versi presi in
considerazione in questo lavoro sono infatti versi dell’invettiva di Beatrice. Chiarendo che queste
invettive sono una componente numerosa della Commedia, rispetto ad esempio ad altre opere del
poeta che quasi ne sono prive, si è voluto evidenziare il contesto nel quale si espone Beatrice,
allontanando ancora di più la fallace ipotesi che quel termine “basso” sia stato un “errore di
distrazione” del sommo poeta. Le invettive sono state elencate e si è voluto caratterizzarle
denotando uno stile proprio. La scelta di trattare solo della prima e della terza cantica è dovuta
alla volontà di meglio rappresentare le differenze stilistiche.
I STILE E LINGUAGGIO DANTESCO NELLA TERZA CANTICA
I.1 Aspetti teologici
“ […] remissus est modus et humilis, quia locutio vulgaris in qua et muliercule comunicant [...]”
aveva scritto Dante nel passo XIII del De Vulgari Eloquentia. Dunque lo stile del poema sarebbe
stato umile, in quanto la lingua usata sarebbe stata il volgare italiano. Certamente la vistosa
varietà stilistica e linguistica della Commedia suggerisce una posizione diametralmente opposta
alle definizioni di stile tragico, comico ed elegiaco che il poeta aveva espresso nel trattato latino.
Infatti è palese, avanzando nella lettura verso la terza cantica, la tragicità delle pagine, in
concomitanza di passi più dottrinari e astratti.
Quella che sembrerebbe una contraddizione di Dante stesso viene affrontata da Rinaldina Russel
nel suo Oratoria sacra e i tre gradi dello stile nella Divina Commedia
2
, in cui la studiosa
afferma che il superamento della distinzione tra stile volgare e stile aulico, operato dagli autori
latini sull’esempio delle Sacre Scritture e sanzionato dal De doctrina christiana di
Sant’Agostino, rende pienamente ragione della prassi stilistica della Commedia, nella quale
episodi melodiosamente lirici si alternano ad altri aggressivamente satirici e a canti di astratta
esposizione dottrinale. Nell’opera della Russel è preso in considerazione il De doctrina
christiana perché, a suo avviso, la teorizzazione di Agostino è quella che chiarisce meglio la
definizione, piuttosto generica, che ha fatto Dante nel De Vulgari Eloquentia.
[…]Agostino infatti opera una rivoluzione nella definizione dello stile, in quanto tiene conto
solamente del fine che l’oratore si propone, indipendentemente dai segni linguistici e dai
corrispettivi obiettivi di quei segni. In questa prospettiva funzionalistica di Agostino, gli
argomenti morali e dottrinali, riguardanti la salus vengono categorizzati come argomenti da
trattare in modo chiaro e accessibile; lo stile, tanto più è semplice e basso, quanto maggiore è
l’acumen necessario alla loro comprensione. […]
2
R. Russel, Oratoria sacra e i tre gradi dello stile nella Divina Commedia, in «Forum Italicum», numero speciale
per il ventennale della fondazione, Ricciardelli ed., vol 21, n° 2, 1987
Questo concetto della funzionalità dello stile rispetto ai contenuti è espresso, nella Commedia, da
Beatrice quando ella annuncia che d’ora in poi le sue parole saranno “nude” ogniqualvolta sarà
conveniente scoprire la verità alla “vista rude” di Dante (Purg. XXXIII, vv. 100-102).
Secondo Agostino, allo stile sublime, l’oratore si innalza quando si fa sentire in lui l’urgenza di
provocare un cambiamento della volontà, e perciò ricorre a rimproveri acerbi, alle invettive, alle
profezie. Questi cambiamenti, nella Divina Commedia, appaiono in personaggi chiave come
Forese, Beatrice e San Pietro, in episodi appunto in cui si sollecita e si determina una nuova
nascita del volere, mediante rimproveri, invettive e profezie.
Rinaldina Russel, quindi, spiega questa piccola contraddizione dantesca rifacendosi al linguaggio
biblico. Lo stile che Dante dichiara nel De Vulgari Eloquentia è umile, perché volto in
prevalenza ad istruire, a spiegare, a impartire spiegazioni e concetti difficili, utilizzando termini
piani e mediante immagini comprensibili.
Il fatto che nel Paradiso si senta più forte l’influsso di questa poesia “modus et humilis”, è
dimostrato proprio nelle argomentazioni, così frequenti, di carattere religioso.
3
Molti critici nel
corso della storia l’hanno descritta come poesia teologale. Secondo Giovanni Fallani
4
«[…]la
teologia offre il tema, la fantasia dell’artista elabora situazioni, crea immagini, genera il canto».
Per il critico, dunque, il Paradiso offre l’esperienza concreta di una poesia formatasi al centro
del misticismo della visione. Chiunque volesse tentare di separare in alcuni casi poesia e mistica
distruggerebbe l’unità del poema, proprio perché in Dante questi due aspetti coesistono e sono
componenti essenziali dell’opera. Esempi di questa poesia sono evidenti in molti passi della
Divina Commedia. Si pensi ad esempio a quando Dante cerca l’essenza cristiana
dell’avvenimento:
«l’alta provedenza che con Scipio
difese a Roma la gloria del mondo».
5
Quello che accade per opera dell’uomo è solo per volere di Dio: la battaglia di Zama, che
determinò il destino di Roma, fu combattuta da Scipione, ma la vittoria fu sanzionata dal volere
3
Cfr. Infra cap. III, p.37
4
G. Fallani, Poesia e teologia nella Divina Commedia, Milano, Marzorati ed., 1959
5
Paradiso, XXVII, vv. 61-62
2