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INTRODUZIONE
Questo lavoro nasce da una riflessione sulla nostra società. L’immagine positiva
che l’uomo oggi ha di sé, si contrappone a un modello negativo dell’altro, che sfocia in
un diffuso e crescente narcisismo (Twenge et al., 2008), individualismo (Twenge,
2006), eccessiva autostima (Twenge e Campbell, 2001), e carenza di empatia (Konrath
et al., 2011). Viviamo in una società in cui non sono gli oggetti a essere usati, bensì le
persone. Dov’è più conveniente, per il benessere personale, circondarsi di oggetti che di
affetti. Perché fidarsi degli altri è un rischio, cosi come lo è legarsi affettivamente a
un’altra persona.
Concentrando la mia ricerca sull’attaccamento e la personalità, ho osservato
come queste possano influenzare le relazioni interpersonali, in particolar modo curiosa
di rivedere nei dati da me raccolti, il tentativo di molti di “evitare le relazioni pur di non
soffrire”.
Nel primo capitolo ho fatto cenno alla teoria interpersonale moderna (Pincus,
2005), dopo aver ripercorso il pensiero di J. Sullivan e dei grandi teorici della teoria
interpersonale. L’importanza che le relazioni rivestono nella vita dell’individuo, è però
ancorata al suo bisogno di attaccamento, per cui ho sfiorato la teoria di J. Bowlby fino a
giungere all’introduzione degli stili di attaccamento di K. Bartholomew e LM. Horowitz
(1991). La mia attenzione è stata catturata dal bisogno di restare soli che in tanti
decantano, e ne ho cercato un risvolto teorico rifacendomi soprattutto alle caratteristiche
degli stili di attaccamento insicuro. Infine, ho evidenziato come un attaccamento
insicuro, in special modo di tipo ansioso ed evitante, possa aiutare a comprendere la
disfunzione interpersonale saliente nei disturbi di personalità.
Il secondo capitolo è rivolto alla valutazione dell’attaccamento e della personalità.
Vengono definiti i vantaggi e i limiti dell’uso diffuso dei questionari self-report, e
presentati gli strumenti della ricerca, quali il Relationship Questionnaire (RQ) di K.
Bartholomew e L.M. Horowitz (1991), e l’Experiences in Close Relationships Scale-
Revised (ECR-R) di R.C. Fraley e collaboratori (2000), per quanto riguarda
l’attaccamento.
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La personalità è stata indagata attraverso le Scale di personalità del Millon Clinical
Multiaxial Inventory (MCMI-III) di T. Millon, e ho approfondito gli aspetti
interpersonali avvalendomi delle Scale Interpersonali del Personality Assessment
Inventory (PAI) di L.C. Morey (1991), e della Symptom Checklist-90-R (SCL-90-R) di
L.R. Derogatis (1994), concentrandomi sulle tendenze relazionali emergenti dalle scale
Sensibilità Interpersonale (I-S) e Psicoticismo (PSY).
Nel terzo capitolo è presentata la ricerca: illustrati obiettivi e ipotesi, il campione
e la procedura di raccolta dei dati, seguita dall’analisi e dalla loro discussione.
Ho concluso questo lavoro esplicitando le motivazioni che hanno orientato la
ricerca, ammettendone i limiti e prospettandone futuri miglioramenti e approfondimenti.
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CAPITOLO 1
ATTACCAMENTO, PERSONALITÀ E RELAZIONI
INTERPERSONALI
1.1 Vivere “in comune”
"Le relazioni interpersonali sono
il fondamento e il tema della vita umana."
Reis, Collins, e Berscheid, 2000
L’importanza che la relazione Sé-Altro riveste per tutto il ciclo di vita, e la forte
influenza di questa sullo sviluppo, la motivazione, e il comportamento umano, è da
sempre al centro di numerose ricerche (Reis et al., 2000; Ryff e Singer, 1998; Siegel,
1999), e ha permesso di definire le relazioni "[…] la fonte più frequente di felicità e
sofferenza nelle persone" (Berscheid e Reis, 1998). La manifestazione più importante
della messa in crisi di questo rapporto Sè-Altro, con le conseguenze dolorose che ne
derivano, si palesa nei disturbi di personalità (Livesley, 2001; Skodol et al., 2002),
laddove il cuore risiede in "problemi con il sé o con l’identità, e la presenza di relazioni
interpersonali disfunzionali" (Clarkin, 2006, Livesley, 2001; Pincus, 2005).
Secondo la teoria di compensazione di Rogers (1951) e Kelly (1955),
l'estremismo e la rigidità comportamentale possono aiutare le persone a capire chi sono
e che ruolo possono avere. Per Rogers, "un'esperienza che è incompatibile con
l'organizzazione o la struttura del sé, può essere percepita come una minaccia” per la
self-integrity, intesa come incoerenza personale e incertezza. Kelly (1955) ritiene che gli
individui davanti ad una minaccia alla propria organizzazione del sé, rispondano con la
tendenza a "indurire le proprie categorie", specialmente quando un costrutto personale
viene invalidato.
Alla base della teoria interpersonale contemporanea (Pincus, 2005) vi è l’idea
che la più importante espressione della personalità e della psicopatologia risieda nei
fenomeni che coinvolgono più di una persona, nella cosiddetta situazione
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interpersonale. Questa è definita come l'esperienza di un modello di relazione Sé- Altro,
associato con diversi livelli di ansia o di sicurezza, in cui l'apprendimento influenza in
modo significativo lo sviluppo del concetto di sé e del comportamento sociale.
La situazione interpersonale è intimamente legata alla genesi, allo sviluppo, e
alla mutevolezza della personalità attraverso il continuo patterning e repatterning di
esperienza interpersonale, nel tentativo di soddisfare le motivazioni umane
fondamentali, di aumentare la sicurezza e l’autostima, ed evitare l'ansia. Ed è il ripetersi
di tali esperienze che dà luogo a schemi socio-cognitivo-affettivi del sé e degli altri, e a
modelli di relazioni interpersonali adattive o meno (Critchfield e Benjamin, 2008).
Le situazioni interpersonali si manifestano sia tra interagenti prossimali sia nelle
loro menti, attraverso la capacità di percezione, rappresentazione mentale, memoria,
fantasia, aspettative, ed emozioni
1
. Le relazioni significative, come le esperienze in
famiglia e le relazioni tra pari (Benjamin, 2003), in continua interazione con il
temperamento (Livesley, 2001), radicano rappresentazioni interne di sé e degli altri e
delle loro interazioni nell’individuo (Hooker, 2008), orientando e organizzando cosi la
propria rete di percezioni, pensieri, sentimenti e motivazioni, in un sistema di processi
completamente interconnessi (Anchin 2003, 2008; Anchin e Magnavita, 2006;
Magnavita, 2005).
Le teorie interpersonali (Horney, 1945; Leary, 1957; Sullivan, 1953) hanno dato
una chiave di lettura diversa dei fenomeni connessi con lo studio della personalità e
della psicopatologia rispetto alle teorie prevalenti del tempo, quali la psicoanalisi e le
teorie comportamentali. Sullivan sostiene che l’attività psichica non è orientata alla
soddisfazione della libido e delle pulsioni, ma al bisogno di contatto e sicurezza, e
differentemente da Freud, attribuisce una funzione predominante ai rapporti
interpersonali nello sviluppo normale e patologico della personalità.
Sullivan (1953) con il suo "teorema dell’emozione reciproca" ha enfatizzato il
concetto della reciprocità, evidente quando due partner interagiscono, e tale concetto è
stato poi ripreso come principio di complementarità da Kiesler (1983), il quale ha
affermato che "Le azioni interpersonali di una persona tendono (con una probabilità
1
La psicoterapia interpersonale include importanti costrutti rappresentazionali interpersonali e schemi
cognitivo-affettivi, schemi di sé-altro, relazioni oggettuali interiorizzate, e modelli operativi interni
(Pincus e Cain, 2008).
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significativamente maggiore di possibilità) ad avviare, invitare, o evocare risposte
complementari da un’interazione".
Secondo la teoria interpersonale, ciò che le persone fanno in interazione tra loro,
riflette lo sforzo per raggiungere e mantenere l'autostima e per evitare l'ansia (Leary,
1957; Sullivan, 1953). Le modalità con cui le persone tentano di realizzare questi fini,
sono definite operazioni di sicurezza (Sullivan, 1953) o riflessi interpersonali (Leary,
1957), che culminano nella personalità di una persona. Il bisogno di differenziazione,
che si manifesta nella tendenza a dominare e a proteggersi, e il bisogno di vicinanza e
unione, costituiscono le basi per concettualizzare le situazioni interpersonali e le loro
rappresentazioni interne (Wiggins, 2003).
La teoria interpersonale è una teoria degli effetti di questi riflessi interpersonali
sulle interazioni diadiche e sul benessere generale della persona (Kiesler, 1983), e si
serve di una modalità di tassonomia organizzata attorno agli assi di dominio e cordialità
(Freedman, Leary, Ossorio, e Coffey, 1951), disposti circolarmente in uno spazio
bidimensionale detto circomplesso (Guttman, 1954).
L’Agency e la Communion interpersonale costituiscono le fondamentali
motivazioni, aspirazioni e valori nelle relazioni umane (Horowitz, 2004) e
rappresentano i nuclei portanti del “cerchio interpersonale” (IPC, Leary, 1957) o
circomplesso interpersonale (Wiggins, 1996), utilizzato per descrivere la personalità, e
la psicopatologia. L’Agency allude alla condizione d’individuo “differenziato”, che con
forza e padronanza, protegge e migliora la propria differenziazione, mentre la
Communion si riferisce alla condizione di socialità in cui vive l’individuo, e ai tentativi
d’intimità, unione, e solidarietà con essa.
Le motivazioni e il valore attribuito alle relazioni umane (Horowitz, 2004),
consentono la comprensione dell’agency e della communion, sia delle aspirazioni
personali o attuali preoccupazioni del singolo individuo, sia dei comportamenti specifici
adottati per raggiungere questi obiettivi. L’IPC fornisce le coordinate concettuali per
descrivere e misurare tratti e comportamenti interpersonali (Locke, 2006), includendo
modelli duraturi di pensiero e azione, che descrivono le tendenze relazionali di un
individuo in una situazione interpersonale.