“ “I I f fo ou ug gh ht t t th he e l la aw w
( (a an nd d t th he e l la aw w w wo on n) )” ”
The CLASH
“the only band that matters”
(Sonny Curtis cover)
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. .
SOMMARIO
§1. Su globalizzazione e tecnologia. – §2. Devianza e criminalità: cenni. –
§3. Scienza criminologica e criminalità informatica: una nuova sfida. – §4.
Libertà informatica e computer crimes. – §5. La nozione di reato
informatico.
§ I.1 – Su globalizzazione e tecnologia.
Tra le conseguenze più evidenti della globalizzazione vi è la rivoluzione
informatica delle informazioni e delle telecomunicazioni.
1
L’avvento di Internet
e la nascita della società dell’informazione
2
sembra aver determinato
l’emergere di nuovi pericoli. Difatti, il ruolo assunto dalle tecnologie
nell’organizzazione delle società, porta ad individuare nella devianza
informatica uno dei grandi problemi sociali dell’era moderna, e nella criminalità
tecnologica uno dei pericoli più preoccupanti del millennio.
1
Cfr. R. Regni, Geopedagogia. L'educazione tra globalizzazione, tecnologia e consumo, Armando Editore,
Roma 2002, p. 37.
2
Il sociologo spagnolo Manuel Castells con l’espressione “società dell’informazione” si riferisce alla
nascita di una struttura sociale che si sviluppa attraverso l’inedita modalità dell’“informazionalismo”. Il termine
“informazionale” indica un assetto sociale in cui lo sviluppo, l’elaborazione e la trasmissione delle informazioni
diventano fonti basilari di produttività e potere. L’informazione, dunque, non è soltanto un fattore centrale, ma
l’elemento chiave della società, la cui struttura è rappresentata dalla logica della rete. [Cfr. M. Castells, The rise
of the Network society, Blackwell, Oxford 1996. (trad. it., La nascita della società in Rete, Università Bocconi
Editore, Milano 2002)]
12
Alla maggiore velocità di spostamento fisico si accompagnano flussi di
comunicazione sempre più intensi e un’accresciuta capacità di mobilità
virtuale. È proprio in questo “nomadismo virtuale”
3
che per i diversi attori
sociali si è ampliato l’orizzonte delle possibilità di azione, sia nell’ambito legale
e lecito che in quello illecito e criminale. Infatti, un dato ineludibile da porre in
relazione con le possibili trasformazioni della devianza e della criminalità, sono
le cresciute possibilità di movimento dovute al progressivo abbattimento delle
frontiere, l’imponente aumento della circolazione di capitali, di merci e di
servizi, il tendenziale allargamento dei mercati finanziari, nonché l’imperante
diffusione di nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
4
Le nuove tecnologie consentono, infatti, la comunicazione istantanea
con chiunque abbia un computer connesso in Rete, annullando oltre alla
distanza fisica anche il coinvolgimento emotivo in quello che accade dall’altra
parte del mondo. In conseguenza di ciò, cambia l’esperienza che si ha del
mondo: si vive in una dimensione sincronica (indipendentemente
dall’evoluzione nel tempo) piuttosto che diacronica (attraverso l’evoluzione nel
tempo)
5
.
Non vi è dubbio di come queste nuove tecnologie abbiano determinato
effetti sociali di considerevole portata, primo fra tutti l’accelerazione dei
processi di diffusione culturale che sono diventati allo stesso tempo strumento
di violenza ovvero violazione di norme sociali. L’evoluzione dell’informatica e
3
Cfr. J. Attali, L’uomo nomade, Spirali Editore, Milano 2006.
4
Cfr. A. Saponaro, Nuove forme di criminalità telematica e globalizzazione, Cacucci, Bari 2004, p. 4.
5
Cfr. F. Jameson, “Notes on globalization as philosophical issue”, in F. Jameson, M. Miyoshi (edited by),
The Culture of Globalization, Duke University Press, Durhan (N.C.) 1998, pp. 54-71.
13
della telematica, come ogni processo che modifica sostanzialmente il tessuto
socio-culturale preesistente, ha suscitato reazioni e pareri discordi: accanto
alle “santificazioni” non sono mancati toni allarmistici di chi ha visto in ciò
l’incarnazione del male.
Possiamo affermare che, la crescita esponenziale del fenomeno
criminale, soprattutto di quello digitale, è ricollegabile allo sviluppo vertiginoso
della globalizzazione in generale e di Internet in particolare.
6
Del resto, il nesso tra criminalità e globalizzazione sembra essere del
tutto ovvio e naturale nonché prevedibile. Come accennavamo, l’abbattimento
delle barriere fra Stati e la diffusione delle tecnologie dell’informazione e delle
telecomunicazioni si sono rilevati benefici non solo per gli attori economici
legali, ma anche per quelli illegali, che hanno saputo sfruttare a proprio
vantaggio le possibilità di azione di un mondo sempre più “senza confini”. È
così che la criminalità informatica assume sfondi e riflessi di tipo
transnazionale e prolifera alla velocità di scambio dei dati nella Rete, sotto
l’effetto catalizzatore del difficile controllo esercitabile sui traffici di
informazioni transitanti per Internet.
7
Nell’analisi della caratteristiche della criminalità transnazionale, la
maggiore attenzione degli studiosi si è incentrata nel tentativo di cercare un
orientamento tra le diverse spiegazioni della conformazione del fenomeno
criminale. Se la stessa globalizzazione è multidimensionale e la sua influenza
6
Cfr. M. Strano, Computer crime, Apogeo, Milano 2000, p. 243.
7
Cfr. O. Agati, “La configurabilità del dolo eventuale nel reato di diffusione di programmi diretti a
danneggiare o interrompere un sistema informatico”, in AA.VV., Diritto e società dell’informazione. Riflessioni
su informatica giuridica e diritto dell’informatica, Nyberg Edizioni, Milano 2004, p. 61. (Collana a cura di Minotti
D., Diritto ed economia delle nuove tecnologie, n. 1, Atti del convegno di Grosseto, 16-17 gennaio 2004)
14
può essere descritta secondo diverse prospettive, parallelamente anche il
fenomeno del crimine, gli effetti e i mutamenti indotti sono difficili da
inquadrare in una cornice esplicativa unitaria.
L’emersione della criminalità transnazionale, per alcuni autori, sarebbe
da collegare a processi di mutamento sociale, politico, economico e culturale di
più ampia portata. Per altri, invece, verrebbe favorita dalle asimmetrie (anche
in questo caso sociali, politiche, economiche e culturali) innescate dalla
globalizzazione a livello mondiale.
8
Considerando, invece, il rapporto tra la criminalità e Internet, è facile
scorgere un modello di sviluppo di Internet ispirato ad una logica orizzontale di
distribuzione delle risorse - cui tutti posso attingere da qualunque parte del
globo - che ha generato un universo mediatico in cui le tradizionali categorie di
spazio e tempo prescindono dai confini nazionali, inficiando principi giuridici
consolidati come il c.d. “locus commissi delicti”
9
, architrave del “principio di
personalità” recepito dal nostro diritto penale, il quale prevede la persecuzione
del reato commesso dal cittadino dello Stato di riferimento, a prescindere dal
luogo specifico in cui l’atto criminale si è consumato.
Internet, luogo di incontro virtuali, è infatti una specie di Far West
virtuale nel quale è facile imbattersi, sotto altra veste, in alcuni dei personaggi
classici dei tradizionali Western. Ci sono, in effetti, i terribili indiani (hackers e
cyberpunks), i piromani della prateria (i diffusori di virus e worms), i pistoleri,
rapinatori di banche (dati), gli “sceriffi” e i “vostro onore” della new frontier, le
8
Cfr. S. Becucci, M. Massari, Globalizzazione e criminalità, Laterza, Roma-Bari 2003.
9
Cfr. M. Strano (a cura di), Manuale di criminologia clinica, SEE Editrice, Firenze 2003, p. 387.
15
“bonnes femmes” che offrono i loro servizi in rete servendosi anche di
webcam, i predicatori itineranti, apostoli del Verbo (di incondizionata libertà di
espressione, di copiatura legittima di qualsiasi tipo di software, anonimato in
rete, ecc.), i predatori di bambini (pedopornografi), i truffatori, i terroristi, gli
xenofobi, ecc.
10
Per comprendere appieno il rischio derivante dai c. d. “crimini
informatici” e per valutare l’esigenza di pianificare delle strategie, è necessario
proiettarsi in quello che si definisce “settimo continente”
11
: un mondo virtuale
e globale che si sovrappone a quello tradizionale e nel quale la percezione del
Sé individuale e collettivo assume significati inattesi anche nella definizione di
condotte devianti e criminali
12
. Vi è pertanto uno svuotamento dei significati
dell’azione sociale e individuale riguardo alle concezioni astratte della
tecnologia informatica.
In realtà, come diremo oltre
13
, non è colpa delle nuove tecnologie info-
comunicative se, nell’era della globalizzazione, criminali e non hanno deciso di
impiegare la Rete in modo non propriamente nobile ed edificante.
10
Cfr. C. Sarzana di Sant’Ippolito, “Introduzione”, in S. Amore, V. Stanca, S. Staro, I crimini informatici.
Dottrina, giurisprudenza ed aspetti tecnici delle investigazioni, Halley Editrice srl, Matelica (MC) 2006, p. 13.
11
Cfr. A. Contaldo, T.M. Mazzatosta, Il lavoro sul Settimo continente, Edizioni SEAM, Roma 1998.
12
Cfr. L. Arcuri, A. Maass, “Le dimensioni sociali del sé”, in L. Arcuri (a cura di), Manuale di Psicologia
sociale, Il Mulino, Bologna 1995.
13
Il riferimento è alla “neutralità” dei mezzi del 3° capitolo.
16
§ I.2 – Devianza e criminalità: cenni.
Prima di procedere con la discussione dei temi da trattare, credo sia
fondamentale un preliminare excursus sui termini devianza e criminalità.
Nell’antichità era considerato deviante chi si discostava dai precetti
religiosi o magico-esoterici, con i divieti degli stregoni o dei sovrani delle
società tribali e poi, con il passar del tempo, con la disapprovazione sociale e
le leggi non scritte e, infine, con quelle scritte delle società più evolute.
14
A volte i campi s’incrociano e, ad esempio, “deviante” viene definita
Antigone che, nella versione dell’omonima tragedia greca di Euripide, fa
appello alle “leggi non scritte” contro l’ingiustizia delle disposizioni sovrane.
O ancora, il patrimonio classico ci offre diretti ed illustri antenati delle
più recenti battaglie: vulgata vuole che, in nome della “libertà di
comunicazione”, Socrate accetterà d’esser definito non rispettoso delle
consuetudini e delle leggi, andando incontro alla morte pur di difendere la
propria tecnica d’insegnamento, la “maieutica” che s’impernia sul tentativo di
“estrarre” la verità attraverso la condivisione interlocutoria delle proprie
conoscenze.
14
Ciò è avvenuto soprattutto, ma non solo, nei territori dominati dalle grandi religioni monoteistiche
(Ebraismo, Cristianesimo e Islamismo), che hanno “occupato” tutto lo spazio delle regole morali e giuridiche
per secoli, e in molti Paesi del mondo continuano ad occuparlo nei settori più importanti per la vita della gente,
soprattutto di quella comune. La devianza, infatti, nella storia si è affermata soprattutto nei tre settori chiave
della vita umana: il sesso, la proprietà, la rivalità fra le persone. La devianza nel tempo ha avuto sviluppi
notevoli collegati alla crescita tecnologica delle società.
17
In ogni modo, il concetto di devianza presuppone quello di norma(lità)
e viceversa; secondo una definizione statistica, deviante è che si discosta dalla
norma.
Perché alcune persone hanno comportamenti devianti ed altre no?
Tralasciando le risposte mitologiche e religiose che facevano risalire le colpe
della devianza alle divinità o alle forze demoniache, questa domanda si è posta
con particolare forza a partire dall’Ottocento, allorquando la borghesia
dominante inizia una crociata all’insegna della comprensione e della lotta
contro le cause della devianza e del crimine, in quanto fattori destabilizzanti
dell’ordine produttivo. Ne venne fuori un confronto serrato tra i sostenitori
delle ragioni sociali/familiari e i fisiognomici.
I primi, coniando teorie “naturalistiche” in onore agli assiomi del
pensiero positivista imperante, individuavano la “naturale propensione al
delinquere” nella povertà, nella miseria e nel degrado frutto
dell’industrializzazione e, in seconda battuta, del capitalismo. Valgano come
esempio di tale categoria l’intero movimento del naturalismo francese e il suo
teorizzatore Hippolyte Taine. In opposizione a tale lettura troviamo il fronte dei
fautori dell’origine caratteriale, i quali ricorrendo ai termini della “fisiologia” e,
appunto, della costituenda “fisiognomica” imputavano la devianza e il crimine
a “tare innate”. In questa seconda categoria, Cesare Lombroso
15
è stato, di
certo, esponente di primo piano.
15
Cesare Lombroso (1835-1909) faceva dipendere il destino deviante e criminale della persona dalle
caratteristiche fisiche del corpo di una persona. [Cfr. C. Lombroso, L’uomo delinquente, Hoepli, Milano 1876]
18
Un’altra definizione di devianza deriva dal concetto di “malattia”,
secondo l’assunto che quando l’organismo umano non è soggetto ad alcun
disturbo e funziona efficientemente è considerato “sano”, altrimenti è malato.
Si ritiene deviante, perciò, una condotta che riflette un disturbo o una
“malattia” mentale o morale. Ad esempio, il comportamento di un tossicomane
è considerato sintomo di una malattia mentale, al pari della difficoltà con cui
si cicatrizzano le ferite per chi è affetto da patologia diabetica. Edificanti in tale
direzione i molti studi sulla devianza patologica condotti dai precursori della
psicanalisi Freud e Jung.
Un’interpretazione sociologica più relativistica identifica la devianza
come mancata osservanza delle norme, pertanto, una volta stabiliti i precetti –
il cui rispetto, rientrante nella prassi antropologica della “condivisione”, è
imposto dal gruppo ai propri membri al fine di sancirne e cementificarne
l’appartenenza – possiamo decretare che chi li viola è deviante. Di qui la
duplice deduzione: non c’è devianza senza norma e non c’è norma senza
devianza.
16
Il concetto di devianza utilizzato in questa sede è relativo ad una
generica deviazione dalla norma sociale comunemente condivisa; dovrebbe,
dunque, essere fuori dal campo di azione criminologico. La scienza
criminologica, però, si interessa allo studio della devianza non solo per il suo
parziale sovrapporsi alla criminalità
17
, ma anche perché essa rappresenta la
16
Cfr. H.S. Becker, Outsiders. Studies in the sociology of deviance, The Free Press, Glencoe 1963. (trad.
it., Outsiders. Saggi di sociologia della devianza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2006, pp. 24-47)
17
L’oggetto di studio della criminologia deriva dal concetto formale di delitto penale, ma comprende
anche i comportamenti devianti, la cosiddetta zona grigia antistante il delitto.
19
chiave di volta per molti crimini e, talvolta, ne è un “terreno germinativo”.
18
Resta il fatto che non è teorizzabile una correlazione lineare e funzionale tra
devianza e criminalità: un soggetto può incappare anche in una sola delle due
condizioni. Difatti, in un atto sono identificabili ben tre situazioni possibili: può
essere deviante ma non criminale (es. bere molto), può essere deviante e
criminale (es. bere molto e reagire con violenza), e infine, può essere
criminale ma non deviante (evadere il fisco, accettare raccomandazioni,
eccetera).
La devianza si configura, di conseguenza, come un atto contro una
norma sociale (non è la persona che è deviante, ma l’atto) e l’atto o
comportamento è considerato deviante se e solo se va in contrasto con la
norma (ad esempio, uccidere non è atto deviante in sé, a differenza
dell’assassinio di un innocente, giacché la norma contempla l’omicidio in caso
di legittima difesa). Un atto deviante può provocare reazioni diverse sia in
funzione del contesto, del luogo e del tempo in cui viene compiuto, sia in
funzione dello status della persona che lo compie. Rilevante, quindi, è anche il
rapporto atto-norma: se cambia la norma, l’atto potrebbe non essere più
classificabile come deviante.
Per quanto concerne il concetto di crimine, questo è spiegato con
chiarezza da illustri criminologi come Sutherland e Cressey, che nel testo
Principi di Criminologia affermano: “Il comportamento criminale è una
violazione della norma penale. Un atto, non importa quale sia il grado di
18
Cfr. M. Strano (a cura di), op. cit., 2003, p. 49.
20
immoralità, reprensibilità o indecenza, non è un crimine a meno che esso sia
proibito dalla legge, intesa convenzionalmente come un corpo di regole
specifiche riguardanti la condotta umana, promulgate da autorità politiche che
le applicano a tutti i membri della comunità in modo uniforme e che sono
rinforzate dalla punizione amministrata dallo Stato”
19
.
Il concetto di crimine utilizzato in questa sede, pertanto, intende il
delitto come fatto sociale (cioè espresso dalla normativa) e non come un fatto
naturale. In ragione di ciò, è necessario osservare la storicizzazione delle
norme e conseguenzialmente del crimine.
Riassumendo, mentre la devianza è l’infrazione delle nome sociali, la
criminalità è una violazione della norma legislativa; nondimeno, anche se le
accezioni sono diverse, spesso, molto spesso, le due categorie si accostano
così tanto da sembrare indistinguibili.
19
Cfr. E.H. Sutherland, D.R. Cressey, Principles of Criminology, Lippincott Co., Philadelphia 1960 (trad. it.,
M. Zucchetti, Criminologia, Giuffrè, Milano 1996.)
21
§ I.3 – Scienza criminologica e criminalità informatica:
una nuova sfida.
Il crimine accompagna l'uomo lungo tutta la sua storia evolutiva
adattandosi, nelle forme e nei contenuti, alla mutevole realtà sociale. La
rivoluzione “digitale” ha rappresentato, dopo un primo momento di incertezza,
un fertile terreno di coltura dove le nuove espressioni del crimine sono riuscite
ad occupare con forza una nicchia biologica che è aumentata di dimensione in
proporzione allo sviluppo e alla diffusione delle nuove tecnologie
informatiche.
20
L’interesse riguardo al fenomeno della criminalità informatica comincia
a profilarsi verso la fine degli anni ’70: a seguito della crescente diffusione di
computer in vari settori economici, aziendali, sanitari, dell’istruzione e sociali, il
dibattito tra gli studiosi s’attesta su quella che veniva definita la vulnerabilità
dell’Information Society e sulla sua dipendenza dall’ICT con conseguenze
relative alla adozione di misure idonee per la salvaguardia dei sistemi
informatici di infrastrutture critiche
21
da cui l’economia dell’intera società
diveniva completamente dipendente.
22
Il crimine informatico, allo stesso modo di quello tradizionale, può
assumere varie forme ed essere perpetrato praticamente sempre e ovunque.
Definirlo e individuarne la correlazione con la scienza criminologica, però, non
20
Cfr. L. Stilo, “Crimini informatici: dalle liste nere al codice penale italiano”, Diritto della Gestione
Digitale delle Informazioni, 2002, p. 62 (Supplemento a: Rivista Giuridica "Il Nuovo Diritto" 2002, n. 10).
21
All’inizio lo studio riguardava l’osservazione di banche, società di servizi, assicurazioni, industrie, ma
oggi comprende anche l’erogazione dell’energia elettrica e dei carburanti, i trasporti, la difesa nazionale ...
22
Cfr. S. Amore, Stanca V., Staro S., op. cit., 2006, p. 11.
22
è un compito particolarmente facile, anche perché gli indicatori che da sempre
hanno caratterizzato il crimine non trovano completa corrispondenza nel caso
dei computer crime.
L’espansione della tecnologia informatica ha oggi aperto un solco
profondo tra la scienza criminologica tradizionale e le attività illecite legate
all’uso improprio del computer. L’introduzione delle tecnologie informatiche e
telematiche nel mondo comune nonché in quello criminale, anche se
relativamente recente, ha avuto un’immediata propagazione a tutti i livelli, dal
singolo alle organizzazioni più sofisticate, ponendo non pochi problemi. Gli
effetti della “rivoluzione informatica” hanno interessato tanto l’ambito
civilistico, quanto quello penalistico; al riguardo, bisogna evidenziare come la
relazione tra informatica e criminalità sia al contempo di “conflitto” e
“attrazione”
23
.
Proprio in virtù di questa “distanza”, il computer crime costituisce una
sfida per l’attuale criminologia. Circoscrivere anche solo concettualmente il
dilagante fenomeno dei computer crime e determinarne la correlazione
criminologica non è compito agevole. Questo, non solo poiché – come
accennavamo – non vi è una diretta applicabilità delle specifiche qualificanti il
crimine tradizione, ma anche perché, in aggiunta, la tecnologia informatica,
oltre ad esaltare le capacità offensive di chi delinque, chiama a confrontarsi
con il dilemma della definizione dei confini del comportamento antisociale.
23
Cfr. V. Militello, “Informatica e criminalità organizzata”, Rivista trimestrale di diritto penale
dell’economia 1990, p. 81.
23
Una prima disputa verte sulla stessa tipizzazione e determinazione delle
nozioni di “computer crime” e di “computer criminal”, data la vasta gamma di
fenomeni che, a vario titolo e grado, informano tali macrocategorie. Il concetto
di criminalità informatica, infatti, è alquanto ambiguo; di riflesso, tale difficoltà
epistemologica comporta una ricaduta sulle norme giuridiche, che necessitano
di costanti adattamenti. Identici impedimenti si riscontrano per quanto
concerne la personalità del criminale informatico: la comprensione
dell’eziologia dei comportamenti criminosi si accompagna con la
moltiplicazione dei “tipi criminali”, che spaziano dall’hacker al pedofilo, al
cyberdipendente!
Comprendiamo, dunque, come utilizzare le conoscenze classiche della
criminologia in tale ambito sia un approccio limitato, destinato ineluttabilmente
a scontrarsi con il nuovo ordine, financo sociologico, dei computer crimes:
nella maggior parte dei casi, non si è davanti né ad un marginale né ad un
disadattato, bensì ad un soggetto ben integrato nell’ambiente sociale e
professionale.
Ulteriore difficoltà di analisi è dovuta al fatto che la criminalità
informatica è in gran parte dissimulata: spesso non vi è una diretta interazione
tra l’autore e la vittima (non di rado rappresentata dalla collettività); inoltre va
aggiunta la dimensione spazio-temporale dilatata o non identificabile.
Non ultimo, vi è il fondamentale problema della sicurezza che coinvolge
tutti: dal padre di famiglia che deve proteggere i figli dal rischio pedofilia, al
cittadino che utilizza tessere bancomat e carte di credito, all’azienda che deve
24
prevenire azioni fraudolente sempre più “creative”, agli Stati che devono
difendersi da organizzazioni criminali di tipo mafioso e terroristico.
La complessità del fenomeno implica la necessità di individuare misure
di protezione e di sicurezza, nonché forme di prevenzione e contrasto
adeguate al crimine e all’autore. Considerando la proliferazione dei reati e
degli abusi nel settore informatico, il controllo del fenomeno criminologico non
appare efficace nonostante l’evoluzione normativa e l’approvazione di
specifiche leggi
24
.
Secondo i principi classici della criminologia, il concetto di crimine è
stato sempre correlato a categorie fattoriali di tipo psicologico, economico,
fisico e sociale, più precisamente alla disoccupazione, alla povertà, alla
popolazione svantaggiata. Sulla base dell’analisi di questi fattori si sono
sviluppati diversi programmi di trattamento e di prevenzione, imperniati su
disciplina, educazione, training, occupazione.
Nell’analisi del crimine, un primo interesse ad altre categorie di fattori è
stato manifestato nel 1940 da Sutherland
25
, secondo il quale “il crimine non è
necessariamente correlato alla povertà o a condizioni psicopatiche o
24
Cfr. I. Corradini, C. Di Fede, “La criminalità informatica: un’analisi socio-criminologica”, in G. Marotta
(a cura di) Tecnologie dell’informazione e comportamenti devianti, Lede Edizioni, Milano 2004, p. 23.
25
Negli anni 1940-47-49, Sutherland formulò una teoria sulla “dimensione nascosta” della criminalità. Di
fatto, la maggior parte delle ricerche criminologiche dell’epoca trascuravano i “colletti bianchi”, poiché
consideravano solo i campioni di classi più basse. L’attenzione degli studiosi e dell’opinione pubblica americana
nel dopoguerra è, infatti, focalizzata unicamente sullo street crime. In uno studio sperimentale portò alla luce
una serie di crimini commessi da soggetti distanti, per caratteristiche socio-culturali, dallo stereotipo del
criminale diffuso (ancora oggi) nell’immaginario collettivo.
25
sociopatiche associate alla povertà, e un’adeguata spiegazione deve procedere
tenendo conto di differenti linee da considerare”
26
.
Nel caso del computer crime, quindi, si impone un approccio diverso e
che prenda in considerazione inedite classi fattoriali e diverse tipologie di
autori del reato se si vuol ben comprendere il problema.
Dal punto di vista criminologico, il computer crime sembra inserirsi
nella vasta area del white collar crime (crimine del colletto bianco),
distinguendosi nettamente dal tradizionale street crime (crimine da strada). Il
termine “crimine del colletto bianco” fu coniato in lingua nel 1949 dallo stesso
Sutherland che poneva per la prima volta all’attenzione criminologica le
categorie di individui ritenuti “rispettabili”, di ceto sociale medio-alto e titolari
di ruoli prestigiosi, in grado di commettere reati, seppur di tipo diverso, al pari
dei “comuni” criminali.
27
Il ritardo nello sviluppo di queste ricerche rispetto allo street crime può
attribuirsi a diversi elementi, tra cui la mancata esperienza e preparazione dei
criminologi – influenzati dallo stereotipo del criminale e abituati fino a quel
momento all’analisi di individui singoli – nonché dallo scarso stanziamento di
fondi adeguati, a causa del ridotto allarme sociale prima degli anni Settanta.
28
26
Cfr. E.H. Sutherland, White collar crime, Dryden Press, New York 1949. (trad. it., G. Forti, Il crimine dei
colletti bianchi, Giuffrè, Milano 1987, p. 5 e ss.)
27
Ibidem.
28
Il sociologo inglese Dennis Chapman nel 1975 esplica la teoria della “immunità differenziale”,
considerando la criminalità nota come non collegata all’effettiva commissione dei reati. Esiste, infatti, una
discriminazione dei soggetti in base alla classe sociale, alla visibilità pubblica eccetera, operata a livello sociale.
L’individuo povero e di bassa classe sociale, infatti, godrebbe di minore immunità nei processi selettivi della
rappresentazione sociale, del controllo istituzionale e del sistema giudiziario dominante. Tale percezione
distorcerebbe le statistiche giudiziarie, mostrando una maggiore tendenza al crimine da parte delle classi
svantaggiate. [Cfr. D. Chapman, Sociology and the stereotype of the criminal, Tavistock, London 1968. (trad. it.,
Lo stereotipo criminale, Einaudi, Torino 1975)]
26
La criminalità dei “colletti bianchi” sembra essere molto pericolosa
proprio per la premeditazione con cui “l’organizzazione” agisce: lo stimolo a
delinquere non è l’impulso incontrollato, ma una puntuale pianificazione del
crimine, che non si esaurisce nella commissione del reato ma si perpetua nel
tempo con il sostegno dell’intera organizzazione.
Secondo l’autore, “il comportamento criminale è appreso in interazione
con altre persone mediante un processo di comunicazione, che può essere sia
verbale che non verbale. Il criminale orienterà impulsi ed atteggiamenti verso
chi definisce tale comportamento in modo favorevole, isolandosi da chi lo
definisce invece in modo non favorevole; inoltre, una persona in una
situazione specifica si impegna in un tale comportamento se, e solo se, il peso
di definizioni favorevoli supera quello delle definizioni sfavorevoli”
29
. Per
Sutherland e la sua teoria dell’associazione differenziale
30
, dunque, il
comportamento criminale non è da considerarsi geneticamente determinato,
ma viene appreso in modo del tutto analogo a quello del comportamento
conforme. L’apprendimento di valori, norme ed atteggiamenti in contrasto con
la cultura dominante si verificherebbe grazie a processi di interazione con
individui o gruppi che attribuiscono significati positivi ad azioni devianti
31
.
Corollario a tale premessa è la possibilità di avere una diversa percezione della
29
Cfr. E.H. Sutherland, op. cit., 1949.
30
In breve, con questa teoria Sutherland nel 1940 spiega che un individuo diventa criminale quando le
interpretazioni sfavorevoli nei confronti del rispetto della Legge sono più forti di quelle favorevoli. Tra le
critiche, va ricordata quella di non aver sufficientemente preso in considerazione gli aspetti psicologici delle
scelte sociali.
31
È evidente come l’enfasi della teoria è sul gruppo e sulla sua organizzazione, piuttosto che sulle
motivazioni di chi ne fa parte.