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Abstract
La continua individuazione di nuove sostanze chimiche e il recente riconoscimento come potenziali
minacce per l’ambiente e per la salute umana, hanno portato all’esigenza di affrontare questa
problematica aumentando la ricerca scientifica riguardante i contaminanti emergenti e sviluppando nuove
politiche volte alla gestione del loro impatto e alla limitazione della loro diffusione. Il loro ampio utilizzo
come componenti nella produzione di prodotti industriali e per la cura personale ha comportato il loro
rilevamento anche nelle aree più remote come traccianti ambientali dei processi di emissione, trasporto
e deposizione.
Il presente lavoro di tesi consiste in uno studio volto all’identificazione e alla determinazione delle classi
chimiche degli acidi aloacetici, benzotiazoli e bisfenoli in campioni di neve prelevati presso le aree
comprese tra le Alpi occidentali e orientali; le operazioni di campionamento sono state condotte nei mesi
di marzo e aprile 2023. Ad oggi, tali inquinanti non sono ancora stati ricercati e studiati in queste aree.
Le tecniche analitiche prevedono l’utilizzo di una tecnica accoppiata HPLC-MS/MS.
I risultati hanno mostrato che gli analiti predominanti risultano coerenti con quelli normalmente impiegati
nei prodotti e nei processi industriali. Inoltre, le aree sottoposte a maggiore contaminazione si
individuano in prossimità di fonti antropiche e nelle aree soggette a recenti fenomeni di precipitazione
atmosferica.
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1. Obiettivo della tesi
Lo scopo del presente lavoro di tesi consiste nell’identificazione di inquinanti organici emergenti quali,
acidi aloacetici, benzotiazoli e bisfenoli nel manto nevoso formatosi presso le Alpi orientali e occidentali,
attraverso tecniche analitiche altamente specifiche e selettive. Successivamente, è stata resa possibile la
quantificazione delle concentrazioni al fine di valutare il livello di contaminazione presente.
L’obiettivo principale era quello di indagare i possibili meccanismi di trasporto che possono portare alla
loro presenza nella neve delle Alpi; infatti, è stata considerata l’ipotesi che, le Alpi italiane, in quanto
situate in un’area altamente antropizzata, potessero identificarsi come un punto di osservazione
rappresentativo delle emissioni antropogeniche. Per ciascuna classe di inquinante è stata fornita una
spiegazione sulle potenziali fonti di emissione e sui possibili impatti ambientali che potrebbero derivarne.
In particolare, per quanto concerne gli acidi aloacetici, oltre alle fonti antropiche, sono state identificate
e considerate le fonti di origine naturale.
Trattandosi del primo studio riguardante la presenza di tali inquinanti in una matrice nevosa non è stato
possibile confrontare i risultati ottenuti dall’analisi con dati analoghi in letteratura. Tuttavia, sono state
selezionate delle ricerche disponibili su altre aree geografiche e con ordini di grandezza differenti per
individuare se gli analiti determinati in questo studio fossero coerenti con quelli identificati in altri
contesti.
5
2. Introduzione
Il termine inquinante definisce qualsiasi sostanza di origine naturale e/o antropica, rilasciata
intenzionalmente o meno in ambiente, e che può comportare rischi per la salute umana e/o per gli
ecosistemi
1
. Al giorno d’oggi, la presenza di contaminanti tradizionali non rappresenta l’unica fonte di
rischio; infatti, negli ultimi decenni la crescente preoccupazione riguardante la presenza di contaminanti
emergenti ha rappresentato una vera e propria sfida per la gestione e la salvaguardia dell’ambiente e della
salute umana. Le sorgenti attribuibili sono innumerevoli, tra cui l’industria, l’agricoltura, l’uso domestico
e farmaceutico, fino ad arrivare ai processi di trattamento delle acque reflue. Si tratta di composti chimici
a cui spesso è possibile associare la comparsa di effetti avversi sulla salute umana, poiché molti di questi
composti possono essere assorbiti attivamente nelle cellule e ne tessuti
2
. Attualmente, non sono
regolamentati e il monitoraggio è limitato a casi particolari. Di conseguenza, i sistemi di abbattimento
non sono omologati e non sono sufficientemente efficaci, fattori che possono portare a elevate
concentrazioni nelle matrici ambientali, nella catena trofica e a effetti di bioaccumulo (Sauvé &
Desrosiers, 2014).
La ricerca scientifica rivolta allo studio di questo gruppo di inquinanti si è concentrata principalmente
sulle analisi del comparto acquatico (Álvarez-Ruiz & Picó, 2020; Čelić et al., 2021), definendo nuove
metodiche di rilevamento e valutandone gli effetti tossici (K’oreje et al., 2020; Naddeo et al., 2020; Oller
& Malato, 2021).
Le regioni remote si identificano come aree marginalmente colpite dalla scarsa influenza umana indigena
e locale. Tuttavia, sono in atto una serie di cambiamenti ambientali significativi riconducibili alle attività
antropiche attraverso il trasporto a lungo raggio dei contaminanti. L’importanza della presenza di questi
composti chimici ha toccato anche le zone più remote come l’Antartide (Amarante Junior et al., 2020;
Corsolini, 2009; Corsolini & Ademollo, 2022; Duarte et al., 2021; Emnet et al., 2015; Esteban et al.,
2016) e l’Artico, con studi riguardanti le acque superficiali (Tsui et al., 2014), le acque di mare (Vecchiato
et al., 2018), il biota marino e terrestre (Sonne et al., 2021; V orkamp et al., 2019) e la neve (Lebedev et
al., 2018; Vecchiato et al., 2018); suscitando una continua preoccupazione a causa della loro crescente
1
https://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_1981_allegato.pdf
2
https://iia.cnr.it/macroarea-impatti-antropici/inquinanti-emergenti
6
produzione e utilizzo, e sugli effetti finora dimostrati sugli organismi viventi e sul comparto ambientale
(Gaudin, 2014; Huang et al., 2021; Picone et al., 2021).
Il seguente lavoro di tesi ha l’obiettivo di verificare la presenza di inquinanti emergenti quali, acidi
aloacetici, benzotiazoli e bisfenoli nella neve. In questo caso, è stata considerata una matrice nevosa
situata nell’area alpina che, fino ad oggi, non è mai stata oggetto di studio per inquinanti.
2.1. L’ecosistema Alpino
Le Alpi sono il sistema montuoso più alto d’Europa, con un’area che si estende nel territorio italiano pari
a 51 941 km
2
, e si suddividono in venti sezioni raggruppate in tre macro-settori: Alpi orientali, centrali e
occidentali. Nel complesso, il sistema alpino si estende lungo un arco che include la Pianura Padana e
segna il confine con Francia, Svizzera, Austria e Slovenia.
Lo studio di contaminanti organici nelle zone alpine è di particolare importanza per il rischio che questi
possono rappresentare per la salute umana e per gli ecosistemi terrestri e acquatici, che in ambiente
montano sono particolarmente sensibili anche alle più piccole perturbazioni. In generale, le aree montane
sono anche ambienti ideali per lo studio e la modellazione delle dinamiche di trasporto e di
trasformazione dei contaminanti lungo i gradienti climatici e di copertura superficiale (Daly & Wania,
2005).
2.1.1. Definizione e caratteristiche della neve
La neve è una precipitazione atmosferica sottoforma di acqua ghiacciata cristallina, la cui formazione
inizia quando il vapore acqueo nell’atmosfera si condensa attorno a minuscole particelle, chiamate nuclei
di condensazione, tipicamente del diametro di circa 1 μm (sali, pollini o polveri). Le precipitazioni nevose
derivano principalmente da vasti sistemi di nubi stratificate che si trovano in continuo movimento a causa
di gradienti termici che innescano moti ascensionali delle masse d’aria. Il manto nevoso (snowpack)
formatosi nel corso dell’inverno è una struttura porosa, complessa e multistrato, la cui composizione è
strettamente correlata alla frequenza e all’intensità dei fenomeni nevosi, al gradiente di temperatura, di
umidità e alla radiazione solare
3
. I processi che portano alle trasformazioni della microstruttura possono
essere di origine sia termodinamica che meccanica, e prendono il nome di metamorfismo. Tali processi
3
https://webassets.eurac.edu/31538/1614848423-dossierneveit.pdf
7
coinvolgono numerosi fenomeni che avvengono simultaneamente, come la ripartizione e la traslocazione
all’interno del manto, la volatilizzazione e il drenaggio con l’acqua di fusione (Pogorzelski et al., 2021).
Il manto nevoso stagionale è caratterizzato da una grande variabilità spazio–temporale delle
caratteristiche chimico–fisiche, che lo rende un potenziale sink di sostanze inquinanti (Arellano et al.,
2014; Hoff et al., 1995) derivanti dal trasporto a lungo raggio (Herbert et al., 2006). Ad oggi, non esistono
teorie sufficientemente esaustive per la descrizione della velocità di evoluzione spazio–temporale delle
sostanze chimiche e riguardanti i processi fisici che avvengono all’interfaccia tra l’atmosfera e la neve
(Kinar & Pomeroy, 2015). Lo studio di Daly & Wania (2005), riporta una suddivisione dei meccanismi
di reazione neve-inquinante nelle categorie rappresentate in Figura 1 e riportate di seguito:
Figura 1 - Rappresentazione dei processi che coinvolgono il meccanismo di interazione neve-
inquinante (Daly & Wania, 2005)
- deposizione della fase gassosa umida con adsorbimento sul fiocco di neve;
- deposizione della fase particellare umida contenente la sostanza chimica adsorbita sul fiocco;
- deposizione gassosa secca;
- deposizione particellare secca;
- deposizione tramite pioggia (umida);
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- volatilizzazione;
- dissoluzione in acqua di fusione;
- flusso particellare;
- degradazione.
L’insieme dei processi che coinvolgono il manto nevoso avviene principalmente in due fasi consecutive:
durante la precipitazione e in seguito alla deposizione dei pacchetti di neve. Per quanto riguarda i
contaminanti organici più volatili, in seguito alla deposizione con la neve fresca, vanno incontro a un
processo di volatilizzazione. Al contrario quelli meno volatili, che si accumulano e rimangono nella neve
fino allo scioglimento, sono successivamente trasferiti ai mezzi superficiali attraverso l’acqua di disgelo
e le particelle (Daly & Wania, 2004), dando luogo ad aumenti temporanei delle concentrazioni (Herbert
et al., 2006). Quest’ultimi, a causa della loro maggiore permanenza nella neve superficiale, possono
essere soggetti a trasformazioni fotochimiche che in alcuni casi comportano la formazione di composti
più tossici e persistenti (Daly & Wania, 2004).
Per effetto di queste dinamiche, la neve rappresenta una matrice ambientale di fondamentale importanza
negli ecosistemi di numerose regioni del mondo, influenzando una vasta gamma di processi biologici,
ecologici e idrologici. È probabile che il destino di gran parte delle sostanze chimiche organiche sia
influenzato dalle caratteristiche degli ecosistemi ad elevate altitudini in particolare, le basse temperature
e la prolungata copertura nevosa (Wania et al., 1998).
2.1.2. Le alpi come hotspot dell’inquinamento
I primi studi riguardanti la determinazione della contaminazione di campioni di neve si sono concentrati
sulla ricerca di prove del trasporto a lungo raggio in aree remote di inquinanti organici di origine antropica
(Gregor & Gummer, 1989; Hargrave et al., 1988; Stengle et al., 1973; Tanabe et al., 1983); mentre, nelle
aree temperate, l’obiettivo primario era studiare le differenze di concentrazione su scala regionale
(Herrmann, 1978; Kawamura & Kaplan, 1986; Lunde et al., 1977; Schrimpff et al., 1979).
Le Alpi italiane rappresentano un ottimo punto di osservazione per le emissioni antropogeniche, in quanto
sono situate in prossimità di una delle aree più industrializzate d’Europa (Moser et al., 2019);
identificandosi, secondo la definizione di Pastorino et al. (2020), come un serbatoio per oligoelementi
(Barbante et al., 2004; Gabrielli et al., 2008; Schwikowski et al., 2004; Van De Velde et al., 2000;
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Veysseyre et al., 2001) e inquinanti organici (Carrera et al., 2001; Finizio et al., 2006; Gabrieli et al.,
2010; Herbert et al., 2004; Villa et al., 2006).
Le ragioni che hanno portato all’esigenza di determinare la presenza di contaminanti organici negli
ecosistemi alpini sono riassumibili in due potenziali macro-fattori:
1. il rischio che si verifichino effetti sugli esseri umani le cui risorse dipendono
dall’approvvigionamento idrico in tali aree, che tuttavia è considerata una via di esposizione
minoritaria rispetto al consumo alimentare di derivati animali contaminati (Daly & Wania, 2005);
2. il potenziale impatto sull’ecosistema, in quanto le aree montane ospitano un elevato grado di
diversità degli habitat che potrebbero essere compromessi dai composti con potenziale di
bioaccumulo (Daly & Wania, 2005). Un esempio è stato fornito dagli studi di Natangelo et al.
(1999) e Weissflog et al. (2001), che hanno dimostrato che i nitrofenoli e gli acidi aloacetici sono
in grado di reagire come fitotossine anche a concentrazioni di 20-200 ppb (Leuenberger et al.,
1988), assumendo un ruolo attivo nei sintomi delle malattie degli alberi presenti nei siti alpini.
Per quanto riguarda il loro accumulo in ambienti montani, le concentrazioni sono risultate fortemente
correlate con i gradienti altitudinali: le sostanze chimiche più volatili sono più inclini al trasporto ad alta
quota mentre quelle meno volatili tendono ad accumularsi nelle pianure (Chen et al., 2008; Wania &
Westgate, 2008). Nel contempo, sebbene le concentrazioni in ambiente tendenzialmente diminuiscano
con l’aumentare della distanza dalla sorgente, quando ad un trasporto orizzontale si combina una
variazione di quota è possibile anche riscontrare un effetto contrario, di accumulo degli inquinanti a
maggiori distanze (Macdonald et al., 2002; Wania, 1999).
La Figura 2 illustra i processi che avvengo lungo un pendio montano nelle rispettive situazioni diurne e
notturne. Le basse altezze di mescolamento atmosferico che si ottengono nel corso della stagione
invernale favoriscono l’intrappolamento dei contaminanti nello strato limite, la cui estensione raggiunge
i 3000 metri in prossimità delle Alpi orientali, rendendolo rappresentativo del contenuto chimico
troposferico delle aree alpine e delle regioni adiacenti (Gabrielli et al., 2008).
10
Figura 2 - Rappresentazione dei processi di trasporto atmosferico lungo il pendio montano nelle ore
diurne e notturne (Daly & Wania, 2005)
2.2. Analiti
Tra i contaminanti emergenti che al giorno d’oggi destano particolare interesse e preoccupazione, si
possono individuare alcune classi di sostanze, tra cui gli acidi aloacetici, i benzotiazoli e i bisfenoli. Tali
sostanze possono essere considerate emergenti in quanto sono state individuare come potenziali agenti
inquinanti e dannosi per l’ambiente e per la salute umana. In particolare, gli acidi aloacetici si identificano
come composti organici derivati da fonti naturali (e.g. alghe e piante acquatiche) oppure come
sottoprodotti di processi industriali. Per quanto concerne i benzotiazoli, si classificano come
contaminanti emergenti data la loro presenza in molteplici prodotti di uso comune come pesticidi,
plastiche e pneumatici. Infine, i bisfenoli sono stati ampiamente utilizzati in molti materiali di uso
comune, come plastiche e rivestimenti per cibi in scatola e bevande; inoltre, sono stati associati a
problemi di salute come danni al sistema riproduttivo e disfunzioni ormonali. L’insieme di questi fattori
11
rende fondamentale la ricerca, il monitoraggio e l’identificazione di misure volte al contenimento
dell’impatto che potrebbero provocare.
Attualmente, le informazioni presenti in letteratura per quanto concerne la presenza di tali classi di
composti chimici nella neve sono limitate e, in alcuni casi, assenti. In considerazione di questi fattori, nel
presente lavoro di tesi si è deciso di concentrare la ricerca sulla determinazione quali-quantitativa di
queste classi di sostanze inquinanti, che nello specifico possono essere definiti microinquinanti organici
emergenti, ovvero come una classe di sostanze chimiche esogene presenti nei comparti ambientali a
concentrazioni ridotte nell’ordine dei μg L
-1
o dei ng L
-1
.
2.2.1. Acidi aloacetici
Origine e caratteristiche
Gli acidi aloacetici (HAAs) sono prodotti di degradazione di composti sia di origine naturale che
antropica. Nello specifico, si tratta di acidi organici derivati dall’alogenazione dell’acido acetico
(CH3COOH), ovvero attraverso la sostituzione degli idrogeni del gruppo metilico con uno o più alogeni.
Si distinguono in base al numero e al tipo di sostituzioni (con bromo, cloro, fluoro o iodio) che avvengono
sul carbonio - α dell’acido acetico. La presenza degli alogeni conferisce dei valori di acidità maggiori
(e.g. pKa MCAA = 2.8) rispetto all’originario CH3COOH (pKa = 4.8), in quanto avendo un’elevata
elettronegatività stabilizzano lo ione acetato. Gli HAAs sono composti polari e hanno elevata solubilità
in acqua
5
. La prima sintesi di un HAA, in particolare dell’acido monocloroacetico avvenne nel 1857 ad
opera del chimico Reinhold Hoffmann. La reazione prevedeva di mettere a riflusso acido acetico glaciale
in presenza di cloro e luce. Nello stesso anno, il chimico Charles-Adolphe Wurtz ottenne il medesimo
prodotto attraverso la reazione tra cloroacetil cloruro e acqua
6
.
Gli acidi aloacetici presi in considerazione nel lavoro di tesi sono i seguenti: acido monobromoacetico
(MBAA), acido monocloroacetico (MCAA), acido dibromoacetico (DBAA), acido dicloroacetico
(DCAA), acido tribromoacetico (TBAA), acido tricloroacetico (TCAA), acido bromocloroacetico
(BCAA), acido bromodicloroacetico (BDCAA), acido clorodibromoacetico (CDBAA), acido
cloroiodoacetico (CIAA), acido monoiodoacetico (MIAA) e acido diiodoacetico (DIAA). Per la sua
5
https://pubchem.ncbi.nlm.nih.gov/#query=haloacetic%20acids
6
https://it.scribd.com/document/385876766/acido-cloro-acetico#download