6
particelle contenenti alcuni platinoidi (Pt, Pd, Rh), elementi impiegati
nel dispositivo catalitico per promuovere le reazioni di trasformazione
dei gas nocivi in forme meno dannose, che finiscono così per essere
riversati nell’ambiente.
L’interesse per lo studio dei platinoidi nelle aree urbane deriva
innanzitutto dal fatto che una parte delle particelle emesse dai
catalizzatori, circa il 34%, ha dimensione inferiore ai 10 µm, ossia
rientra tra le cosiddette “polveri sottili”, ed ha perciò un’elevata
mobilità ambientale e la capacità di penetrare nell’organismo umano
attraverso la respirazione.
Lo scopo della presente tesi è stato quello di effettuare un monitoraggio
geochimico sul contenuto di platinoidi e di altri elementi legati al
traffico automobilistico catalizzato (terre rare, bario e zirconio) nell’area
urbana del comune di Viterbo.
Lo studio è stato incentrato primariamente sui suoli, con l’obiettivo di
verificare eventuali arricchimenti, per gli elementi sopra citati, rispetto
ai valori di fondo naturali. Un’importante fonte di dati sono state anche
le polveri stradali, dato che le particelle emesse con i gas di scarico ed
accumulate sull’asfalto possono essere mobilitate da agenti trasportatori,
primo tra tutti il vento, e ridepositate poi in punti più distanti. Sono state
inoltre analizzate anche delle marmitte catalitiche, più precisamente la
parte che viene attraversata dai gas di scappamento, in modo da stabilire
con precisione il reale contenuto dei platinoidi presenti in tali dispositivi.
Tutte queste analisi sono state svolte con il supporto e la strumentazione
(ICP-MS ed ICP-OES) della sezione PROT-CHIM del centro ricerche
ENEA-Casaccia.
La parte finale del lavoro è stata incentrata nel verificare la possibilità
di individuare singole particelle emesse dai catalizzatori all’interno delle
stesse matrici ambientali precedenti, utilizzando la strumentazione
Laser-Ablation-ICP-MS del centro ricerche ENEA-Portici.
7
CAPITOLO 1
I Platinoidi
Con il termine platinoidi, spesso indicati anche come PGM (Platinum
Group Metals), ci si riferisce ad un gruppo costituito da sei elementi
chimici: il platino (Pt), il palladio (Pd), l’iridio (Ir), il rodio (Rh),
l’osmio (Os) ed il rutenio (Ru).
Essendo metalli rari, la loro abbondanza sulla crosta va da circa 0,01 a
0,05 ppm, ed assai preziosi, in quanto vengono impiegati in oreficeria,
sono anche conosciuti con il nome di “metalli nobili”. La limitata
abbondanza nella litosfera è legata al loro prevalente carattere siderofilo
che, unitamente all’elevata densità, favorisce l’allontanamento dai fusi
residuali durante il processo di differenziazione magmatica; infatti, nei
meteoriti a base di ferro-nichel il Pt è presente in quantità 500-5000
volte superiori a quelle della crosta e ciò fa quindi presupporre che il Pt
sia relativamente abbondante nel nucleo terrestre.
L’aggettivo “raro” potrebbe sembrare però quasi una contraddizione,
dato che, nonostante la loro innegabile scarsità, questi elementi si
trovano ormai in numerosi oggetti d’uso quotidiano tra cui:
ξ Le marmitte catalitiche dei veicoli a motore, che adoperano
platinoidi per eliminare le sostanze inquinanti dai gas di scarico.
ξ I prodotti di oreficeria, spesso fabbricati con platino ad un grado
di purezza superiore all’85%. La terna palladio-rutenio-iridio è
usata, sempre in gioielleria, in lega con rame e cobalto per
migliorare la lavorabilità e la bellezza degli ornamenti.
ξ Gli hard disk dei personal computer, dove vengono aggiunti
platino e rutenio per aumentarne la capacità di memorizzazione.
ξ Gli schermi LCD dei telefoni cellulari.
8
Oltre che negli oggetti di consumo rintracciamo la presenza di platinoidi
anche in strumenti altamente professionali, come utensili o dispositivi
chirurgici (vale la pena ricordare i pacemaker costruiti con platino ed
iridio). Ci sono poi anche specifici settori industriali che sfruttano
processi produttivi basati sul platino, ad esempio la fabbricazione di
vetri speciali oppure la preparazione dell’acido nitrico (HNO
3
).
Quanto sopra esposto evidenzia quale sia, al giorno d’oggi, l’importanza
economica di questo gruppo di elementi.
1.1 I platinoidi negli ecosistemi: emissione antropica e
circolazione nella biosfera
Lo sviluppo delle aree urbane ha portato, nel corso degli ultimi decenni,
ad un drastico mutamento del concetto di contaminazione ambientale. In
passato si considerava come inquinamento sostanzialmente l’immissione
nell’ambiente di rifiuti industriali o di composti sintetici, mentre oggi
sono soprattutto alcune sostanze naturali prodotte nelle zone civiche,
rilasciate negli ecosistemi in modo smisurato ed in sovrabbondanza
rispetto al volume originario, a rappresentare dei contaminanti.
L’anidride carbonica (CO
2
) è ad esempio uno dei gas fondamentali
dell’aria, insieme all’azoto ed all’ossigeno molecolari (N
2
e O
2
), ma è al
tempo stesso anche uno degli inquinanti più diffusi ed insidiosi: il vasto
surplus di CO
2
immesso nell’atmosfera a seguito dei processi di
combustione tende ad accentuare fortemente il fenomeno del tutto
naturale dell’effetto serra, aggravando così il problema del
riscaldamento globale. Allo stesso modo anche i vari metalli possono
figurare nelle liste degli inquinanti, sempre quando la loro distribuzione
non coincide più con quella nativa, ed è proprio ciò che sta accadendo
con alcuni platinoidi. Questi elementi chimici sono solitamente
scarseggianti nella biosfera, lo spazio aereo, terrestre ed acquatico
9
occupato dai viventi, ma da qualche tempo la loro concentrazione sulla
superficie terrestre è drasticamente aumentata per opera dell’uomo.
Fra tutti gli ambiti d’applicazione in precedenza citati, quello
primariamente responsabile dell’odierna contaminazione ambientale da
PGM è rappresentato dai catalizzatori automobilistici, che, sebbene
introdotti nelle vetture per ridurre le emissioni inquinanti dei gas di
scarico, dagli anni ‘70 hanno portato ad un incremento graduale ma
costante di metalli nobili negli ecosistemi. Il rilascio nell’ambiente è
causato in primo luogo dal lento deterioramento termico e meccanico del
dispositivo catalitico, prodotto dalle elevate temperature dei gas di
scappamento e dalle vibrazioni, cui vanno aggiunti gli eventuali “veleni”,
contenuti nel carburante o nei lubrificanti, che possono alterarne la
struttura chimica
1
. Inoltre, il traffico automobilistico è una fonte
d’inquinamento di tipo mobile, distribuita sia in modo lineare
(autostrade ed assi viari di grande comunicazione) che areale (i centri
urbani), capace pertanto di investire zone diverse a breve distanza di
tempo.
Sorgenti di contaminazione sono anche i catalizzatori industriali, come
quelli adoperati per l’ossidazione dell’ammoniaca nel processo di
fabbricazione dell’acido nitrico. Rilasciano maggiori quantità di
platinoidi, ma, trattandosi di fonti fisse (cioè il rilascio del contaminante
avviene solo in specifici spazi localizzati), il controllo delle emissioni
risulta più agevole rispetto a quelle legate alla circolazione
automobilistica. E’ invece del tutto irrilevante la contaminazione dovuta
alle attività minerarie in quanto, per il grande valore economico di questi
metalli, durante le fasi di estrazione e raffinazione vengono presi tutti
gli accorgimenti necessari al fine di minimizzare le perdite.
1
Esempi di “veleni” sono i composti solforati presenti nel diesel e nella benzina, il
piombo (quando non si utilizza benzina verde con le marmitte catalitiche), lo zinco
dialchil-ditiofosfato (ZDDP) contenuto nei lubrificanti o nei carburanti per ridurre
la corrosione e l’attrito.
10
1.1.1 Modalità di rilascio dei platinoidi nell’ambiente
La maggior parte dei metalli nobili rilasciati con i gas di scarico delle
automobili (platino, palladio e rodio) è emessa sotto forma di particolato,
costituito da minuscole particelle di varia grandezza tra le quali
prevalgono quelle di dimensione superiore ai 10 µm (Artelt et al., 1999;
Moldovan et al., 2002). Varie ricerche indicano che oltre il 95% del
platino messo in circolazione dai fumi di scarico è nella forma di
particolato, mentre per palladio e rodio le percentuali sono
rispettivamente dell’85% e 90% (König et al., 1992; Moldovan et al.,
1999, 2002). Nel particolato i platinoidi sono presenti come
nanoparticelle attaccate a frammenti più grandi di allumina (il materiale
che, come verrà spiegato più avanti, forma il supporto su cui sono
ospitati gli elementi nobili) e si ritiene che siano quasi completamente
allo stato metallico (circa il 99%) e, per una piccola parte, allo stato
ossidato (nel caso del platino nella forma di Pt
4+
, come PtO
2
) (Schlögl
et al., 1987).
Il particolato è reputato biologicamente inerte, ma i gas di scarico
contengono anche modesti quantitativi di platinoidi in forma solubile
teoricamente biodisponibili. Molti dati in letteratura indicano che la
percentuale solubile di platino è circa l’1% del totale rilasciato, mentre
altre misurazioni forniscono valori maggiori e sostengono inoltre che
l’ammontare della frazione solubile aumenta con il passare del tempo.
Difatti, Moldovan et al. (2002) hanno trovato che sul totale del platino
emesso quello solubile è meno del 10%, mentre per il palladio ed il rodio
la percentuale può salire, in particolare nei catalizzatori con 30000-
80000 Km di percorrenza, fino allo stesso ordine di grandezza del
particolato. La solubilità del platino dipende principalmente dalla
dimensione delle particelle e dall’interazione con gli agenti leganti che
favoriscono la formazione di complessi: test compiuti su particelle con
caratteri simili a quelle emesse dalle marmitte catalitiche hanno mostrato
11
che la solubilità cresce con la diminuzione del diametro (Nachtigall et
al., 1996) e che risulta sensibilmente maggiore in soluzioni di NaCl o
KCN piuttosto che in acqua distillata (Nachtigall et al., 1996 ; Artelt et
al., 1999).
Esistono opinioni e dati diversi, a volte anche discordanti, circa
l’ammontare di platinoidi rilasciati dalle automobili, ma il mondo
scientifico si trova d'accordo sul fatto che il tasso d’emissione sia legato
alla temperatura dei fumi di scappamento, alla velocità del veicolo e al
modello di catalizzatore. Da un punto di vista cronologico uno dei primi
studi sulla contaminazione da metalli nobili fu eseguito dalla General
Motors (Hill & Mayers, 1977) su catalizzatori modello “Pellet-Type”,
anche noti come “Two-Way”, che riscontrò un tasso d’emissione di
platino compreso tra 0,8 e 1,2 Πg/Km in condizioni di velocità moderata
(48 Km/h) e di 1,9 Πg/Km a velocità elevata (96 Km/h); inoltre, il
diametro delle particelle emesse fu superiore a 125 Πm nell’80% dei casi.
Occorre tuttavia precisare che questi dati furono ottenuti con un numero
limitato di misure, talvolta singole, quindi devono considerarsi
solamente indicativi. In ogni caso, dispositivi di quel tipo non sono mai
stati montati su autovetture europee, mentre negli USA non sono più in
uso ormai da parecchio tempo. I catalizzatori di nuova generazione, i
“Monolith-Type” o “Three-Way”, hanno mostrato tassi d’emissione
apprezzabilmente ridotti rispetto a quelli tipici dei vecchi modelli, con
valori tra 2 e 39 ng/Km in funzione della velocità e con un diametro
medio delle particelle variabile da 4 a 9 Πm (König et al., 1992).
Di studi sui tassi d’emissione n’esistono molti altri, alcuni estremamente
recenti, che indipendentemente delle diverse cifre riportate in ognuno di
essi concordano nel definire una tendenza alla diminuzione del rilascio
di platinoidi con il progredire dell’età del catalizzatore. Per completare
quest’argomento si ritiene utile riportare una raccolta di dati
bibliografici (Tabella 1.1) sui tassi d’emissione di vari catalizzatori,
vecchi e recenti, per motori benzina e diesel.
12
Tabella 1.1 Emissione di platinoidi dai gas di scarico (Ravindra et al., 2004)
Tipo di Catalizzatore Condizioni Operative Emissioni Autore
48 Km/h Pt: 1,2 µg/Km
Pellet Type
96 Km/h Pt: 1,9 µg/Km
Hill e Mayer, 1977
Monolith Type Giri motore al minimo
Pt: 67 ng/m
3
Rosner e Hertel, 1986
60 Km/h
Pt: 3,3±1,6 ng/m
3
100 Km/h
Pt: 11,9±5,8 ng/m
3
Monolith Type
140 Km/h
Pt: 39,0±16,6 ng/m
3
König et al., 1992
Monolith Type
(Pt-Rh)
140 Km/h
Pt: 120 ng/m
3
Rh: 20 ng/m
3
Pd: 0,3 ng/m
3
Ir: 0,02 ng/m
3
Lüdke et al., 1996
80 Km/h (nuovo) Pt: 12 ng/Km
80 Km/h (vecchio) Pt: 9 ng/Km
130 Km/h (nuovo) Pt: 90 ng/Km
Monolith Type
130 Km/h (vecchio) Pt: 18 ng/Km
Artlet et al., 1999
Benzina (nuovo)
Pt: 100 ng/Km
Pd: 250 ng/Km
Rh: 50 ng/Km
Diesel (nuovo) Pt: 400-800 ng/Km
Benzina (30000 Km)
Pt: 6-8 ng/Km
Pd: 12-16 ng/Km
Rh: 3-12 ng/Km
Monolith Type
Diesel (30000 Km) Pt: 108-150 ng/Km
Palacios et al., 2000
Vel. Costante 80 Km/h
Pt: 6,3-7,5 ng/Km
Pd: 1,2-1,9 ng/Km
Rh: 0,6-1,2 ng/Km
Catalizzatore Pt/Pd/Rh,
Pd/Rh
(18000 Km)
Condizioni di guida reali
Pt: 11-58 ng/Km
Pd: 2-24 ng/Km
Rh: 1,5-7 ng/Km
Benzina
Pt: 27-313 ng/Km
Pd: 6-108 ng/Km
Rh: 8-60 ng/Km
Catalizzatore Pt/Pd/Rh,
Pd/Rh
(Nuovo)
Diesel Pt: 47-170 ng/Km
Moldovan et al., 1999
Benzina
Pd: 2,59-9,38 µg/L
Monolith Type
(Pd/Rh)
Diesel
Pd: 11,25 µg/L
García et al., 2001
Benzina
Pt: 10,2 ng/Km
Pd: 14,2 ng/Km
Rh: 2,6 ng/Km
Monolith Type
Diesel
Pt: 223 ng/Km
Pd: 75,8 ng/Km
Rh: 33,7 ng/Km
Rauch et al., 2002
Benzina
Pt: 10,2 ng/Km
Pd: 14,2 ng/Km
Rh: 2,6 ng/Km
Monolith Type
Diesel
Pt: 223 ng/Km
Pd: 75,8 ng/Km
Rh: 33,7 ng/Km
Rauch et al., 2002
13
La tabella dimostra, come già accennato in precedenza, che non esiste un
accordo nel modo di definire e calcolare i tassi d’emissione. La
divergenza emerge in modo ancora più marcato quando si confrontano i
dati d’emissione ottenuti da misure dirette sui gas di scarico con quelli
ottenuti per determinazione indiretta, tramite l’ausilio di modelli
matematici, da campioni ambientali. Ad esempio, basandosi sulle
concentrazioni rinvenute in suoli, acque e sedimenti, Zereini et al.
(1997) stimarono un tasso medio generale d’emissione pari a 270 ng/Km;
allo stesso modo Helmers et al. (1994) calcolarono un range d’emissione
addirittura di 2-10 µg/Km. Una possibile spiegazione si potrebbe
ricercare in fonti d’inquinamento da PGM aggiuntive ai catalizzatori, ad
esempio materiali da costruzione, fertilizzanti, pneumatici, derivati del
petrolio, reflui ospedalieri, ma nessuna di loro sarebbe in grado di
produrre una contaminazione comparabile al traffico automobilistico: Alt
et al. (1997) hanno a tal proposito valutato in un intervallo di 0,02-0,5
ng/Km l’emissione di platino imputabile alla benzina, Alt &
Messerschmidt hanno invece stimato in 0,02-0,1 ng/Km l’emissione del
metallo nobile causata dal consumo dei pneumatici, mentre Helmers
(1997) ha calcolato in 0,02-0,1 ng/Km il platino rilasciato dall’usura dei
freni. Un’ipotesi più logica consisterebbe, invece, in un maggiore
rilascio di platinoidi nelle reali condizioni di guida, visto che anche i
dati di Moldovan et al (1999) mostrano una più alta emissione in
situazioni di guida effettiva (Tab.1.1), ma nemmeno questo riuscirebbe a
spiegare gli elevati valori dichiari da Helmers (1994). I dati ottenuti per
determinazione indiretta tendono quindi a sovrastimare i reali tassi
d’emissione, perché i platinoidi contenuti nei campioni ambientali
dipendono anche da fattori incontrollabili come i fenomeni meteorologici,
le condizioni del traffico, la variabilità di composizione dei catalizzatori,
ecc.
14
1.1.2 Trasporto, smistamento e trasformazione nei comparti
ambientali
I platinoidi emessi dagli autoveicoli vanno dapprima a disperdersi
nell’atmosfera. Numerose osservazioni, effettuate in diverse città
europee, hanno indicato che nel corso degli ultimi anni si è avuta una
continua crescita dei livelli di metalli nobili nell’aria. Infatti, prima
dell’introduzione dei catalizzatori, le concentrazioni di platino e palladio
nel comparto aereo d’Europa e U.S.A. erano al di sotto dei limiti di
rilevabilità (0,05-1 pg/m
3
) della strumentazione analitica disponibile in
quel periodo (Johnson et al., 1975; König et al., 1992). Gli studi
successivi hanno invece mostrato un rapido incremento di questi valori.
Ad esempio, misurazioni di Zereini et al. (2001a) svolte in Germania
nell’arco di dieci anni, dal 1988 al 1998, hanno ricavato un aumento di
platino e rodio rispettivamente fino a 46 e a 27 volte.
A causa della loro massa, le particelle rilasciate con la frazione più
grande del particolato automobilistico (>10µm) non rimangono a lungo
in sospensione nell’aria e finiscono per depositarsi prevalentemente ai
margini delle strade o nelle loro vicinanze. Preferenziali recapiti sono
allora i bordi delle carreggiate oppure i suoli strettamente circostanti, ma
il trasporto può essere protratto da fattori, quali vento, acqua, organismi
viventi, in grado di favorire la dispersione su distanze maggiori. La
diffusione ambientale di un contaminate dipende infatti anche
dall’intervento di agenti meteorologici, biologici, morfologici, capaci di
innescare una complessa traslocazione che può arrivare a coprire estesi
tratti e può far passare i metalli nobili anche lungo le catene alimentari.
Un fattore molto importante è il vento, al quale si deve la maggior
parte dell’influenza sulla distribuzione areale. Questa modalità di
dispersione è stata ben studiata da Hodge e Stallard (1986), in
corrispondenza di una strada di San Diego (California, USA) ad elevato
traffico (media di 154.000 veicoli al giorno): le analisi di polveri
prelevate a distanze crescenti dal ciglio della carreggiata evidenziarono
una concentrazione massima di platino proprio sul bordo della strada
15
(680 µg/Kg), mentre allontanandosi dal tracciato stradale si assisteva ad
un progressivo decremento (fino a 100 µg/Kg ad una distanza di 34 m).
Analoghi risultati, comprovanti la netta diminuzione di platinoidi con la
distanza dalla strada, sono stati trovati da Heinrich et al. (1996).
Eventuali barriere, artificiali o naturali, possono tuttavia ostacolare il
trasporto aereo delle polveri; sbarramenti naturali sono ad esempio
boschi e foreste, capaci di ridurre la propagazione dei metalli nobili
dalle zone attigue al tracciato stradale.
Lo scorrimento superficiale delle acque meteoriche, il runoff, può
trasportare le particelle dai bordi delle strade fino ai campi coltivati, ai
fiumi, ai laghi ed agli oceani. In letteratura scientifica esistono alcuni
studi che mostrano come la traslocazione compiuta dal deflusso delle
acque superficiali possa favorire l’arricchimento in platinoidi dei
sedimenti lacustri o fluviali (Dissanayake et al., 1984; Hodge e Stallard,
1986) ma anche dei sedimenti marini e delle acque in generale (Hodge et
al., 1985; Hodge et al., 1986). Wei e Morrison (1994) hanno stimato in
un intervallo compreso tra 0,1 e 0,7 ng/L la concentrazione del platino
nelle acque di runoff delle autostrade, mentre altri studi hanno riportato
valori fino a 1 µg/L (Helmers et al., 1994; Laschka et al., 1996).
La rete trofica può causare il trasferimento di metalli pesanti
attraverso le catene alimentari e provocare infine il bioaccumulo e la
biomagnificazione negli organismi posti al loro culmine (uomo
compreso). Le piante, collocate alla base delle catene alimentari in
quanto “produttori primari di biomassa”, possono assorbire piccole dosi
di metalli nobili attraverso l’apparato radicale, il fusto e le foglie (le
parti direttamente esposte al suolo o all’aria contaminati).
L’assorbimento di platino da parte di alcune varietà vegetali, con
particolare riguardo verso quelle usate nell’alimentazione umana, è stato
ottenuto confrontando la crescita di esemplari coltivati su suoli naturali
e su suoli appositamente contaminati con polveri di tunnel (Lustig et al.,
1997); le piante cresciute sul terreno non trattato assorbivano meno
dell’1% del platino naturalmente presente nel suolo (0,15±0,11 ng/g),
16
mentre quelle sviluppate sul terreno contaminato ne assorbivano dosi
leggermente maggiori. Risultati affini sono stati ottenuti da Zereini et al.
(1997) per mezzo di un esperimento molto simile al precedente, in cui il
suolo era stato arricchito con polveri ricavate dalla macinazione di
catalizzatori. Schäfer et al. (1998) si sono soffermati invece sullo studio
dei coefficienti di trasferimento dei principali metalli nobili dal suolo
alle piante, concludendo che platino, palladio e rodio sono da
scarsamente a moderatamente mobili e che non vengono assorbiti nella
stessa misura ma secondo il seguente ordine Pd !Pt τRh.
Il trasferimento dei platinoidi dal regno vegetale a quello animale è
attuato dagli erbivori, o “consumatori primari”, mentre attraverso i
carnivori si apre la strada all’eventuale trasferimento fino all’ultimo
anello della catena alimentare.
Le modificazioni chimiche mediate dalle componenti del suolo e
dalle soluzioni in esso circolanti possono indurre ossidazione o
complessazione. Da questo punto di vista ci sono prove sull’ossidazione
del platino esercitata dalla frazione umica (Lustig et al., 1996) e sulla
formazione di complessi solubili (Fuchs & Rose, 1974; Nachtigall et al.,
1996). Anche per il palladio c’è la possibilità d’interazione chimica con
la sostanza umica (Ek et al., 2004).
La biomodificazione può trasformare i platinoidi in nuove forme
chimiche biodisponibili. Alcuni autori ritengono che vi sia la possibilità
di biometilazione del platino e del palladio, che potrebbe creare i
presupposti per una circolazione biogeochimica simile a quella del
mercurio; il rischio di tossicità in questo caso sarebbe molto elevato,
vista la liposolubilità dei composti organometallici metilati. Per il
momento tale ipotesi è alimentata soltanto dai risultati di alcuni
esperimenti di laboratorio, che hanno evidenziato come taluni complessi
solubili del platino(IV) possano essere metilati, in presenza anche di
platino(II), dalla metilcobalamina batterica (Taylor, 1976; Wood et al.,
1978; Fanchiang et al., 1979; Taylor et al., 1979; Fanchiang, 1985);
queste informazioni sono state ricavate però da test in vitro ed in
17
condizioni abiotiche (cioè in completa assenza di forme di vita), quindi
non ci sono certezze sul fatto che i microrganismi nell’ambiente riescano
a fare altrettanto. Le specie chimiche su cui è stata constatata la
metilazione non sono comunque le particelle emesse dalle marmitte
catalitiche, ma alcuni sali solubili contenenti platinoidi, perciò prima di
una loro eventuale biomodificazione sarebbe necessaria una preliminare
fase di complessazione con i leganti presenti nel suolo.
La biometilazione potrebbe favorire anche l’assorbimento di platino in
specifiche varietà vegetali, poiché, pur non essendoci riscontri definitivi,
si suppone che i batteri associati alle radici delle leguminose possano
metilare i platinoidi facilitandone così l’assorbimento dal terreno.
Gli agenti di trasporto di solito non agiscono singolarmente, ma possono
interagire ed operare in successione attuando una sorta di “catena di
trasporto degli inquinanti”. Di conseguenza, si potrebbe ipotizzare che
delle polveri stradali ricche in platinoidi siano prima trasportate dal
vento ad una certa distanza dalla posizione iniziale, poi portate via per
un ulteriore tratto da una nuova corrente d’aria, quindi, una volta
depositate, trasportate attraverso le acque meteoriche e così via; in
questo modo il contaminante può riuscire a raggiungere anche zone non
antropizzate, dando il via ad un fenomeno di inquinamento diffuso su
scala globale. La conferma dell’efficienza dei fattori di trasporto è stata
appurata sperimentalmente, tanto che alcune recenti indagini hanno
evidenziato l’arricchimento in PGM addirittura in un luogo remoto come
la Groenlandia, dove il confronto tra campioni di ghiaccio risalenti a
7000 anni fa e campioni di neve raccolti nella metà degli anni ‘90 ha
segnalato che i livelli di tali metalli sono aumentati fino a 120 volte
(Barbante et al., 2001).
18
1.2 Risorse Minerarie
I depositi naturali di metalli nobili possono essere riuniti in tre gruppi
(Fig. 1.1), a loro volta suddivisi in più tipologie (Xiao et al., 2004):
ξ Depositi con predominanza di platinoidi
Sono siti minerari ad elevato contenuto di elementi nobili e
sfruttati primariamente proprio per i platinoidi. In questa
categoria sono inclusi i “depositi di tipo Merensky” (in generale si
tratta di stratificazioni disseminate di solfuri), i “depositi di tipo
Cromite” (associazione tra platinoidi e Cromite), i “Placer”
(depositi alluvionali ed eluviali originati dalla degradazione
meteorica di rocce ultramafiche) ed i “filoni di Dunite” (in cui
circa il 50% dei platinoidi sono presenti sottoforma di leghe Pt-Fe
e circa il 30% come Sperrylite e Geversite).
ξ Depositi con predominanza di Ni-Cu.
Si tratta di giacimenti contraddistinti da minerali con alto
contenuto di nichel e rame, i principali obiettivi delle estrazioni,
dove i platinoidi vengono invece ricavati come sottoprodotto della
lavorazione. In questi depositi, ulteriormente ripartiti in quattro
classi secondo la loro caratterizzazione petrotettonica, i metalli
nobili si trovano allo stato discreto o in soluzione solida con
solfuri metallici.
ξ Depositi compositi.
Siti minerari in cui i metalli nobili non sono ricavati né come
prodotto primario né come prodotto secondario, perché il loro
contenuto è talmente basso da rendere economicamente
svantaggiose le attività di recupero.