1_ INTRODUZIONE
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1.1 Cenni introduttivi
I ghiacciai polari sono ottimi archivi climatici ed ambientali, in
quanto, negli strati successivi di ghiaccio depositatosi nel corso
degli anni, sono presenti anche specie inorganiche in quantità
riferibile ad eventi naturalmente accorsi nel corso della storia del
pianeta. Per fare alcuni esempi, il diverso rapporto tra gli isotopi
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dell’ossigeno O/O rilevato lungo gli oltre 3300 m di lunghezza
del carotaggio effettuato presso la stazione scientifica italo-francese
di Dome C, in Antartide, ha dimostrato che nel corso dei secoli il
clima del pianeta ha subito delle variazioni cicliche con periodi
glaciali alternati a periodi interglaciali (EPICA community
members, 2004) oppure l’eruzione del vulcano Krakatoa nel 1883 è
ben rilevabile nel ghiaccio antartico corrispondente a quel periodo
per l’elevato contenuto di acidità solforica(Shaw G.E.,1989).
Anche la quantità di Pt nel ghiaccio della Groenlandia è in stretta
correlazione con l’andamento della produzione di questo metallo
nelle regioni artiche della Russia (Barbante C. et al., 2003). La
determinazione delle concentrazioni d’alcuni composti e/o elementi
in strati successivi di ghiaccio fornisce le informazioni necessarie
sia a comprendere quale potrebbe essere l’evoluzione del clima
sulla terra (climatologia), sia a capire quali sono i processi
ambientali esistenti naturalmente, sia inoltre a quantificare
l’impatto dell’attività umana nell’ecosistema terrestre.
Quest’ultimo aspetto ha sollevato parecchi motivi di discussione
presso l’opinione pubblica mondiale (effetto serra,
surriscaldamento del pianeta, protocollo di Kyoto ecc.).
Dal punto di vista del chimico analitico, le analisi necessarie a
fornire i dati richiesti dagli studi appena menzionati costituisco una
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sfida notevole. Infatti, le quantità relative degli analiti d’interesse
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sono dell’ordine dei ppt (1 ppt = 10 g g).
Esiste quindi la doppia necessità sia di tecniche strumentali con
sensibilità elevata che di procedure operative tali da prevenire la
contaminazione dei campioni analizzati. Infatti, per il
campionamento e analisi si fa uso di materiale ultra pulito, di locali
adatti (clean room, cappe a flusso laminare), di reagenti e solventi
ad elevata purezza, di strumenti ad alta sensibilità.
Inoltre, le quantità di campione da esaminare sono in genere
limitate, sia perché gran parte di queste ricerche sono condotte
congiuntamente da più enti di ricerca, sia perchè ogni campione va
decontaminato (Planchon F.A.M. et al., 2001) .Un’altra necessità
che s’incontra in questo tipo di studi è quella del trattamento dei
dati raccolti; essendo quelli descritti sistemi complessi, la
descrizione completa di questi fenomeni comporta l’analisi
contemporanea di tutte le variabili interessate dal fenomeno. Si
rende, quindi, necessario l’utilizzo di tecniche statistiche d’analisi
multivariata, in grado di estrarre informazioni significative da set
numerosi di dati, quantificando il peso (leggi l’importanza) di
ciascuna variabile nel sistema in esame.
Questo è il contesto su cui si sviluppa questo lavoro di tesi.
Nell’ambito di un progetto congiunto tra l’istituto coreano di
ricerca polare (KOPRI) e l’Università di Venezia, nel Dipartimento
di Scienze Ambientali di quest’ultima si è determinato le quantità
d’alcuni metalli (e di un non metallo con proprietà semi metalliche)
tramite ICP-SFMS (inductively coupled plasma sector field mass
spectrometry) in campioni di neve antartica campionate dai
ricercatori coreani presso due siti posti in prossimità della Ingrid
Christensen Coast (costa orientale dell’Antartide). I dati da noi
acquisiti, assieme a quelli raccolti dal KOPRI (su altre aliquote
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degli stessi campioni) sulle quantità d’alcuni indicatori ambientali,
sono qui analizzati mediante analisi monovariata (correlazione) e
multivariata (PFA – Principal Factor Analysis), al fine di poter dare
una descrizione dei processi naturali (ed eventualmente antropici)
che concorrono alla presenza degli analiti indagati sulla neve
antartica.
1.2 Interazioni atmosfera/ghiaccio antartico
Prima di affrontare la problematica analitica, è doveroso
soffermarsi sui meccanismi naturali responsabili della presenza
degli elementi e degli indicatori investigati nella neve antartica. In
generale, le specie chimiche indagate sono trasportate nell’aria
come aerosol e ricadono al suolo o per gravità, o inglobati in
fiocchi di neve. Di seguito definiamo nei particolari questi processi.
1.2.1 Aerosol
Un aerosol è una sospensione di particelle liquide o solide in un
gas; nel nostro caso, si tratta di particelle liquide o gassose di varia
origine che vengono sospese in atmosfera. Com’è facile intuire, si
tratta di particelle di dimensioni ridotte (l’ordine di grandezza è il
m), la cui origine varia a seconda del tipo d’aerosol considerato.
In effetti, si può parlare di due tipi d’aerosol :
- Aerosol primari: derivanti dalla dispersione di micro particelle
prodotte dalla superficie terrestre;
- Aerosol secondari: derivanti dalla condensazione di gas e vapori
nell’atmosfera o come prodotto di reazioni chimiche
nell’atmosfera stessa.
Nel corso di questo lavoro di tesi si considerano gli aerosol di
origine sia naturale che antropica. Si parte da questo postulato
nonostante la scarsa presenza nell’emisfero australe di fonti
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antropiche e la lontananza dell’Antartide da queste ultime. In
tabella 1.1, in figura 1.2 e figura 1.3 sono evidenziate la
provenienza, le quantità annue sospese nell’atmosfera e le
dimensioni delle particelle.
Figura 1.1: formazione,trasporto e deposizione di aerosol. (www.sisuni.unimi.it)
Tabella 1.1: fonti di aerosol ed emissioni in atmosfera.
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Fonti aerosol primario Quantità annua (10 t)
Incendi 35
Polvere 300
Sale marino 1000
Eruzione vulcaniche 50
Meteoriti 1
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Fonti aerosol secondario Quantità annua (10 t)
Produzione ione solfato 150
Produzione ione nitrato 250
Particellato organico 100
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Figura 1.2: dimensioni delle particelle a seconda della provenienza.
1.2.1.1 Aerosol primari
Gli aerosol primari possono distinguersi a seconda della loro
provenienza (Shaw G. E., 1989) in:
- Aerosol crostali: si tratta di polveri dovute all’erosione della
crosta terrestre da parte del vento, dei mari, dei fiumi e dei
ghiacciai. A seconda della dimensione della particella,
nell’atmosfera si assistono a fenomeni di trasporto frazionato,
nel senso che più piccola è la dimensione della particella,
maggiore sarà il tempo di residenza nell’atmosfera e maggiore
sarà la distanza che essa riuscirà a percorrere. In Antartide si
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presume che arrivino a depositarsi 10 – 20 milioni di tonnellate
all’anno di micro particelle, provenienti soprattutto dalle zone
desertiche dell’emisfero australe.
- Aerosol marino (spray marino): si tratta di particelle liquide
prodotte dal mare come conseguenza dell’emissione di bolle, e
al rifrangersi delle onde sulle scogliere. Queste particelle
possono raggiungere anche dimensioni maggiori di 100 m e, in
presenza delle correnti costiere, possono essere trasportate
anche in zone molto lontane rispetto al luogo di origine. In
Antartide, soprattutto in inverno, si assiste a fenomeni turbolenti
che aumentano notevolmente la deposizione di “sea salt” nel
suolo (Salt storms).
Oltre a queste due fonti principali, altre fonti di micro particelle
possono individuarsi nel particolato vulcanico e nelle polveri
d’origine extra-terrestre.
1.2.1.2 Aerosol secondari
Gli aerosol secondari sono costituiti da sostanze prodotte da
reazione d’ossidazione che avvengono nell’atmosfera, come HNO
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(dovuto all’ossidazione di NO), HSO (dovuto all’ossidazione di
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SO) e HF (degradazione ossidativa di CFC, Cloro Fluoro Carburi).
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Le fonti sono sia naturali che antropiche, ma una distinzione non
sempre è netta; si pensi per esempio che la SO presente
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nell’atmosfera può derivare da emissioni naturali come l’attività
vulcanica e/o attività biogenica dell’oceano, ma anche alle
combustioni di materiale fossile da parte dell’uomo. Ritorneremo
più avanti su quest’argomento quando parleremo del significato dei
solfati come indicatori ambientali.
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1.3 Fenomeni di trasporto e deposizione degli aerosol
Le particelle sospese come aerosol crostale possono provenire
anche da luoghi molto distanti rispetto al sito dove si depositano;
talvolta restano sospesi in atmosfera alcuni giorni, trasportati da
correnti di direzione più o meno nota. Un esempio è costituito dagli
aerosol che si formano in Europa o nel nord America e che si
depositano in Groenlandia. Nel caso dell’Antartide, invece, non ci
sono traiettorie così ben definite, anche a causa della distanza che
intercorre con le fonti più vicine. Si è provato a determinarle
applicando modelli di diffusione vorticosa, ma si sono ottenuti dati
contrastanti (Davidson C.I., 1989). Sembra in ogni caso appurato
che il trasporto di queste particelle avvenga con sistemi
anticiclonici su larga scala (coinvolgenti l’intero emisfero australe);
gli aerosol si formano a livello della troposfera.
I fenomeni di trasporto dell’aerosol vulcanico sono molto simili a
quelli appena descritti, anche se cambiano decisamente le quantità
di polvere trasportate nell’unità di tempo; inoltre, i tempi di
residenza del particolato nella troposfera sono differenti.
Legati, invece, alle correnti marine sono le modalità di trasporto
dell’aerosol marino, sia esso primario e/o secondario.
Per quanto concerne la deposizione delle particelle costituenti gli
aerosol, sono due i meccanismi interessati :
- Dry deposition: deposizione al suolo in assenza di
precipitazione;
- Wet deposition: deposizione al suolo tramite precipitazione.
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1.3.1 Dry deposition
Questo fenomeno si può sommariamente dividere in tre processi
consecutivi (Davidson C.I., 1989):
- trasporto aerodinamico: le particelle sospese sono trasportate
attraverso i più bassi strati dell’atmosfera fino ad uno strato
d’interfaccia con la superficie terrestre. In questo strato vi
giungono con meccanismi differenti a seconda della consistenza
delle particelle stesse: tramite diffusione vorticosa per le
particelle di dimensioni inferiori a circa 10 m e attraverso
sedimentazione le particelle di dimensioni superiori. Queste
ultime cadono direttamente al suolo se la loro forza peso è
maggiore della forza d’attrito opposta dall’atmosfera;
- trasporto attraverso lo strato d’interfaccia: in questo strato vige
un regime quasi laminare d’aria stagnante, una condizione di
stato quasi stazionario. Le particelle sospese, a seconda della
loro dimensione e dello spessore dello strato quasi stazionario,
attraversano quest’ultimo per diffusione (gradiente termico e/o
di concentrazione), per associazione con altre particelle (sia di
polvere o con cristalli di neve) o per sedimentazione;
- deposizione sulla superficie: questo stadio finale avviene o per
semplice aderenza, o per reazione chimica con la superficie
nevosa. In quest’ultimo caso si possono avere reazioni
reversibili d’adsorbimento, che possono dar luogo anche a
fenomeni di riemissione (nel caso di gas) o risospensione.
Possono anche seguire fenomeni di diffusione nel manto nevoso.
Mediante l’applicazione della teoria dello strato limite a questo
fenomeno, sono state determinate le velocità di deposizione di
alcune specie, e si sono evidenziate dipendenze non solo dalle
dimensioni (che per particelle della stessa specie chimica
significano meccanismi di trasporto e luoghi d’origine diversi), ma
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anche differenze stagionali dovute a cinetiche di reazione diverse,
come la diversa velocità d’ossidazione di SO nell’atmosfera a
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seconda della stagione.
1.3.2 Wet deposition
Esistono tre diversi meccanismi di wet deposition, a seconda
dell’interazione che la particella d’aerosol instaura con le molecole
d’acqua nell’atmosfera (Davidson C.I., 1989):
- Enucleazione. E’ un processo che avviene nelle nuvole dove
una particella d’aerosol costituisce il nucleo di condensazione
sul quale crescerà il cristallo di neve; i solfati, per esempio sono
possibili centri di condensazione. I cristalli di ghiaccio così
formatisi hanno diametri tra i 100 m e i 2000 m, con una
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particella di particolato come nucleo circondato da circa 10
cristalli di ghiaccio.
- Interazione tra aerosol e cristalli di ghiaccio già esistenti.
Sempre all’interno delle nuvole, c’è collisione tra particolato e
cristalli di ghiaccio. Il cristallo arricchito si depositerà al suolo
con le stesse modalità caratteristiche del processo di dry
deposition. Da notare che per gli aerosol secondari questo
processo è regolato dal grado di adsorbimento del gas nel
cristallo e dalla temperatura.
- Interazione “below-cloud”. E’ un meccanismo simile a quello
descritto precedentemente, con la differenza che l’interazione
aerosol/cristallo di ghiaccio avviene al di fuori delle nuvole; è
comunque un meccanismo meno frequente degli altri appena
descritti.
Per la wet deposition si sono calcolati rapporti di deposizione
(quantità di contaminante nella neve/quantità di contaminante
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nell’aria) per alcuni metalli e ioni, evidenziando la tendenza delle
particelle di aerosol crostale a diventare centri di enucleazione.
L’importanza di ciascun meccanismo di deposizione varia
sensibilmente a seconda della specie chimica e del sito nel quale è
condotto lo studio; nel caso dell’Antartide, possiamo citare la
differenza in termini di precipitazioni annue tra le zone costiere e le
zone interne come la base russa di Vostok, dove cadono circa 2 cm
di neve in un anno (Wolff E.W., 1990). Viene da se che queste
ultime saranno maggiormente interessate da dry deposition.
1.4 Analiti investigati e loro origine
Secondo quanto esposto, le microparticelle di numerose specie
chimiche vengono emesse nell’atmosfera, formando degli aerosol.
In questa forma vengono trasportati dalle correnti eoliche, cadendo
al suolo lontano dal luogo d’origine. Esiste quindi una relazione
diretta tra le fonti principali di aerosol e la presenza di elementi e
ioni nella neve antartica. Determinare la concentrazione di una
specie chimica presente nella neve, significa quantificare il
contributo della fonte di particelle costituenti l’aerosol tramite il
quale è avvenuto il trasporto. Inoltre i fenomeni interessati alla
deposizione degli aerosol al suolo hanno intensità diverse durante
l’arco dell’anno, rispecchiando il susseguirsi delle stagioni. Per
esempio, di una generica specie ionica se ne può depositare al suolo
una maggior quantità in estate piuttosto che in inverno, di
conseguenza negli strati successivi di neve la variazione della
concentrazione di questa specie seguirà un andamento stagionale.
Osservando la variazione di concentrazione di opportuni elementi
e/o specie ioniche è quindi possibile datare strati successivi di
neve.
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