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INTRODUZIONE
Le prospettive della società verso cui ci stiamo muovendo pongono al centro del processo aziendale
un fattore che è sempre stato importante, e che assume oggi una rilevanza strategica: la creatività. Lo
sfruttamento di tale tipo di risorsa offerta dalla ricerca scientifica e dalle nuove tecnologie è
subordinato alla capacità di creare un ambiente che coadiuvi e integri i rapporti e le relazioni tra agenti
diversi: istituzioni, imprese, organizzazioni e, all’interno di esse, le risorse umane. D’altronde oggi
l’innovazione è sempre meno un fenomeno di eroici individui che perseguono le loro visioni. A tal
proposito, Schumpeter sosteneva con forza che il veicolo dell’innovazione fosse da ricercare nella
figura dell’imprenditore. In questa prospettiva, l’imprenditore riconosce l’innovazione nel suo stato
primordiale, ne vede e realizza il potenziale, guidato dal motivo economico e dal desiderio di mettere
a frutto le proprie capacità. Introduce nuovi prodotti, sfrutta le innovazioni tecnologiche, apre nuovi
mercati e, così facendo genera sviluppo economico (Schumpeter, 1911). Gli sviluppi nel contesto
economico e sociale hanno ridefinito la figura dell’imprenditore-innovatore schumpeteriano, il quale
nel panorama attuale necessita dell’aiuto di agenti esterni e di elementi congiunturali per attuare le
proprie idee. In questo senso, lo sviluppo dell’innovazione è oggi l’esito del networking di una
pluralità di agenti (collaborazione tra imprese e università, imprenditori, inventori, finanza creativa,
settore pubblico, sociale ecc.). L’innovazione richiede, perciò, visione che abbia come orizzonte il
mondo senza confini, strategie innovative ed energia imprenditoriale, organizzazioni ad alto livello
di creatività e di performance, best practice gestionali, persone capaci di lavorare insieme ed
esprimere genio e sregolatezza
1
.
All’interno di questo universo composito un ruolo di primo piano è giocato dal venture capital, esso
è parte integrante dell’equazione imprenditoriale competitiva e, i Paesi avanzati si avvalgono
strutturalmente delle energie e dell’attività di tale intermediario, che riveste una posizione privilegiata
nelle operazioni di supporto alla nascita di imprese innovative e ad alto contenuto tecnologico. Il
ruolo del venture capital, tuttavia, non si espleta unicamente nelle prime fasi di attività delle aziende,
ma è rilevante anche nella seconda fase del ciclo di innovazione, cioè a partire da quando l’impresa
inizia a commercializzare l’innovazione. Viene infatti stimato che circa l’80% del capitale investito
dal VC vada a costituire le infrastrutture necessarie al corretto funzionamento dell’impresa
(produzione, marketing, vendita), nonché a costruire financial asset e il capitale circolante.
La ragione dell’esistenza di un intermediario così peculiare come il venture capital è da ricercarsi
nella struttura e nelle regole del mercato dei capitali. Nei quali la novità dei prodotti o delle tecnologie
1
A. Gervasoni, F. Sattin “Private equity e venture capital” Guerini Studio, Mi 2008
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sviluppate non consentono a tale tipologia di imprese di ottenere fondi dalle fonti di finanziamento
tradizionali. In particolare, le banche non erogheranno prestiti in assenza di flussi di cassa stabili che
testimonino la bontà e la sicurezza dell’operazione, e risulta inoltre estremamente problematica anche
la vendita di azioni al pubblico mediante le banche d’investimento, poiché l’azienda non ha ancora
dimostrato le sue reali possibilità di avere successo. I fondi di venture capital colmano tale lacuna
all’interno del settore dell’intermediazione finanziaria investendo fondi nel capitale di rischio di
aziende particolarmente innovative. Tale possibilità d’attuazione è consentita dal ruolo attivo
ricoperto dal fondo di VC nella gestione delle imprese partecipate. I venture capitalists sono infatti
investitori attivi interamente coinvolti nell’impresa, in modo da minimizzare i rischi
dell’investimento, e aiutano l’impresa in molteplici modi: con capitale, suggerimenti strategici,
contatti con potenziali clienti o partner.
La rilevanza assunta dal venture capital nello sviluppo e nella creazione di aziende innovative non è
limitata ad una prospettiva squisitamente privatistica, ma tale capacità di innescare processi
innovativi dirompenti impatta anche sullo sviluppo economico a livello sistemico, rigenerando
l’economia e creando nuovi posti di lavoro. Infatti, realizzare una nuova impresa, un nuovo prodotto,
significa creare una nuova opportunità di sviluppo e di ricchezza il cui valore complessivo, per
l’economia nazionale, supera quello contabilizzato nel bilancio delle imprese. In questa prospettiva,
l’interesse dei governi si è recentemente focalizzato su manovre e programmi finalizzati a favorire lo
sviluppo dell’attività di VC. Questi programmi si concentrano sull’implementazione di norme che
contribuiscano alla formazione di un terreno fertile per gli investimenti nel capitale di rischio delle
imprese. L’archetipo di tali programmi è da ricercare nel c.d. “Yozma Venture Capital Program”
realizzato dal governo israeliano a cavallo tra il 1992 e il 1993. Il successo di tale programma è
facilmente desumibile dai risultati ottenuti: se tra il 1988 e il 1992 il settore del venture capital
israeliano era composto da un solo fondo da 30 milioni di dollari ($), nel 1996 il settore raccolse più
di un miliardo di dollari ($), favorendo la creazione di innumerevoli fondi (domestici e stranieri), e
sperimentando una crescita senza precedenti che ha portato Israele a diventare il Paese con il maggior
numero di investimenti in start up innovative in rapporto al proprio PIL.
Parallelamente, a partire dai primi anni Duemila si è sviluppato un’ampia letteratura sulle
determinanti macroeconomiche che influenzano lo sviluppo del venture capital. Questo corpus di
ricerca, partendo dalla constatazione di livelli di sviluppo eterogenei tra i diversi Paesi, si interroga
su quali siano effettivamente gli elementi in grado di promuovere la crescita di questo tipo di
operazioni.
Il presente elaborato, inserendosi in questo dibattito, presenta una ricerca empirica, condotta su un
campione di Paesi europei, con l’esplicita finalità di analisi dei fattori che determinano il livello di
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attività del venture capital all’interno del contesto europeo. La research question risulta così legata
all’individuazione delle relazioni che si instaurano tra una serie di variabili ed indicatori economici e
lo sviluppo del venture capital.
La tesi è organizzata in due sezioni principali. Il primo capitolo presenta la definizione e la descrizione
delle principali caratteristiche del venture capital, soffermandosi inoltre sul framework teorico
sviluppato nei lavori precedenti. Il secondo capitolo si concentra sulla presentazione della ricerca
effettuata, presentando il campione, le metodologie impiegate e, infine, discutendo i risultati ottenuti
alla luce delle teorie presentate in letteratura.
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CAPITOLO I
DEFINIZIONE E DETERMINANTI DEL VENTURE CAPITAL
1.1 Introduzione
Il capitolo fornirà le nozioni fondamentali e le metodologie più comunemente usate nel settore del
Venture Capital (VC) con lo scopo di delimitare l’ambito di attività e darne una definizione quanto
più esaustiva, procederà poi a spiegare le variabili economiche che influenzano il livello e lo sviluppo
del settore stesso.
La prima parte del capitolo presenta la definizione di Venture Capital, fornendo le nozioni riguardanti
le fasi di attività di un fondo di VC, dal momento della raccolta del capitale sino al disinvestimento
delle quote di capitale di rischio detenute e verrà esplicato il ruolo del Venture Capital all’interno del
settore dell’intermediazione finanziaria.
Nella seconda parte del capitolo verranno presentate le variabili economiche che influenzano il settore
partendo da un’analisi della letteratura e raggruppandole in tre sotto-insiemi: variabili
macroeconomiche (crescita PIL, tasso d’interesse, tasso di disoccupazione), variabili inerenti
l’ambiente imprenditoriale (aliquota sul reddito d’impresa, rigidità del mercato del lavoro,
capitalizzazione di mercato e numero di IPO), variabili tecnologiche, tra le quali il livello
d’investimenti in ricerca e sviluppo (R&D) risulta essere quella di maggiore rilievo. Per ciascuna
variabile studiata verranno analizzate le cause dell’influenza che essa possiede sullo sviluppo del
settore del Venture Capital. Verranno, inoltre, presentati i risultati ottenuti nei lavori antecedenti,
relativamente a ciascuna variabile, con la finalità di definire come l’influenza di tali variabili sia
mutata nel corso del tempo e nell’intento di favorirne una comparazione con i risultati presentati in
questo lavoro.
1.2 Definizione
Agli inizi degli anni Ottanta, con l’espressione “venture capital” si definiva l’apporto di capitale
azionario, o la sottoscrizione di titoli convertibili in azioni, da parte di operatori specializzati, in
un’ottica temporale di medio-lungo termine, effettuati nei confronti di imprese non quotate e con
elevato potenziale di sviluppo in termini di nuovi prodotti o servizi, nuove tecnologie, nuove
concezioni di mercato
2
. Da tale definizione si può evincere come la partecipazione venisse
generalmente intesa come temporanea, minoritaria, e finalizzata, attraverso un utilizzo congiunto di
2
Ibidem
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know-how non solo finanziario, allo sviluppo dell’impresa, all’aumento del suo valore e alla
possibilità di realizzazione di un elevato capital gain
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in sede di dismissione.
Con l’evoluzione del contesto imprenditoriale e del grado di sviluppo dei diversi mercati di
riferimento, pur rimanendo invariati i concetti di fondo, si è assistito ad un mutamento delle
caratteristiche dell’attività di investimento istituzionale nel capitale di rischio. Quest’ultime si sono,
infatti, diversificate in funzione dei mercati e dei settori di investimento, e oggi offrono una più
variegata gamma di possibilità e di intervento.
Dal punto di vista terminologico bisogna rilevare una parziale differenza nel significato che viene
attribuito al venture capital nelle diverse aree geografiche. Negli USA, l’attività di investimento
istituzionale nel capitale di rischio, definita “attività di private equity”, viene suddivisa tra venture
capital e operazioni di buy out. La suddetta distinzione viene attuata in funzione dell’operatore che
pone in essere l’investimento. Inoltre, all’interno della categoria di operazioni poste in essere dai
venture capital funds può essere effettuata un ulteriore distinzione: da una parte si hanno le operazioni
di finanziamento verso le imprese nei primi stadi di vita, indicate con il termine di early stage
financing, dall’altra si usa la terminologia di expansion financing per definire i finanziamenti erogati
in imprese già sviluppate che necessitano di capitali per consolidare la crescita.
Nel contesto europeo, nonostante vi sia stato un processo di adattamento terminologico, si distingue
tra private equity, che incorpora tutte le operazioni realizzate su fasi del ciclo di vita dell’impresa
diverse da quella iniziale, e venture capital comprendente solo i finanziamenti effettuati nella fase di
avvio.
In Italia, una definizione di private equity viene fornita dall’AIFI (Associazione Italiana del Private
Equity e Venture Capital) che lo circoscrive come “attività di investimento nel capitale di rischio di
imprese non quotate, con l’obiettivo della valorizzazione dell’impresa oggetto d’investimento ai fini
della sua dismissione entro un periodo di medio-lungo termine”
4
. Con riferimento a tale definizione,
l’attività di venture capital viene concepita come una species all’interno del genus del private equity,
non costituendo quindi un’attività distinta da quest’ultimo bensì una particolare attività di private
equity finalizzata all’investimento nelle prime fasi di vita dell’impresa.
3
Con il termine capital gain o guadagno in conto capitale si identifica la differenza, solo nel caso in cui risulti positiva,
tra il prezzo di vendita/rimborso di uno strumento finanziario (azioni, warrants, obbligazioni convertibili, opzioni,
operazioni a premio ecc.) e il suo prezzo di acquisto/sottoscrizione
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Da delibera del Consiglio Direttivo di AIFI del 22 luglio 2004