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INTRODUZIONE
Come può (più o meno facilmente) constatarsi dal titolo, al presente
elaborato di tesi sottende una costante attenzione al controverso
rapporto tra autonomia negoziale privata e destinazione
patrimoniale; rapporto che, in continuo divenire, si lega
inscindibilmente alla tematica della responsabilità patrimoniale, da
cui ne rimane profondamente influenzato e da cui occorre
costantemente muovere al fine di eviscerarne i caratteri
fondamentali.
Tale assunto, in queste prime battute, non può risultare chiaro se non
si pone a mente il fatto che il fenomeno della destinazione
patrimoniale , se da un lato - quello più immediato ed evidente -
richiama il primario momento del vincolo di taluni beni alla
realizzazione di un determinato scopo – cui accede il discorso intorno
al perimetro delle facoltà negoziali in capo all’autonomia privata - in
seconda battuta si collega in maniera pregnante con la regola di
responsabilità patrimoniale generica di cui all'art. 2740 c.c., con la
quale si pone in conflittuale rapporto.
Il fatto di leggere la destinazione patrimoniale dal particolare angolo
visuale dato dal rapporto con la tematica della responsabilità
patrimoniale generica si giustifica, ai fini della trattazione, per due
aspetti : in primis, nonostante i due “momenti” sopra evidenziati
potrebbero prima facie risultare autonomi nella loro individuazione e
nei loro approdi – in quanto attinenti a piani sistematici diversi-
tuttavia essi risultano collegati sul piano metodologico, in quanto il
tentativo di addivenire ad una soluzione al rapporto tra destinazione
patrimoniale e responsabilità patrimoniale – problematica che ha
peraltro diviso gli operatori del diritto fin dall’alba dei tempi proprio
merito all’individuazione di una soluzione che fosse maggiormente
confacente ai canoni ordinamentali vigenti ad un dato tempo –
consente di ricavare i (più o meno) residui spazi dell’autonomia
privata in ambito di destinazione patrimoniale e viceversa, cosicché
gli approdi tracciati in seno ad un aspetto confluiscano
inevitabilmente nell’altro.
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In secundis, l’attenzione ivi riservata ai cennati apparati di disciplina
si giustifica per ragioni latu sensu “sociali”; con crescente frequenza,
si assiste, infatti, alla definizione di fattispecie normative che,
superando la visione unitaria del patrimonio, danno spazio ad ipotesi
in cui questo trova nuove occasioni per moltiplicarsi.
Atteso che la figura del patrimonio destinato ad uno scopo individua
oggi uno specifico strumento di articolazione del patrimonio che, in
forza della destinazione, incide sulle regole di responsabilità
patrimoniale - con gradazioni diverse in relazione ai diversi strumenti
e ai diversi modelli di destinazione - e sulle regole di circolazione ,
deviando rispetto alla disciplina generale e costituendo una eccezione
alla regola ; così , l’evidente e importante riflesso sistematico e
ordinamentale che la destinazione patrimoniale produce - assunto il
fatto che la stessa determina effetti riflessi sul piano dell’opponibilità
a terzi e sulla circolazione della ricchezza – giustifica la particolare
attenzione riservata alla stessa da parte della presente trattazione,
nelle varie partizioni della quale si compone .
Trattazione che, lo si afferma sin da subito per scevrare ogni dubbio,
non è fine alla mera ed acritica esposizione delle problematiche e
delle criticità riscontrate e riscontrabili : chi scrive, insomma, si pone
sì con un atteggiamento di vivo rispetto istituzionale nei confronti del
dato normativo italiano e dell’esperienza giuridica interna in materia
di destinazione patrimoniale – su cui sarà incentrato il presente
lavoro, seppur corredato da qualche “vena” comparatistica - tuttavia
costantemente ponendosi in chiave di “rilettura” sul piano
interpretativo critico a carattere estensivo, con il (già da qui)
dichiarato fine di restituire spazi applicativi all’autonomia privata,
spesso andando oltre il significato letterale delle norme.
Scendendo in medias res, all’interno del capitolo I dapprima si
evidenzierà la storica e , talora, attuale esigenza dei privati sul piano
della destinazione dei beni ad uno scopo ; data l’ampiezza di tale
categoria, si restringerà doverosamente il campo di indagine e di
interesse a quella che chiameremo destinazione tecnica , corredata
dall’effetto di separazione patrimoniale ; la sola fattispecie di
destinazione , per le ragioni della ricerca supra menzionate,
meritevole di una più approfondita trattazione.
Delineato l’atteggiarsi della fattispecie sul piano sostanziale –
prendendo a prestito la nota bipartizione utilizzata dalla dottrina tra
patrimoni autonomi e patrimoni separati - si darà atto
successivamente dell’avvenuto (e talora recente) cambio di
paradigma in materia di destinazione patrimoniale, scandito da
diverse fasi procedimentali e in seno alle quali è avvenuto il faticoso
passaggio da una destinazione tipizzata – in quanto prevista dal
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legislatore attraverso una ponderata selezione degli interessi di
destinazione - e attuata attraverso la creazione di un nuovo soggetto
giuridico (da qui la nozione patrimonio autonomo) ; passando,
successivamente, per una destinazione patrimoniale altresì tipizzata
ma sganciata dall’autonomizzazione del patrimonio e “derivata”
all’interno del patrimonio di un soggetto - persona fisica ; sino al più
o meno completo disvelarsi della destinazione patrimoniale intesa in
chiave moderna – al passo con il mutato scenario economico attuale,
sempre più incentrato sul profilo del godimento che
dell’appartenenza dei beni - corredata dell’effetto di separazione in
capo ad un soggetto-persona fisica e sostanzialmente atipica quanto
alla selezione dei contenuti e degli interessi meritevoli di destinazione
; dando vita a nuovi e innovativi spazi di operatività all’autonomia
privata in campo negoziale.
La chiara rilevanza in ottica di sistema di tale nuova forma di
destinazione patrimoniale rileva da un dato ormai acquisito:
nonostante sia i patrimoni autonomi sia le fattispecie di destinazione
già tipizzate dal legislatore si pongano quale deroga al principio della
responsabilità patrimoniale generica di cui all’art. 2740 c.c. - secondo
il quale il debitore/ destinante “risponde delle proprie obbligazioni
con tutti i suoi beni , presenti e futuri” , tuttavia nessuna delle due
pone particolari problemi di sorta : vuoi perché l’effetto di
separazione/specializzazione patrimoniale non si verifica in seno al
patrimonio di uno stesso soggetto-persona fisica, vuoi perché il
bilanciamento di interessi è già stato ex ante selezionato dal
legislatore nel momento della previsione di nuove ipotesi di
destinazione.
E’ qui, per vero, che emerge l’attenzione per la destinazione intesa in
chiave moderna perché è qui che maggiormente si manifesta
l’esigenza della ricerca di un corretto bilanciamento di interessi tra il
primario bisogno di di destinazione dei privati e i contrapposti
interessi del ceto creditorio e dei terzi a vario titolo interessati, i quali
ben potrebbero risentire della deminutio patrimoniale conseguente
al crearsi di un vincolo di destinazione da parte del debitore.
Col che ci si allaccerà al discorso intorno all’art. 2740 c.c. che, come
noto, enuncia il principio della responsabilità patrimoniale universale
del debitore e pone un limite alla realizzazione della separazione
patrimoniale rimessa all'autonomia privata.
Nell'accezione tradizionale, al di là delle dispute sulla sua natura, il
concetto di patrimonio implica unità. Corollario di quanto enunciato
al co.1 dell’art. 2740 c.c. - secondo il quale “il debitore risponde
dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e
futuri” – è il precetto che cristallizza l'assioma della garanzia generica,
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a costituire la quale sono asserviti tutti i beni del soggetto .
La stessa disposizione, però, prevede anche la possibilità di deroghe,
statuendo al co.2 del medesimo articolo che “le limitazioni della
responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge”.
Proprio nell'ambito delle “eccezioni” alla regola si afferma che
assume rilievo il meccanismo della “destinazione allo scopo” e, con
esso, la nutrita gamma di fattispecie nelle quali si manifesta il
correlato fenomeno della separazione patrimoniale.
Tuttavia, a fronte la molteplicità di fattispecie in cui la segmentazione
del patrimonio ha preso corpo all'interno dell’ordinamento, ci si è
ragionevolmente chiesti se, tuttavia, la ratio originaria sottesa al
principio della responsabilità patrimoniale generica e alla riserva di
legge sia sempre la stessa nell’attuale scenario socio-economico, ove
il baricentro si è spostato dalla proprietà al godimento e sempre più
si ravvisano forme di proprietà funzionale.
Da tali premesse e all’esito della digressione storica infra compiuta,
emergerà il fatto che il costante rilievo costituzionale sotteso a tale
principio consente di leggerlo, oggi, sotto una veste innovativa : non
più ostaggio , a pena di nullità, della previsione di nuove fattispecie
destinatorie talora atipiche, quanto invece ammettendo le stesse a
condizione che vi sia l’opponibilità del vincolo, adeguatamente
pubblicizzato ; in aggiunta evidenziando, nelle battute conclusive del
primo capitolo, che la fattispecie prima facie più confacente a tali
dettami e a tale spirito innovatore sembra essere quella di cui all’art.
2645-ter c.c., compendiante da un lato una previsione destinatoria
che , sebbene tipica (in quanto inserita all’interno del tessuto
codicistico ) , risulta sostanzialmente atipica quanto ai contenuti e al
piano formale.
Tipicità, quindi, insolita, perché riguarderebbe il modello e non il
contenuto, che non è chiaramente determinato e può essere il più
vario in virtù dell’operato (e discusso) rinvio all'art. 1322 c.c. : col che
la legge avrebbe disegnato, infatti, uno schema negoziale destinatorio
a causa generica, richiamando ad una valutazione circa la
meritevolezza degli interessi concretamente perseguiti dal destinante
ai fini della nascita del vincolo di destinazione e della consacrazione
dei beni a patrimonio separato, il tutto corredato della necessaria
pubblicità del vincolo così impresso ; indirettamente ampliando a
dismisura le facoltà dell’autonomia negoziale.
***
Riservando di tornare successivamente sull’argomento di cui all’art.
9
2645-ter c.c. – assunta ad elemento cardine di tutta la trattazione – è
ora da compiere qualche cenno al capitolo II del presente elaborato,
il quale si pone sul piano meramente istituzionale, analizzando una
fattispecie destinatoria prevista da tempo dal legislatore, tutt’ora
interessata da un forte declino pratico - interpretativo: il fondo
patrimoniale.
Il fondo patrimoniale, quale vincolo alla destinazione di beni per la
soddisfazione di interessi familiari, risponde di certo a finalità
meritevoli di interesse : ragion per cui il legislatore italiano da sempre
ha tenuto in debito conto l’esigenza di prevedere strumenti di
destinazione dei beni appartenenti al nucleo familiare per finalità di
protezione dello stesso, all’uopo apprestando – in ordine temporale
– i correlati strumenti di destinazione patrimoniale.
Così, dapprima si porrà a raffronto l’odierna fattispecie con il
precedente e funzionalmente equivalente istituto del patrimonio
familiare, sostituito nel corpus ordinamentale nell’ambito della
riforma del diritto di famiglia del 1975 dal più “malleabile” fondo
patrimoniale , con regole nuove e maggiormente rispondenti alla
raggiunta parificazione dei coniugi sotto diversi aspetti : ambito
gestorio , oggetto del fondo, ecc.
Tuttavia, se è da ammettersi che il mutamento abbia interessato in
positivo l’apparato di disciplina relativamente a taluni aspetti, lo
stesso non può dirsi per altri, in quanto invariata è rimasta la disciplina
in ordine ad un aspetto su cui si gioca la tenuta del fondo nell’ottica
del bilanciamento di interessi in materia di destinazione: la
responsabilità debitoria del fondo . La concreta esperibilità del potere
esecutivo sul fondo continua ad essere subordinata, infatti, al
concomitante avverarsi di due condizioni : l’una, a carattere oggettivo
– l’inerenza dei debiti ai bisogni familiari – l’altra, a carattere
marcatamente soggettivo – la prova della conoscenza del creditore in
ordine all’estraneità del debito ai bisogni stessi.
E’ , per vero, su tale terreno scivoloso – dacchè involgente il più volte
descritto bilanciamento di interessi in materia destinatorio - che è
stata compiuta , a parere di chi scrive e non solo, una intenzionale
opera di demonizzazione dell’istituto sulla scorta di una presunta
strumentalità dello stesso per ragioni elusive del credito.
A sostegno di tale processo demolitorio, che dura tutt’oggi, si sono
poste giurisprudenza costante e dottrina maggioritaria, raggiungendo
il risultato interpretativo di estendere la nozione di bisogni della
famiglia - così restringendo il campo di operatività dello strumento
destinatorio , a parziale detrimento delle possibilità per i coniugi - e
contestualmente apprestando una disciplina sul piano probatorio in
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campo processuale deleteria per i costituenti, ai quali secondo detta
lettura sarebbe addossata una vera e propria probatio diabolica dello
stato soggettivo del creditore; così frustrando , indirettamente, le
potenzialità che tale strumento possiede in relazione alla ratio
originariamente sottesa al momento della previsione.
Pertanto, a fronte di un dato normativo ad oggi immutato sul punto
e di una giurisprudenza ormai costante – anche in ordine
all’estensione del concetto di “bisogni della famiglia” - si colloca il
tentativo fatto proprio da tale elaborato – e in particolare contenuto
all’interno del capitolo II - di porre un rimedio di tipo interpretativo a
tale (supposto) irrimediabile stato dell’arte : prendendo a prestito
talune teorie dottrinali (tra le quali quella teorizzante le cosiddette
sfere giuridiche), si dimostrerà – indirettamente lanciando un monito
alla giurisprudenza chiamata a pronunciarsi in futuro! - come può
ribaltarsi in via interpretativa l’onere probatorio sul punto, anche
ricorrendo al meccanismo delle presunzioni, sol che si rifletta senza
pregiudizio di sorta in ordine alle situazioni giuridiche processuali in
cui concretamente versano le parti in causa.
Apertura, questa, che sembra essere suffragata talora da alcune
recenti pronunce, come quella che all’uopo si riporterà, a mo’ di nota
a sentenza.
Apparentemente risolti i problemi sul piano interpretativo, tuttavia è
da dirsi che il tentativo giusto riportato – maggiormente specificato
nella sede opportuna – sottende ad un intento tutto personale,
seppur suffragato da certa dottrina del medesimo segno: insomma, il
destino del fondo patrimoniale sembra essere segnato in senso
negativo, lasciando il posto ad altri validi strumenti destinatori atti a
soddisfare le attuali e sempre pressanti esigenze in materia familiare.
Da tale spunto si innesta , in conclusione al capitolo II, il tentativo di
analisi dell'impatto che l'introduzione degli “atti di destinazione per
la realizzazione di interessi meritevoli di tutela” di cui all’art. 2645-
ter c.c. è giunto a dispiegare sul regime patrimoniale della famiglia e,
in particolare, il ravvisarsi o meno di un carattere di concorrenzialità
con il logoro istituto del fondo patrimoniale a fini destinatori.
***
Il cenno prima compiuto intorno all’art. 2645-ter c.c. permette ora di
meglio disvelare le finalità sottese al capitolo III, interamente
incentrato intorno all’analisi della disciplina dettata in ordine a tale
“novella” destinatoria e al portato sotteso alla stessa in chiave
sistematica.
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Dopo aver dato atto dell’oscura formulazione normativa da parte del
legislatore – che ha causato da subito gravi problemi interpretativi
fino ad essere considerata, da gran parte della dottrina che se ne è
occupata, di infelice formulazione poiché incompleta e forse mal
collocata all'interno del sistema del codice – si procederà con l’analisi
della disciplina della fattispecie nei suoi molteplici aspetti,
concentrando l’attenzione su quelli più importanti .
In breve, si scorgerà che l’atto di destinazione richiede genericamente
un soggetto disponente, uno o più soggetti beneficiari, uno o più beni,
una finalità destinatoria, una durata. L’effetto portato dall’ atto è il
vincolo sui beni destinati, il quale deve essere portato a conoscenza
dei terzi – e quindi trascritto – al fine della produzione degli effetti
consustanziali alla fattispecie.
Si evidenzierà, ancora, che il vincolo ha contemporaneamente un
doppio profilo, statico e dinamico: quanto al primo, esclude i beni
vincolati dal principio della responsabilità patrimoniale generica,
rendendoli disponibili solo per i debiti contratti per la realizzazione
della finalità; quanto al secondo, obbliga taluno a perseguire la
finalità, potendo il disponente e i terzi interessati agire contro costui
per la sua attuazione, a tutela del credito alla destinazione.
Nonostante l’elaborato si concentri sulla disamina di tutti gli elementi
di disciplina consustanziali alla fattispecie, maggiore attenzione verrà
riservata a quegli elementi che maggiormente rivelano l’avvenuto
cambio di paradigma in materia di destinazione e che disvelano il suo
portato innovativo.
Tutto ciò non si comprende tuttavia se non si pone a mente l'impatto
sistematico dell'art. 2645-ter c.c. , che si connota di due aspetti : da
un lato l'atipicità dell'atto di destinazione , dall’altra il carattere di
realità del vincolo.
Particolare attenzione verterà così sui due profili di disciplina
maggiormente pregnanti nell’economia della fattispecie,
rispettivamente identificati nel controllo di meritevolezza e nel
meccanismo della trascrizione.
Per ciò che riguarda il primo, si evidenzierà l’avvenuta diatriba
interpretativa in ordine al significato da assegnarsi a tale controllo,
divisa tra chi – aderendo alla tesi restrittiva e intendendo il giudizio in
maniera relazionale – reputa che debba richiedersi un qualcosa in più
al mero carattere di liceità dell’operazione destinatoria, tale da
qualificare la meritevolezza quale “speciale meritevolezza”,
rispondente a fini di utilità sociale e chi, al contrario, reputi che il
controllo debba essere limitato al ravvisarsi del mero carattere di
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liceità . Discostandosi dal parere maggioritario degli interpreti -
aderenti alla seconda ipotesi interpretativa – le ragioni ivi sottese
imporranno di aderire ad una interpretazione di natura
maggiormente liberale, al fine di dare quanto più spazio possibile
all’autonomia privata nella scelta dell’interesse di destinazione.
Per ciò che riguarda il secondo aspetto, se la sua importanza rileva
ictu oculi già dalla sedes materiae ove è stata posta la norma nel
tessuto codicistico ,tuttavia è sul piano sistematico che emerge con
forza tutta la sua rilevanza : così, collegandosi a quanto delineato nel
capitolo I, l’elemento della trascrizione assurge a medium e soluzione
del conflitto di interessi in materia destinatoria, contribuendo a
dotare di opponibilità (e dunque rendendo conoscibile) il vincolo
all’esterno , contestualmente valorizzando e dotando di conoscibilità
ai terzi l’effetto di separazione patrimoniale.
Tale profilo di opponibilità, poi, contraddistingue e “colora” l’istituto
di un inedito carattere di realità, che si collega al contenuto oggettivo
dato dall’autonomia privata alla fattispecie : così, a detta di molti
l'articolo 2645 ter c.c. avrebbe tipizzato un effetto che consiste ad un
tempo nell' imposizione su beni determinati di un vincolo di
destinazione opponibile ai terzi, cioè nell'attribuzione, al beneficiario,
di un diritto di credito “alla destinazione” caratterizzato da una forte
“inerenza” al bene destinato : da tale veste innovativa emergerà che
l'autonomia privata sul punto potrebbe spingersi fino a creare veri e
propri oneri reali atti a circolare con i beni vincolati e a finalmente
attribuire in via generica rimedi – oltre a quelli, già ammessi, di natura
obbligatoria/risarcitoria - di natura reale e reipersecutori del bene
oggetto di illecita disposizione.
***
Il capitolo IV, conclusivo dell’elaborato, si pone alla stregua di cernita
degli approdi tracciati in seno ai capitoli precedenti , rielaborandoli
con un intento ben chiaro: quello di fondare una nuova teorica della
destinazione patrimoniale – basata sulla circolazione dei principi e
delle regole – attraverso il finale enuclearsi di una “soluzione”
negoziale destinatoria del tutto nuova e interna all’ordinamento
italiano, dotata ora di un carattere marcatamente fiduciario.
Tale intento – che risponde ancora una volta al metodo esegetico, sul
piano del diritto vivente – passerà anche attraverso il recupero della
teorica italiana in materia di negozio fiduciario, depurando la
medesima categoria dalle verificatesi storture applicative che l’hanno
resa un mezzo spuntato, perlopiù sotto il piano rimediale.
Dopo aver delineato la proposta dottrinale del contratto di
13
affidamento fiduciario – primo vero tentativo di superare gli angusti
limiti del modello fiduciario italiano di tradizione romanistica – e
ravvisata la parziale impossibilità di adattamento di tale figura
all’ordinamento italiano , si addiverrà all’opera di coniugazione delle
potenzialità applicative della fattispecie ex art. 2645-ter c.c. – id est,
il carattere di opponibilità della destinazione - e della rilettura del
negozio fiduciario in chiave rimediale , al dichiarato fine di superare
le criticità insite in ciascun istituto.
Così, attraverso il ravvisarsi di un possibile collegamento negoziale del
vincolo di destinazione e del negozio fiduciario si tenterà di enucleare
una nuova fattispecie negoziale capace, congiuntamente, di superare
i limiti ravvisabili in seno a ciascun istituto: la mancanza di un
adeguato profilo gestorio in seno alla fattispecie ex art. 2645-ter c.c.
e i difetti sul piano rimediale e di tutela in capo al negozio fiduciario
di tradizione romanistico , l’unico ammissibile nell’ordinamento
italiano.
Tutto ciò , a ben vedere, risponderà a chiare esigenze di competitività,
al dichiarato fine di dotare finalmente l’ordinamento italiano di una
fattispecie destinatoria a carattere fiduciario; giustificata è pertanto
una lettura comparatistica del fenomeno destinatorio e la
conseguente elezione dell’istituto del trust anglosassone –
l’equivalente del negozio fiduciario nell’ordinamento di common law
– quale costante termine di raffronto delle categorie destinatorie
italiane sopra enunciate, al fine di eviscerare dalla citata categoria di
destinazione straniera – la sola che possa etichettarsi quale
fattispecie destinatoria completa- i profili di disciplina maggiormente
utili ai fini della nuova costruzione negoziale.
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Capitolo I
Patrimoni destinati ed evoluzione normativa :
dal carattere di tipicità al dispiegarsi
dell’autonomia privata
SOMMARIO: I.1 Le esigenze dell’autonomia privata sul tema della
destinazione patrimoniale. Il rapporto con la separazione
patrimoniale e le ragioni della presente ricerca. I.2 La categoria dei
patrimoni destinati ad uno scopo: patrimoni autonomi e patrimoni
separati. Il cambio di paradigma in materia di destinazione. I.3 Dalla
Pandettistica ai giorni nostri, l’esegesi storica del mutamento in atto
del fenomeno : dalla persona giuridica alla frammentazione del
patrimonio in capo ad una singola persona fisica. I.4 Il
sovvertimento del principio della responsabilità patrimoniale
generica: da regola ad eccezione. L’atipicità della destinazione I.5
Una soluzione al problematico rapporto con l’art. 2740 c.c.: il profilo
dell’opponibilità quale medium dell’operazione destinatoria. I.6
L’esito finale del percorso: la genesi dell’art. 2645-ter c.c. e la sua
portata innovativa.
I.1 Le esigenze dell’autonomia privata sul tema della destinazione
patrimoniale. Il rapporto con la separazione patrimoniale e le ragioni
della presente ricerca.
Il bisogno di protezione patrimoniale costituisce, perlomeno dall’età
moderna, una diffusa esigenza all’interno del tessuto sociale; prova
ne è che da sempre i soggetti - non solo, ma perlopiù - coinvolti in
attività imprenditoriali hanno avvertito la necessità di separare il
compendio patrimoniale personale da quello derivante dai proventi
della loro attività produttiva e/o professionale, ovvero destinando
parte dei propri beni alla soddisfazione di un determinato scopo.
Sia pur mediante ricorso ad istituti diversamente denominati — tutti
ruotanti intorno al concetto di responsabilità limitata — i soggetti
esercenti attività di impresa hanno tentato sin dagli albori del primo
millennio di mitigare il rischio di perdere , per effetto dei risultati
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negativi dell'intrapresa attività, il patrimonio derivante dall’esercizio
dell’attività di impresa; contestualmente garantendo, altresì, ai
creditori titolati (le cui ragioni di credito derivino dall'esercizio
dell'attività di impresa) di potersi soddisfare, in via pressoché
esclusiva, sui beni destinati a tale attività.
La più fedele e concreta espressione di tale fenomeno si manifestò,
nel corso della storia, con la nascita delle prime società di capitali : a
titolo di esempio, il sentito bisogno di dissociazione tra proprietà
personale e rischio di impresa fu ben evidente alle monarchie
continentali di Francia, Inghilterra e Paesi Bassi, le quali al tempo
concessero la facoltà di conseguire l’effetto di autonomia
patrimoniale perfetta alle Compagnie delle Indie (rappresentanti le
prime fattispecie di società anonima, a responsabilità limitata) , in
vista dell’enorme mobilitazione di capitali che le loro imprese
economiche e militari richiedevano.
Di certo , è noto che inizialmente tali obiettivi sono stati perseguiti
mediante la creazione ex novo di soggetti giuridici , o comunque di
entità terze, dotate o meno di personalità giuridica; a dimostrazione
dell’ accertamento - già al tempo – di un certo carattere di incisività
del fenomeno di destinazione patrimoniale sulla disciplina della
responsabilità patrimoniale (con le modalità che presto vedremo), le
prime ipotesi di destinazione corredate da responsabilità limitata in
ambito societario sono sempre state concesse mediante l'esercizio di
prerogative sovrano - statuali, al fine di legittimare un controllo
pubblicistico sul fenomeno.
Senza anticipare approdi futuri e incentrando l’attenzione
sull’ordinamento italiano , solo in epoca relativamente recente
1
il
giusto descritto approccio alla tematica della destinazione con effetti
incidenti sulla responsabilità patrimoniale è significativamente
mutato : dapprima con la previsione all'interno del sistema
ordinamentale delle società unipersonali
2
, sia pure mitigando
l’effetto di separazione patrimoniale degli assets di una sola persona
fisica (e insieme socio unico) , destinati ad un'attività produttiva,
mediante la creazione di una soggettività giuridica autonoma rispetto
al costituente ; successivamente, nella seconda metà del ventesimo
secolo attraverso il massiccio intervento del legislatore tramite
disposizioni di legge speciali
si è potuto assistere al progressivo
1
Seppur i primi segnali del cambio di paradigma in materia di destinazione
già si avvertirono a fine Ottocento; cfr. par. I.3
2
Previsione del legislatore, al tempo, considerata alquanto “bizzarra” se si
pone mente al fatto che, a dispetto della definizione codicistica di società di
cui all’art. 2247 c.c. (a mente del quale “ con il contratto di società due o più
17
scardinamento della tradizionale cogenza del dogma della
responsabilità patrimoniale generica, consentendo a determinate
categorie di soggetti di segregare una parte del loro patrimonio, al
fine di perseguire i più disparati interessi – perciò, non solo limitati
all’esercizio di impresa - “filtrati” dal canone della meritevolezza , a
riprova di un costante riserbo del legislatore e del potere pubblico in
ordine al proliferarsi di ipotesi di destinazione patrimoniale nel
contesto ordinamentale.
La costante attenzione del legislatore italiano alla tematica
destinatoria
4
si è poi manifestata con la successiva riforma societaria
5
,
con precipuo riferimento alle società per azioni, nell’ambito della
quale è stata ammessa la costituzione di patrimoni destinati, volti al
perseguimento di uno specifico affare (art. 2447-bis c.c.) : istituto che,
nelle sue diverse declinazioni, consente agli imprenditori costituiti in
forma di società per azioni l'esercizio di attività d'impresa mediante
segregazione di una parte del proprio patrimonio, destinata in via
esclusiva alla soddisfazione dei creditori le cui ragioni di credito
derivino dall'esercizio di tale “affare”, o segmento di attività.
Con particolare riferimento all’attività d’impresa è lecito constatarsi,
da queste prime battute iniziali, come la specializzazione della
responsabilità patrimoniale consenta di realizzare effetti
particolarmente vantaggiosi per l’imprenditore, tra i quali va
ricompreso la possibilità per lo stesso di diversificare e articolare la
propria attività in diversi comparti al fine di ridurre i rischi di perdite
in determinati settori.
Rimane ferma tuttavia, a scapito di un fermento legislativo non
indifferente sul punto , la diffidenza di fondo – seppur espressione di
un corretto bilanciamento di interessi - che caratterizza il nostro
ordinamento giuridico a fronte di fenomeni di assets partitioning ; a
riprova di ciò e ragionando sul mero piano logico - teorico, è da
ammettersi che qualora non venissero previste limitazioni
quantitative all'entità di beni potenzialmente separabili il patrimonio
di un soggetto, ope separationis, potrebbe svuotarsi del tutto a causa
di condotte “eversive” perpetrate da quest’ultimo ; per quanto in
4
Osserva ANGELO DI SAPIO, in Patrimoni segregati ed evoluzione normativa
: dal fondo patrimoniale all’atto di destinazione ex art. 2645-ter , in Dir.
famiglia, fasc.3, 2007, p. 1257, che “[…] negli ultimi trent'anni il legislatore è
stato particolarmente generoso nei confronti dei patrimoni destinati.
L'impressione di fondo è che i patrimoni destinati non sono più cattedrali nel
deserto.”
5
Di cui al d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 (“Riforma organica della disciplina
delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3
ottobre 2001, n. 366”).
18
concreto una tale evenienza non si affranchi in genere dall'ambito
delle ipotesi di scuola, le potenzialità discriminatorie che la
separazione patrimoniale sottende rispetto al trattamento del ceto
creditorio hanno comunque indotto il legislatore a fissare dei limiti
precisi proprio laddove una esigenza di tutela dei terzi poteva
maggiormente avvertirsi
6
.
Sentimento di diffidenza, peraltro, espressa anche dal legislatore
della predetta riforma il quale, nel consentire la creazione di
patrimoni destinati alle sole s.p.a., ha contestualmente disposto un
limite di carattere oggettivo alla segregazione, la quale può
riguardare solo un valore pari ad un decimo del patrimonio netto della
società
7
.
Già da tali battute iniziali sembra evidenziarsi, pur senza apparire del
tutto, un primo attrito insito nel discorso : è infatti evidente che il
fenomeno della destinazione patrimoniale , al netto della sua valenza
sociale ed extragiuridica, incide senza dubbio sulla tematica della
responsabilità patrimoniale
8
; come si tenterà di dare conto in seguito,
a riprova della delicatezza del rapporto e della continua ricerca di una
soluzione allo stesso è il fatto che fino a poco tempo fa non era
riconosciuta la possibilità di dare vita a fenomeni di destinazione
patrimoniale corredati dell’effetto di segregazione patrimoniale e
dotati di caratteri di realità , senza creare centri di imputazione delle
posizioni giuridiche dotati di soggettività - se non di personalità
giuridica – e negando all’autonomia privata ogni spazio di manovra
nel definire l’attività negoziale destinatoria al di fuori delle previsioni
di legge.
Segregazione, separazione, destinazione patrimoniale: il lettore
potrebbe essere indotto facilmente a pensare che siano sinonimi, o
quanto meno usati indistintamente dal presente elaborato ; seppur
indubbia è la connessione tra i prefati concetti, occorre sin da ora
porre a mente che gli stessi attengono sistematicamente a piani
ordinamentali nettamente distinti e a significati in parte diversi, come
si vedrà ; il tutto, al netto dell’intenzione dell’elaborato di assumere
come punto fermo della trattazione la stretta correlazione tra
6
Così PASQUALE GABRIELE, Dall'unità alla segmentazione del patrimonio:
forme e prospettive del fenomeno , Giur. comm., fasc.4, 2010, pag. 593.
7
Recita testualmente il comma 2, art. 2447-bis c.c. : “Salvo quanto disposto
in leggi speciali, i patrimoni destinati ai sensi della lettera a) del primo
comma non possono essere costituiti per un valore complessivamente
superiore al dieci per cento del patrimonio netto della società e non possono
comunque essere costituiti per l'esercizio di affari attinenti ad attività
riservate in base alle leggi speciali.”
8
Nei modi che infra si vedrà.
19
destinazione e separazione (o segregazione) patrimoniale, che dà vita
al fenomeno di destinazione tecnica.
Prima di affrontare la disamina sostanziale di taluni concetti, una nota
di colore : a fini esemplificativi e in rispetto del titolo dell’elaborato ,
si consentirà a chi scrive di utilizzare di qui in poi la meno impegnativa
locuzione patrimoni destinati (o al più patrimoni di destinazione) ,
assumendo la stessa alla stregua di una convenzione linguistica per
indicare una categoria , quella dei beni destinati a uno scopo , che è
da una prospettiva largamente condivisa l'aspetto, per così dire,
primario cui la legge ricollega l'operatività di una serie di regole
giuridiche, uno statuto dei beni che dà vita, contestualmente, a una
disponibilità e trasmissibilità vincolata — od ostacolata che dir si
voglia— e ad una contestuale espropriabilità limitata
9
, nel quale si
compendia l’effetto di separazione (o segregazione , a seconda
dell’incisività di tale effetto) patrimoniale .
Insomma, una reductio ad unum utile a non confondere e a incentrare
l’attenzione sulla destinazione patrimoniale.
La chiave di volta di questo capitolo introduttivo risiede proprio nel
tentativo di ricostruzione del complesso rapporto tra il fenomeno
destinatorio e il principio della responsabilità patrimoniale (generica),
così come inteso e parzialmente risolto nel corso della storia.
Seguendo l’impostazione sistematica di taluna dottrina più volte
occupatasi di tali tematiche
10
, l’attenzione del presente capitolo in
ordine alla disamina del rapporto tra destinazione e separazione si
giustifica per svariati ordini di motivi, che congiuntamente analizzati
permettono di addivenire ad una migliore ricostruzione finale, sulla
scorta di quanto peraltro emergerà dalla disamina dei successivi
capitoli.
Così , sul piano “personale” , la ferma convinzione in ordine alla
centralità della destinazione (per ora, genericamente intesa) , la quale
costituirebbe nient’altro che l’interesse sotteso a tutta una serie di
istituti che con diversi schemi procedimentali e strutturali
determinano la creazione di un vincolo sul patrimonio o su attività,
talora a fondamento di tutta una serie di rapporti e di istituti collegati
al fenomeno dei patrimoni separati
11
; sul piano sistematico,
9
Così ANGELO DI SAPIO, Patrimoni segregati ed evoluzione normativa : dal
fondo patrimoniale all’atto di destinazione ex art. 2645-ter , in Dir. famiglia,
fasc.3, 2007, pagg. 1257 ss.
10
Come l’autorevole MIRZIA BIANCA, Atto negoziale di destinazione e
separazione.
11
Per citarne alcuni, il contratto di mandato, il trust, il negozio fiduciario.