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Introduzione
Il fenomeno migratorio è una questione che coinvolge tutti i paesi. Ogni stato e ogni
governo si trova a dover fronteggiare la presenza di stranieri sul proprio territorio e
i tentativi di ingresso e permanenza irregolari nello stesso. Quest’ultima è una
preoccupazione comune, soprattutto in Europa, a quegli stati che si affacciano sul
Mediterraneo, i quali cercano con ogni mezzo di rendere i confini marittimi
impermeabili ai flussi migratori. In realtà, sono proprio queste politiche che, nel
corso degli anni, hanno reso le organizzazioni dedite al traffico di migranti più
flessibili ed efficienti. Chiudere le frontiere, o almeno provarci, è una scelta
inefficace poiché l’immigrazione irregolare nasce da esigenze impellenti che hanno
la loro origine nei paesi di provenienza dei migranti. L’impossibilità di far cessare in
modo definitivo gli sbarchi sulle proprie coste, ha reso la classe dirigente europea,
ma più in generale, ampi strati della popolazione, intollerante verso gli immigrati.
Questi ultimi, dopo le difficoltà del viaggio si troveranno, quindi, a dover
fronteggiare anche le difficoltà di inserimento nella società di destinazione.
Essere emigranti/immigranti non è, dunque un’esperienza facile: lasciare la propria
famiglia, i propri affetti, la propria terra, il luogo dove si è cresciuti, comporta
un’esperienza, anche a livello psicologico ed emotivo, difficile da sostenere. Eppure
a volte ci sono cause di forza maggiore legate proprio alla povertà, ai conflitti, alle
possibilità effettive di realizzare i propri progetti esistenziali nella patria natia: la
terra che li ha accolti è anche la stessa che li spinge a partire. Allo stesso modo,
inserirsi in un nuovo paese di cui, a volte, non si conoscono né la lingua né la cultura
è difficile tanto quanto la sofferta scelta di partire. Lo sguardo sospettoso o
indifferente che spesso gli immigrati incrociano, non aiuta certo a lenire la
sofferenza di essere lontani dal proprio mondo. Eppure, nonostante ciò, sono
migliaia i migranti che ogni anno giungono sulle coste italiane. Clandestini, come li
definiscono spesso i mass media o le stesse leggi. Stranieri potenzialmente
pericolosi da espellere o tutt’al più da tenere ai margini della società, per
preservarne l’ordine e la sicurezza. È così che l’Europa prova a chiudere le frontiere,
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inasprendo le misure di controllo e rispendendo indietro gli “ospiti indesiderati”.
Ma non tutti la pensano allo stesso modo: sono numerose le organizzazioni che si
battono al fianco dei migranti, per i loro diritti e per estirpare la concezione che la
maggior parte degli immigrati sia fonte di insicurezza se non, addirittura, di
criminalità. Coloro che sostengono quest’ultima tesi non conoscono, infatti, in
modo approfondito chi sia il migrante, da dove venga e perché sia partito: ad uno
sguardo superficiale, preoccupato solo di preservare lo status quo nel proprio
paese, gli immigrati si assomigliano tutti: non importa siano del Niger, dell’Etiopia,
della Somalia o di qualsiasi altro paese; non importa che siano cristiani o
musulmani; non importa siano fuggiti a causa della guerra, della fame o
dell’illiberalità politica; quello che conta è che sono arrivati in Italia, sono troppi e le
loro intenzioni appaiono animate da intenti poco chiari. La paura del diverso, dei
cambiamenti è una forza potente in grado di relegare il buon senso in un angolo del
nostro modo di pensare.
Nel primo capitolo saranno affrontate proprio le questioni legate alla definizione del
concetto di immigrazione irregolare e di migrante, alle motivazioni del viaggio, alle
differenti rotte migratorie che coinvolgono l’Italia e alla loro modalità di
organizzazione.
Nel secondo capitolo sarà ripreso il discorso sulle rotte migratorie e sarà analizzata
la rotta che parte dall’Africa sub-sahariana e che, attraverso il Sahara e la Libia,
giunge a Lampedusa: gli sbarchi sull’isola italiana sono, infatti, solo la meta di un
viaggio cominciato nel cuore del territorio africano. Si cercherà, inoltre, di ridare
quella voce ai migranti di cui spesso, come accennato, vengono privati a favore di
sguardo che ignora le peculiarità di ogni storia. Sempre nell’ambito della rotta
nordafricana, si accennerà agli sviluppi recenti dei flussi migratori che dall’inizio
dell’anno sono ripresi in maniera cospicua verso le nostre coste: si tratta davvero di
un esodo biblico, di un’invasione come sostengono alcuni o è soltanto uno dei tanti
periodi di maggiore intensità dei flussi migratori dovuti a particolari congiunture?
Infine, nel terzo capitolo, si traccerà l’evoluzione delle politiche migratorie adottate
dal governo italiano. Tale analisi è necessaria per comprendere l’andamento e la
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composizione dei flussi migratori: questi sono, infatti, profondamente influenzati
dalle politiche e dal contesto sociale, non si esplicano in un vuoto socio-politico, ma
sono in stretta connessione sia con le politiche dei paesi di origine e di transito, che
con quelle dei paesi di destinazione. Inoltre saranno analizzati gli effetti che queste
politiche hanno su una categoria particolarmente vulnerabile, quella dei richiedenti
asilo. Il loro numero è, infatti, drasticamente diminuito in seguito all’entrata in
vigore del trattato di Bengasi.
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1.1 L’immigrazione irregolare
Il fenomeno delle migrazioni internazionali, inteso come la mobilità degli individui,
non è certo un elemento nuovo nella storia umana. L’esigenza di partire dal proprio
paese di origine, per tornarvi successivamente o per non farvi mai più ritorno, si è
sviluppata nell’uomo come risposta ad una varietà di stimoli esterni: partire per
conoscere, per migliorare le proprie condizioni di vita o per sfuggire a guerre,
persecuzioni, illiberalità e soprusi.
Secondo la definizione delle Nazioni Unite, il migrante è una persona che risiede
fuori dal proprio paese per un periodo minimo di un anno (Koser, 2009: pp.25-26).
I flussi migratori sono influenzati da una molteplicità di fattori:
• dal punto di vista economico, esiste una domanda di immigrazione nei paesi
ricchi, poiché sono numerosi i lavori ritenuti troppo faticosi e dunque non adatti ad
un lavoratore potenzialmente benestante. Al contrario, nei paesi di origine dei flussi
migratori, c’è un’offerta di manodopera dovuta alle precarie situazioni economiche
di questi paesi e alla evidente disparità di condizioni economiche tra i paesi;
• dal punto di vista demografico, le aree più povere ospitano circa l’85,9% della
popolazione mondiale. Questo vuol dire che, essendo aree il cui PIL pro capite
medio annuo è molto basso, il numero di persone indigenti è notevolmente elevato;
• dal punto di vista politico, i motivi che spingono all’emigrazione sono vari: guerre
civili, regimi dittatoriali, politiche migratorie favorevoli all’emigrazione per
alleggerire le pressioni sociali;
• il progresso tecnologico ha non solo ridotto le distanze, rendendo possibile la
contaminazione tra modelli e stili di vita differenti, invogliando quanti vivono in
condizioni di illiberalità ad abbandonare il proprio paese, ma ha anche reso gli
spostamenti via mare, terra e aerea più facili e veloci (Corneli, 2005: pp.12-15).
Vi sono tre distinzioni principali a cui è opportuno prestare attenzione nell’ambito
del più ampio fenomeno migratorio internazionale:
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1. “migrazioni volontarie” e “migrazioni forzate” (rifugiati). La differenza tra
queste due categorie di migrazioni sta nella volontarietà del soggetto di
abbandonare il proprio paese. La seconda categoria, a differenza della
prima, è composta di individui obbligati a lasciare il proprio paese a causa di
conflitti, persecuzioni, o in seguito a disastri ambientali, quali siccità e
carestie. Non tutti però sono definiti rifugiati
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(Koser, 2009: pp.25-26);
2. “migrazioni politiche” e “migrazioni economiche”. Questa seconda
classificazione è correlata a quella precedente e distingue tra coloro che
emigrano per ragioni politiche e coloro che emigrano per motivi economici.
Tra i migranti per ragioni politiche si ritrovano frequentemente i rifugiati,
persone obbligate a partire a causa di persecuzioni politiche o conflitti. I
migranti per ragioni economiche comprendono invece tutti coloro che
emigrano in cerca di lavoro o di condizioni occupazionali e lavorative migliori
(koser,2009: p.26);
3. “immigrati regolari” e “immigrati irregolari”. I primi sono coloro che
soggiornano in un paese straniero provvisti dell’adeguata documentazione
(visti, permessi di soggiorno). I secondi sono composti da un insieme
eterogeneo di persone, la cui caratteristica comune è essere sprovvisto, sin
dall’inizio o successivamente, dell’adeguata documentazione richiesta nel
paese di destinazione (Koser, 2009: p.26).
È proprio quest’ultima categoria ad attirare maggiormente l’attenzione di politici,
opinione pubblica, organizzazioni internazionali e non governative impegnati,
soprattutto in questo periodo, a confrontarsi sul tema dell’immigrazione irregolare.
Questo è diventato un vero e proprio terreno di dibattito politico, imprimendo
nuova forza all’osservazione di Duvell, secondo il quale “l’immigrazione clandestina
non è un fenomeno sociale indipendente, ma esiste solo perché è socialmente,
politicamente e legalmente costruito” (Duvell, 2008: p.3).
A questo punto è opportuno evidenziare che l’uso dell’ aggettivo “clandestino” o
“illegale” per riferirsi ad un migrante, rafforza nell’immaginario collettivo la visione
dell’immigrato come una persona potenzialmente pericolosa ed impegnata in
1
Per la definizione di rifugiato si vede la distinzione tra migrazioni politiche e migrazioni
economiche.
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attività criminali: è per questo che, di solito, si preferisce il termine “irregolare”, per
riferirsi ad un insieme variegato di condizioni in cui può trovarsi un migrante. Con
l’approvazione del “pacchetto sicurezza” nel luglio del 2009
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, il nesso tra
clandestinità e criminalità è stato però ufficializzato: l’ingresso e la permanenza
irregolare degli stranieri sul territorio da illecito amministrativo si è trasformato in
reato (Gatta, 2009: p.249). Pertanto risulta più corretto, in linea con il linguaggio
utilizzato in ambito internazionale, riferirsi al fenomeno in questione in termini di
immigrazione irregolare.
A questo proposito è importante evidenziare che fattori quali la legislazione vigente
nel paese di origine, così come in quello di destinazione, l’efficacia delle azioni di
polizia e la criminalità, contribuiscono alla formazione dello status di migrante
irregolare. Infatti, abbiamo già visto come la legislazione vigente nei paesi di
destinazione contribuisca a determinare l’irregolarità del fenomeno migratorio: la
lentezza e la complessità delle pratiche burocratiche per la regolarizzazione della
posizione dei migranti, così come l’introduzione del reato di clandestinità, rendono
difficile la vita dell’immigrato che può in qualsiasi momento passare dalla
condizione di regolarità a quella di irregolarità. Per quanto riguarda le azioni di
polizia di contrasto, se da un lato contribuiscono a ridurre il fenomeno, dall’altro
fanno sì che nel lungo periodo le tecniche di ingresso irregolare siano affinate,
proprio al fine di eludere i controlli; infine, il fattore criminalità, rappresenta un
elemento ormai tipico dei flussi migratori, in quanto sempre più spesso
l’emigrazione è gestita da reti criminali che hanno la capacità di ristrutturarsi e
rigenerarsi, nonostante i tentativi delle autorità di estirparle (Corneli, 2005: pp.12-
15).
Frank Duvell definisce il concetto di immigrazione irregolare come un “umbrella
concept”, indicando la natura complessa del fenomeno migratorio, dal momento
che comprende una varietà di motivazioni, attori, percorsi di viaggio e condizioni di
vita
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(Duvell, 2008: p.19). Tale complessità è anche dovuta al fatto che, come è già
stato sottolineato, un migrante può diventare irregolare da un momento all’altro
del proprio percorso migratorio e attraverso modalità differenti: è irregolare il
2
Per maggiori informazioni si veda il terzo capitolo.
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Gli attori, le rotte e le condizioni di vita saranno approfondite nel corso della trattazione.
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migrante che, seppur entrato legalmente in un paese, vi soggiorna dopo la scadenza
di un visto o di un permesso di lavoro; così come è irregolare il migrante che fa
ingresso in un paese sprovvisto di adeguata autorizzazione o provvisto di una
documentazione falsa; e ancora, è irregolare il migrante che entra in un paese
eludendo i controlli di frontiera (Koser, 2009: p.72). Inoltre, all’interno del
fenomeno definito in termini di immigrazione irregolare, è possibile effettuare
un’ulteriore distinzione tra il “traffico di migranti” propriamente detto e la “tratta di
esseri umani”. Nel Protocollo delle Nazioni Unite contro il traffico illegale di migranti
(Protocol against the Smuggling of Migrants by Land, Sea and Air, supplementing
the United Nations Convention against Transational Organised Crime, 2000, art.3),
questo è definito come << l’insieme delle azioni volte a procurare l’ingresso di una
persona in uno stato di cui la persona non è cittadina o residente permanente, al
fine di ricavare, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o
materiale>> (Koser, 2009: p.80). La tratta di esseri umani è, invece, definita, nel
Protocollo ONU per prevenire la medesima (Protocol to Prevent, and Punish
Trafficking in Person, especially Women and Children, supplementing the
Convention against Transational Organised Crime, 2000, art.3), come <<il
reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l’ospitare o accogliere persone tramite
l’impiego o la minaccia di impiego della forza o di altre forme di coercizione, di
rapimento, frode, inganno, abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità o
tramite il fornire o ricevere somme di denaro o vantaggi per ottenere il consenso di
una persona che ha autorità su un’altra a scopo di sfruttamento>> (Koser, 2009:
p.79). Ciò che emerge dalle due definizioni è che, al contrario della tratta di esseri
umani, il traffico di migranti è alimentato dalla volontarietà dei migranti: saranno,
infatti, questi ultimi o le loro famiglie a pagare un intermediario per facilitare
l’ingresso in un altro paese. Inoltre, nella maggior parte dei casi, il rapporto
intermediario-migrante si interrompe una volta giunti a destinazione; nella tratta di
esseri umani persisterà, invece, l’elemento dello sfruttamento, che non si esaurirà
al raggiungimento della destinazione concordata.
I canali d’ingresso dell’immigrazione irregolare sono vari: terrestri, aerei e marittimi.
La scelta di una delle suddette modalità è legata al fattore economico, al percorso