4
L’obiettivo di tutelare l’interesse del lavoratore per la continuità e la stabilità del
posto di lavoro è stato sempre uno dei criteri di riferimento della legislazione del
lavoro, anche in ragione delle disposizioni costituzionali. La Carta costituzionale,
infatti, ci ricorda nell’art.1 che la Repubblica, oltre ad essere democratica, è
fondata sul lavoro: nella nostra società e nella vita dei cittadini il luogo di lavoro è
il posto in cui viene spesa una parte significativa del proprio tempo e delle proprie
forze fisiche e mentali; il lavoro non deve essere solo un modo per ricavare il
proprio sostentamento, ma anche l’occasione per garantire “il pieno sviluppo della
persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione
politica, economica e sociale del Paese” secondo quanto riportato dall’art.3 della
Costituzione. In questo quadro, lo studio delle strutture sociali entro cui si
svolgono i rapporti tra gli attori del mondo del lavoro diventa di primario
interesse, perché va a far luce sul più importante teatro pubblico in cui le persone
agiscono e si relazionano.
Se ci si interroga sullo stato di salute del sindacato in Italia, sulla capacità di
parlare ai lavoratori come a tutti cittadini e di essere un valido strumento per la
tutela e l’esercizio dei propri diritti costituzionali, e nel fare questo poniamo
attenzione alla storia dello sviluppo del sindacato, riscontriamo fasi di crisi e di
ripresa. Una causa generale di difficoltà del sindacato può consistere nella sua
forma organizzata storico-secolare ormai superata, rispetto all’evolversi della
struttura economico-sociale che si trova ad accogliere nuove tipologie di
lavoratori. Tali tipologie sono state introdotte essenzialmente con il cosiddetto
“Pacchetto Treu” e con la Legge Biagi; queste leggi hanno rivoluzionato il
mercato del lavoro italiano portandolo verso un livello di flessibilità mai
raggiunto prima.
5
Il presente lavoro nasce dall’idea di voler dare una chiara rappresentazione della
nuova realtà sindacale e degli strumenti utilizzati allo scopo di regolare e tutelare i
lavoratori atipici.
In una prima parte è stata ripercorsa la nascita e lo sviluppo del sindacato,
prestando particolare attenzione all’attività svolta durante le diverse epoche
storiche soprattutto nel contesto italiano; in seguito sono stati analizzati
l’organizzazione e gli strumenti “classici” del sindacato, la logica delle azioni e il
quadro delle norme legislative relative al sindacato. Ci si è soffermati,
successivamente, sui cambiamenti del mercato del lavoro dovuti all’introduzione
delle nuove tipologie contrattuali, in tale ambito sono stati presi in considerazione:
- alcuni contributi sulla flessibilità,
- è stato analizzato il lavoro atipico nel mercato del lavoro italiano,
- è stata fatta una panoramica delle diverse forme contrattuali atipiche previste
dall’ordinamento italiano.
L’ultima parte è dedicata al modo in cui le confederazioni sindacali hanno
affrontato l’avvento dei lavori atipici attraverso la costituzione di nuove
strutture sindacali. Infine è stato condotto uno studio quantitativo e qualitativo
sugli utenti del CPO Uil di Pomigliano d’Arco allo scopo di analizzare le
motivazioni che spingono i giovani ad avvicinarsi al sindacato, tenendo conto
di alcuni indicatori quali: istruzione, sesso, l’essere lavoratori o meno … tutti
quegli indicatori, quindi, che potevano essere ritenuti utili ai fini della ricerca.
6
CAPITOLO 1
IL SINDACATO
1.1 Nascita del sindacato
I sindacati hanno rappresentato la risposta organizzata dei lavoratori all’impatto
della rivoluzione industriale ma le origini sono da ricercarsi nel Medioevo,
quando gli artigiani si organizzavano in Corporazioni
1
. Queste comprendevano i
lavoratori e i datori di lavoro; il loro compito era impedire che artigiani non
qualificati si mettessero in concorrenza con i membri della corporazione
adeguatamente preparati, stabilire un livello qualitativo dei prodotti, regolare le
ore e le condizioni di lavoro e concedere alcuni privilegi ai membri
2
.
La scomparsa delle antiche “corporazioni” aveva dato adito a profonde alterazioni
dei rapporti produttivi e soprattutto dei rapporti di lavoro: alterazioni che
cominciarono a manifestarsi nella vita dei primi centri manifatturieri, in cui la
figura del detentore dei mezzi di produzione e quella dell’offerente di lavoro si
presentavano separate ma non ancora contrapposte
3
.
Tra il XVIII e il XIX secolo gli sviluppi del capitalismo e del sistema di fabbrica
avevano spinto grandi masse di popolazione a lasciare le campagne e a disputarsi i
posti di lavoro che le industrie andavano creando nei centri urbani; avevano
inoltre provocato profonde trasformazioni anche a livello di struttura sociale. Al
concetto di ceto, legato alla posizione occupata per nascita o per godimento di
particolari diritti, si venne sostituendo quello di classe sociale, definito in rapporto
1
Corporazioni: unioni di persone che esercitavano lo stesso mestiere. In Italia si ebbero le unioni
dei mercanti e dei professionisti o le fratellanze artigiane; in Francia le confraternite tra i
mercanti e gli artigiani e i collegi dei professionisti; in Inghilterra e nei Paesi Bassi le gilde; in
Germania le associazioni giurate.
2
Enciclopedia I mondi dell’uomo, Mondadori Editore, Verona, 1974.
3
Enciclopedia Multimediale Rizzoli Larousse, Milano, 2003.
7
al ruolo svolto nel processo produttivo in una società che tendeva ad assicurare
l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. L’antagonismo non era più quello
fra l’aristocrazia e il popolo ma quello fra il borghese, proprietario dei mezzi di
produzione, e il proletario, lavoratore salariato, ricco solo della forza delle sue
braccia e della sua capacità di riprodursi
4
.
L’operaio di fabbrica è il risultato di un processo che vedeva muovere verso
l’impiego nell’industria un numero crescente di ex lavoratori agricoli e di ex
lavoranti di botteghe artigiane e piccole manifatture rovinate dalla concorrenza
della grande fabbrica. Nella fabbrica l’operaio era assoggettato alla macchina
dalla quale dipendevano i ritmi di lavoro; i salari erano fissati in base alla legge
della domanda e dell’offerta e, poiché l’offerta di lavoro era superiore alla
domanda, le retribuzioni tendevano ad assestarsi al livello più basso e ad
avvicinarsi al livello indispensabile alla pura e semplice sussistenza. Da tutto ciò
derivavano condizioni di vita disagiate che portarono gli operai ad associarsi fra
loro e a ribellarsi alla propria condizione. I primi episodi di ribellione contro il
sistema di fabbrica avevano assunto la forma di luddismo, cioè violenza contro le
macchine. Inizialmente sia i datori di lavoro che lo Stato
5
ostacolarono tali
associazioni, ritenendole cospirazioni di operai. Riuscirono a sussistere solo le
associazioni operaie di mutuo soccorso che divennero dei centri di formazione al
senso solidaristico e di organizzazione dei lavoratori in questo periodo di
clandestinità e di illegalità.
4
Giardina A., Sabbatucci G., Vidotto V., Manuale di storia: L’età contemporanea, Laterza,
Roma- Bari, 1996.
5
Nel 1791, a seguito delle prime agitazioni operaie tendenti a migliorare il livello dei salari, viene
promulgata in Francia la legge “le Chapelier” che sancisce il divieto di qualsiasi associazione
professionale e riconferma il divieto di ricostituzione delle associazioni corporative. In
Inghilterra i “Combination Act” del 1799-1800 considerano illegali tutte le organizzazioni
professionali aventi per oggetto “restrizioni di commercio” e vietano tutte le coalizioni dirette ad
ottenere aumenti di salari, riduzioni o modificazioni nella durata del lavoro… Pure negli Stati
Uniti d’America, negli Stati Tedeschi e nel Belgio si applica la legislazione restrittiva.
8
Tale fase di illegalità rappresentava un tentativo, da parte del capitale, di
perpetuare una situazione di squilibrio umano mediante il ricorso ad una nozione
tutta formale dei principi di libertà ed uguaglianza e ad una nozione
individualistica del diritto di proprietà
6
.
I sindacati erano perciò, nel periodo iniziale della loro esistenza, essenzialmente
organismi di lotta: la loro attività, considerata illecita, si svolgeva
clandestinamente; i suoi primi risultati parziali erano dovuti a momentanee
concessioni padronali, motivate da particolari situazioni ambientali di opinione e
di ordine pubblico, anziché ad una effettiva consistenza dei sindacati stessi.
Il sorgere, il moltiplicarsi e l’agire dei sindacati finì con il porre ai vari Stati il
problema della revisione della legislazione restrittiva, con il passaggio ad una fase
di tolleranza legale, infatti nel 1825 in Gran Bretagna fu approvata una legge che
affermava il diritto di associazione per gli operai
7
e in seguito si ebbero i Trade
Union Acts del 1871 e 1876, che conferivano un pieno significato giuridico ai
sindacati dei lavoratori. Anche altrove furono approvate leggi del genere: negli
Stati Uniti le associazioni furono ammesse legalmente nel 1840, in Francia nel
1884 e nelle altre nazioni europee prima del 1900
8
.
Nella seconda metà dell’800 le organizzazioni sindacali divennero permanenti e
ricevettero un forte impulso dai movimenti politici che, affrontando su basi
ideologiche il conflitto tra capitale e lavoro, combattevano il sistema capitalistico,
contrapponendogli sistemi sociali alternativi quali il socialismo e l’anarchismo.
Nel 1864 venne fondata a Londra l’Associazione Internazionale dei Lavoratori
9
(Prima Internazionale) che realizzava il collegamento internazionale dei singoli
movimenti nazionali sulla base della coscienza di classe.
6
De Rosa G., Età contemporanea, Minerva Italica, Bergamo, 1995.
7
Sorsero le Trade Unions, “uomini di mestiere”, e i Trade Clubs, “circoli operai”.
8
Enciclopedia Multimediale Rizzoli Larousse, Milano, 2003.
9
Le uniche delegazioni che potessero vantare una certa rappresentatività erano quella inglese e
quella francese, un emissario di Mazzini rappresentava le società operaie italiane, gli altri
partecipanti erano esuli di vari paesi invitati a titolo personale: fra essi Marx.
9
Il compito di redigere lo statuto provvisorio fu affidato a K. Marx che riuscì ad
inserire nel documento alcuni punti che qualificavano l’Associazione in senso
classista, nonostante l’opposizione del rappresentante italiano
10
.
La Prima Internazionale, dopo aver tentato invano di inglobare anche gli
anarchici
11
, i quali sostenevano che l'iniziativa sindacale, pur non potendo
pretendere di assumere l'intero onere della lotta contro la cultura borghese del
dominio, aveva l'importante compito di stimolare l'autorganizzazione del lavoro e
della produzione, allo scopo di rovesciare il modello economico capitalista, fu
sciolta nel 1876 in seguito alla decisione di Marx di trasferire gli organi centrali
lontano dall’Europa.
Nel 1889, nacque la Seconda Internazionale (o Internazionale Socialista) in
seguito all’incontro a Parigi dei rappresentanti di numerosi partiti europei, per lo
più di ispirazione marxista, i quali approvarono alcune importanti deliberazioni,
fra cui quella che fissava come obiettivo primario del movimento operaio la
giornata lavorativa di otto ore e proclamava una giornata mondiale di lotta per il
1° maggio di ogni anno
12
. La Seconda Internazionale fu una federazione di partiti
nazionali autonomi e sovrani, svolse una funzione di coordinamento e i suoi
congressi costituirono un luogo di incontro e di discussione su problemi come lo
sciopero generale, la lotta contro la guerra e la questione coloniale, grandi dibattiti
ideologici che animarono il movimento operaio europeo all’inizio del ‘900
13
.
10
De Rosa G., Età contemporanea, Minerva Italica, Bergamo, 1995.
11
Inizialmente vi era una contrapposizione tra i socialisti veri e propri, che sostenevano la
socializzazione dei mezzi di produzione, e i proudhoniani, che elaborarono un programma in
cui il sindacato assumeva direttamente un ruolo rivoluzionario, con l'obiettivo di raggiungere il
controllo diretto dell'industria, assumendo il controllo delle fabbriche, ristrutturando in senso
libertario la produzione e la distribuzione delle risorse e sostituendo il governo statale con un
meccanismo di libera federazione tra associazioni lavorative. I proudhoniani ritenevano che il
mezzo principale da usare era la forza, sotto forma di sciopero generale e sabotaggio.
Tramontato il proudhonismo si ha una nuova versione più rivoluzionaria il cui massimo teorico
fu Michail Bakunin.
12
Romani M., Appunti sull’evoluzione del sindacato, Edizioni Lavoro, Roma, 1981.
13
De Rosa G., Età contemporanea, Minerva Italica, Bergamo, 1995.
10
Sebbene il movimento socialista fosse ideologicamente a favore della pace e della
fratellanza tra lavoratori di ogni paese, il dissidio sorto nell'ambito
dell'Internazionale indebolì gli sforzi volti a evitare una guerra in Europa.
Quando, nel 1914, ebbe inizio la prima guerra mondiale, gli interessi nazionali si
dimostrarono molto più forti dei legami di classe tra lavoratori ed una parte dei
socialisti sostenne la politica militare dei propri governi. Questa circostanza segnò
la fine della Seconda internazionale, sebbene i tentativi di ricostituire l'unità del
movimento continuassero fino al 1920.
Dopo la Prima guerra Mondiale, il movimento operaio internazionale aveva un
punto di riferimento concreto: l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche
che aveva spazzato via il regime zarista nella Russia. Nella società socialista, si
tendeva a fare dell’associazione sindacale uno strumento indirizzato ad educare i
cittadini - produttori, in vista della necessità che da parte di ognuno venisse dato il
massimo contributo all’edificazione della società socialista perfetta.
Durante il Congresso panrusso dei sindacati (1918) il sindacato perse la facoltà di
porsi da sé i propri fini, dovendo uniformarsi a direttive statali; infatti si affermava
che i sindacati dovevano diventare “organi della ricostruzione economica”
assumendo il compito dell’organizzazione della produzione e dell’utilizzo di tutte
le risorse disponibili: si concretizzava la trasformazione dei sindacati in organi
dello Stato socialista, operanti in stretta alleanza col partito
14
.
Di fronte al radicale cambiamento verificatosi nell’esperienza russa per quanto
riguarda la natura ed i fini del sindacato, si constatava nell’Europa continentale un
permanere della nozione tradizionale del sindacato, accanto a variazioni connesse
al pensiero e all’esperienza capitalistica, legate a particolari nozioni della società
14
Il sindacato diventa organo statale preposto alla produzione con Trotzky, con il quale il
sindacato perde gli ultimi resti di autonomia. Lenin negava ai sindacati qualunque funzione di
difesa degli interessi operai e di gestione diretta delle aziende.
11
civile organizzata poggianti su miti nazionalistico – razziale
15
.
In Italia, con il fascismo, il sindacato perse la natura di “movimento” per
acquistare quella di “istituzione” subordinata alle direttive politiche del regime,
infatti il sindacato risultava essere espressione dei vari settori produttivi,
affrontava e risolveva i problemi comuni a tali settori indirizzandoli verso
obiettivi generali, fissati sul piano politico dal partito unico nazionale.
L’organizzazione sindacale subì di anno in anno sempre più gravi limitazioni ai
suoi attributi essenziali, fino a ridursi ad una impalcatura burocratica, dotata della
rappresentanza di ogni categoria, con poteri simili a quelli di un organo
dell’amministrazione statale
16
.
Negli altri paesi dell’Europa continentale il sindacalismo proseguì la sua
evoluzione: il sindacato si presentava come avente il compito di migliorare la
situazione economica, sociale e giuridica dei lavoratori attraverso normali mezzi
di azione quali la contrattazione collettiva di diritto comune e l’influenza sugli
organi legislativi. Negli Stati Uniti le “unions” uscirono da un ambito di finalità
limitate all’azienda o al mestiere, per avviarsi a divenire un vero e proprio
elemento determinante della vita del paese, ad assumersi quindi responsabilità più
ampie e fini più vasti. Nel 1936 si ebbe una frattura tra l’American Federation of
Labor (Afl
17
) ed il Congress of Industrial Organizations (Cio
18
) a causa di una
divergenza di metodi organizzativi e metodo pratico d’azione che rivelò diversità
di comprensione delle conseguenze per l’unionismo e per i lavoratori della nuova
fase di sviluppo dominata dell’esigenza di “controllo sociale”
19
.
15
Giardina A., Sabbatucci G., Vidotto V., Manuale di storia: L’età contemporanea, Laterza,
Roma-Bari, 1996.
16
Romani M., Appunti sull’evoluzione del sindacato, Edizioni Lavoro, Roma, 1981.
17
Strutturata secondo il principio professionale, rimane una federazione di mestiere.
18
Collegando le grandi “unions” costituite per settore di industria, raccoglie le grandi masse di
lavoratori industriali che non sono inquadrati nell’Afl.
19
Cella G. P., Il sindacato, Editori Laterza, Bari, 1999.
12
Nel secondo dopoguerra, le organizzazioni dei lavoratori inglesi si trasformarono,
da associazioni miranti a migliorare le remunerazioni e le condizioni di impiego,
in organismi rappresentativi dei lavoratori che, in stretto rapporto con i pubblici
poteri, partecipavano alla programmazione e all’attuazione di una determinata
politica economica interna ed internazionale.
Il “nuovo unionismo” statunitense aveva in vista un graduale mutamento dei
rapporti tradizionali tra lavoratori e datori di lavoro, che imponeva nuove
responsabilità ai lavoratori e portava questi a compartecipare nella direzione della
produzione industriale, attenuando le tensioni da sentimento di “estraneità” e di
“non appartenenza” tipiche del mondo industriale contemporaneo. Nell’Europa
continentale si presentò la necessità di salvaguardare l’indipendenza del
movimento sindacale dalle pressioni dei gruppi d’interessi economici, dei partiti
politici, dello Stato borghese, mentre l’intrusione della politica nell’azione
sindacale provocò divisioni e debolezze
20
.
La crisi che attraversava il movimento non era un fenomeno isolato ma un aspetto
della crisi generale delle strutture economiche e sociali del mondo europeo
21
.
In Russia, i sindacati divennero scuole di formazione comunista, organi di
vigilanza rivoluzionaria, associazioni uniche e obbligatorie, mezzo per
l’accostamento comunista delle masse infatti l’appartenenza costituì la condizione
indispensabile per partecipare alla convivenza sociale
22
.
20
Giardina A., Sabbatucci G., Vidotto V., Manuale di storia: L’età contemporanea, Laterza,
Roma-Bari, 1996.
21
Romani M., Appunti sull’evoluzione del sindacato, Edizioni Lavoro, Roma, 1981.
22
Enciclopedia I mondi dell’uomo, Mondadori Editore, Verona, 1974.
13
1.2 Le origini del movimento sindacale in Italia
La prima forma di organizzazione operaia in Italia fu la società di mutuo soccorso,
già presente in alcuni Stati della penisola nella prima metà del XIX secolo
(Piemonte, Lombardia, Toscana). Queste si ponevano come compito istituzionale
l’assistenza esercitata per mezzo della solidarietà; i soci versavano una quota di
iscrizione e quote mensili che, con le erogazioni di benefattori, formavano un
fondo che permetteva la concessione di sussidi in caso di malattia o
disoccupazione
23
. Le società di mutuo soccorso, che dal 1853 avevano trovato
negli Stati Sardi una forma di collegamento nei congressi annuali
24
, dopo l’Unità
si collegarono anche su scala nazionale, tenendo dal 1860 (Milano) al 1892
(Palermo) una serie di congressi delle Società operaie affratellate; le più
importanti di queste riunioni furono quelle tenute fino al 1871, nelle quali si
contrapposero due tendenze, quella che faceva capo a Mazzini
25
, favorevole alla
politicizzazione della società, e quella dei moderati che ne voleva il disimpegno
politico. Tra il 1870-1890, nel nascente movimento operaio italiano si accentuò
l’azione di resistenza, con una serie di agitazioni e di scioperi che si ponevano
obiettivi tipicamente sindacali (applicazione di tariffe salariali definite, riduzione
dell’orario di lavoro, …); il processo fu favorito dal declino dell’influenza delle
concezioni sociali mazziniane (interclassiste) e dalla penetrazione negli strati dei
lavoratori più avanzati dell’ideologia collettivista - anarchica risalente alle teorie
di Bakunin e delle posizioni di tipo operaistico
26
.
Nel 1872 nacque a Rimini la Federazione dell’associazione internazionale dei
lavoratori. Fin dalla fine degli anni ’70 erano nati dalla trasformazione di vecchie
23
Romani M., Appunti sull’evoluzione del sindacato, Edizioni Lavoro, Roma, 1981.
24
In tali congressi vennero dibattuti i problemi dell’istruzione, delle abitazioni, degli orari di
lavoro e dello sciopero, nei confronti del quale si assunse un atteggiamento negativo.
25
Le società di ispirazione mazziniana erano unite fra loro dal patto di fratellanza; erano
concepite come strumenti di educazione del popolo, rifiutavano la lotta di classe e
consideravano “funesto” il ricorso allo sciopero.
26
Giardina A., Sabbatucci G., Vidotto V., Manuale di storia: L’età contemporanea, Laterza,
Roma-Bari, 1996.
14
società di mutuo soccorso: circoli operai, società di miglioramento, leghe di
resistenza. Nell’imminenza delle elezioni del 1882, alcune associazioni operaie
milanesi decisero di emanciparsi dalla tutela politica esercitata fino ad allora dai
radicali e di dar vita ad una formazione politica autonoma: il partito operaio
italiano (POI), composto esclusivamente di operai, che si diede un programma
corporativo, incentrato sul miglioramento delle condizioni economiche dei
lavoratori, raggiungibile attraverso l’azione sindacale e la costituzione di leghe di
resistenza locali. La crisi economica che colpì l’Italia tra il 1887 e il 1893 costituì
la spinta verso la ricerca di forme associative più mature: sorsero le prime
federazioni di mestiere a carattere nazionale. Accanto a queste, il movimento
sindacale diede vita alla Camera del lavoro, fondata a Milano nel 1891. Le
Camere del lavoro erano organismi a base territoriale ed avevano come elemento
costitutivo le leghe
27
, le quali provarono presto un insieme di funzioni specifiche
che ne fece una creazione originale del sindacalismo italiano; oltre alle mansioni
contrattuali le Camere del lavoro infatti cominciarono a svolgere una vasta attività
nei settori della cooperazione, della ricreazione e dell’educazione popolare
28
.
Dal 1891, dopo l’Enciclica Rerum Novarum
29
di Leone XIII, entrarono sul terreno
dell’organizzazione sindacale anche i cattolici. L’enciclica leonina vedeva nelle
associazioni cattoliche uno strumento di collaborazione fra le classi, qualcosa di
simile alle antiche corporazioni di arti e mestieri. Nella pratica, però, gli ideali
corporativi si rivelarono di difficile attuazione. I sindacati cattolici si svilupparono
soprattutto su basi di classe (raccogliendo solo i lavoratori dipendenti) e in seguito
finirono con l’adottare metodi di lotta simili a quelli dei sindacalisti socialisti
30
.
27
Articolazione su una base professionale estremamente ristretta, neutre sul terreno politico.
28
De Rosa G., Età contemporanea, Minerva Italica, Bergamo, 1995.
29
Incoraggiava la creazione di società operaie e artigiane ispirate ai principi cristiani e invitava
tutti i cattolici ad impegnarsi su questo terreno.
30
Giardina A., Sabbatucci G., Vidotto V., Manuale di storia: L’età contemporanea, Laterza,
Roma-Bari, 1996.
15
Alla fine dell’800, si fece strada tra le forze conservatrici italiane la tentazione di
risolvere in senso autoritario le tensioni politiche e sociali. La tensione esplose nel
1898, quando un improvviso aumento del prezzo del pane fece scoppiare una serie
di manifestazioni popolari spontanee che, nonostante una forte presenza operaia,
richiamavano forme di protesta tipiche delle società preindustriali. Tali
manifestazioni furono duramente represse militarmente, inoltre Pelloux tentò di
far approvare delle leggi limitative delle libertà di sciopero, di stampa e di
associazione
31
.
Il governo Zanardelli-Giolitti (1901-03) si caratterizzò per alcune importanti
riforme sociali e per la neutralità nel campo dei conflitti di lavoro: limitazione del
lavoro minorile e femminile nell’industria, miglioramento della legislazione
relativa alle assicurazioni volontarie per la vecchiaia e obbligatorie per gli
infortuni sul lavoro; fu costituito un Consiglio superiore del lavoro, organo cui
partecipavano i funzionari governativi e i rappresentanti espressi dalle categorie
economiche, compresi esponenti delle organizzazioni sindacali socialiste. Le
conseguenze del nuovo corso furono: rapido sviluppo delle organizzazioni
sindacali, operaie e contadine, cancellate o ridotte alla clandestinità dalle
repressioni del 1898. In quasi tutte le principali città del Centro - Nord si
costituirono, o ricostituirono, le Camere del lavoro, mentre crescevano anche le
organizzazioni di categoria. Si svilupparono le organizzazioni dei lavoratori
agricoli formate da braccianti e concentrate soprattutto nelle province padane; nel
1901 le leghe rosse si riunirono nella Federazione italiana dei lavoratori della
terra (FEDERTERRA); obiettivo finale e dichiarato delle leghe era la
‹‹socializzazione della terra››, obiettivi immediati erano l’aumento dei salari, la
riduzione degli orari di lavoro, l’istituzione di uffici di collocamento controllati
dai lavoratori stessi
32
. Lo sviluppo delle organizzazioni sindacali fu accompagnato
da una brusca impennata degli scioperi che interessarono il settore industriale e
31
Enciclopedia I mondi dell’uomo, Mondadori Editore, Verona, 1974.
32
Enciclopedia Multimediale Rizzoli Larousse, Milano, 2003.
16
agricolo; ne derivò un rialzo dei salari destinata a protrarsi per tutto il
quindicennio del secolo.
Nei primi anni del secolo iniziò il decollo industriale italiano ma accresceva anche
il divario con il Sud arretrato; nel 1904 furono approvate le prime ‹‹leggi
speciali›› per il Mezzogiorno volte ad incoraggiare la modernizzazione
dell’agricoltura e lo sviluppo industriale mediante una serie di stanziamenti statali
e di agevolazioni fiscali e creditizie
33
.
Nonostante la crescita che seguì la crisi del 1907, le lotte sociali si inasprirono e
l’atteggiamento degli industriali, i quali si unirono in associazioni padronali dando
vita, nel 1910, alla Confederazione italiana dell’industria (CONFINDUSTRIA), si
fece più duro nei confronti della controparte operaia e più diffidente rispetto alle
iniziative sociali dei pubblici poteri, il che contribuì a frenare l’azione
riformatrice del governo.
Il composito mondo delle organizzazioni sindacali italiane a prevalente
orientamento socialista (Camere del lavoro, federazioni, FEDERTERRA)
raggiunse un’unificazione a livello nazionale nel 1906 con la creazione a Milano
della Confederazione generale del lavoro (Cgl). Quest’ultima si poneva come
obiettivo statuario “la direzione generale e assoluta del movimento proletario,
industriale e contadino, al di sopra di qualsiasi distinzione politica”, ma fu in
realtà diretta da socialisti della corrente riformista (il cui segretario generale fu
R. Rigola); questi crearono un’organizzazione solida ed efficiente, ma la loro
azione tenne conto prevalentemente degli interessi settoriali delle categorie
operaie più avanzate trascurando gli strati dei lavoratori meno qualificati e non
organizzati. In polemica con la Cgl i sindacalisti rivoluzionari (influenzati dalle
idee di G. Sorel
34
e H. Lagardelle) organizzarono dal 1907 (intorno alla Camera
33
Abrate M., La lotta sindacale (1906-1926), L’Impresa, Torino, 1966.
34
Esaltò la funzione liberatoria della violenza proletaria e insistette sull’importanza dello sciopero
generale come mito capace di trascinare gli operai alla lotta.
17
del lavoro di Parma) le leghe e le Camere del lavoro che aderivano alla loro
tendenza, costituendo nel 1912 un organismo nazionale, l’Unione sindacale
italiana (Usi), che restò però minoritario rispetto alla Cgl
35
.
Nel 1909 le leghe bianche diedero vita al primo sindacato nazionale cattolico di
categoria (operai tessili); inoltre, riscossero un certo successo anche tra i
lavoratori agricoli. Intanto la guerra del 1914 cambiò molti aspetti dell'economia
italiana: venne decretata la "mobilitazione industriale'' e negli stabilimenti
vennero vietati gli scioperi mentre vennero fatte molte assunzioni nelle officine,
negli uffici, nei trasporti pubblici allo scopo di assicurare il massimo della
produzione. Il potere contrattuale dei sindacati diminuì: non si potevano
avanzare richieste né effettuare manifestazioni o scioperi. Torino diventò un
centro attivo di protesta operaia in cui si chiedeva la proroga dei contratti fino
alla fine del conflitto.
Gli effetti del primo conflitto mondiale non si esaurirono nella distruzione di
vite umane e nello sconvolgimento dei confini fra gli Stati. La guerra era stata la
più grande esperienza di massa: gli uomini si erano trovati inseriti in una
comunità organizzata e gerarchica e si erano abituati a vivere in gruppo, a
obbedire o a comandare. Tornati alla vita civile, i combattenti si trovarono di
fronte ad una realtà diversa da quella lasciata: l’espansione dell’industria di
guerra aveva chiamato nelle città nuovi strati di lavoratori non qualificati. Tutti i
settori della società erano in fermento. La classe operaia, tornata alla libertà
sindacale, chiedeva miglioramenti economici, maggior potere in fabbrica e
manifestava, in alcuni casi, tendenze rivoluzionarie. I contadini del Centro - Sud
tornavano dal fronte con la consapevolezza dei loro diritti, decisi ad ottenere
dalla classe dirigente l’attuazione delle promesse fatte nel corso del conflitto. I
35
Carpentieri A., Le origini del sindacato e la nascita della Uil, Servizio Organizzazione della Uil
Nazionale, Roma, 2001.