Introduzione
La demoralizzazione è un concetto introdotto da Frank nel 1961 nel tentativo di
descrivere la motivazione comune per la quale le persone cercano un trattamento
psicoterapeutico. Frank notò che queste persone utilizzavano espressioni simili per
descrivere la propria sofferenza e propose di definire questo stato mentale
“demoralizzazione”. La demoralizzazione, in accordo con la definizione di Frank, è il
risultato di un fallimento ripetuto dei tentativi di far fronte allo stress associato con
sentimenti di impotenza, isolamento e disperazione.
La demoralizzazione, dopo questa prima definizione, è stata concettualizzata in modo
diverso da altri autori. Schmale ed Engel nel 1967 hanno sviluppato il costrutto di
giving up – given up complex, che descrive le caratteristiche distintive della
demoralizzazione ed è caratterizzato da sentimenti di sfiducia, mancanza di speranza,
incompetenza e perdita di padronanza e controllo. Gli autori hanno messo in evidenza
che questa sindrome sembra essere fortemente correlata all’insorgenza di disturbi
medici.
Dal 1982 in poi, De Figueiredo, il collaboratore di Frank che piø si è occupato di
studiare la demoralizzazione, ha concettualizzato questa sindrome come interazione di
due dimensioni, la sofferenza psicologica e l’incompetenza soggettiva. Quest’ultima
caratteristica è definita come la percezione del soggetto di essere incapace di pianificare
e iniziare un’azione concertata verso uno o piø obiettivi ed è considerata da de
Figueiredo come il tratto distintivo della demoralizzazione.
Clarke e Kissane nel 2002 hanno ampliato la definizione di demoralizzazione di Frank e
de Figueiredo, definendola come un’inabilità persistente a far fronte agli eventi
stressanti associata a sentimenti quali helplessness (il sentirsi indifeso), hopelessness (la
mancanza di speranza), perdita di significati, incompetenza e diminuzione
dell’autostima. Gli autori individuano quindi nel fallimento delle capacità di coping il
nucleo centrale della demoralizzazione.
Un gruppo di studiosi internazionali composto da Fava, Freyberger, Bech,
Christodoulou, Sensky, Theorell e Wise, nel 1995, ha proposto i Criteri Diagnostici per
la Ricerca in Psicosomatica (DCPR), i quali forniscono una serie di 12 cluster
psicologici che comprendono anche la demoralizzazione. Secondo Fava e colleghi, la
1
demoralizzazione riguarda la consapevolezza di non aver soddisfatto le proprie o altrui
aspettative o di non essere in grado di fronteggiare alcuni problemi importanti, associata
con sentimenti di mancanza di speranza e di aiuto e rinuncia. L’applicazione dei criteri
diagnostici proposti dagli autori ha evidenziato che la demoralizzazione risulta una delle
piø frequenti sindromi DCPR in pazienti affetti da disturbi medico-internistici.
Secondo la letteratura, la mancanza di supporto sociale, e quindi il senso di isolamento,
è una delle caratteristiche peculiari della demoralizzazione. A partire dagli studi
pioneristici di Berkman e Syme degli anni ‘70, viene affermata la centralità delle
relazioni sociali e del sostegno nel mantenimento della salute e la loro potenzialità nel
moderare gli eventuali effetti deleteri sulla salute di eventi psicosociali stressanti, come
sostenuto anche da Cohen e Wills nel 1985. Anche il supporto sociale è stato definito in
modo diverso dagli autori che se ne sono occupati. Secondo Francescato, Tomai e
Ghirelli, esso rappresenta il supporto emotivo, informativo, interpersonale e materiale
che è possibile ricevere e scambiare nelle reti sociali. Bowlby sostiene che la
disponibilità precoce di supporto sociale diminuisce la probabilità di psicopatologia in
età adulta e aumenta la capacità di resistere e superare le frustrazioni e gli eventi
stressanti. Il supporto sociale si configura quindi come un elemento indispensabile nella
vita delle persone, che, se assente o inadeguato porta ad isolamento ed all’aumento del
rischio di malattie somatiche e psichiche.
Nel presente studio è stata indagata in primo luogo la relazione tra demoralizzazione e
supporto psico-sociale percepito. In secondo luogo, è stata esaminata la relazione tra
disturbo depressivo maggiore e supporto psico-sociale percepito. Infine, sono state
valutate le correlazioni tra il supporto psico-sociale percepito e alcune variabili
concettualmente associate alla demoralizzazione, ossia incompetenza soggettiva e
sintomi depressivi. Gli strumenti utilizzati sono di tipo auto ed etero-valutativo.
L’utilizzo combinato di diverse tipologie di strumenti introduce un elemento innovativo
nell’analisi di queste associazioni: questo criterio ha permesso di aumentare il numero
di informazioni disponibili e di effettuare analisi statistiche differenziate in base alla
diversa modalità di raccolta dati.
2
1. LA DEMORALIZZAZIONE
1.1 Sviluppo del concetto di demoralizzazione
Il concetto di demoralizzazione è stato introdotto da Jerome D. Frank nel 1949 presso
l’Unità di Ricerca in Psicoterapia della Johns Hopkins University. Frank (1961, 1973,
1991) iniziò ad esaminare quelli che potevano essere considerati gli ingredienti attivi di
una psicoterapia di successo, cercando di individuare gli elementi comuni a piø
orientamenti teorici differenti, ognuno dei quali si dichiarava il migliore per raggiungere
il benessere psicologico e la salute mentale. Frank notò che le differenze teoriche e
pratiche tra i vari orientamenti erano di gran lunga minori rispetto agli elementi che essi
avevano in comune e che questi fattori condivisi si potevano riassumere in quattro
caratteristiche:
1. un’alleanza terapeutica tra il sofferente e la persona che fornisce aiuto,
2. un setting clinico orientato alla cura del sofferente,
3. il fornire una spiegazione plausibile per i sintomi del paziente,
4. un rituale o una procedura che richiede la partecipazione attiva del paziente e del
terapeuta e che è ritenuta in grado di ristabilire la salute del paziente.
Frank (1961) chiamò queste quattro caratteristiche “ingredienti non specifici” della
psicoterapia.
Frank (1961) rilevò inoltre che le persone che si sottoponevano a una terapia usavano
espressioni simili per descrivere la loro sofferenza e propose di definire
demoralizzazione lo stato mentale delle persone che cercavano un aiuto
psicoterapeutico. Il termine demoralizzare significa “privare una persona della propria
forza morale, intaccandone la fiducia in se stessa e nelle proprie capacità, lo spirito
d’iniziativa e il coraggio” (Delbridge, Bernard, Blair, Peters e Butler, 1991). Secondo
Frank questa descrizione rappresenta in modo chiaro lo stato mentale dei candidati alla
psicoterapia, indipendentemente dalla loro diagnosi nosografico-descrittiva.
Frank (1961) propose inoltre la cosiddetta ipotesi della demoralizzazione: secondo
l’autore le diverse tipologie di psicoterapia differiscono in modo minimo tra di loro per
quanto riguarda i tassi di successo perchØ tutte tentano di alleviare la stessa cosa, e cioè
la demoralizzazione.
3
Il concetto di demoralizzazione sviluppato da Frank deriva in gran parte dalle sue
osservazioni cliniche, mentre la sua ricerca fu influenzata dalle idee e dagli
incoraggiamenti di tre suoi maestri: Whitehead, Lewin e Meyer. Whitehead (1967) era
stato il suo insegnante di filosofia all’università di Harvard e aveva evidenziato che il
rapporto tra individui e gruppi sociali poteva basarsi sull’imposizione o sulla
persuasione. I due libri di Frank “Persuasion and Healing” (1973) e “Sanity and
Survival” (1968) sono un’esplorazione delle due forme di interazione tra individuo e
società ipotizzate da Whitehead. Il mentore di Frank durante il suo lavoro post-lauream
fu Lewin (1935), i cui concetti di campo e di spazio di vita indirizzarono la sua
attenzione verso l’importanza dell’ambiente sociale nel modellare gli atteggiamenti.
Dopo essersi laureato in medicina ad Harvard, Frank completò la specializzazione in
psichiatria alla Johns Hopkins, dove Meyer (1951) stava promuovendo il suo modello di
uomo come un’unità psicobiologica in grado di adattarsi alle diverse condizioni di vita,
una prospettiva che lo avrebbe portato alla costruzione delle “life charts” e allo studio
degli eventi di vita stressanti e del loro impatto sulla salute.
Un ulteriore impulso allo studio della demoralizzazione fu data dal lavoro di
Dohrenwend e colleghi (1980), i quali sostenevano che le scale di screening psichiatrico
misurassero spesso una singola dimensione comune di base da loro chiamata
“sofferenza non specifica, simile a quella che Frank aveva definito demoralizzazione.
1.2 Definizione di demoralizzazione
Molti autori dopo Frank si sono occupati del concetto di demoralizzazione, dando
origine a dibattiti internazionali.
Nel suo libro “Persuasion and Healing”, Frank (1961) sostiene che la demoralizzazione
non è semplicemente definibile come “sofferenza non specifica”, ma è una sindrome
chiaramente definita di sofferenza esistenziale che si presenta in pazienti che soffrono di
malattie mentali o fisiche, soprattutto se minacciano la vita o l’integrità di sØ. Frank
osserva che la maggior parte delle persone che presentano sintomi psichiatrici non
cercano una psicoterapia, ma quelli che lo fanno sono demoralizzati. Secondo Frank la
demoralizzazione è il risultato di un persistente fallimento dei tentativi di far fronte ad
uno stressor, indotto sia dall’interno che dall’esterno, che il soggetto stesso e le persone
4
che gli sono accanto si aspettano riesca ad affrontare. Le caratteristiche fondamentali di
questo stato psicologico sono sentimenti di impotenza, isolamento e disperazione, anche
se non è necessario che siano presenti tutti contemporaneamente. L’autostima della
persona è diminuita e questa si sente respinta dagli altri a causa del proprio fallimento
nel riuscire a soddisfare le loro aspettative. Inoltre, Frank (1961) sostiene che il
significato della vita derivi dai legami dell’individuo con altre persone con cui
condivide dei valori e dunque l’isolamento e il sentirsi respinto possono contribuire a un
senso di perdita di significato della vita. Tipicamente, queste persone sanno di non
essere riusciti a soddisfare le proprie e le altrui aspettative, o di non essere in grado di
far fronte a dei problemi urgenti. Si sentono impotenti, senza il potere di cambiare la
situazione o loro stessi e incapaci di uscire o liberarsi dalla difficile situazione in cui si
trovano.
Schmale ed Engel (1967) hanno sviluppato il complesso giving up – given up, che può
essere considerato l’antecedente della demoralizzazione. George Engel è considerato
uno dei capiscuola della medicina psicosomatica. Insieme ai suoi collaboratori, operò a
lungo a Rochester, nello stato di New York, costituendo un gruppo divenuto noto come
«gruppo di Rochester», che ha svolto studi approfonditi sulla relazione tra stress,
esperienze di perdita e malattie organiche. Per alcuni anni Engel e Schmale hanno
focalizzato l’attenzione sulle condizioni nelle quali si presenta la malattia, ossia la fase
di transizione tra salute e malattia. Le loro ricerche li hanno portati a definire e
caratterizzare la sfiducia (helplessness) e la mancanza di speranza (hopelessness) come
le condizioni affettive nelle quali la malattia fisica ha piø probabilità di comparire.
I due autori (1967) hanno descritto una condizione psicologica che costituirebbe il
contesto piø favorevole allo sviluppo o all’esacerbazione di una malattia e hanno
proposto di chiamarlo giving up – given up complex. Gli autori hanno ipotizzato che
alcune persone, in conseguenza di esperienze infantili inadeguate, possano sviluppare
questa sindrome, cioè uno stato nel quale non sono disponibili o non si sono ancora
sviluppate difese e strategie psicologiche che permettano di affrontare le esperienze di
perdita oggettuale (Schmale e Engel, 1967). L’individuo, in queste situazioni, si
percepisce come incapace di ogni tipo di controllo su di sØ e sull’ambiente ed è invaso
da specifici sintomi depressivi come la sensazione di essere abbandonato, di mancare di
5
ogni aiuto (helplessness), di essere inerme e senza speranza (hopelessness). Il
complesso è costituito da due fasi:
a) la rinuncia, caratterizzata dal fallimento delle strategie difensive che in
precedenza erano state usate in situazioni simili e dalla conseguente incapacità
di raggiungere un livello di gratificazione adeguato;
b) la condanna, che può seguire o meno alla prima e nella quale il dolore e la
perdita di gratificazione vengono accettati come inevitabili e tollerati in attesa
che siano disponibili altre fonti di soddisfazione.
Le caratteristiche peculiari di questa sindrome secondo gli autori sono:
1. sentimenti spiacevoli e stressanti espressi con termini quali “¨ troppo per me”,
“Non posso piø sopportare tutto questo”, “Rinuncio”. Questi sentimenti sono a
volte attribuiti dal paziente ai deficit del proprio ambiente (helplessness), ai suoi
fallimenti personali o alle sue inadeguatezze per le quali egli sente che non c’è
nulla da fare (hopelessness).
2. La percezione del soggetto di essere meno competente, gratificato e capace di
funzionare nelle sue modalità abituali.
3. La percezione che le relazioni con le altre persone o i ruoli che normalmente
vengono rivestiti nella vita quotidiana siano meno sicuri o gratificanti. Il
paziente può aver sofferto o essere stato minacciato di perdere una relazione, un
ruolo o un obiettivo. Può sentirsi escluso da persone che sono importanti per lui
o può essersi allontanato lui stesso volontariamente da quest’ultime.
4. La percezione dell’ambiente esterno o delle proprie prestazioni come
significativamente differenti dalle aspettative basate sulle precedenti esperienze
di successo, che non sembrano piø utili come guida per il comportamento attuale
o futuro.
5. La sensazione di perdita di continuità tra passato e futuro e la minore capacità di
vedersi proiettato nel futuro con speranza o fiducia. Per questo il futuro può
apparire come desolato e poco gratificante.
6. La propensione a rivivere sentimenti, ricordi e comportamenti connessi con
esperienze del passato che sono state caratterizzate da sentimenti simili. Per
questo gli aspetti fallimentari o frustranti del passato sono risvegliati
dall’esperienza attuale e pesano gravemente sul presente.
6
Gli esiti principali della sindrome possono essere tre:
1. la persona può avere successo nel raggiungere nuovi e piø efficaci mezzi di
difesa o di coping o può accadere che le circostanze esterne cambino a suo
vantaggio, caso in cui può ristabilire il suo precedente livello di adattamento.
2. La persona può sviluppare un disturbo somatico, cosa che a sua volta può o
migliorare o intensificare il complesso.
3. La persona può far uso di espedienti psicopatologici o sociopatologici per
risolvere la sindrome, ma in questo caso può essere vista come malata
psichicamente o socialmente deviata.
Come evidenziato da Trombini e Baldoni (1999), dagli studi del gruppo di Rochester
risulta che esperienze precoci di perdita (sia reale che simbolica) aumentano la
predisposizione allo sviluppo di patologie oncologiche quali leucemie e linfomi in adulti
e bambini (Greene, 1954; Greene e Miller, 1958) e malattie cardiovascolari acute come
ischemia miocardica e morte cardiaca improvvisa (Engel, 1971; Greene, Goldstein e
Moss, 1972). Inoltre, anche un anniversario di una perdita subita nel passato e mai
elaborata può determinare l’insorgenza di un episodio di malattia fisica o psichica
(Engel, 1975).
Un autore con cui Frank ha collaborato a lungo nella definizione e nell’ampliamento del
concetto di demoralizzazione è John M. de Figueiredo. Grazie al lavoro congiunto di
questi due studiosi, la demoralizzazione è stata meglio concettualizzata come
interazione di due dimensioni fondamentali: la sofferenza (distress) e l’incompetenza
soggettiva. Secondo de Figueiredo (1982, 1983, 2007), la demoralizzazione non è nØ un
costrutto teorico nØ una caratteristica implicita, piuttosto si tratta di una combinazione di
uno o piø stati osservabili di sofferenza, che si può manifestare con sintomi quali ansia,
tristezza, scoraggiamento, rabbia e risentimento, associati all’incompetenza soggettiva.
L’incompetenza soggettiva indica la percezione di essere incapaci di pianificare e
iniziare un’azione concertata verso uno o piø obiettivi o essere incapaci di esprimere i
sentimenti che si considerano appropriati in una situazione stressante. Le persone con
incompetenza soggettiva si sentono intrappolate o bloccate e spesso cercano una
soluzione dopo l’altra ai problemi senza mai avere successo, finendo con l’esaurire tutte
le loro possibilità. Essendo incapaci di far fronte alle situazioni difficili, temono che le
circostanze peggiorino sempre di piø. La situazione stressante rivela loro, inoltre, che le
7
cose che avevano dato per scontate nei propri confronti o riguardo alle altre persone non
sono piø così certe e questo alimenta dei dubbi sul loro futuro così come essi l’avevano
programmato.
La sofferenza e il senso di incompetenza soggettiva comunque non si presentano sempre
congiuntamente. Riprendendo alcuni esempi forniti da de Figueiredo (1983), un
professore universitario che sta per tenere una lezione davanti a un pubblico non
familiare può provare ansia (cioè distress), ma non è demoralizzato. Quando deve tenere
una lezione davanti a un pubblico familiare ma su un argomento non legato alla sua
specialità accademica perchØ obbligato dalle circostanze, può sentirsi incompetente ma
non demoralizzato. Al contrario, quando si dimostra ignorante rispetto a un argomento
che non ha mai padroneggiato all’interno della sua specialità, egli si può sentire
sofferente e incompetente, cioè demoralizzato. Quindi il senso di incompetenza
soggettiva è una caratteristica clinica distintiva della demoralizzazione.
Secondo de Figueiredo e Frank (1982), dunque, in alcuni casi di dolore, ansia o disagio
fisico, il soggetto sperimenta sofferenza mentale senza incompetenza soggettiva. In
modo simile, l’incompetenza soggettiva si presenta senza sofferenza quando una
persona si sente incapace di agire anche al livello minimo stabilito da standard interni a
se stessa, ma percepisce questa sensazione come non determinate per la propria
autostima. Fino a che una persona non ritiene di dover essere in grado di far fronte a una
particolare situazione stressante, l’incompetenza soggettiva non sarà accompagnata da
sofferenza (de Figueiredo e Frank, 1982). Quello che unisce la sofferenza con
l’incompetenza soggettiva sembra essere la rilevanza della situazione stressante per
l’autostima dell’individuo demoralizzato. Per questo motivo, mentre la sofferenza e
l’incompetenza soggettiva prese separatamente possono essere considerate risposte
normali a determinate situazioni, la loro sovrapposizione è la demoralizzazione stessa e
spesso richiede un intervento terapeutico (de Figueiredo e Frank, 1982).
De Figueiredo (2007) introduce inoltre una similitudine tra demoralizzazione e
infiammazione che aiuta a chiarire il significato del primo concetto: come
l’infiammazione, la demoralizzazione è una risposta generica e non specifica, può
risolversi da sØ se lo stressor viene rimosso, comincia come una normale reazione
dell’individuo allo stress ma può divenire patologica e richiedere un intervento sotto
certe condizioni.
8