6di forti mal di testa) ma le loro richieste di spegnere l’apparecchio cadevano nel
vuoto. Preferivo di gran lunga un mondo fatto di storie finte, di racconti
fantastici, alla classica vita “banale” dello studente di scuola media; ero
diventato il telespettatore ideale: credevo quasi a tutto quello che i programmi
propinavano.
Vista la piega che le cose stavano assumendo mio padre, e lo ringrazio
per questo, decise di mettere fuori uso il mio elettrodomestico preferito (e
all’epoca anche l’unico che sapessi usare) dapprima togliendo il cavo che
trasporta il segnale dall’antenna alla tv (questo suo primo tentativo però andò a
vuoto perché io riuscii a fabbricarmi da solo un cavo uguale) e poi rendendo
inutilizzabile la televisione in modo permanente. Vi assicuro che quello fu uno
dei giorni più brutti della mia vita: ero una specie di neonato senza il suo
biberon, un bambino senza la sua tettarella preferita.
Da quel momento inizio un lungo periodo senza più cartoni animati nè
televendite (trasmissioni che trovavo e trovo tutt’ora estremamente divertenti),
fatto di colloqui, discussioni e sere passate a leggere libri. I primi tempi fu
veramente dura, il risentimento verso i miei genitori era tale che mi impediva di
apprezzare il silenzio, poi, a poco a poco, iniziai a vedere il lato positivo di
quello che mi stava capitando: leggevo ogni sera, e devo dire che non ho mai
letto per mio piacere in una quantità tale da eguagliare quella di quel fatidico
anno. Imparai ad apprezzare il dialogo e i momenti passati con la mia famiglia,
cosa che in precedenza catalogavo come tempo perso. Il mio pensiero poteva
volare libero, senza incontrare ostacoli di sorta. Mi stavo disintossicando.
Prima non ho fatto cenno ai telegiornali, programma preferito di ogni
genitore (visto dall’ottica di un bambino) e odiato da qualsiasi ragazzino;
naturalmente ero costretto a guardarli, certo non avevo ancora la capacità di
analizzarne il contenuto, ma alcune notizie riuscivano comunque a passare la
solida barriera costituita dalla mia non volontà di ascoltare. Quando dopo circa
dodici mesi una nuova televisione approdò nel porto di casa Cuccato a tutta la
famiglia non sembrava vero, l’entusiasmo però si spense quasi subito dopo le
6
7prime nuove “scorpacciate” di programmi, fatto che fu incoraggiato dal fatto che
insieme all’ormai leggendario apparecchio ritorno anche la visione dei noiosi
telegiornali.
Una cosa mi fu chiara appena vidi il primo: lo studio era cambiato, i
giornalisti erano cambiati, le notizie, specialmente quelle relative alla politica
erano rimaste le stesse. Cosa mi ero perso dunque durante quell’anno? Da
poco tempo sono arrivato a formulare una risposta: nulla. Ecco quello a cui
sono giunto ed ecco dove è nata la mia passione per la politica e per le
tecniche informativo-pubblicitarie da essa adottate.
Credo che se qualsiasi persona provasse a vivere senza televisione per
un intero anno alla fine dell’esperimento si renderebbe conto che la sua
percezione di realtà, anche in relazione alla politica, ne risulterebbe più ampia,
più cosciente, questo perché non più offuscata dalle opinioni, seppur ben celate
di giornalisti e conduttore, perché depurata da quell’infinità di messaggi a volte
impercettibili lanciati da questo o quell’esponente di partito; quella persona
riuscirebbe, forse per la prima volta a comprendere in modo serio e sereno
cosa rappresenta progresso e cosa sia regresso, anche a livello politico.
Finisco questa breve prefazione con un suggerimento: quando si è in
campagna elettorale, guardate solamente la prima presentazione dei
programmi politici, meglio ancora sarebbe leggerli soltanto, se non lo si fa si
rischia di cadere nelle braccia dei bravi imbonitori e ben si conosce dove si va a
parare: “venghino venghino siore e siori, più gente entra...”.
7
8
9INTRODUZIONE
Eccoci dunque all’inizio di un viaggio da affrontare sulle ali dello spirito
critico, un’esperienza, spero utile, nella quale si cercheranno di mettere in
evidenza alcuni dei tratti caratteristici che contraddistinguono le moderne forme
di governo.
Si partirà con un’analisi critica di alcuni autori e delle loro rispettive
opinioni e riflessioni sulla forma di governo democratica; essendo questa una
tesi il cui argomento principale è la demagogia in politica ci si potrebbe chiedere
a che scopo si vada a prendere in considerazione solamente la democrazia
come termine di paragone relativamente a questo fenomeno. La risposta è la
seguente: ho deciso di prendere in considerazione la democrazia in quanto in
quasi tutti gli ambienti questa è considerata la migliore tra le forme di governo,
quella che, data la sua particolare composizione che tutti conosciamo, si presta
minormente alle derive portate all’interno della politica dalla demagogia. In molti
sono convinti del fatto che non ci potrebbe essere forma di governo migliore
che questa, personalmente non condivido, a mio parere, come ogni fenomeno
umano la forma di governo democratica è intrinsecamente fallace (per quanto in
misura nettamente minore rispetto alle alternative al giorno d’oggi presenti) e
perfettibile, nonchè destinata, un giorno, a scomparire, inghiottita o sublimata
da altre forme di governo che con l’andare dei decenni subiranno la stessa
sorte. Per usare un’espressione estremamente comune e forse banale, la
democrazia non è per così dire “l’assenza di mali”, è semplicemente “il minore
tra vari mali” presenti oggi nel “paniere” delle strutture governative, questa però
è solo un’opinione personale.
A quella precedentemente descritta seguirà una parte più eterogenea,
dedicata in modo particolare alle ideologie e alla morte, o presunta tale, delle
stesse e al ruolo che esse giocano o hanno giocato (secondo le convinzioni di
alcuni degli attuali rappresentanti politici) all’interno dei partiti, nella loro storia e
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10
nel loro modo di rapportarsi con gli elettori. Un tema quello delle ideologie che a
mio parere ha molto in comune con quello della demagogia. Ora come ora si
ritiene che nè la prima nè la seconda dovrebbero poter avere spazio all’interno
della democrazia, procediamo però con ordine. Della demagogia e del suo
“tormentato” rapporto con la democrazia abbiamo già parlato in precedenza,
ora è il momento di affrontare l’argomento “ideologia”.
Come si troverà scritto nelle pagine seguenti dopo la caduta del muro di
Berlino le ideologie diventeranno il capro espiatorio cui addossare ogni sorta di
colpa, si pensi ad esempio che una delle cause, individuate dai nostri politici,
del fallimento della tanto citata “prima Repubblica”
1
oltre che nel sistema di
voto, che produceva frammentazione negli schieramenti e non portava alla
“sana alternanza” è stata individuata nell’ideologia appunto e nel suo uso
“spregiudicato”, per usare un termine così caro ormai sia a destra che a sinistra.
Non per divagare, ma desidero tornare sulla questione dell’alternanza.
Voglio iniziare precisando che non sono un sostenitore delle forme di governo
dittatoriali, anzi, credo che il popolo abbia il diritto di scegliere i programmi e gli
“attuatori” degli stessi in totale libertà e autonomia. Credo anche, però, che
l’alternanza ad ogni costo non sia un “valore” nel senso assoluto del termine: se
un “team” di governo sta operando per il meglio del Paese, con risultati evidenti,
tangibili e riconosciuti anche dal popolo, non penso sia giusto promuovere una
presunta volontà di cambiamento da parte del popolo stesso manipolando i
flussi di informazioni (nulla è meglio, per far cambiare idea a una persona, che
mostrare alla stessa che altri la pensano allo stesso modo, non importa che tali
informazioni siano vere o meno, l’importante è sentirle, percepirle e recepirle in
maniera positiva).
Passo ora alla terza e ultima parte dell’elaborato, questa riguarda molto
più direttamente rispetto alle prime due, che di fatto sono introduttive e
propedeutiche per l’argomento trattato, il tema della demagogia. Ne verranno
1 personalmente ritengo che non ci sia stato alcun reale cambiamento nel passaggio tra prima e seconda
Repubblica, i problemi, nonostante il tanto auspicato cambiamento di sistema elettorale, sono rimasti gli
stessi di sempre: inefficienza e inefficacia dell’azione governativa, assenza di reale volontà di
cambiamento, prevalenza degli interessi personali su quelli reali del Paese, eccetera.
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trattati gli aspetti più conosciuti assieme a quelli meno noti o meno evidenti, si
scenderà a trattare nel dettaglio il tema della comunicazione politica e delle
tecniche dalla stessa adottate con l’andare degli anni (non si dimentichi il
naturale processo di evoluzione comunicativa ha subito, nell’ultimo secolo,
un’accelerazione senza precedenti nella storia); si andranno ad analizzare gli
effetti che la comunicazione di cui sopra può provocare e di fatto a provocato.
All’interno del capitolo troverà poi spazio una cronologia approssimativa delle
fasi che ha attraversato la comunicazione umana, la quale sarà accompagnata
da alcuni diagrammi semplificativi. Verranno trattati anche temi quali il rapporto
tra la figura di Dio e la demagogia e si riserverà uno spazio, seppur breve al
fenomeno emergente delle spinte demagogiche “indirette” non statali.
Tutti i temi citati nelle righe precedenti saranno trattati con la serietà e il
rispetto che la situazione, il lettore e gli argomenti stessi richiedono.
Una parte importante della sezione introduttiva, a mio parere, è la
“dichiarazione di intenti” fatta dall’autore, spesse volte questa è implicita
all’interno delle frasi, bisogna leggere tra le righe per captare il messaggio o la
chiave di lettura con cui affrontare l’elaborato; è mia intenzione esplicitare gli
intenti che mi prefiggo, per correttezza nei confronti miei e del lettore stesso.
Non è mia intenzione trattare gli argomenti in indice col piglio
dell’onniscenza, è ovvio che, come ogni essere umano ho molto da imparare,
ma dato che l’elaborato è una tesi di laurea per forza di cose alcuni aspetti
saranno sottintesi; in ogni modo cercherò di risultare il più chiaro possibile.
L’intento finale che mi sono prefisso è quello di visualizzare e analizzare cosa
sia e a cosa porti la demagogia all’interno della forma di governo democratica,
di quali tecniche si avvalgano i suoi interpreti e in quali occasioni essa si mostri
nei suoi aspetti più macroscopici, senza per questo trascurare le “piccolezze”, i
dettagli, che molto spesso fanno la differenza.
Il percorso che da qui in avanti si andrà compiendo è una sorta di viaggio
nel tempo (per le varie tappe e periodi storici presi in considerazione) e nello
spazio (in quanto si spazierà tra le varie “zone del mondo” nelle quali
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determinati avvenimenti hanno “aggiunto” elementi significativi al nostro
mosaico) nel quale, spero, il lettore sarà trasportato.
L’altra mia intenzione, che spero non venga interpretata come volontà di
indottrinamento, è quella di portare il lettore alla riflessione in merito agli
argomenti che verranno trattati, di modo che possa, da sé, produrre pensieri
propri che lo portino a considerazioni su quella che è e che è stata la realtà
politica, solo attraverso la consapevolezza e la riflessione personale si può
evitare, in modo efficace, di venire inghiottiti dalla demagogia (al limite si
potrebbe sintetizzare questo pensiero nella seguente frase: “demagogia: se la
conosci la usi, se la conosci non ti manipola).
Detto questo non posso che augurare al lettore un buon proseguimento,
sperando che quanto da me scritto possa essere utile, scorrevole e possa
portare alle utili riflessioni che poco sopra ho voluto richiamare.
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CAPITOLO PRIMO
1.1. Introduzione
Per conoscere no in fondo il fenomeno che comunemente viene de nito
come demagogia, bisogna comportarsi come investigatori, seguire gli indizi,
lasciarsi guidare dalle tracce che provengono dal passato. Ø appunto nel
passato che dobbiamo ricercare le fonti che ci porteranno ri essioni
sullʼargomento che sopra si accennato.
Come ben si sa l’umanità tutta è stata sottoposta a diverse forme di
dominio e governo, l’assolutismo monarchico, l’oligarchia, la dittatura e per
finire la democrazia. Quest’ultima forma di amministrazione del potere è oggi,
quasi universalmente considerata la migliore, quella che, attraverso i suoi
complessi passaggi può portare a governare in maniera più equa e più giusta
gli abitanti di uno Stato; questo è tanto più vero se si considera che la
transizione verso una forma statuale democratica è una delle condizioni
necessarie per entrare a far parte di quella che è considerata la più ampia
unione di Stati democratici sul pianeta, ossia l’Unione Europea. Dobbiamo
precisare però che le attuali democrazie sono tutte democrazie rappresentative,
ciò significa che non è realmente il popolo a governare, ma sono i
rappresentanti del popolo a esercitare le capacità di governo e di conseguenza
a prendere le decisioni che inevitabilmente si legano all’attività politica.
Va notato che una democrazia diretta (cioè quella nella quale tutti i
cittadini partecipano direttamente alle decisioni) sarebbe a livello pratico
impossibile. Si pensi ad esempio ad un Paese come l’Italia, popolata da più di
58 milioni di persone
2
, si pensi a come mettere in contatto simultaneamente tutti
questi individui e, con un notevole sforzo, si pensi alle conseguenze di una
votazione sincronica da parte di tutti questi soggetti. Sarebbe quanto meno
caotico e porterebbe a tutta un serie di inconvenienti (ad esempio il far
2 http://www.intrage.it/rubriche/famiglia/diritto/famiglia/articolo293.shtml
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14
esprimere a ciascuno la propria posizione in relazione a una determinata
materia diventerebbe una procedura lunghissima e confusionaria) che
renderebbero l’approvazione di una determinata idea possibile solamente nella
teoria, e la stessa situazione si avrebbe in uno Stato avente una popolazione
molto più ridotta di quella presa in esame. Si è così ricorsi all’espediente della
democrazia rappresentativa: il popolo elegge i suoi rappresentanti che
provvedono al governo dello Stato tramite l’emanazione di leggi discusse e
approvate da un’assemblea parlamentare.
Sin qui nulla di strano, anzi, si può dire che l’idea di fondo è più che buona
a patto di eleggere un numero adeguato di delegati al governo (più grande sarà
il campione di delegati maggiore sarà la rappresentanza popolare all’interno
dell’assemblea parlamentare); ma è proprio a questo punto che sorgono i
problemi: non si è tenuto conto nella nostra equazione del fattore umano, cioè
della propensione tipicamente umana al perpetuare il proprio dominio dell’uomo
sugli altri uomini. Una democrazia (rappresentativa) vera deve essere in grado
di saper affrontare i cambiamenti che il passare del tempo impone, deve avere
tra le fila dei suoi rappresentati esponenti di tutte le componenti della società.
Ciò palesemente non avviene; come è evidente nel caso italiano, i
rappresentati parlamentari sono per la più parte gli stessi da almeno un
decennio, e si può affermare senza timore che il rinnovamento dell’assemblea
parlamentare non è tra le priorità delle persone che ne occupano i banchi.
Ma come è possibile ciò? E un’altra domanda interessante potrebbe
essere la seguente: come mai la restante parte della popolazione non esprime
il proprio dissenso in merito a questa situazione? La risposta sta nella
particolare abilità sviluppata dalle parsone che per comodità chiameremo
“parlamentari”, quella di padroneggiare in modo eccellente le arti linguistiche
tanto da saper mostrare alle persone quello che in realtà non è.
Ecco uno dei timori espressi da grandi filosofi del passato in merito alla
democrazia, ma non è l’unico. Basti riportare che per alcuni di essi, per alcune
correnti di pensiero da essi rappresentate, la democrazia non sarebbe la forma
14
15
di governo ideale (esattamente il contrario rispetto alla concezione che ne
abbiamo ai nostri giorni). Qui di seguito verranno prese in considerazione
alcune delle più eminenti posizioni critiche nei confronti della forma di governo
democratica, si tenterà di fornire una panoramica di pensiero più ampia
possibile perché un’analisi del contesto storico è strettamente necessaria se si
vuole procedere con la trattazione degli argomenti a noi cari.
1.2. La posizione di Erodoto: “Nel molto c’e’ il tutto”
Famoso per averci lasciato il libro Storie , un racconto a tratti fantastico,
di numerosi viaggi da lui compiuti e di personaggi da lui incontrati (si possono
menzionare la pagine dedicate alla citt perduta di Atlantide) questo famoso
storico greco, che si pu considerare anche il padre dellʼetnogra a, ha lasciato
ai suoi posteri anche una sua posizione sul dibattito politico e considerazioni
sulle varie forme di esercizio del potere politico stesso.
Per Erodoto erano possibili differenti forme di esercizio del potere politico:
isonomia (e non democrazia) come governo dei molti; oligarchia come governo
dei pochi virtuosi; e monarchia come governo di uno solo.
All’interno del frammento III, 80, 2
3
Erodoto prende in considerazione le
differenti posizioni fatte proprie dai protagonisti del racconto (Otane, sostenitore
della isonomia; Megabizo, favorevole all’oligarchia; Dario, propugnatore della
monarchia). Nel racconto, il discorso di Otane si connota per l’uso di due termini
che al giorno d’oggi sono molte volte usati come sinonimi: monarchia e
tirannide. Come detto sopra, mentre al giorno d’oggi queste due parole spesso
sono considerate sinonimi, Erodoto le distingue come una (la tirannide) come la
degenerazione dell’altra (la monarchia), l’autore antico, tra l’altro, sostiene che
attraverso la deformazione provocata dalla tirannide (identificata come il puro
arbitrio abbinato all’esonero da qualsiasi obbligo di rendiconto) il regime
popolare può assumere contorni più nitidi. In Otane prevale l’istanza di
configurare la tirannide come disonomia ossia come una trasgressione
3 G. Carillo: “Nel molto c’è il tutto. La democrazia nel dibattito sui regimi politici (Erodoto, III, 80, 1-6)” in G.
Duso: “Oltre la democrazia, un itinerario attraverso i classici”, Bari, Carocci, 2005, P. 37
15
16
dall’ideale di buon governo o buon ordine politico (eunomia).
Come classico nella cultura greca abbiamo un’esaltazione della bellezza:
nel frammento III, 80 6 Otane dice “...al contrario, la moltitudine che governa ha
in primo luogo il nome più bello di tutti: isonomia; in secondo luogo, non fa nulla
di quanto fa il monarca: le cariche sono esercitate a sorte; chi ha una carica
deve renderne conto; tutte le decisioni sono prese in comune. Propongo
dunque che noi, abbandonando il monarca, glorifichiamo la moltitudine: nel
molto, infatti, si trova ogni cosa.”
4
. Iniziamo qui a scorgere le prime differenze
tra le posizioni democratiche tradizionalmente intese e prima delineate e quelle
evidenziate da Erodoto: cariche esercitate a sorte e non su nomina, decisioni
prese in comune e non a maggioranza (sia essa semplice o qualificata), spunti
questi che con il proseguire dell’analisi del testo (più che altro un’esegesi, un
commento che va strettamente collegato al testo originario cui si rifà il saggio)
verranno ulteriormente approfonditi.
Nel frammento di cui sopra si riportata una traduzione si chiarisce
innanzi tutto il signi cato che Otane d di isonomia (da notare in modo costante
il non uso del termine democrazia), lui identi ca questa pratica di governo con il
plethos, il governo appunto, della maggioranza; sempre nel frammento troviamo
traccia delle tre condizioni che vengono ritenute elementi strutturali per rendere
un regime politico isonomico : il sorteggio delle cariche (come gi evidenziato
poco sopra); lʼobbligo di rendiconto sul proprio operato per chi abbia ricoperto le
cariche in questione; la collocazione della capacit deliberativa nella sfera
comune. In un passo successivo del saggio, e quindi del frammento, si iniziano
a intravedere riferimenti alla democrazia. Viene detto che il demos (si ricorda
che la parola democrazia un composto derivante dalle espressioni greche
demos e kratos ) quella parte della popolazione composta da poveri e
piccoli proprietari terrieri e non il popolo in generale o, come modernamente si
intende, la totalit dei cittadini. Questa parte del popolo viene de nita come
portatrice, se insediata al governo, di instabilit . Comincia cos a prendere
4 frammento tratto da G. Duso “Oltre la democrazia un itinerario attraverso i classici”, Bari, Carocci, 2005,
P. 37, traduzione a cura di A. Fraschetti.
16
17
corpo lʼipotesi della presenza di una gura di mediatore che dovr insediarsi al
centro dellʼarena politica (precedentemente svuotata dallo scontro tra la
componente della societ composta dal demos e quella identi cabile con i pi
abbienti e potenti. Questa gura di mediatore avr il compito di amministrare la
legge, che dovr essere scritta e certa, tra il nobile e il meno nobile, s che le
parti, per natura tra loro non uniformi, diventino uguali ed equiparate grazie alla
legge e in questo modo abbiano la possibilit di di deliberare in maniera
collettiva.
Ecco dunque un’altra differenza: la figura del mediatore, una persona che,
presumibilmente per capacità, viene scelta per rendere uniformi e capaci di
deliberare componenti diverse della stessa società grazie ad un’applicazione
certa della legge. Non dunque un leader, nè un rappresentante, ma un soggetto
neutrale superpartes che non governa, ma che favorisce l’incontro delle volontà
tra le parti in causa e, mediando i loro interessi, le rende capaci di governare.
Erodoto, per bocca di Otane, fà un’affermazione dal valore chiave ai fini della
nostra analisi, dice che affermare che nel molto c’è il tutto significa pensare in
termini di kratos cioè di assolutezza o di supremazia, o, se si vuole, di
prevalenza della parte quantitativamente più cospicua. Ciò significa che la
minoranza scompare senza residuo, che smette di rilevare, questo in forza del
fatto che essa viene irrimediabilmente assorbita dall’equazione “molti-tutto”, di
conseguenza se nel molto c’è il tutto, nel poco c’è il niente; si rileva qui
un’ulteriore critica alla moderna concezione di democrazia in quanto attraverso
l’odierno sistema di governo la maggioranza impossibilita la minoranza di
esprimere la propria voce e di portare le proprie istanze.
Erodoto sostiene che un processo fondato sull’universalizzazione del
numero (deliberazione quantitativa) implica che: per prima cosa tutte le
deliberazioni collettive siano considerate come virtualmente giuste, che tutte le
norme che esse sorreggono siano vere in partenza; in questo modo si vede
come la democrazia sia un regime basato sulla decisione presa in comune in
quanto nessuna opinione può imporsi, nessuna capacità è più debole o più
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forte se non quella numericamente più cospicua; in secondo luogo in questa
maniera la deliberazione dei molti viene considerata quella migliore, non si
orientano le decisioni verso il meglio, e in questa maniera non viene superato il
relativismo di partenza. È qui il caso di notare, anticipando in parte i tempi,
come Aristotele fornisca un punto di vista differente: nella formula “nel molto c’è
il tutto” è possibile prefigurare che i “molti” (non presi singolarmente, ma nella
loro totalità), pur non essendo eccellenti in quanto a doti naturali, siano migliori
dei “pochi” per natura più dotati. Letta in chiave aristotelica questa affermazione
significa che la virtù politica risiede nel numero e che in forza del numero anche
la decisione politica sia migliore e più virtuosa, indipendentemente dal grado di
competenza e di “virtù” dei singoli chiamati a deliberare.
Torniamo a Erodoto. All’interno dei frammenti qui in questione egli prende
in considerazione anche quanto affermato da Megabizo (che come visto sopra
era la figura favorevole all’oligarchia) il quale senza mezzi termini dice che tra le
forme di governo la democrazia è la peggiore in quanto l’affidare il potere alla
moltitudine significa rendere la capacità decisoria a una massa per la quale
nulla è nè giusto, nè sbagliato, e che può essere facilmente circuita e raggirata
da figure con spiccate capacità personali.
Megabizo dice che è intollerabile che gli uomini per fuggire dall’arroganza
del tiranno si rifugino in quella di un popolo che per natura, essendo collettivo, è
senza freni; arriva a sostenere che il tiranno quanto dà vita a un’azione lo fa
con cognizione di causa, mentre il popolo vi si getta come un fiume in piena.
Diversamente dal tiranno, il demos non è capace di conoscenza nè di
deliberazione razionale, ma soprattutto ignora ciò che dovrebbe vincolarlo a
funzioni specifiche e conformi alla natura: “quando comanda il popolo è
impossibile che non sorga la malvagità”
5
. In questo caso democrazia vuol dire
anche cospirazione e soprattutto paradossale philia (amicizia) tra i “cattivi”
legati assieme in un progetto sovversivo comune.
È evidente lo stridente contrasto con l’oligarchia, ecco però che nell’analisi
5 G. Carillo: “Nel molto c’è il tutto”. In G. Duso “Oltre la democrazia”, Bari, Carocci, 2005, P. 51
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