6
Un fenomeno che in questi ultimi anni ha assunto dimensioni considerevoli
nel Nord Est è la delocalizzazione della produzione, intera o in parte,
soprattutto verso i paesi dell’Est Europa, da parte di un numero crescente di
piccole e medie imprese. Questa strategia viene attuata per mantenere la
competitività sui mercati, spostando le fasi a più alta intensità di lavoro in
paesi dove il costo del lavoro è minore rispetto a quello italiano. Questo
fenomeno non è privo di effetti sulla partecipazione al mercato del lavoro
locale, in particolare sui livelli di occupazione ma anche sulle condizioni di
lavoro degli occupati.
Nella mia tesi ho cercato di approfondire le conseguenze della
delocalizzazione produttiva sulla realtà lavorativa delle piccole imprese
venete. L’ho fatto assumendo un punto di vista “di genere”: ho voluto cioè
verificare se essa produce effetti diversi sulla partecipazione al lavoro di
uomini e donne.
Il caso da me esaminato riguarda un calzaturificio della provincia di
Verona: ho analizzato la situazione di un gruppo di ex dipendenti, in
prevalenza donne, che hanno lasciato l’azienda da quando - nel 2003 - è
avvenuto lo spostamento di parte dell’attività produttiva in Romania, con
conseguente sur-plus di lavoro nella fabbrica veronese.
7
Attraverso le interviste ho cercato di comprendere i motivi che hanno
spinto un certo numero di dipendenti ad abbandonare il lavoro al
calzaturificio e le conseguenze di tale decisione. Allo stesso tempo ho
voluto approfondire la situazione delle ex dipendenti, operaie e impiegate,
le loro esperienze di vita lavorativa, il loro modo di vivere la fabbrica, il
significato che esse attribuiscono al lavoro, le strategie adottate per
conciliare il lavoro in fabbrica con gli impegni familiari.
Nella prima parte della tesi ricostruisco, per linee generali, le principali
caratteristiche della crescita della presenza delle donne nel mercato del
lavoro, le trasformazioni che hanno interessato la partecipazione femminile
al mercato del lavoro nel corso degli anni e i riflessi che hanno avuto sui
comportamenti lavorativi delle donne e sulla struttura dell’occupazione
femminile in Italia e più in particolare in Veneto.
Nella seconda parte mi occupo della storia della calzatura e degli sviluppi
del settore calzaturiero in Italia ed esamino il ciclo produttivo calzaturiero e
i suoi caratteri salienti.
Nella terza parte presento i risultati dell’indagine da me svolta su un
calzaturificio veronese. Dapprima ricostruisco la storia dell’azienda nel
quadro dello sviluppo economico e sociale del Veneto fino ai recenti
processi di delocalizzazione produttiva.
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Gli ultimi capitoli sono dedicati all’analisi delle interviste che ho potuto
fare a quasi tutti gli/le ex dipendenti che hanno lasciato il calzaturificio
nell’ultimo anno per analizzarne le motivazioni ma anche per approfondire
diverse questioni che riguardano la loro situazione lavorativa passata e
attuale.
9
PARTE PRIMA
DONNE E MERCATO DEL LAVORO
CAPITOLO I
LA PARTECIPAZIONE DELLE DONNE
AL MERCATO DEL LAVORO
1. Premessa
La crescente partecipazione delle donne al mercato del lavoro si configura
ormai come una tendenza strutturale di lungo periodo. Il ritorno delle
donne al lavoro extradomestico e retribuito costituisce il fenomeno più
importante della seconda metà del ventesimo secolo
1
.
Dobbiamo parlare, appunto, di ritorno: infatti la presenza femminile
nell’agricoltura e all’inizio dello sviluppo industriale era rilevante, né va
dimenticato che durante le due guerre mondiali le donne hanno sostituito
nelle fabbriche gli uomini impegnati al fronte
2
.
Il lavoro extradomestico rappresenta ormai un’esperienza della
maggioranza delle donne; ciò ha permesso loro di acquistare maggiore
“centralità” sulla scena sociale e di realizzare con impegno e sacrificio ma
10
anche con determinazione un passo fondamentale verso l’emancipazione e
l’indipendenza economica.
La partecipazione delle donne alle forze di lavoro presenta tuttavia aspetti
problematici oltre che nell’accesso al lavoro, anche nel permanere di
squilibri tra uomini e donne, legati alla segregazione occupazionale
secondo il sesso; squilibri che si collegano alla collocazione delle donne
nella società e, in particolare, alla divisione sessuale del lavoro.
Dunque, la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, in Italia come
negli altri paesi avanzati, è caratterizzata da qualche decennio da profondi
cambiamenti che riguardano non solo gli aspetti quantitativi del fenomeno,
ma anche quelli qualitativi, e soprattutto i modelli di partecipazione
lavorativa.
Per quanto riguarda i percorsi attraverso cui si snoda la realtà professionale
delle donne nell’arco degli ultimi cinquant’anni, possiamo individuare due
fasi temporali: la prima, la fase di declino, comprende il periodo che va
dall’immediato dopoguerra fino alla fine degli anni Sessanta; l’altra, la fase
di ripresa, coincide con il periodo che va dai primi anni Settanta ad oggi
3
.
A queste scansioni temporali vengono riferite due categorie di analisi che le
caratterizzano. Il modello di partecipazione delle donne al lavoro nel
periodo dello sviluppo industriale, durante gli anni Sessanta, viene definito
in termini di “marginalità-debolezza”.
11
Il ruolo ed il contributo della donna nell’economia industriale viene
sottovalutato, mentre emerge con forza la contrapposizione occupata-
casalinga, considerata, quest’ultima, una figura improduttiva e inattiva.
La fase più recente presenta invece, come tratto distintivo, il modello della
doppia presenza della donna nelle attività produttive - in fabbrica o in
ufficio - e in quelle riproduttive, nell’ambito familiare
4
.
2. L’evoluzione dell’occupazione femminile in Italia
Appare ora interessante ripercorrere gli sviluppi della partecipazione delle
donne al mercato del lavoro partendo dal periodo immediatamente
successivo alla seconda guerra mondiale. In quel periodo la situazione
economica generale è particolarmente grave e le possibilità di sviluppo
dell’occupazione femminile sono ostacolate dalla povertà diffusa e dalla
forte disoccupazione che pesano sulla realtà italiana fino agli anni
Cinquanta inoltrati
5
.
Con la fine della guerra migliaia di donne che avevano
preso il posto degli uomini chiamati alle armi vengono espulse dal mercato
del lavoro; termina così una fase particolare, in cui la tradizionale struttura
dell’occupazione femminile aveva subito modificazioni profonde e aveva
dato vita a conseguenze rilevanti: la riduzione, seppur temporanea, della
segregazione occupazionale per sesso, un certo equilibrio salariale e la
12
dimostrazione che le donne possiedono attitudini e capacità da mettere in
pratica in attività considerate per tradizione maschili
6
.
Il ritorno alla normalità dopo l’evento bellico coincide con il riproporsi del
modello precedente di divisione sessuale del lavoro: la donna torna ad
essere impegnata prevalentemente nell’ambito domestico e nelle attività
agricole.
Tra gli anni Cinquanta e Sessanta il forte sviluppo dell’industria
manifatturiera favorisce l’afflusso di una quota consistente di donne nelle
fabbriche del Nord; inoltre il carico di lavoro delle donne nelle aziende
agricole aumenta notevolmente, soprattutto a causa dell’intensificarsi
dell’esodo degli uomini dalle campagne.
Durante gli anni Sessanta si assiste alla progressiva diminuzione
dell’occupazione femminile; in un primo momento si spiegò questo
fenomeno con la rinuncia spontanea al lavoro da parte di un numero
elevato di donne che intendevano passare al ruolo di casalinga a tempo
pieno, condizione resa possibile dal maggiore livello di benessere delle
famiglie italiane; altre analisi invece mettono in luce come in quel periodo
le donne non si limitavano a svolgere il ruolo di casalinga, ma erano
presenti in molte attività occasionali e stagionali, con compensi inferiori
alla media retributiva dei lavoratori stabili.
13
Gli anni Settanta segnano una fase di ripresa della presenza delle donne sul
mercato del lavoro; questa inversione di tendenza matura in tempi lunghi e
permane tuttora: dai primi anni Settanta in poi il numero delle donne
occupate aumenta notevolmente e la donna diventa una figura centrale
nella società grazie al suo impegno su due fronti: nel lavoro e in famiglia.
La spiegazione della crescita dei tassi di occupazione femminile a partire
dagli anni Settanta fa riferimento a diversi fattori. Anzitutto, si assiste ad
un’espansione del settore terziario, che, per la sua articolazione e
flessibilità, ma anche per il tipo di professionalità richieste, risulta essere
più adatto alla componente femminile rispetto all’industria
7
.
Un fattore cruciale che favorisce l’aumento della partecipazione femminile
al mercato del lavoro è inoltre l’innalzamento dei livelli di istruzione delle
donne, che spinge molte di loro ad uscire dalle mura domestiche per
cercare di ottenere autonomia e riconoscimento sociale attraverso il lavoro.
Per quanto riguarda gli aspetti demografici, a favorire il processo di
diffusione del lavoro femminile è la forte diminuzione della natalità,
mentre l’invecchiamento generale della popolazione costituisce un
elemento di “complicazione” dei percorsi lavorativi femminili, dato che la
cura e l’assistenza agli anziani sono generalmente posti a carico delle
donne, indipendentemente dal fatto che lavorino o meno fuori casa
8
.
14
Per quanto riguarda le regioni del Centro-Nord Est, un fattore importante
per la crescita dell’occupazione femminile va individuato nello sviluppo di
un mercato del lavoro “marginale” attorno alle piccole e medie imprese,
fatto di lavoro irregolare e a domicilio. Questa economia “periferica”
necessita infatti di un’offerta di lavoro caratterizzata da flessibilità e bassi
costi com’è quella delle donne, le quali sono spinte al lavoro retribuito per
integrare il reddito familiare, nei periodi di crisi economica, ma anche a
seguito dell’aumento dei livelli di consumo delle famiglie.
Abbiamo detto che sin dagli anni Settanta, in Italia come in tutti i paesi
industriali avanzati, lo sviluppo dei servizi ha rappresentato la principale
forza trainante la crescita dell’occupazione femminile. Anche l’aumento
della presenza femminile nel settore industriale si spiega con la
“terziarizzazione” di questo settore, ossia con un aumento della
componente impiegatizia, di cui le donne rappresentano una quota sempre
più cospicua. La presenza femminile aumenta anche nel pubblico impiego,
mentre nel settore agricolo si nota una diminuzione del numero delle
addette.
15
3. Un nuovo modello di partecipazione femminile al lavoro
Finora abbiamo analizzato gli sviluppi quantitativi della partecipazione
femminile al lavoro; a questo punto occorre distinguere tra i diversi
atteggiamenti e comportamenti delle donne nei confronti della vita
lavorativa. Agli inizi degli anni Settanta il modello di partecipazione
lavorativa delle donne italiane è ancora in larga misura tradizionale, con un
ingresso precoce nel mondo del lavoro ed una uscita in prevalenza al
momento del matrimonio o della nascita del primo figlio. Nei decenni
seguenti questo modello si trasforma e il nuovo comportamento lavorativo
delle donne appare caratterizzato da una maggiore durata e regolarità del
percorso lavorativo. Questo modello di partecipazione viene definito della
“doppia presenza”, perché vede le donne impegnate sia nell’ambito
extradomestico che in quello familiare
9
.
Va ribadita l’importanza, a questo proposito, del processo di
scolarizzazione, che spinge sempre più donne sul mercato del lavoro. Già
negli anni Settanta e Ottanta l’aumento dell’offerta di lavoro femminile si
deve alla sua componente più istruita; è il forte aumento dei livelli di
scolarità delle donne a determinare la crescita continua della loro presenza
sul mercato del lavoro.
16
Oltre al fatto che le donne più attive sono anche le più istruite, esse
presentano modelli di partecipazione al mercato del lavoro molto simili a
quelli maschili: si può ritenere che il bisogno di autorealizzazione e la
motivazione a proseguire un percorso lavorativo gratificante coesistano con
il desiderio di mettere a frutto anni di investimento in istruzione
10
.
Tuttavia, accanto ad un miglioramento quantitativo e qualitativo della
realtà lavorativa delle donne, continuano a persistere forme di svantaggio
femminile. Benché ormai da parecchi anni l’offerta di lavoro femminile sia
in crescita, la posizione sul mercato del lavoro di uomini e donne non ha
infatti subito considerevoli mutamenti. Lo squilibrio di opportunità in base
al sesso inizia già all’ingresso nel mondo del lavoro
11
. Esiste infatti una
forma di segregazione che riguarda la formazione: gli stereotipi guidano
anche le scelte educative delle ragazze, che si concentrano maggiormente
in percorsi umanistici rispetto a quelli tecnici; la segregazione formativa è
un fenomeno di squilibrio tra i sessi nell’ambito del sistema educativo, che
prelude al conseguente squilibrio di opportunità tra donne e uomini al
momento dell’ingresso nel mercato del lavoro.
Il fenomeno della disoccupazione femminile è un ulteriore segnale di
squilibrio. Il Rapporto annuale Istat 2002
12
evidenzia per l’Italia un tasso di
disoccupazione femminile del 13.1% rispetto al 7.5% di quello maschile; è
uno dei più alti rispetto agli altri paesi europei, secondo solo alla Spagna
17
(Tab. 1). Inoltre anche la durata della disoccupazione femminile risulta
maggiore rispetto a quella maschile.
Tab. 1 - Tassi di attività, occupazione e disoccupazione femminile in Italia
e nell’Ue. Anno 2001 (valori %):
Italia Francia Germania RegnoUnito Spagna Ue 15
Tasso di
attività
47.1 62.3 63.7 67.7 50.3 59.9
Tasso di
occupazione
40.9 55.7 58.7 64.9 42.7 54.8
Tasso di
disoccupazione
13.1 10.5 7.8 4.1 15.2 8.6
Fonte: Istat, Rapporto annuale 2002
Per quanto riguarda i target fissati dal Congresso Europeo di Lisbona nel
2000, che prevede entro il 2010 il raggiungimento di un tasso di
occupazione nell’Ue pari al 70% per gli uomini e al 60% per le donne, le
italiane sono ancora distanti dal raggiungerli, ancora più degli uomini:
infatti il tasso di occupazione femminile è pari al 40.9%, 19 punti in meno
rispetto agli obiettivi indicati
13
.
18
Oltre agli squilibri che si presentano all’ingresso nel mercato del lavoro,
anche per quanto riguarda la collocazione occupazionale le donne appaiono
maggiormente svantaggiate: il fenomeno della segregazione occupazionale
per sesso è tuttora un fenomeno di rilievo all’interno del mondo del lavoro.
Viene così definita la forte concentrazione delle donne in pochi settori o
occupazioni altamente femminilizzati a cui corrisponde la loro esclusione
da quelli a dominanza maschile. Occorre poi distinguere la segregazione
orizzontale da quella verticale. Quest’ultima si riferisce all’assegnazione a
livelli gerarchici e/o ruoli e compiti che risultano sistematicamente inferiori
per le donne all’interno delle organizzazioni, mentre quella orizzontale
misura la concentrazione in settori e professioni o mansioni differenti
secondo il sesso
14
.
L’ampiezza e la persistenza di tali squilibri riguardano tutti i paesi, anzi si
rileva come nei paesi in cui è presente un maggior numero di donne che
lavorano si verifica anche una maggiore segregazione occupazionale.
Reyneri evidenzia come elementi più significativi nel determinare la
segregazione l’importanza del terziario e dell’occupazione dipendente e in
particolare le dimensioni del pubblico impiego, settore in cui la presenza
femminile è dappertutto elevata
15
.
19
Le donne trovano difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro, ma ancor più
a fare carriera, poiché anche i contesti più flessibili richiedono cospicui
investimenti di tempo e di disponibilità, che mal si conciliano con la doppia
presenza femminile.
Un’indagine del Censis rivela che nel 2002 in Italia i dirigenti uomini sono
il 2.7%, mentre le donne arrivano solo ad un 1.2%, meno della metà
rispetto ai loro colleghi maschi
16
.
Ecco dunque il “soffitto di cristallo”, meccanismo che può diventare
schizofrenico, prevedendo il reclutamento di una grande quantità di donne,
alle quali però, in un secondo momento, viene bloccato l’accesso ai livelli
alti della carriera.
La “donna in carriera”, invece, deve adeguarsi ai modelli maschili di
coinvolgimento totale nel lavoro.
Anche dal punto di vista retributivo esistono squilibri: questa è una
situazione di svantaggio largamente diffusa, anche se con significative
differenze tra paesi e occupazioni.
Dalla Tab. 2 si nota come nell’anno 2000, secondo il 37° rapporto Censis,
un operaio guadagnava il 27.9% in più rispetto ad una collega, mentre per
gli impiegati il differenziale retributivo si aggirava sul 23.9%
17
.