modificazione determinata dall’esigenza di collaborazione che ha
portato, da un lato, alla creazione di numerosi gruppi aziendali prima in
concorrenza spietata tra loro, dall’altro all’evoluzione del rapporto
cliente-fornitore in un’ottica di partnership.
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CAPITOLO 1
L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE
IMPRESE
1.1 CENNI GENERALI
L’internazionalizzazione è un fenomeno molto complesso relativo alla
crescita delle imprese sul mercato estero. E’ quel processo attraverso il
quale le imprese non solo dispiegano le loro vendite su più mercati
esteri, ma anche dagli stessi mercati o da altri attingono per il loro
approvvigionamento di materie prime, di componenti, di tecnologie, di
impianti, di attrezzature, di risorse finanziarie, di forza lavoro.
L’internazionalizzazione non è quindi la semplice attività di
esportazione, ma un processo di dispiegamento geografico dell’intera
filiera produttiva dell’impresa con lo scopo di cogliere le migliori
condizioni nei diversi mercati, sia quelli di approvvigionamento dei
fattori, sia quelli di sbocco dei prodotti, sia quelli dove meglio si
realizza la produzione.
L’internazionalizzazione riflette un insieme di molte dimensioni; per
determinarne il valore, occorre tener conto di diversi fattori, come il
numero e la dimensione delle filiali estere, sia controllate che
possedute, oppure il numero di paesi in cui l’impresa ha attività che
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creano valore, o ancora, la percentuale di assets, vendite e dipendenti
esteri sul fatturato
1
; altri fattori da tenere in considerazione sono la
percentuale di managers e di azionisti esteri, il grado in cui alcune
funzioni critiche (come la funzione di ricerca e sviluppo) sono
internazionalizzate e la dimensione dei vantaggi competitivi che
discendono dalla presenza internazionale dell’impresa.
1
Indice di internazionalizzazione:
3
/// TETFETSTFSTATFA
TNI
++
= , dove:
TFA = Total Foreign Assets;
TFS = Total Foreign Sales;
TFE = Total Foreign Employment;
9
1.2 L’INTERNAZIONALIZZAZIONE ATTIVA E PASSIVA
I sistemi economici e le imprese partecipano al processo di
internazionalizzazione mediante due modalità antitetiche: si parla a
questo proposito di internazionalizzazione attiva e passiva.
I sistemi economici operano in condizioni di internazionalizzazione
attiva quando “la loro presenza nel mercato internazionale si esprime
tramite un adattamento attivo al mutamento indotto dal processo di
internazionalizzazione, nella prospettiva del perseguimento di un saldo
attivo della bilancia commerciale. Al contrario, i sistemi economici che
subiscono il mutamento vivono l’internazionalizzazione in modo
passivo, in quanto non sono in grado di sfruttare le opportunità”
2
.
Le imprese, quindi, operano in condizioni di internazionalizzazione
attiva quando raggiungono posizioni competitive di rilievo all’esterno
del proprio mercato di origine; si trovano in una situazione di
internazionalizzazione passiva, quelle imprese che subiscono la
concorrenza di prodotti derivanti da mercati esteri senza riuscire nello
stesso tempo ad estendere le proprie vendite all’esterno.
I concetti di internazionalizzazione attiva e passiva sono strettamente
connessi alle motivazioni attive e reattive all’internazionalizzazione
3
.
Le imprese sono motivate attivamente quando si trovano in una
situazione favorevole e la strada dell’internazionalizzazione è scelta
perché sussistono opportunità favorevoli da cogliere sui mercati esteri.
Si parla, invece, di motivazione passiva relativamente a quelle imprese
che sono costrette ad internazionalizzarsi come conseguenza ad una
situazione di necessità.
2
Lorusso S., Usai G.: L’internazionalizzazione delle imprese. Implicazioni economiche e tecniche
connesse con la realizzazione del mercato interno europeo, Milano, Franco Angeli. (1990)
3
Rava L: Gli aspetti strategici dell’internazionalizzazione delle pmi. Un’indagine empirica, in
“Piccola impresa/ small business”, n°3, pp. 35-65. (1996)
10
Tale classificazione è di fondamentale importanza poiché si riflette
sulla strategia adottata dalle imprese nell’affacciarsi sul mercato
internazionale. Spesso accade che le imprese mosse da motivazioni
reattive, devono confrontarsi con problemi nuovi, non risolvibili con
metodi tradizionali cui tali aziende sono abituate: la strategia
internazionale rischia così di essere improvvisata sulla base di
conoscenze lacunose, con un grado di rischio elevato. Ad esempio,
molte imprese che da un’internazionalizzazione passiva devono passare
a quella attiva si trovano in questa situazione: le loro motivazioni sono
principalmente dovute, data la concorrenza nel mercato interno di
prodotti stranieri, alla necessità di espandere il proprio mercato di
riferimento per poter competere a tutto campo con i produttori esteri.
Quando, invece, le imprese sono indotte da motivazioni attive
effettuano, a differenza delle precedenti, scelte che tengano conto dei
rischi e delle opportunità proposte dal mercato estero nel rispetto di
piani di strategia internazionale di lungo periodo maturati
puntigliosamente dl management aziendale.
Questo non necessariamente significa che le imprese spinte da
motivazioni attive avranno successo e adotteranno sempre il migliore
comportamento strategico, mentre le altre andranno incontro a
fallimento: le motivazioni reattive, se portate avanti in maniera
convincente e determinata, possono diventare strategie di successo
anche se all’inizio non sono stati calcolati rischi e vantaggi.
Queste distinzioni permettono di mettere in evidenza come il fenomeno
dell’internazionalizzazione riguardi indistintamente aziende che sono
promotrici del processo così come imprese che invece lo subiscono, e
come anche queste ultime non possano sottrarsi dal confrontarsi con
uno scenario competitivo profondamente influenzato dal fenomeno.
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1.3 LE DIVERSE FORME DI INTERNAZIONALIZZAZIONE
Esistono diverse modalità mediante le quali le imprese si sono
insediate, e continuano tuttora ad insediarsi, nei mercati esteri.
Storicamente il primo e più semplice strumento adottato è rappresentato
dalle esportazioni, la cosiddetta forma mercantile; è una modalità che
ha un impatto limitato sulla struttura aziendale. Successivamente si è
affermata la cosiddetta forma produttiva che consiste nel trasferimento,
da parte delle aziende, di risorse e di capacità tecnologiche dal paese di
origine ad un altro paese. Questa seconda forma si è realizzata
attraverso differenti tipologie: gli IDE (Investimenti diretti all’estero) e
le nuove forme.
12
1.3.1 LA FORMA MERCANTILE
Questa è sicuramente la forma più antica e più flessibile di
internazionalizzazione, sfruttata solitamente dalle piccole e medie
imprese per penetrare il mercato estero. A seconda delle modalità in
base alle quali avviene l’esportazione, si distingue tra esportazione
diretta e indiretta.
Si parla di esportazione indiretta quando un’impresa vende sui mercati
esteri senza alcuna attività di marketing internazionale: l’export è
realizzato mediante la rete domestica di vendita. L’impresa vende a
export management companies, international trading companies, o
uffici d’acquisto di reti di vendita straniere.
Si parla di esportazione diretta, quando le esportazioni sono il frutto
del processo di pianificazione internazionale; in questo caso l’impresa
realizza un piano di marketing internazionale
4
.
La differenza tra un tipo e l’altro di esportazione si riflette nel diverso
grado di coinvolgimento dell’azienda relativamente all’attività
internazionale.
Le esportazioni indirette richiedono un livello poco sensibile di
investimenti: la strategia dell’azienda si limita alla presenza
occasionale ed opportunistica su di un mercato (come, ad esempio,
vendere rimanenze di prodotti che sul mercato nazionale rimarrebbero
invendute) oppure a testare le reazioni dei mercati internazionali verso
uno specifico prodotto. Questa modalità consente inoltre all’azienda di
4
I punti principali del piano di marketing internazionale sono:
scelta del mercato obiettivo;
scelta del distributore;
programmazione della logistica e della documentazione per l’export;
definizione dell’international marketing mix;
raccolta di informazioni sul mercato estero ed eventuali correzioni del piano.
Antonio Majocchi, Economia e gestione delle imprese internazionali, lucidi del corso 2003.
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usufruire delle conoscenze del mercato di sbocco e delle esigenze dei
consumatori che possono avere i distributori di cui l’azienda fa uso.
§Uno degli svantaggi di questa forma consiste nella mancanza di un
diretto rapporto con i consumatori: l’azienda diventa vulnerabile nel
rapporto con il canale distributivo, e non è in grado di tenere sotto
controllo la concorrenza.
Le esportazioni dirette, invece, richiedono un maggiore livello di
investimenti, soprattutto per il coordinamento delle reti vendita e per il
maggior grado di imprenditorialità che deve avere una azienda che
intraprende questo tipo di esportazione. L’azienda, in questo caso, si fa
carico delle attività e dei rischi connessi alla vendita del prodotto
aziendale; instaura con la clientela un rapporto diretto (questo permette
di percepire eventuali inversioni di tendenza nei gusti dei consumatori,
e di modificare quindi i caratteri dei prodotti coerentemente con le
preferenze e di individuare aree di possibile espansione).
I costi di questa modalità sono soprattutto quelli del trasporto che in
base alle caratteristiche del prodotto, alla frequenza di acquisto, alle
difficoltà di raggiungimento del mercato di sbocco, possono arrivare ad
avere un peso rilevante sul totale dei costi sostenuti dall’azienda.
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