2
amministratori potranno essere equiparati, rispettivamente, i componenti
del consiglio di gestione e del consiglio di amministrazione), sia a coloro
che esercitino “in modo continuativo e significativo i poteri tipici
inerenti alla qualifica” (cioè, rientrano nella portata applicativa della
norma gli amministratori, direttori generali e liquidatori “di fatto”)
2
.
Il secondo comma dell’art. 2639 c.c., invece, si occupa dell’estensione
delle disposizioni sanzionatorie relative agli amministratori ai soggetti
che siano “legalmente incaricati dall’autorità giudiziaria o dall’autorità
pubblica di vigilanza” dell’amministrazione (ossia amministratori
giudiziari e commissari governativi).
Infine, la norma di cui all’art. 2634 c.c. risulta essere applicabile anche
nell’ambito del settore bancario, a seguito della nuova formulazione
dell’art. 135 t.u.bancario (sulla base delle modifiche apportate dal d.lgs.
37/2004), in forza del quale “Le disposizioni contenute nel Titolo XI del
Libro V del codice civile si applicano a chi svolge funzioni di
amministrazione, direzione e controllo presso banche, anche se non
costituite in forma societaria”
3
.
2
E. Musco, I nuovi reati societari, p. 19.
3
E. Amati, Infedeltà patrimoniale, in A. Rossi (a cura di), Reati societari, Torino, 2005, cit., p. 404.
3
2. Il presupposto della condotta: il conflitto di interessi
Nella descrizione del fatto tipico si è ritenuto opportuno ancorare la
rilevanza penale dell’infedeltà patrimoniale all’esistenza di una
situazione di conflitto di interessi, al fine di circoscrivere entro
accettabili confini di determinatezza il fatto punibile
4
.
Atteso che il concetto in esame coincide con quello richiamato dal
previgente art. 2631 c.c. e vista l’assoluta identità delle espressioni
utilizzate dalle due norme, ai fini di una corretta determinazione della
locuzione normativa “interesse in conflitto con quello della società”
occorrerà, quindi, richiamare alla mente i risultati interpretativi raggiunti
rispetto alla originaria fattispecie di conflitto di interessi
dell’amministratore, da cui l’attuale formula è alla lettera mutuata
5
.
Tuttavia, preliminarmente, è necessario chiarire il significato da
attribuire alla nozione di interesse sociale che viene in conflitto con
l’interesse degli amministratori (e degli altri soggetti qualificati).
Secondo la letteratura penalistica l’interesse sociale non consisterebbe
altro che ne “l’interesse comune dei soci e, più precisamente,
nell’interesse di costoro alla realizzazione dello scopo della società, id
est al conseguimento di utili per il tramite della realizzazione
dell’oggetto sociale”
6
, con la conseguenza del carattere patrimoniale
dell’interesse sociale, oggi peraltro confermato dalla struttura della
4
E. Musco, I nuovi reati societari, p. 209.
5
E. Musco, I nuovi reati societari, p. 210.
6
Napoleoni, I reati societari. Infedeltà, II ed., Milano, 1992, cit., p. 37.
4
fattispecie, la quale prevede come evento un “danno patrimoniale” alla
società.
Per quanto invece attiene all’interesse extrasociale di cui
l’amministratore è portatore, l’opinione prevalente è nel senso che
anch’esso debba essere di natura patrimoniale, sicché l’intera situazione
conflittuale assumerebbe carattere economico
7
.
Al contrario, un opposto parere ritiene che, fermo il carattere
patrimoniale dell’interesse sociale, l’interesse extrasociale in conflitto
con quello della società possa essere anche di diversa natura, come
testimonierebbe il dolo specifico di “altro vantaggio” (come finalità
alternativa all’ “giusto profitto”) non altrimenti qualificato
8
.
Riguardo, poi, alla precisa individuazione della situazione di conflitto,
rispetto all’abrogato art. 2631 c.c. erano state enucleate, in dottrina (cd.
Indirizzo “formalistico”), alcune ipotesi-tipo, quali:
a) l’assunzione, diretta o indiretta, da parte dell’amministratore, del
ruolo di controparte contrattuale della società;
b) lo svolgimento (anche per interposta persona) di attività
economica in posizione concorrenziale con quella sociale;
c) utilizzazione, al proprio profitto, dei dati conoscitivi e dei fatti
appresi nell’esercizio delle funzioni svolte
9
.
7
L. Foffani, Reati Societari, in AA.VV., Manuale di diritto penale dell’impresa, II ed., 2000, p. 366.
8
P. Aldrovandi, Infedeltà Patrimoniale, in AA.VV., I reati societari, a cura di Lanzi‐Cadoppi, Padova,
2007, p. 189 s.
9
E. Musco, I nuovi reati societari, p. 211.
5
Tuttavia, alla luce della nuova normativa, l’accezione meramente
formale del conflitto di interessi, non può oggi essere accolta, data la
strutturazione della fattispecie di infedeltà patrimoniale in termini di
danno: si richiede, infatti, che l’atto dispositivo cagioni concretamente
un danno patrimoniale alla società. Quindi,tali indici meramente formali
di conflittualità, di per sé, non possono assumere rilevanza
10
.
Una lettura dell’espressione in esame in chiave “sostanzialistica” appare,
dunque, “obbligata dalla costruzione normativa della fattispecie in
termini di effettiva lesione del bene protetto”
11
. Conseguentemente, il
conflitto di interessi è penalmente rilevante quando sia :
a) oggettivamente valutabile (essendo irrilevante ai fini della norma
penale ogni profilo psicologico e soggettivo circa il relativo
giudizio)
b) effettivo e reale (tale requisito esprime un bisogno di concretezza
che impone la considerazione della natura e delle modalità del
conflitto, in modo che quest’ultimo non sia meramente ipotetico)
c) attuale (il conflitto deve sussistere al momento in cui viene posta
in essere la condotta tipica del reato e cioè l’assunzione della
delibera ovvero il compimento dell’atto, impedendo la rilevanza di
situazioni verificatesi in un momento successivo).
12
10
E. Amati, Infedeltà patrimoniale, p. 406.
11
L. Foffani, Le Infedeltà, in AA.VV., Il nuovo diritto delle società, a cura di Alessandri, Milano, 2002,
cit., p. 352.
12
E. Musco, I nuovi reati societari, p. 212 s.
6
Inoltre, la preesistenza di una situazione di conflitto assume un ruolo
determinate nella struttura del nuovo reato, in quanto la rilevanza penale
del fatto viene ad essere ancorata a questo presupposto che, all’interno
della fattispecie, opera con funzione selettiva dei fatti illeciti da quelli
leciti. Gli altri termini del fatto tipico quali “gli atti di disposizione dei
beni” (condotta) e la conseguente verificazione del “danno patrimoniale”
(evento), di per sé, esprimono quello che può essere l’andamento
fisiologico della vita dell’impresa, poiché un danno patrimoniale,
essendo connaturato al rischio di impresa, può sempre derivare alla
società dall’atto di gestione
13
.
Inteso in questi termini, il presupposto conflittuale è quello che
conferisce l’essenziale momento di disvalore alla condotta tipica,
descritta in termini estremamente ampi come il fatto di compiere o
concorrere alla delibera di atti dispositivi
14
: esso è, dunque, ciò che
contraddistingue la condotta lecita da quella illecita, operando come
elemento selettivo dei comportamenti tipici, al fine di evitare
un’interpretazione “dilatata” della norma tesa a ricomprendervi anche
quei comportamenti cui è collegato l’ordinario rischio d’impresa
15
.
Una diversa visione, in ordine alla portata selettiva della situazione
conflittuale, viene riscontrata prendendo in considerazione una parte
13
A. D’Avirro, L’infedeltà patrimoniale, in A. D’Avirro, G. Mazzotta, I reati «d’infedeltà» nelle società
commerciali, Milano, 2004, p. 65.
14
L. Foffani, Società, cit., p. 1878.
15
A. D’Avirro, L’infedeltà patrimoniale, p. 66.
7
minoritaria di dottrina, secondo cui l’elemento in esame “non presenta,
come nelle ipotesi classiche di violazione penalmente rilavante del
dovere di astenersi da un’operazione in conflitto, un vero carattere
selettivo (e anticipato) della punibilità, perché ciò che rileva è invece
disporre del patrimonio sociale in modo svantaggioso e quindi contrario
agli interessi sociali, ciò che implica che il conflitto è in re ipsa, è
implicito nell’atto di disposizione del patrimonio che crea un danno alla
società, quindi non influisce sul nucleo dell’illecito”
16
.
In ogni caso, sia che il conflitto di interessi venga ritenuto il nucleo
attorno cui gravita l’intera fattispecie o meno, occorre segnalare come,
per effetto della riforma della disciplina delle società di capitali di cui al
d.lgs. n. 6/2003, l’elemento in parola non rappresenti più (come avveniva
in passato) anche il nucleo caratterizzante della tutela civilistica,
apprestata dall’art. 2391 c.c.
17
Quindi, appare utile, sia per l’esatta
delimitazione del concetto di conflitto d’interessi, sia per salvaguardare
il carattere di extrema ratio dell’intervento penale, confrontare i risultati
interpretativi (relativi alla situazione conflittuale) con le novità
civilistiche della materia nel frattempo intervenute
18
.
Il previgente art. 2391 c.c. faceva carico all’amministratore che avesse
per conto proprio o di terzi un interesse in conflitto con quello della
16
E. Mezzetti, L’infedeltà patrimoniale nella nuova dimensione del diritto penale societario. Spunti
critici su ratio dell’incriminazione e bene giuridico tutelato, in Riv. it. proc. pen., 2004, cit., p. 224.
17
P. Aldrovandi, Infedeltà Patrimoniale, p. 186 s.
18
E. Musco, I nuovi reati societari, p. 213.
8
società di “darne notizia agli altri amministratori e al collegio
sindacale” e di “astenersi dal partecipare alle deliberazioni riguardanti
l’operazione stessa”. La deliberazione del consiglio poteva essere nel
termine di tre mesi impugnata, solo nell’ipotesi in cui avesse arrecato un
danno alla società e sempre che il voto dell’amministratore in conflitto
fosse stato determinante per il raggiungimento della maggioranza.
Il nuovo testo dell’art. 2391 c.c. (applicabile alle s.p.a. e, in virtù del
rinvio operato dagli artt. 2409-undecies, comma 2 e 2409-noviesdecies,
comma 1, rispettivamente anche a quelle che abbiano adottato un sistema
dualistico o monistico di amministrazione e controllo) impone
all’amministratore un obbligo di informazione – nei confronti degli altri
amministratori o del collegio sindacale – assai più pregnante. Già dalla
rubrica prescelta, “Interessi degli amministratori” (anziché, come in
passato, “Conflitto d’interessi”), si può cogliere la maggiore ampiezza
dell’obbligo loro spettante. Si prevede, infatti, che:
“l’amministratore deve dare notizia agli altri amministratori e al
collegio sindacale di ogni interesse che, per conto proprio o di terzi,
abbia in una determinata operazione della società precisandone la
natura, i termini, l’origine e la portata”; nel caso si tratti di
amministratore delegato, lo stesso “deve altresì astenersi dal compiere
l’operazione, investendo della stessa l’organo collegiale”.