2
INTRODUZIONE
Il reato di violenza sessuale è attualmente compreso
nell’ambito dei delitti sessuali previsti e disciplinati nel
nostro Codice penale negli articoli dal 609 bis a 609 decies
collocati nel titolo XII del secondo libro, dedicato ai delitti
contro la persona. Come già si evince dalla nuova definizione
il reato viene disciplinato in maniera diversa dal Codice
Rocco, nel quale era collocato nel titolo IX dedicato ai reati
contro la moralità pubblica e il buon costume. La
trasposizione è avvenuta con la legge del 15 febbraio 1996 n.
66 che non si è limitata solo a inquadrare in un altro titolo i
delitti sessuali, ma ha modificato profondamente il tipo di
illecito e la relativa disciplina. Questa legge ha disegnato il
nuovo volto delle norme contro la violenza sessuale e ha
inciso profondamente su un Codice Penale sempre più
irriconoscibile ed indecifrabile
1
.
I delitti sessuali sono stati riformulati secondo varie
innovazioni di cui la più importante è senza dubbio
l’unificazione dei reati di “violenza carnale” e di “atti di
libidine violenti” sotto la più generica fattispecie di reato di
1
Cfr. B. ROMANO, Il rinnovato volto delle norme contro la violenza
sessuale:una timida riforma dopo una lunga attesa, in Diritto di famiglia
e delle persone, Giuffrè, Milano, 1996, p. 1610.
3
“violenza sessuale”. Con questa introduzione è opportuno
sviluppare una sufficiente indagine storica sulla legislazione,
sulla dottrina e la giurisprudenza che si è succeduta nel corso
degli anni in tema di violenza sessuale in modo da poter
meglio comprendere il significato della recente innovazione
legislativa. Frutto di una lunga e travagliata gestazione,
questa riforma assume una valore genericamente culturale e
simbolico nella riqualificazione dei delitti sessuali come
delitti contro la persona.
Tale riforma, infatti, è stata da tutti auspicata e condivisa, in
quanto conforme alle previsioni della nostra Costituzione
repubblicana che ormai aveva reso anacronistica la
qualificazione pubblicistica dei delitti sessuali come reati
contro la moralità pubblica.
2
Più di ogni altro intervento legislativo quello della legge sulla
“violenza sessuale” è stato connotato da forti istanze
ideologiche, politiche e culturali inizialmente troppo in
contrasto fra loro per riuscire a comporsi in un disegno
completamente coerente della nuova legge
3
.
2
Cfr. F. MANTOVANI, Diritto Penale, I delitti contro la libertà e
l’intangibilità sessuale, CEDAM, Padova, 1992.
3
Cfr. M.BERTOLINO, Garantismo e scopi di tutela nella nuova
disciplina dei reati di violenza sessuale, in Jus, Vita e pensiero,
Milano,1997, p. 54.
4
Tutto ciò ha rallentato l’iter dei lavori parlamentari e ha
anche fatto maturare l’idea nelle forze politiche di non dare
un’eccessiva valenza positiva alla tutela della libertà
sessuale. Questa infatti non aveva adeguata protezione in
quanto vi era un’ideologia autoritaria e politicamente
orientata verso la protezione di un bene di natura collettiva:
la moralità pubblica.
Così nel corso degli anni si è formato un consenso sociale
sempre più teso ad una riforma globale e rivoluzionaria per
apportare a tale reati la giusta tutela non garantita dal Codice
Rocco. In particolare la nuova legge appare sostenuta dalla
convinzione di colmare vuoti di tutela della vecchia
disciplina e di riflettere la mutata sensibilità collettiva
nell’affrontare il problema della violenza sessuale.
La violenza sessuale nel corso dell’Ottocento è sicuramente
ancorata al concetto di stupro; ci troviamo in un’epoca in cui
l’attività sessuale non viene vista come espressione di una
libertà individuale, ma come vincolata al perseguimento di
uno scopo: la procreazione. In tale contesto qualsiasi rapporto
sessuale non orientato a tale scopo è visto come simbolo di
un illecito.
5
L’ordinamento giuridico tende a controllare l’attività sessuale
in quanto portatrice di pubblici interessi. In questa
prospettiva si cerca per lo più di tutelare il valore pubblico
della famiglia che ne viene danneggiato.
Ma già si inizia a pensare che la donna non può essere vista
solo come oggetto passivo di reato, ma come persona in
grado di sedurre o quantomeno di poter prestare il proprio
consenso all’atto sessuale. Il matrimonio riparatore viene
utilizzato come mezzo di riparazione dell’illecito, ma nello
stesso tempo si sente sempre l’esigenza di vedere la donna
come vera vittima, sedotta e abbandonata. Il problema della
rilevanza penale dello stupro continua nel corso
dell’Ottocento, come già aveva rilevato Cesare Beccaria: “Il
sistema penale repressivo si incrina, la preminente tutela
accordata all’ordine delle famiglie è costretta a fronteggiare
le ingiustizie generate dall’aver considerato la società
un’unione di famiglie piuttosto che di uomini”.
4
In un tale contesto si cerca allora di modificare l’ampia figura
dello stupro in quella che più confacente allo sviluppo
sociale, cioè la violenza carnale. I fautori della
depenalizzazione dello stupro semplice fanno leva sulla
4
Cfr. C. BECCARIA, Dei delitti e delle pene, ed. a cura di F.
VENTURI, Einaudi, Torino, 1956, p.66.
6
consapevolezza che non vi può essere principio giuridico che
giustifichi la valenza penale di tale delitto quando non vi è
distinzione tra peccato e delitto. I giuristi che invece
difendono la rilevanza giuridica dello stupro semplice
considerano come punto di riferimento sempre la famiglia e
ciò che ne è alla base: il matrimonio. Per loro, lo stupro non
fa altro che alterare l’ordine delle famiglie e in questo modo
arreca un danno politico alla società. Un illustre giurista
toscano, Giuseppe Puccioni, in difesa dell’importanza dello
stupro semplice mette inoltre in risalto che: “La legge e la
prassi dei tribunali non possono contrastare con la prima fra
le virtù di una donna: la pudicizia; l’abbandono volontario di
essa non può essere guardato con indulgenza della legge o
addirittura essere premiato”
5
.
Le qualificazioni dello stupro diverse dalla violenza sono
destinate a scomparire presto per lasciare spazio al reato di
violenza carnale.
La tutela accordata dalla legge diventa più specifica, più
esigente: si pone ormai l’accento sull’esistenza del delitto: il
dissenso del soggetto passivo. Per questo la violenza carnale
5
Cfr. G. CAZZETTA, Colpevole con consentire. Dallo stupro alla
violenza sessuale nella penalistica dell’Ottocento,in Rivista italiana di
Diritto e Procedura Penale, 1997, p.426.
7
ormai ancorata sul consenso o dissenso può essere ancora
incardinata sul valore della famiglia, ma non evitare le
critiche che porteranno successivamente ad un cambiamento
del valore di riferimento. Il reato è presente anche nel Codice
Zanardelli, collocato nell’ambito del titolo VIII “dei delitti
contro il buon costume e l’ordine delle famiglie”. La nuova
normativa apporta al reato di violenza carnale delle
innovazioni fondamentali. La prima caratteristica è nella
configurazione delle due diverse ipotesi delittuose in quanto
si tiene presente che l’offesa all’inviolabilità carnale può
essere di diversa gravità e quindi sanzionata diversamente. In
effetti è diverso il caso in cui un soggetto tocchi fugacemente
una parte esogena del corpo altrui, da chi penetri con il
proprio organo sessuale nel corpo altrui
6
. Un punto in cui il
Codice Zanardelli si distingue dalle precedenti legislazioni è
nella previsione in cui, per la realizzazione delle due ipotesi
delittuose si esige la violenza o la minaccia e non il semplice
dissenso. Per quanto riguarda i valori di riferimento, ossia i
beni che la normativa intende tutelare incriminando la
violenza carnale, si deve ancora riconoscere che tali beni in
6
Cfr. F. COPPI, I reati sessuali, UTET, Torino, 2000, p.68.
8
questione sono ancora di natura pubblica: il buon costume e
l’ordine delle famiglie.
Il Codice Zanardelli rispettando le esigenze di una società
ancora in una lenta evoluzione, vede la violenza carnale
come lesione dell’inviolabilità carnale e come espressione di
un interesse sociale e pubblico che lo Stato deve garantire e
proteggere. La tutela del singolo finisce in secondo piano
schiacciata dall’esigenza, dalla consapevolezza e dalla
necessità di proteggere beni ritenuti superiori ai valori di cui
solo la persona è portatrice
7
.
7
Cfr. F. COPPI, I reati sessuali, cit. p.70
9
CAPITOLO I
1.1 La Rivoluzione: verso i codici francesi.- 1.2 Il ”Côde Penal”. 1.3 Lo
stupro nel codice penale napoleonico.
1.1 La Rivoluzione: verso i codici francesi
Le vicende della Rivoluzione francese hanno segnato una
profonda svolta, rispetto al passato, nella storia del diritto
europeo.
Durante la metà del Settecento si afferma un nuovo indirizzo
culturale e politico; pur mantenendosi il sistema del diritto
comune, esso mostra sempre più palesi segni di crisi.
Crisi di certezza del diritto, determinata dal groviglio delle
fonti e delle dottrine, accumulate nei secoli, e crisi di
contenuti, derivante sia dalle nuove tendenze di pensiero che
dalle nuove esigenze sociali maturate.
La cultura e la società europea entrano così nell’epoca dei
Lumi
8
, la quale influenzò profondamente tutti i campi della
cultura, segnando il punto di rottura con il vecchio.
8
La vita culturale del XVIII secolo fu dominata da un grandioso movimento
intellettuale che a partire dagli anni ’30 coinvolse tutta la società europea. La Francia
fu il maggiore centro di diffusione di queste ideologie, anche se le sue origini sono da
rintracciare nella tradizione culturale inglese della seconda metà del XVII secolo.
In seno al movimento illuminista si manifestò sin da subito un’esigenza riformatrice
della società e dei costumi che si espresse in ogni settore della cultura. Cfr. G.
SABBATUCCI – V. VIDOTTO, Profili storici dal 1650 al 1900, Laterza, Roma,
1997, p.485.
10
Nasce la convinzione che la società possa essere trasformata
e che sia compito dello Stato attuare questo progetto
attraverso il diritto: la legge dello Stato diviene dunque la
fonte prima e dominante del diritto, lo strumento privilegiato
del suo operare
9
.
La critica al sistema delle istituzioni si traduce in una serie di
proposte di riforma riguardante tutti i settori della vita
associata: dal sistema dei reati e delle pene alla giustizia
civile e criminale, dal regime giuridico della famiglia al
diritto commerciale.
Comunanza di concezioni e fenomeni politici di ordine
generale determinarono, nel secolo diciottesimo, la genesi e
lo sviluppo di istituzioni simili in numerosi Stati dell’Europa
occidentale.
Il clima stesso dell’assolutismo e la visione dello Stato che ne
derivava portarono quasi ovunque a trasformazioni di
struttura che, nascendo dalle medesime istanze e fondendosi
sugli stessi principi erano pressocché analoghe
10
.
Lo Jus commune viene contestato per la sua ingiustizia,
arretratezza, macchinosità, incertezza. Vi furono proposte per
9
Cfr. A. PADOA SCHIOPPA, Storia del diritto in Europa, dal medioevo all’età
contemporanea, il Mulino, Bologna, 2007, p.392.
10
Cfr. C. GHISALBERTI, Dall’antico regime al 1848, le origini costituzionali
dell’Italia moderna, Laterza, Roma-Bari, 1991, p.3.
11
una diversa impostazione delle fonti del diritto ed i codici
sostituirono in toto il vecchio sistema, segnando l’inizio
dell’età delle codificazioni.
Il Codice nasceva come raccolta normativa che consentisse
una maggiore affidabilità della legge in modo che non
potesse essere oggetto di oscure interpretazioni da parte della
cerchia ristretta dei giuristi.
I sovrani dell’epoca, sotto la spinta illuminista, compresero
l’importanza di dare al popolo un diritto più giusto, certo ed
uniforme.
Le prime raccolte furono le “Consolidazioni” di Luigi XIV
11
e le “Regie Costituzioni” di Vittorio Amedeo II di Savoia
12
,
emanate nella prima metà del secolo; queste raccolte
risultavano ancora complesse e disorganiche.
11
“Una concreta azione di riforma delle istituzioni e una maggiore capacità del
governo di spazi sempre più ampi della società trovavano legittimazione nella volontà
del sovrano. Ne furono prova le Ordonnances di Luigi XIV, volte all’elaborazione di
una nuova legislazione penale e più in generale a una riorganizzazione degli assetti
legislativi contro la frammentata molteplicità delle leggi vigenti: diritto romano,
diritto consuetudinario, diritto canonico, diritto regio, che tuttavia costituirono, fino
alla Rivoluzione, elemento caratterizzante della società e dello Stato francese”. Cfr.
M. ROSA – M. VERGA, Storia dell’età moderna 1450-1815, Mondatori, Milano,
1998, pp. 243-244.
12
La riorganizzazione dell’apparato giudiziario e razionalizzazione della legislazione
appaiono gli obiettivi perseguiti in via prioritaria dall’azione riformatrice del sovrano,
avviata a partire dal 1713 e destinata a sfociare nella consolidazione della legislazione
regia, nelle due redazioni, pubblicate nel 1723
e 1729, delle Leggi e costituzioni di Sua
Maestà, più note nell’uso con il titolo di Regie Costituzioni, e poi seguite, a distanza di
alcuni decenni, dalla terza ed ultima redazione, pubblicata nel 1770, ad opera di Carlo
Emanuele III. Cfr. I. Soffietti, C. Montanari, Il diritto negli Stati sabaudi: fonti ed
istituzioni (secoli XV-XIX), UTET, Torino 2008, pp. 42-51.
12
Ai primi veri codici in senso moderno ci si arriva in Francia,
negli anni immediatamente successivi lo scoppio della
Rivoluzione francese.
L’assemblea Costituente s’impegnò in un’opera che
consistette dapprima nel proclamare un certo numero di
principi e poi a codificare le leggi in conformità di detti
principi.
La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 26
agosto 1789 è completamente imbevuta delle dottrine
filosofiche dei Lumi, da Montesquieu a Rousseau sino a
Beccaria.
La legge adesso è uguale per tutti alla luce del motto
“Liberté, Egalité, Fraternité”, espressione del potere della
nuova classe emergente: la borghesia.
Poiché la libertà naturale dell’uomo è uno dei principi
fondamentali di qualsiasi organizzazione politica, il diritto
penale non deve ostacolare tale libertà, se non come estremo
rimedio.
Molti articoli della Dichiarazione si preoccupano di
organizzare detta tutela.
Il codice penale del 1791, emanato con decreto 25 settembre-
6 ottobre, costituisce uno dei più interessanti documenti
13
dell’illuminismo penale, viste anche le finalità
immediatamente operative
13
: non abolisce la pena di morte
ma introduce la ghigliottina per risparmiare inutili agonie,
cancella le pene detentive perpetue e reintroduce il principio
di legalità della pena
14
.
Esso prevedeva la tripartizione dei fatti illeciti in
contravvenzioni, delitti e crimini, stabiliva il criterio di fissità
della pena, senza lasciare ai giudici alcun margine di
flessibilità, neppure per la qualificazione delle sanzioni in
caso di circostanze aggravanti, anch’esse già previste e
sanzionate
15
.
Nonostante la sua portata innovativa, il codice Le Pelletier
16
è
soggetto ad innumerevoli critiche, in particolare per
13
Cfr. M. DA PASSANO, Emendare o intimidire? la codificazione del diritto penale
in Francia e in Italia durante le rivoluzione e l’impero, Giappichelli, Torino, 2000, p.
29.
14
Cfr. S. VINCIGUERRA, Il diritto penale dell’Ottocento; i codici preunitari e il
codice Zanardelli, CEDAM, Padova, 1993, p.41 «La privazione della libertà
personale, nelle forme della morte, della galera, della reclusione in un carcere duro,
della detenzione, della deportazione e della gogna, assolve alla funzione pedagogica
della sanzione penale, centrale al sistema dei valori enunciato dal codice».
15
In merito al rapporto tra parte generale e parte speciale Mario Cattaneo afferma
che: «Il codice francese del 1791 è praticamente privo di parte generale ed è
sostanzialmente formato da un’unica parte speciale: esso prevede per ogni reato una
sola pena edittale, senza possibilità per il giudice di spaziare, nel caso concreto, tenuto
conto delle singole circostanze, tra un minimo ed un massimo di pena.
È una reazione alla grande incertezza giuridica dell’Ancien Régime: il codice penale
del 1791 porta all’estremo i principi dell’Illuminismo giuridico». Cfr. M. A.
CATTANEO, Modernità e Autoritarismo nel Regolamento penale Gregoriano, in I
Regolamenti penali di papa Gregorio XVI per lo Stato Pontificio (1831), CEDAM,
Padova, 2000, p. 23.
16
Con il suo progetto di Codice penale, presentato alla costituente nel 1791, Le
Pelletier de Saint-Fargean, è il precursore d’idee che si affermeranno più tardi, come
la prigione come cardine del sistema sanzionatorio e il lavoro come mezzo di emenda
e non di afflizione.
14
l’eccessiva mitezza e per l’adozione del principio della
temporaneità della pena.
Alcune leggi vanno ad integrare le norme del codice: Il
Codice dei delitti e delle pene
17
del 3 brumaio dell’anno IV
(25 ottobre 1795) e la legge del 7 piovoso dell’anno IX (27
gennaio 1801).
La più rilevante, anche perché destinata ad essere ripresa nel
codice napoleonico, è quella del 10 giugno 1796, che
equipara il crimine tentato a quello consumato
18
.
Le vicende storico-politiche portarono di lì a poco
all’abolizione della monarchia, alla dittatura giacobina,
caratterizzata dal c.d. Terrore
19
, sino alla caduta di
Robespierre, che portò a sua volta, alla Costituzione
dell’anno III e al Direttorio
20
.
17
Il nuovo Codice dei delitti e delle pene, elaborato in tempi brevi soprattutto ad opera
di Merlin de Douai, è essenzialmente un codice di procedura.
Dopo la definizione di delitto (“fare ciò che proibiscono, non fare ciò che ordinano le
leggi che hanno per oggetto il mantenimento dell’ordine sociale e della tranquillità
pubblica”) e la riaffermazione dei principi di legalità e di irretroattività, contenuta
nelle Disposizioni preliminari, al diritto penale sostanziale è dedicato il libro III, Delle
pene, che comprende delle Disposizioni generali e tre titoli (Delle pene di semplice
polizia; Delle pene correzionali; Delle pene infamanti e afflittive), per un totale di 47
articoli, che vanno ad integrare le norme previgenti.
18
Cfr. M. DA PASSANO, Emendare o intimidire?, cit. Torino 2000, p. 78.
19
Il terrore era la tecnica attraverso cui si concretizzava l’eliminazione degli avversari
politici o sospetti tali.
20
Organo esecutivo del governo repubblicano francese, istituito il 26 ottobre 1795 in
virtù della Costituzione promulgata dalla Convenzione nazionale, durato fino al 10
novembre 1799.
Il direttorio era costituito da cinque membri, con potere esecutivo, eletti dal consiglio
degli anziani su una lista presentata dal Consiglio dei cinquecento, organi che
detenevano il potere legislativo.
In seguito a episodi di corruzione ed incompetenza dell’organo, il governo dovette
dichiarare la bancarotta agli inizi del 1796.