2
principio fondamentale”, in tal modo determinando un’illegittima compressione della
sfera di autonomia regionale e provinciale”.
Sempre secondo le ricorrenti, la predetta disposizione violerebbe, altresì, la riserva di
legge formale del Parlamento contenuta nell’art. 11, comma 2, della legge costituzionale
n. 3 del 2001.
La Consulta, dal canto suo, ha accolto solo in parte le argomentazioni delle ricorrenti,
dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionale riguardante la delega
per la ricognizione dei principi fondamentali nelle materie previste dall’articolo 117,
comma terzo, della Costituzione, e bocciando, invece, le norme poste dai successivi
commi 5 e 6 del medesimo articolo 1.
La Corte ha interpretato le norme di cui sopra, invocando la “lettura minimale”, l’unica
conforme a Costituzione, dell’oggetto della delega.
Secondo la Corte “Dal citato art. 1, comma 4, così come interpretato alla stregua delle
formule testuali adottate, del contesto normativo in cui si colloca e delle finalità della
stessa legge n. 131, quali risultano dai relativi lavori preparatori, emerge dunque una
prescrizione normativa, che giustifica una lettura “minimale” della delega ivi disposta,
tale comunque da non consentire, di per sé, l’adozione di norme delegate
sostanzialmente innovative rispetto al sistema legislativo previdente…”.
Le argomentazioni della Consulta hanno suscitato non poche perplessità e critiche da
parte del mondo accademico giunto, in seguito ad un attento esame della sentenza, a
conclusioni opposte a quelle della Corte.
Uno dei motivi che giustifica tale avversione riguarda principalmente il fatto che anche
una semplice attività di ricognizione dei principi fondamentali, art. 1, comma 4, legge
“La Loggia”, è preceduta, sempre, da un’attività d’interpretazione e di ridefinizione
delle materie.
Ciò premesso, l’obiettivo del presente lavoro mira ad evidenziare due problemi: uno più
circoscritto, riguardante la delega per la mera ricognizione dei principi e uno più
generale, riguardante l’effettiva attuazione o meno della riforma del Titolo V della parte
II della Costituzione.
3
CAPITOLO I
I principi fondamentali della materia
1. Cenni sui principi
In una qualsiasi forma di convivenza sociale, la vita collettiva per svolgersi
ordinatamente necessita di essere organizzata secondo principi ben definiti imposti a
tutti i membri della collettività. Questi principi si traducono in norme giuridiche che
dettano regole di comportamento che tutti sono obbligati a rispettare; solo nel caso in
cui non vengano osservate spontaneamente, lo Stato interviene con la forza.
L’espressione “principi” ha un significato talmente generico, e quindi di scarso rilievo,
da dover essere sempre accompagnata da un attributo che precisi singolarmente la
rilevanza dei principi medesimi
1
.
Ne sono un esempio: i principi generali del diritto o dell’ordinamento giuridico; i
principi costituzionali particolarmente importanti in presenza di una costituzione rigida,
ma rilevanti anche in regime di costituzione flessibile; i principi istituzionali coincidenti
solo parzialmente coi precedenti
2
; i principi direttivi delle leggi di delegazione, previsti
dall’art. 76 Cost.; i principi fondamentali delle leggi-cornice, previsti dall’art. 117 Cost..
L’aggettivo che qualifica i principi ha, quindi, un valore determinante.
Circa la natura giuridica dei principi, due scuole di pensiero dividono la dottrina.
La dottrina maggioritaria non ha dubbi nel sostenere che i principi sono da considerare
delle vere e proprie norme giuridiche
3
; mentre, una parte più ristretta, sostiene si tratti di
mere direttive teoriche
4
.
1
F. CUOCOLO, Le leggi cornice nei rapporti fra Stato e regioni, Giuffré, Milano, 1967, p. 29.
2
P. BISCARETTI DI RUFFIA, Diritto costituzionale, 6 ed., Napoli, casa editrice Novene, 1962, pp. 9
ss., ricomprende nei principi generali dell’ordinamento anche i principi fondamentali di struttura
dell’ordinamento statale ricavabili dalla natura delle istituzioni considerate in sé e per sé, a prescindere da
ogni disposizione formalmente dichiarata. Ciò in adesione alla tesi del ROMANO per cui le istituzioni
statali “ sono da per sé diritto positivamente vigente”. Comunque sull’argomento in generale v.: A.
VALENTINI, Lineamenti di uno studio sui principi istituzionali, Giuffrè, Milano, 1957. Si cfr. pure C.
MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, Cedam, Padova, I, 1952, p. 313, per il quale i principi
istituzionali coincidono con i principi generali del diritto. Il che testimonia ancora, per un verso, la
relativa omogeneità dei principi, per l’altro la variabilità dei criteri distintivi delle varie categorie di
principi.
3
Sul punto, si v. particolarmente P. VIRGA, Diritto costituzionale, Giuffrè, Milano, 1979, pp. 400 ss.; C.
MORTATI, Istituzioni di dir. Pubbl., cit., I, p. 313 ss..
4
A. CHECCHINI, Storia della giurisprudenza e interpretazione della legge, in Arch. Giur., 1923, pp.
191 ss. Può essere interessante rilevare che anche la nostra Corte Costituzionale, sia pure in forma
piuttosto sfumata, sembra aver aderito a questa impostazione. “Si debbono considerare come principi
dell’ordinamento giuridico – così si legge nella sentenza 26 giugno 1956, n. 6 (in Giur. Cost., 1956, 593
ss.) – quegli orientamenti e quelle direttive di carattere generale e fondamentale che si possono desumere
dalla connessione sistematica, dal coordinamento e dalla intima razionalità delle norme che concorrono a
formare, in un dato momento storico, il tessuto dell’ordinamento giuridico vigente. I principi generali che
scaturiscono da questa coerente e vivente unità logica e sostanziale del diritto positivo possono riflettere
anche determinati settori, per convergere poi in sempre più elevate direttive generali, coerenti allo spirito
informatore di tutto l’ordinamento”.
4
Secondo la prima tesi, i principi sono norme giuridiche perché hanno carattere
normativo e come tali esplicano una forza creativa
5
con la quale dettano un tema , un
programma, un indirizzo da sviluppare con una normazione ulteriore
6
.
La dottrina minoritaria, invece, sostiene che i principi sono delle mere direttive generali
definite tali per via del metodo col quale vengono individuati i principi stessi; ossia,
attraverso un processo di astrazione e generalizzazione dal complesso delle norme
positive.
Quest’ultima tesi è fortemente criticata, in quanto una cosa è la natura dei principi, che è
costante; altro, è il metodo di individuazione, che può variare
7
.
L’art 12 delle preleggi
8
, infatti, prevede che quando un caso non è espressamente
regolato da alcuna norma giuridica il giudice può ricorrere alla analogia: legis, quando
si fa riferimento alle norme che regolano “casi simili o materie analoghe”; iuris, quando
non si trovano norme siffatte, e si decide “secondo i principi generali dell’ordinamento
giuridico dello stato”.
Detto questo, se si definissero i principi generali come mere direttive teoriche, essi
verrebbero ad avere, infatti, in sede pratica e positiva, un contenuto sfuggente e poco
chiaro, ed in caso di ricorso a tali principi, il giudice non applicherebbe, ma porrebbe la
norma del caso concreto, in contrasto con la stessa testuale prescrizione dell’art. 12
delle preleggi.
I principi generali sono quindi da ritenersi vere e proprie norme giuridiche: alcuni,
espressamente enunciati dalla legge; altri, non scritti esplicitamente che si desumono dal
complesso unitario delle norme con un procedimento di astrazione. I principi sono
dunque una autonoma categoria di norme principio contenenti principalmente due
caratteristiche : quella contenutistica e quella funzionale
9
.
La caratteristica contenutistica si riferisce al fatto che la norma principio deve contenere
un tema normativo, un programma, un indirizzo che la normazione successiva è
chiamata a svolgere e concretare.
La caratteristica funzionale indica la forza creativa e determinante della norma
principio.
5
A. TESAURO, Diritto costituzionale, Napoli, Cem, casa ed. Meridionale, 1949, p. 34, per il quale i
principi giuridici vanno concepiti non all’ombra delle norme giuridiche in cui sarebbero contenuti, ma
come manifestazioni autonome del diritto che si concretano in regole generali e programmatiche, che
vincolano alla loro osservanza le norme stesse e le altre manifestazioni del diritto la cui esistenza e
validità dipende dalla loro osservanza.
6
V. CRISAFULLI, A proposito dei principi generali del diritto e di una loro enunciazione legislativa, in
Jus, 1940, p. 208 e, più ampiamente, La Costituzione e le sue disposizioni di principio, Milano, 1952, pp.
17 ss.
7
V. particolarmente M. MAZZIOTTI DI CELSO, Studi sulla potestà legislativa delle regioni, Giuffré,
Milano, 1961, p. 100 ss.; E. BETTI, Teoria generale dell’interpretazione, II, Giuffré, Milano, 1955, p.
844; V. CRISAFULLI, in Disposizione (e norma), estratto da Enciclop. del diritto, vol. XIII, p. 3 e in La
Costituzione e le sue disposizioni di principio, Giuffré, Milano, 1952, p. 16.
8
Art. 12 delle preleggi “Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto
palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del
legislatore”; “Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle
disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide
secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato”.
9
F. CUOCOLO, Le leggi cornice nei rapporti fra Stato e regioni, cit, p. 38.
5
La mancanza nella norma di una delle due caratteristiche rende impossibile
ricomprenderla fra le norme principio. Questo contenuto creativo non è presente in ogni
norma principio nella stessa misura, ma varia in base al rapporto che c’è tra la norma
principio e le norme di dettaglio, e in relazione a come vengono definite
costituzionalmente le competenze dello Stato e delle regioni
10
.
I principi “generali” costituiscono il presupposto di tutto il diritto positivo.
2. Le leggi cornice
Le leggi cornice sono leggi statali attraverso le quali lo Stato fissa i principi
fondamentali nelle materie di competenza legislativa concorrente.
Le “leggi cornice” o “leggi quadro” sono espressioni che indicano lo stesso fenomeno
11
,
cambia solo l’origine: francese, o “loi-cadre” per le leggi quadro; tedesca, o
“Rahmengesetz” per le leggi cornice.
La previsione delle leggi cornice rientra nell’ambito di una forma di decentramento
legislativo di tipo regionale, contemplata nella Costituzione del ‘48 in cui nelle materie
di competenza delle regioni, elencate tassativamente nel vecchio art. 117, comma 1
Cost., concorrono due fonti, quella statale chiamata a porre i principi fondamentali e
quella regionale chiamata a porre le ulteriori norme di dettaglio.
Si tratta della tecnica del riparto verticale delle competenze legislative in cui due fonti
s’incontrano sulla stessa materia.
Il lungo dibattito all’interno del quale si discusse della necessità o meno delle leggi
cornice ai fini dell’esercizio della competenza legislativa concorrente, ha portato le
leggi quadro italiane a vedere la luce solo nel 1975
12
, cinque anni dopo l’elezione dei
consigli regionali.
Il legislatore ordinario, dopo aver adottato l’art. 9 della l. 62/1953, c.d. legge Scelba,
secondo cui le leggi quadro dovevano necessariamente precedere l’esercizio della
potestà legislativa da parte delle regioni, ha deciso, prima ancora che la Corte avesse
modo di pronunciarsi sulla legittimità del medesimo articolo, di abrogarlo con l’art. 17,
comma 4 della l. 281/1970 col quale ha disposto: “l’emanazione di norme legislative da
parte delle regioni nelle materie stabilite dall’art. 117 della Costituzione si svolge nei
limiti dei principi fondamentali quali risultano da leggi che espressamente li
stabiliscono per le singole materie o quali si desumono dalle leggi vigenti”.
Questa norma è stata giudicata costituzionalmente legittima dalla Corte Costituzionale
con la sent. n. 39/1971, in quanto dettata da “esigenze di certezza nei rapporti tra Stato e
regioni, di ordinato e coordinato svolgimento delle rispettive attribuzioni di necessaria
10
V. GIOVENCO, Principi dell’ordinamento giuridico dello Stato e potestà legisl. delle Regioni, in Riv.
trim. dir. pubbl., 1956, p. 456 ss..
11
Cioè una ripartizione di competenza su una stessa materia fra due fonti, delle quali, una è abilitata a
porre la disciplina più generale o di principio, mentre l’altra è abilitata a porre l’ulteriore disciplina ossia
quella di dettaglio.
12
Si tratta delle leggi sull’edilizia scolastica l. 412/1975, e sulla ristrutturazione degli istituti
zooprofilattici sperimentali l. 745/1975.
6
gradualità nel passaggio da un sistema accentrato ad uno, per contro, di largo
decentramento, anche a livello legislativo”.
Tuttora, ai fini dell’individuazione di tali principi può essere applicata la regola di cui
all’art. 17 della legge n. 281 del 1970, secondo la quale, cioè, i principi fondamentali o
risultano espressamente dalle apposite leggi cornice o vanno desunti in via interpretativa
dalle leggi vigenti nella materia.
Tesi recentemente ribadita dalla Corte Cost. con la sent. n. 282/2002 in cui si dispone
che : “La nuova formulazione dell’art. 117, terzo comma, rispetto a quella previdente
dell’art. 117, primo comma, esprime l’intento di una più netta distinzione fra la
competenza regionale a legiferare in queste materie e la competenza statale, limitata alla
determinazione dei principi fondamentali della disciplina. Ciò non significa però che i
principi possano trarsi solo da leggi statali nuove, espressamente rivolte a tale scopo.
Specie nella fase della transizione dal vecchio al nuovo sistema di riparto delle
competenze, la legislazione regionale concorrente dovrà svolgersi nel rispetto dei
principi fondamentali comunque risultanti dalla legislazione statale già in vigore”.
E’ opportuno ricordare che anche la legge “La Loggia” all’ art. 1, comma 3, conferma
questa linea
13
.
Le leggi-cornice s’inquadrano nell’ambito delle leggi d’indirizzo in quanto i principi
fondamentali che esse contengono, oltre a vincolare l’autonomia legislativa regionale
esprimono altresì una carica propositiva ed innovativa con la quale fissano le direttive
che la legislazione regionale è chiamata a svolgere. In altri termini lo Stato indirizza
l’attività regionale: ora segnando in negativo una sorta di “cornice” oltre la quale
l’attività stessa non può spingersi, diversamente il rischio sarebbe quello di
compromettere il bene dell’unità; ora sollecitando in positivo l’attività regionale a
perseguire dati obiettivi, in nome di interessi nazionali costituzionalmente protetti
14
.
Quanto alla struttura, prima della riforma del 2001, le leggi in questione dettavano oltre
ai principi anche le regole, alcune inderogabili altre con carattere “cedevole” poiché in
ogni tempo sostituibili dalle regole delle leggi regionali (sent. n. 214 del 1985).
Il fine era quello di non lasciare scoperti i campi materiali assegnati alle regioni, sia
quando queste tardavano ad occuparli con le norme di dettaglio, sia quando le
disposizioni regionali erano contrarie rispetto ai nuovi principi delle leggi statali.
Da ciò si ricava che tra la legge statale e la legge regionale c’è sempre stato un rapporto
non già di separazione ma di integrazione delle competenze
15
.
In seguito alla riforma della parte II del titolo V della Cost., l. cost. n. 3 del 2001, ci si è
chiesti se questa prassi possa essere ancora mantenuta.
Il nuovo titolo V escluderebbe questa possibilità.
13
Art. 1, comma 3 “Nelle materie appartenenti alla legislazione concorrente, le Regioni esercitano la
potestà legislativa nell’ambito dei principi fondamentali espressamente determinati dallo Stato o, in
difetto, quali desumibili dalle leggi statali vigenti”.
14
T. MARTINES, A. RUGGERI, C. SALAZAR, in Lineamenti di diritto regionale, VII ed., Giuffré,
Milano, 2005, p. 190.
15
T. MARTINES, A. RUGGERI, C. SALAZAR, in Lineamenti di dir. reg., cit., p. 192.
7
Secondo la dottrina
16
, infatti, lo Stato non potrebbe continuare a legiferare nelle materie
di competenza regionale utilizzando la tecnica delle normative cedevoli, sia per la
separazione più rigida tra la competenza statale e regionale che si trae dal nuovo art. 117
Cost., sia per l’inversione della tecnica di riparto delle materie e sia per la precedente e
non benigna esperienza della logica dell’integrazione.
La legge 131/2003, c.d. La Loggia, incurante del parere della dottrina, ha fatto salve le
disposizioni normative dello Stato, legislative e regolamentari, esistenti alla data di
entrata in vigore della medesima legge, in attesa che le disposizioni regionali le
sostituiscano.
Facendo mente locale, per la giurisprudenza costituzionale il mancato adeguamento
della legge regionale alla disciplina statale di principio è stato alla base della
motivazione della sent. n. 214 del 1985 con la quale si legittimò la prassi della
normativa statale cedevole.
Secondo la Corte, infatti, in assenza di questo meccanismo “si perverrebbe all’assurdo
risultato che la preesistente legislazione regionale, in difetto del necessario
adeguamento a quella statale successiva, vanificherebbe in realtà quest’ultima, i cui
(nuovi) principi resterebbero senza effettiva applicazione, sicché risulterebbe
compromessa l’intera regolamentazione della materia alla quale si riferiscono”.
Il discorso del mancato adeguamento diventa, senza dubbio, molto più delicato oggi che
in passato per la presenza nel nuovo titolo V, sia di materie trasversali statali, sia per
l’aumento degli ambiti materiali della competenza legislativa regionale. Rispetto a
prima, il pericolo del mancato adeguamento non riguarda più solo la potestà concorrente
e quindi la legislazione di principio ma riguarda anche tutte le materie di competenza
esclusiva statale che interessano trasversalmente la competenza regionale. Le norme che
lo Stato produce nell’ambito delle materie trasversali non andranno a configurarsi solo
come norme di principio ma più spesso come norme di dettaglio (come nel caso dei
livelli essenziali, la tutela dell’ambiente, la tutela della concorrenza etc.). Dato il loro
carattere trasversale le norme suddette potranno interessare sia la competenza
concorrente sia la competenza primaria delle regioni
17
.
Ancora oggi quindi, la logica della separazione fra la competenza statale e la
competenza regionale lascia il posto alla logica della integrazione, se si considera che
gli atti statali possono immettersi nei campi regionali sia per il caso in cui le leggi
regionali risultano assenti, sia per il caso che le leggi regionali pur essendo presenti
appaiono, in tutto o in parte, non compatibili coi limiti posti a garanzia dell’unità.
Si può concludere con la presa d’atto che ciò che giustifica l’intromissione dello Stato
sia da riferirsi, principalmente: alla natura degli interessi in gioco, mobili e variabili
nelle loro qualificazioni ed l’esigenza di conseguire un apprezzabile “bilanciamento” tra
le istanze di unità e quelle di autonomia di cui all’art. 5 Cost., seguendo il canone di
ragionevolezza.
16
L. ANTONINI, Sono ancora legittime le normative statali cedevoli? Intorno ad una lacuna
“trascurata” del nuovo Titolo V, in www.federalismi.it.
17
L. ANTONINI, Sono ancora legittime le normative etc., cit.
8
CAPITOLO III
Legge 5 giugno 2003 n. 131
1. Legge n. 131 del 2003, c.d. “La Loggia”
La legge 5 giugno 2003 n. 131
1
è una legge d’iniziativa governativa proposta dal
Ministro per gli affari regionali La Loggia, e concepita precisamente come disciplina
“per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18
ottobre 2001 n. 3”.
L’esigenza, sentita soprattutto dalle autonomie locali, di vedere il novellato titolo V
della Costituzione finalmente attuato, ha spinto tutti i partecipanti dell’iter-parlamentare
del disegno di legge “ La Loggia ” ad esaminarlo in tempi i più possibili rapidi.
Durante lo svolgimento dell’indagine conoscitiva prima e dell’iter-parlamentare dopo,
maggioranza, opposizione e poteri locali hanno espresso, fin da subito, una valutazione
complessivamente positiva sull’intero disegno, impegnandosi ad una migliore disamina
e definizione dei punti meno chiari, come la questione contenuta nell’art. 1 del progetto
stesso, ossia: la ricognizione dei principi fondamentali di legislazione concorrente.
A quasi due anni dalla riforma 2001, il Senato ha proceduto all’approvazione definitiva
della legge nella seduta del 27 maggio 2003, la promulgazione è avvenuta il 5 giugno
2003, mentre il 10 giugno dello stesso anno è stata pubblicata.
L’approvazione della legge 131/2003, senza ombra di dubbio, costituisce un passaggio
inevitabile e significativo nel processo di attuazione della Riforma costituzionale 2001.
Le disposizioni dei suoi 12 articoli concernono i seguenti temi:
- i rapporti tra potestà legislativa statale e regionale;
- la potestà normativa degli enti locali;
- le funzioni fondamentali degli enti locali;
- i rapporti fondamentali degli enti locali;
- il trasferimento delle funzioni amministrative;
- il potere sostitutivo;
- i giudici in Corte Costituzionale;
- le nuove competenze della Corte dei Conti;
- il rapporto dello Stato con il sistema delle autonomie;
- l’attuazione nelle Regioni a statuto speciale delle forme di autonomia più ampie
rispetto a quelle già attribuite (art. 10, l. cost. 3/2001).
Le Regioni a statuto speciale, Sicilia, Sardegna e Valle d’Aosta e le due Province
autonome di Trento e di Bolzano hanno sollevato la questione di legittimità
costituzionale su alcuni articoli della legge in esame.
1
Tale legge, meglio conosciuta come legge “La Loggia”, è intervenuta a distanza di quasi due anni
dall’approvazione della legge costituzionale di riforma del Titolo V apportando modifiche radicali
all’assetto generale dell’ordinamento italiano.
9
Più precisamente, la regione Sicilia e la Provincia autonoma di Trento hanno
impugnato l’art. 10 comma 5 della suddetta legge. La regione Valle d’Aosta ha
impugnato l’art. 10 comma 5 e l’art. 1 comma 4. La regione autonoma della Sardegna
ha impugnato l’art. 1 commi 4, 5 e 6; l’art. 6 commi 1, 2, 3 e 5; l’art. 7 comma 1; l’art.
8 commi 1 e 4 e l’art. 10 comma 5. La Provincia autonoma di Bolzano ha impugnato
l’art. 1 commi 4, 5 e 6; l’art. 5 commi 1 e 2; l’art. 6 commi 1, 2, 3 e 5; l’art. 7 comma 1,
l’art. 8 commi 1 e 4 e l’art. 10 comma 6.
La delega per la “mera ricognizione” dei principi fondamentali desumibili dalla
legislazione vigente, oggetto del presente elaborato, è prevista dall’art 1 commi 4, 5 e 6
della legge “La Loggia”; nei suoi confronti le Regioni speciali, Sardegna, Valle
d’Aosta e la Provincia autonoma di Bolzano hanno sollevato la questione di legittimità
costituzionale davanti alla Corte costituzionale, censurandola fortemente in diversi
punti.
La Consulta ha deciso con la sentenza n. 280 del 2004 di accogliere la questione di
legittimità costituzionale rispetto ai commi 5 e 6, e di respingerla per il comma 4 dello
stesso articolo 1. La suddetta declaratoria verrà esaminata in un successivo capitolo.
2. Art. 1, legge 5 giugno 2003 n. 131
L’articolo 1 della legge 5 giugno del 2003 n. 131, contiene le norme che danno
attuazione al novellato articolo 117, primo e terzo comma della Costituzione, in materia
di legislazione regionale.
Più precisamente, esso interviene sul complesso rapporto fra legislazione statale e
legislazione regionale nell’ambito della potestà legislativa concorrente.
Il primo comma dell’articolo 1 della legge in commento, definisce e specifica che i
vincoli alla potestà legislativa dello Stato e delle regioni sono quelli che derivano da
norme di diritto internazionale riconosciute ai sensi dell’art. 10 della Costituzione, dagli
accordi di reciproca limitazione di sovranità previsti dall’art. 11 Cost., dell’ordinamento
comunitario e dei trattati internazionali.
Per quanto riguarda il limite degli obblighi internazionali, essendo stato espunto dal
Parlamento l’inciso, previsto dal Governo, in base al quale solo i trattati internazionali
ratificati potevano costituire un vincolo per il legislatore, tutti i trattati internazionali
sono costitutivi di obblighi.
Nel secondo e terzo comma, il medesimo articolo 1 contiene una norma che assicura la
continuità dell’ordinamento giuridico, nel senso che le disposizioni statali, legislative e
regolamentari, vigenti alla data dell’11 giugno 2003, benché disciplinanti le materie di
competenza legislativa regionale, continuano ad applicarsi, in ogni regione, fino alla
data di entrata in vigore delle disposizioni regionali in materia.
Lo stesso discorso avviene per le disposizioni normative regionali emanate nelle materie
ora appartenenti alla legislazione esclusiva dello Stato.
Nello specifico, il secondo comma disciplina la successione nel tempo tra leggi statali e
regionali, o viceversa, affermando che tanto le leggi statali, quanto le leggi regionali
vigenti continuano ad applicarsi, ancorché disciplinanti materie non più di competenza
del legislatore che le ha prodotte, fino a quando il nuovo legislatore competente non
eserciti in concreto i poteri attribuiti dal nuovo art. 117 Cost..
10
La disposizione in esame non si limita a ribadire il principio di continuità
dell’ordinamento, in conformità al principio tempus regit actum, ma lo estende fino alle
disposizioni emanate dopo l’entrata in vigore della riforma costituzionale, cioè fino
all’11 giugno 2003.
L’obiettivo principale è quello di regolare la fase di transizione dal vecchio al nuovo
assetto costituzionale introdotto dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, e di spronare le
regioni ad una rapida appropriazione del proprio ambito normativo.
Il terzo comma stabilisce che “le regioni esercitano la potestà legislativa concorrente
nell’ambito dei principi fondamentali espressamente determinati dallo Stato, o in
difetto, quali desumibili dalle leggi statali vigenti”.
La disposizione afferma quello che già prevedeva l’art. 9 della legge n. 62/1953, così
come modificato dall’art. 17 della legge n. 281/1970, secondo il quale le regioni
potevano legiferare anche in assenza di apposite leggi cornice contenenti i principi
fondamentali delle varie materie, potendo tali principi essere desunti dalla normativa
statale vigente in ciascuna materia.
In attesa dell’approvazione da parte del Parlamento delle apposite “leggi cornice”,
determinanti i principi fondamentali nelle materie di cui al terzo comma dell’art. 117
Cost., il comma 4 dell’art. 1 della legge “La Loggia”, delega al Governo il compito di
adottare uno o più decreti legislativi per la mera ricognizione dei principi fondamentali
che si traggono dalle leggi vigenti nelle materie di competenza concorrente.
L’esame del comma predetto verrà ripreso e approfondito successivamente.
Il penultimo comma prevede che i decreti legislativi del comma quarto possono
individuare, sempre a titolo di mera ricognizione, le disposizioni trasversali che
riguardano le stesse materie, ma che rientrano nella competenza esclusiva dello Stato.
Il sesto comma, infine, detta i criteri direttivi con i quali il Parlamento indica al
Governo:
di individuare i principi fondamentali per settori organici della materia utilizzando
criteri oggettivi desumibili dal complesso delle funzioni attinenti la materia stessa e da
quelle affini, presupposte, strumentali e complementari, in modo da salvaguardare la
potestà legislativa concorrente delle regioni;
di avere considerazione prioritaria delle disposizioni che garantiscono:
- l’unità giuridica ed economica;
- la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali;
- il rispetto delle norme e dei trattati internazionali e della normativa comunitaria;
- la tutela dell’incolumità e della sicurezza pubblica;
- il rispetto dei principi generali in materia di procedimenti amministrativi e di atti
concessori o autorizzatori;
ed ancora di avere considerazione prioritaria:
- del nuovo sistema dei rapporti istituzionali che si ricava dal nuovo Titolo V;
- degli obiettivi generali assegnati alla legislazione regionale dalle norme
costituzionali concernenti la piena parità dei sessi nella vita sociale, culturale ed
economica, nonché la piena parità di accesso tra donne e uomini alle cariche
elettive.
11
CAPITOLO IV
Sentenza n. 280/2004, Corte costituzionale
1. Sentenze della Corte costituzionale sugli articoli della L. 131/2003
Senza ombra dubbio l’attività di gran lunga più vasta della Corte costituzionale
1
e che
qui ci interessa approfondire, è il giudizio di legittimità costituzionale avente ad
oggetto, secondo l’art. 134, comma 1, Cost.
2
, le leggi statali o regionali e gli atti aventi
forza di legge, decreto legislativo e decreto legge.
Le questioni sulla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge
possono essere sollevate, sia in via incidentale, cioè nel corso di un giudizio già
instaurato davanti ad un giudice, sia, e solo in alcuni casi, in via principale o in via
d’azione, nel senso che vi sono alcuni soggetti i quali possono portare direttamente una
questione di legittimità costituzionale davanti alla Corte.
Il Governo e la Regione sono le parti che possono “impugnare” direttamente le
questioni predette.
L’art. 127, comma 1 Cost., prevede che il Governo può promuovere la questione di
legittimità costituzionale “quando ritenga che una legge regionale ecceda la competenza
della Regione”, e al comma 2, che la Regione può impugnare una legge o atto con forza
di legge dello Stato e una legge di una diversa Regione, quando ritenga che l’atto “leda
la sua sfera di competenza”.
Recentemente, la giurisprudenza costituzionale ha avuto modo di esprimersi su alcune
questioni cruciali di costituzionalità concernenti alcune disposizioni della legge 5
giugno 2003, n. 131
3
.
Si tratta di questioni sollevate da alcune Regioni speciali e dalle Province autonome di
Trento e di Bolzano, per le quali la Corte costituzionale ha emesso pronunce di estrema
rilevanza con le sentenze nn. 236, 238, 239 e 280 del 2004.
Con la prima sentenza, la n. 236, la Corte costituzionale ha risolto i giudizi di legittimità
costituzionale degli articoli: 7, comma 1; 8, commi da 1 a 4; e 10, commi 5 e 6, della
legge n. 131/2003.
La sentenza n. 238, invece, si è pronuncia sulla legittimità costituzionale dell’art. 6,
commi 1, 2, 3 e 5, della legge La Loggia, posta dalla Provincia di Bolzano e dalla
Regione Sardegna.
La sent. n. 239, affronta le questioni di costituzionalità sollevate dalla Regione Sardegna
e dalla Provincia autonoma di Bolzano nei confronti dei commi 1 e 2 dell’art. 5 della
legge 131/2003.
1
La Corte costituzionale è un organo creato dalla Costituzione del ’48, con il potere di giudicare la
legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge, ossia di verificare la conformità
degli atti normativi alla Costituzione.
Oltre a questa funzione la Corte ha anche il compito di giudicare sui conflitti di attribuzione tra i poteri
dello Stato e su quelli tra lo Stato e le Regioni, e tra le Regioni, nonché di giudicare sulle accuse
promosse contro il Presidente della Repubblica, art. 134, commi 2 e 3 Cost..
2
Secondo il primo comma dell’art. 134 Cost., la Corte costituzionale giudica: sulle controversie relative
alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni.
3
Recante “Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale
18 ottobre, n. 3”, c.d. legge “La Loggia”.
12
Infine, con l’ultima sentenza, ovvero la n. 280, la Corte costituzionale ha valutato la
legittimità delle disposizioni contenute nell’art. 1, commi 4, 5 e 6 della legge de qua, in
riferimento al combinato disposto degli artt. 117, terzo comma, Cost., e 10 della legge
costituzionale n. 3 del 2001; all’art. 76 Cost.; all’art. 11, comma 2, l. cost. n. 3/2001.
L’ultima sentenza, oggetto del presente elaborato, si riferisce all’art. 1 della legge n. 131
del 2003, recante le norme di attuazione dell’art 117, primo e terzo comma della
Costituzione, in materia di legislazione regionale.
Si ricorda che il comma 4 del suddetto articolo contiene una delega al Governo, di cui
individua i relativi principi mentre i criteri direttivi sono fissati dal successivo comma 6,
per l’adozione di uno o più decreti delegati meramente ricognitivi dei principi
fondamentali desumibili dalle leggi vigenti nelle materie attribuite, in base all’art. 117,
comma 3, della Costituzione, alla competenza concorrente Stato-Regioni, allo scopo di
orientare l’opera del legislatore regionale e anche dello stesso legislatore statale, nelle
more dell’approvazione, da parte del Parlamento, delle nuove leggi cornice.
Il comma 5, invece, delega al Governo, nel contesto dei decreti delegati di cui al comma
4 e sempre a titolo di mera ricognizione, la possibilità di individuare le disposizioni
afferenti le medesime materie ripartite ma rientranti negli ambiti materiali di pertinenza
esclusiva dello Stato ex art. 117, comma 2, della Costituzione.
La disposizioni in commento sono state duramente censurate sia dal mondo
accademico
4
sia dalle regioni ricorrenti su molteplici aspetti.
La Provincia di Bolzano e le Regioni Sardegna e Valle d’Aosta hanno censurato, in
particolare, il comma 4 perché contrasterebbe con più norme di rango costituzionale.
Sarebbe violato, innanzitutto, l’articolo 76 Cost., per l’evidente incongruità di una
delega avente ad oggetto proprio quella porzione della legislazione, appunto i principi,
necessariamente di pertinenza del Parlamento; inoltre i principi direttivi di una siffatta
delega, in quanto funzionali all’individuazione di altri principi diventerebbero
evanescenti, come tali non sarebbero idonei ad orientare l’attività del legislatore
delegato.
La norma consentirebbe ampi margini di manovra al Governo, sia per la natura
fortemente innovativa del potere da esso conferito
5
, natura insita nella forza di legge che
caratterizza i decreti legislativi in base a Costituzione e confermata, pure, dal tenore dei
principi e dei criteri direttivi individuati dallo stesso comma 4 e dal successivo comma
6.
Per le ricorrenti la formula della mera ricognizione sarebbe soltanto un espediente
verbale che serve ad (occultare) la palese incostituzionalità di una delega avente, in
realtà, per oggetto la determinazione tout court dei principi fondamentali.
Tenendo conto della forza di legge che caratterizza i decreti ed il contenuto dei principi
e criteri direttivi, l’attività di ricognizione risulterebbe o del tutto inutile esercitarla o
sarebbe inevitabile ottenere l’individuazione di principi innovativi.
La norma impugnata violerebbe, altresì, la riserva di legge formale prevista dall’articolo
11, comma 2, della legge costituzionale n. 3 del 2001.
4
A. D’ATENA, in Legislazione concorrente, principi fond. etc., sul sito forum costituzionale, e in La
difficile transizione. In tema di attuaz. etc., cit, p. 317. M. MAZZIOTTI DI CELSO, in Considerazioni
critiche sulla legge cost. etc., cit, p. 358.
5
Secondo una parte rilevante della dottrina, il potere più esteso e rilevante che la legge di delega
attribuisce al Governo non è tanto la definizione dei “principi fondamentali” quanto piuttosto, la
definizione delle stesse materie. Così, R. BIN, in La delega relativa ai principi fondamentali della
legislazione statale, in G. FALCON (a cura di) Stato, regioni ed enti locali nella legge 5 giugno 2003, n.
131, cit., pp. 30 ss..