5
Un ulteriore vantaggio spesso offerto dalle miscele di erbicidi si ottiene
quando tra i principi attivi si instaura un’interazione di tipo sinergico: ciò si
verifica quando la miscela mostra un’efficacia maggiore rispetto alla
somma degli effetti delle due sostanze applicate separatamente (figura 1).
dose degli erbicidi
e
f
f
e
t
t
o
antagonismo
sinergismo
azione additiva
figura 1_possibili interazioni tra due erbicidi uitlizzati in miscela
Ciò si può verificare quando: a) uno dei componenti è un additivo non
tossico per l’organismo bersaglio, che consente l’uso di una quantità
minore del secondo; b) entrambi i componenti sono tossici, ma il loro uso
combinato permette di diminuire le quantità di entrambi; c) nessuno dei
due componenti è tossico, ma la combinazione lo diventa. Siffatte
interazioni possono comportare benefici a diversi livelli: ridurre le quantità
di fitofarmaci utilizzati e combinare più principi attivi in un solo intervento
si traduce infatti in una diminuzione delle spese di distribuzione, permette
di minimizzare i danni arrecati alla struttura del suolo da ripetuti passaggi
delle macchine agricole (Giardini,2002) e di immettere nell’ambiente una
minore quantità di molecole organiche di sintesi, in linea con gli attuali
orientamenti verso un’agricoltura a basso impatto ambientale.
Un ulteriore aspetto deve ancora essere preso in considerazione: la
notevole variabilità nella risposta delle infestanti. Miscele che vengono
usate per alcune infestanti possono manifestare un’aumento di tossicità
verso la coltura target (Owen e Gressel, 1999); inoltre, una combinazione
di erbicidi che si ritiene possa avere effetti sinergici su una specie può
rivelare una attività antagonistica nei confronti di un’altra specie. Un
comportamento di questo tipo è stato osservato da Mekki e Leroux (1994)
studiando gli effetti di una miscela 1:1 di nicosulfuron e rimsulfuron:
l’interazione tra i due principi attivi è stata di tipo sinergico nel controllo
dell’infestante Digitaria ischaemum ma non nei confronti di Ambrosia
artemisiifolia. Anche le colture testate hanno reagito in modo diverso:
l’azione fitotossica su mais è apparsa sensibilmente più intensa di quanto
prevedibile in base ad un semplice effetto additivo; su soia, invece, l’effetto
combinato è stato di tipo antagonistico.
6
Gli effetti diversi osservati, per una stessa miscela, su diverse specie
vegetali possono essere spiegate considerando i diversi meccanismi in base
ai quali le miscele di erbicidi possono influenzare le piante (Hatzios e
Penner, 1985):
1. a livello biochimico, modificando la quantità di principio attivo che
raggiunge il sito d’azione;
2. per competizione in corrispondenza del sito attivo;
3. a livello fisiologico, modificando l’assorbimento, la traslocazione o
il metabolismo;
4. chimicamente, se gli erbicidi reagiscono tra di loro in fase di
miscelazione.
Una miscela ideale quindi è quella che aumenta l’effetto sulle infestanti
senza danneggiare la coltura, ovvero che garantisce un elevato indice di
selettività.
7
1.1. Implicazioni ambientali
Accanto agli indiscutibili vantaggi che possono derivare dall’uso di
miscele di erbicidi, è importante notare come gli effetti sull’ambiente della
presenza contemporanea di diverse miscele di xenobiotici non siano ancora
del tutto noti. Due sono in particolare gli aspetti da approfondire:
l’influenza sulla biodegradabilità dei composti e la tossicità nei confronti di
organismi non target.
1.1.1. Biodegradabilità
Gli studi sulla degradazione di composti organici naturali e di sintesi da
parte dei microrganismi sono in genere condotti in presenza di un singolo
composto fornito come unica fonte di carbonio e di energia; indagini di
questo tipo hanno reso possibile la descrizione delle principali vie
cataboliche implicate nell’ attacco ai diversi gruppi funzionali. In condizioni
di pieno campo, tuttavia, raramente sono presenti singole sostanze: le
comunità microbiche sono esposte contemporaneamente alla presenza di
substrati organici naturali di facile degradazione e di molecole di sintesi non
sempre facilmente attaccabili.
L’interazione più comune che si riscontra in presenza di sostanze diverse
è quella di tipo cometabolico: in presenza di un substrato di crescita e di
una molecola normalmente non utilizzata, ma strutturalmente analoga
(cosubstrato), quest’ultimo può subire una parziale ossidazione ad opera
degli enzimi coinvolti nel metabolismo del substrato di crescita, quando
questi sono dotati di una specificità piuttosto ridotta. E’ un processo che
pur non portando alla completa mineralizzazione del cosubstrato,
rappresenta spesso il punto di partenza nell’ attacco di molecole
potenzialmente inquinanti.
Più recentemente sono state messe in evidenza, al contrario, interazioni
nocive tra diverse tipologie di molecole organiche presenti
simultaneamente, risultanti in una ridotta o mancata degradazione. Le
cause di questi fenomeni sono state attribuite, di volta in volta, alla
tossicità del cosubstrato o degli intermedi di degradazione, a interferenze
nel processo di induzione enzimatica, a meccanismi di repressione da
catabolita o alla competizione per il sito attivo degli enzimi coinvolti;
peraltro, solo alcune di queste ipotesi sono state confermate da risultati
sperimentali (Baggi, 2000). Gli studi su questo argomento riguardano
principalmente gruppi di molecole appartenenti alla classe degli idrocarburi
(BTEX e IPA), PCB, clorobenzoati e clorofenoli: Solo in alcuni casi (
Kaufman, 1987) è stata messa in luce la possibilità che l’applicazione
combinata di più erbicidi ne possa influenzare, sia positivamente che
negativamente, la successiva trasformazione nel suolo, a causa delle
interazioni tra i composti e degli effetti sulla microflora batterica.
Abdelhafid et al. (2000), esaminando gli effetti dell’ uso combinato di
8
atrazina e glifosate, hanno evidenziato come, in presenza di entrambi i
composti, i batteri mostrino una netta preferenza per il glifosate come
substrato, passando ad una rapida degradazione dell’atrazina solo in una
fase successiva; anche la cinetica di degradazione si è rivelata differente
nel confronto con le due sostanze considerate separatamente . Menne e
Berger (2000) hanno condotto indagini in scala di campo al fine di valutare
il tempo necessario per la degradazione delle due solfoniluree
amidosulfuron e tribenuron-metile quando usate in miscela; in questo caso,
non è emersa alcuna differenza significativa rispetto ai composti considerati
singolarmente.
La scarsità di lavori volti a mettere in relazione la biodegradabilità di
una molecola con la contemporanea presenza di altre sostanze, unitamente
alla non omogeneità dei risultati disponibili, rende sicuramente necessario
approfondirne lo studio.
1.1.2. Metodi per la valutazione della tossicità di miscele di
fitofarmaci
I dati di tossicità ottenuti tramite test di laboratorio con singole sostanze
pure forniscono un punto di partenza essenziale per la valutazione del
rischio a carico degli organismi che si trovano nell’ambiente; essi tuttavia
sono raramente esposti all’ azione di singoli contaminanti, ma tipicamente
sono a contatto con miscele di sostanze di origine antropica di natura
chimica eterogenea e a concentrazioni variabili. La valutazione diretta di
tutte le possibili combinazioni di contaminanti è una via evidentemente non
praticabile; i due approcci più seguiti si basano sull’uso di biosensori e sulla
creazione di modelli descrittivi.
Gli organismi più diffusamente usati negli studi tossicologici di questo
tipo sono in genere rappresentativi di ecosistemi acquatici nei quali è
tutt’altro che raro individuare residui di molecole xenobiotiche di origine
agricola o industriale. Per la facilità di coltivazione e il minor costo rispetto
all’ uso di pesci e di macroinvertebrati, la scelta comunemente ricade su
specie algali appartenenti al genere Scenedesmus, largamente presente
nelle comunità fitoplanctoniche. Geoffroy et al. (2002) hanno testato la
tossicità dei due erbicidi diuron e oxyfluorfen su S.obliquus, mostrando
come il primo esplichi un effetto antagonistico sulla fitotossicità del
secondo ed evidenziando in tal modo come le interazioni tra molecole non
abbiano sempre e solo conseguenze nocive. Faust et al. (2001) hanno
utilizzato colture di S.vacuolatus in uno studio che ha condotto all’
elaborazione di un modello in grado di prevedere la tossicità di miscele
multi-componenti di fitofarmaci presenti in basse concentrazioni negli
ambienti acquatici.
Allo scopo di mettere a punto una forma di saggio biologico di basso
costo e di comodo utilizzo anche con un grande numero di campioni, senza
9
per questo minimizzarne il significato ecologico, sono stati messi a punto
biosensori batterici basati sulla capacità di emettere energia luminosa: i
geni responsabili della luminescenza, inizialmente isolati nel batterio
marino Vibrio fischeri, sono stati inseriti in una serie di batteri di ambienti
terrestri e di acqua dolce; ogni effetto deleterio sull’attività fisiologica delle
cellule si riflette nell’ inibizione dell’emissione di luce o in una riduzione
della sua intensità. Strachan et al. (2001) hanno valutato gli effetti tossici
di sette erbicidi di comune utilizzo e di loro combinazioni mediante
biosensori luminescenti appartenenti ai generi Pseudomonas e Rhizobium e
al gruppo delle Enterobacteriaceae. All’interno della gamma di sensibilità
propria di ciascun organismo, è stata dimostrata la capacità di questi test
di mettere in luce eventuali effetti sinergici o antagonistici; inoltre, una
stessa combinazione di molecole ha rivelato effetti differenti al variare delle
concentrazioni dei due componenti. La sensibilità di questo metodo è stata
messa a confronto con il comportamento di colture pure di E.coli poste in
presenza di 44 diverse combinazioni di sostanze organiche tossiche: il test
di bioluminescenza si è rivelato più sensibile, anche se i due test hanno
dato risposte analoghe per quanto riguarda la capacità di mostrare sinergie
e antagonismi (Chung e Cheng, 2002).
A fronte dei numerosi lavori focalizzati sugli ecosistemi di acqua dolce,
praticamente nulle sono le informazioni relative all’impatto di miscele di
sostanze di sintesi sulla microflora del suolo.
L’altro tipo di approccio allo studio degli effetti di miscele di sostanze
xenobiotiche si basa sull’elaborazione e validazione di modelli matematici,
particolarmente utilizzati in ecotossicologia. A fronte di una maggiore
complessità per la loro messa a punto, hanno il vantaggio di offrire una
visione più completa dei fenomeni in studio e di poter essere applicati a fini
previsionali. I numerosi metodi e modelli per l’analisi e la valutazione degli
effetti combinati delle sostanze chimiche fanno riferimento, nella gran
parte dei casi, a soli due concetti di base, indicati come “concentration
addition” e “indipendent action”. Questi termini rappresentano due
differenti ipotesi circa la relazione esistente tra la tossicità di una sostanza
singola e quella di sostanze combinate.
Concentration addition. Questo modello è ritenuto valido nel caso in cui i
componenti di una miscela condividano il medesimo meccanismo d’ azione.
L’equazione (1) mostra le principali caratteristiche di questo tipo di azione
combinata: i composti agiscono come diluendosi l’uno con l’altro e la
concentrazione effettiva totale della miscela può essere calcolata
addizionando le concentrazioni effettive dei singoli composti:
Ceff = ƒ(Ci / ECi) = 1 (1)
dove Ci è la concentrazione del composto i; ECi è la concentrazione alla
quale l’effetto studiato si manifesta quando l’organismo test è esposto alla
10
sola azione del composto i; Ceff è la concentrazione totale effettiva della
miscela, supposta pari a 1; Ci / ECi esprime le concentrazioni dei
componenti in unità di tossicità (UT) (Deener, 2000). Se l’equazione (1) è
verificata, un qualunque componente della miscela può essere sostituito
totalmente o in parte da una eguale frazione di un altro senza alterare
l’effetto totale; in altre parole, l’effetto totale rimane costante fintanto che
la somma delle UT resta costante. La validità di questo modello è
supportata dai risultati di numerose prove sperimentali con differenti
gruppi di sostanze e diversi tipi di organismi (si vedano i già citati Faust et
al., 2001; Chung e Cheng, 2002; nonché Altenburger et al., 2000; Xu e
Nirmalakhandan, 1998).
Indipendent action. Questo modello presume che le molecole
considerate interagiscano con siti target diversi in un organismo comune.
Se tale premessa è verificata, gli effetti di ciascun componente della
miscela sono ritenuti indipendenti: l’effetto relativo di ciascuno di essi
rimane immutato in presenza degli altri (Faust et al., 2003)
1.1.3. Fattori che influenzano la tossicità dei fitofarmaci
Concentrazione nel suolo e biodisponibilità. Nella maggior parte dei
casi riportati in letteratura, fitofarmaci applicati a dosi che approssimano
quelle d’uso causano solo piccoli cambiamenti nelle popolazioni microbiche
e nelle loro attività. Sebbene la concentrazione media di una sostanza nel
suolo possa essere molto bassa, non è possibile escludere la presenza di
micrositi caratterizzati da concentrazioni molto più elevate; ciò può
dipendere dal fatto che i metodi di applicazione utilizzati non consentono
sempre una distribuzione uniforme e dalla percentuale di copertura del
suolo da parte della coltura. Tipicamente, gli erbicidi vengono applicati
quando le piante sono assenti o ai primi stadi di sviluppo, con il risultato
che una porzione elevata della sostanza riesce a raggiungere il suolo.
La biodisponibilità per i microrganismi varia inoltre a seconda di molti
fattori che dipendono dalla particolare coltura presente, dalla natura della
molecola e dalla tipologia di suolo: recentemente, Gevao et al. (2000)
hanno preso in considerazione come varie caratteristiche del suolo e
differenti modalità di gestione dello stesso possono influenzare la natura
dei legami suolo-fitofarmaco e quindi la concentrazione a cui le popolazioni
microbiche risultano esposte. Tale variabilità giustifica l’uso, nella pratica
sperimentale volta a testare la tossicità dei fitofarmaci, di dosi spesso ben
al di sopra di quelle agronomiche. Non sarebbe tuttavia corretto
considerare le molecole adsorbite come totalmente indisponibili per i
microrganismi: Park et al. (2003) hanno infatti osservato elevati tassi di
mineralizzazione a carico di atrazina adsorbita al suolo, spiegabili con
l’intervento di fenomeni di chemiotassi e di aderenza delle cellule
microbiche alle particelle di suolo.
11
E’ stato inoltre ipotizzato che elevate concentrazioni di un composto
xenobiotico abbiano un effetto inibitore o tossico sui microrganismi che lo
degradano. Secondo Gan et al. (1995), ciò sarebbe dovuto all’inibizione di
uno o pochi membri dei consorzi necessari per la degradazione. Nella
maggior parte dei casi, l’esposizione a concentrazioni agronomiche non
sembra influenzare la vitalità delle popolazioni microbiche né le attività
enzimatiche prese in considerazione (Omar e Abdel-Sater, 2001); anche a
questo proposito, tuttavia, non mancano esempi che dimostrano come la
continua esposizione a basse concentrazioni di erbicidi possa indurre
profondi cambiamenti nella composizione di una comunità microbica (de
Lipthay et al., 2003).
Meccanismo d’azione. I fitofarmaci basano la loro efficacia nei
confronti delle specie sensibili sulla capacità di interferire con attività
metaboliche vitali; alcuni di essi agiscono su processi biochimici comuni a
piante, animali e microrganismi e possono potenzialmente costituire una
minaccia per gli organismi non target. E’ noto ad esempio che l’erbicida
dinoseb, che interferisce con la catena di trasporto degli elettroni privando
la cellula di ATP, mostra un ampio spettro di tossicità nei confronti di alghe,
batteri e funghi; altri erbicidi il cui sito d’azione si riscontra, oltre che nelle
piante, anche in batteri o funghi, risultano in genere ben tollerati alle
concentrazioni d’uso (Moorman, 1989).
Resistenza. L’uso continuativo di uno o più principi attivi caratterizzati
dallo stesso meccanismo d’azione può condurre alla selezione di
popolazioni resistenti di microrganismi. Il fenomeno, noto soprattutto a
carico di batteri e funghi fitopatogeni, è stato osservato anche in specie
agronomicamente utili, come Rhizobium trifolii (Lindstrom et al., 1985).
1.1.4. Effetti dei fitofarmaci sulle comunità microbiche e sulla
fertilità del suolo
I microrganismi che vivono nel suolo costituiscono un’importante e
differenziata comunità che catalizza molte attività importanti per la fertilità
del suolo e la crescita delle piante; funghi, batteri ed enzimi di origine
microbica sono responsabili di trasformazioni biochimiche che rendono gli
elementi nutritivi disponibili per le colture. E’ utile sottolineare che le
trasformazioni puramente chimiche che avvengono nell’ecosistema suolo
sono normalmente trascurabili rispetto a quelle dovute ad attività biologica
(Florenzano, 1983). L’uso continuato di fitofarmaci ha portato ad una
crescente preoccupazione circa i potenziali effetti negativi sulle comunità
microbiche del suolo; in particolare si teme che, a lungo termine,
l’esposizione a queste sostanze possa influenzare negativamente la
produttività delle colture attraverso alterazioni dei cicli degli elementi.
L’ampia diffusione dell’uso di fitofarmaci suggerisce che l’esistenza di tali
effetti negativi potrebbe avere un impatto enorme sull’ attività agricola.
12
Inoltre, considerando il grande numero di molecole registrate e la tendenza
ad utilizzare miscele di sostanze diverse, risulta evidente la difficoltà di
valutare gli effetti sui microrganismi del suolo. Tali studi possono essere
affrontati da diversi punti di vista: il monitoraggio di attività generiche
come la crescita microbica e la mineralizzazione del carbonio e dell’azoto
forniscono informazioni preliminari generiche, che spesso vengono
approfondite prendendo in esame soltanto particolari gruppi microbici
coltivabili (tipicamente quelli che prendono parte al ciclo dell’azoto). Un
approccio recente, reso possibili dalle più moderne tecniche di biologia
molecolare, consente analisi più complete delle comunità microbiche e
permette di seguire le dinamiche anche delle frazioni non coltivabili.
Studi di attività metaboliche. L’approccio più classico allo studio degli
effetti dei fitofarmaci sui microrganismi ha come oggetto la variazione della
crescita e della riproduzione cellulare e di attività relative al metabolismo
del carbonio e dell’azoto, per l’importanza che i cicli di questi elementi
esercitano nel garantire il mantenimento della fertilità nei suoli.
Informazioni generiche sulla reazione di microrganismi all’addizione di
sostanze di origine antropica possono essere ottenute tramite conte in
piastra o utilizzando la tecnica del MPN (most probable number). SIR
(substrate-induced respiration) e attività deidrogenasica sono strettamente
correlate alla biomassa microbica e sono utili nel monitoraggio delle attività
di ossidazione di substrati organici. Dati relativi alla mineralizzazione del
carbonio e dell’azoto completano l’interpretazione dei risultati.
La gestione dell’azoto costituisce uno degli aspetti più importanti della
produzione delle colture agricole. La conversione in forma nitrica dell’azoto
organico contenuto nei residui colturali e nella sostanza organica del suolo
mediamente copre dal 40 al 60% del fabbisogno delle piante coltivate. Gli
studi volti a determinare l’effetto dei fitofarmaci sulla mineralizzazione
dell’azoto si basano sul confronto tra le forme ammoniacale e nitrica
prodotte in suoli non trattati e in quelli trattati con concentrazioni cresenti
della sostanza in esame. Secondo Domsch et al. (1993), infatti, la
nitrificazione è una delle attività microbiche che più facilmente risentono in
modo negativo della presenza di xenobiotici.
Recentemente, diversi Autori hanno proposto l’utilizzo di tecniche che
rendano possibile un’analisi più completa delle comunità microbiche.
Appare infatti chiaro che la struttura di una comunità batterica del suolo
può subire dei cambiamenti anche se le attività precedentemente
considerate risultano nel complesso inalterate dal fitofarmaco. Alcuni
microrganismi possono scomparire o ridursi ed altri possono proliferare
nelle nicchie rimaste libere; gli effetti di simili alterazioni possono rendersi
visibili solo dopo lunghi periodi di esposizione alle sostanze in esame.
Dovrebbero pertanto essere presi in considerazione, accanto a quelli
tradizionali, metodi per la misura della biodiversità microbica che riflettano
13
sia gli effetti immediati di tossicità sia quelli a lungo termine, causati da
successioni all’interno della comunità.
Studi di specifiche popolazioni batteriche. E’ presente in letteratura
un grande numero di pubblicazioni che focalizzano l’attenzione sugli effetti
dei fitofarmaci su specifici gruppi fisiologici. Un’ampia varietà di composti,
microrganismi e tipologie di suolo sono state prese in considerazione sotto
differenti condizioni sperimentali; è pertanto possibile definire solo delle
tendenze generali per quanto riguarda i risultati ottenuti.
Tra i gruppi più frequentemente studiati sono presenti gli azotofissatori
liberi, appartenenti ai generi Azospirillum e Azotobacter (Jena et al., 1987),
e simbionti, appartenenti al genere Rhizobium. Per il loro ruolo chiave nel
ciclo dell’azoto, i batteri nitrificanti sono considerati un gruppo indice della
buona qualità di un suolo (Kowalchuk, 2000).
Anche i batteri appartenenti al genere Pseudomonas sono spesso
oggetto di valutazioni: pur non essendo direttamente coinvolti nel
mantenimento della fertilità dei suoli, sono infatti molto importanti per le
loro capacità degradative. Eventuali effetti tossici a carico di questo gruppo
potrebbero influenzare negativamente le capacità di resilienza di un suolo
di fronte a perturbazioni di origine antropica. È inoltre nota la loro attività
antagonista nei confronti di molti patogeni vegetali, attribuita alla capacità
di produrre antibiotici e siderofori (Gill e Warren, 1988). Thirup et. al
(2000) hanno dimostrato che un trattamento a base di fenpropimorph può
interferire sulle interazioni tra popolazioni a rapida crescita di Pseudomonas
e alcuni Protozoi loro predatori.
Studi di comunità microbiche. L’analisi dei cambiamenti nella
composizione di una comunità può essere utilizzata per caratterizzare la
sua risposta agli stress. Tuttavia, le tecniche di studio convenzionali
mostrano significativi limiti. Da una parte, il tempo e le risorse necessari
per la quantificazione e l’identificazione di specie microbiche, spesso
morfologicamente simili, precludono la possibilità di un’analisi di elevate
quantità di campioni sottoposti a diversi trattamenti; dall’ altra, la coltura
su piastra è un processo selettivo che fornisce una visione solo parziale
della comunità di partenza È ormai accertato infatti che solo una frazione
variabile tra l’1 e il 10% di una comunità microbica può essere coltivata su
piastra (Amman et al., 1995). Spesso inoltre le specie così caratterizzate
non riflettono l’intero spettro di organismi presenti e le loro proporzioni
relative; in altri casi, l’identificazione non risulta corretta (Boivin-Janhs et
al., 1995). I nuovi strumenti messi a disposizione dalla biologia molecolare
rendono più semplice e rapido lo studio delle comunità microbiche e hanno
fornito informazioni significative che con le tecniche tradizionali non
sarebbero state osservate. Un importante contributo agli studi di ecologia
microbica è fornito dall’estrazione diretta del DNA dal suolo e dalla
successiva amplificazione, mediante PCR, della porzione altamente
14
conservata del 16S rDNA: molti dei metodi che consentono di ottenere un
fingerprint di comunità hanno come punto di partenza proprio questa
strategia. I prodotti di amplificazione appartenenti a organismi differenti
possono in seguito essere separati mediante particolari tipi di elettroforesi,
come TGGE (Temperature Gel Gradient Electrophoresis) e DGGE
(Denaturing Gel Gradient Electrophoresis); queste tecniche permettono di
separare frammenti di DNA delle stessa lunghezza ma con diverse
sequenze di basi, grazie alla loro diversa mobilità elettroforetica in un gel di
poliacrilammide con gradiente lineare. Il numero e l’intensità delle bande
ottenute riflette il numero e l’abbondanza relativa delle diverse specie
microbiche; ulteriori informazioni possono essere ottenute tramite il
sequenziamento delle bande.
Un altro importante vantaggio offerto dalle tecniche di biologia
molecolare è quello di consentire una quantificazione della biodiversità più
precisa rispetto alle tecniche basate sulla coltura in piastra.
Importanza e studio della biodiversità
1
. Il concetto di biodiversità
microbica è stato usato per descrivere la complessità e la variabilità a
diversi livelli di organizzazione biologica, comprendendo la diversità
genetica all’interno di una stessa unità tassonomica (genere o specie), la
diversità di taxa batterici all’interno di uno stesso habitat e la diversità
ecologica intesa a livello di struttura, complessità di interazioni, numero di
livelli trofici e numero di associazioni all’interno di una comunità (diversità
funzionale). A livello genetico, la diversità può essere esaminata
considerando la distribuzione dell’informazione genetica nell’associazione o
comunità batterica. La diversità tassonomica è stata definita come il
numero di specie batteriche significativamente diverse l’una dall’altra e la
loro abbondanza relativa (evenness). La diversità funzionale, invece, si
riferisce al numero di diversi processi metabolici (per esempio usi di fonti di
carbonio diverse) che avvengono nella comunità. La misura della diversità
fenotipica e funzionale è limitata al set di informazioni genetiche che
vengono espresse nelle condizioni ambientali considerate; la diversità
genetica riflette il potenziale genetico totale della comunità e, in aggiunta,
a causa della crescita selettiva e delle successioni che inevitabilmente
hanno luogo nel tempo, riflette in modo preciso i cambiamenti delle
condizioni ambientali.
Lo studio dell’influenza dei fitofarmaci sulla biodiversità microbica offre
la possibilità di ricavare informazioni relative a diversi aspetti
dell’ecosistema suolo. Alcuni gruppi microbici saranno infatti in grado di
utilizzare il fitofarmaco come fonte di carbonio e di energia; altri ne
1 Basato sull’articolo “Pesticide effects on bacterial diversity in agricultural soils: a
review.” di Johnsen K., Jacobsen C., Torsvik V in Biology and fertlity of soils 2001,
33: 443-453