2
specificare quali obiettivi dovrebbe proporsi un simile studio, delineando
così il piano complessivo al quale obbedirà la mia indagine.
1.2. Il tratto forse più vistoso dell’approccio aristotelico al problema
della fantasiva, è la stretta connessione istituita dal filosofo tra il
fantastikovn e l’aijsqhtikovn
2
. Egli annovera la fantasiva tra le
sull’anima, quale Aristotele la concepisce, è dunque l’indagine su quell’insieme unitario di
caratteristiche distintive (la “forma”, appunto) che definisce ciascun essere vivente come
appartenente a una data specie, distinguendolo dagli esseri viventi (zw'nta) appartenenti a
specie diverse, e al contempo da tutti i non viventi. Tali caratteristiche vengono da
Aristotele concepite come altrettante dunavmei" (“capacità”, “potenze”, “facoltà”: p.e. la
capacità di nutrirsi, quella di riprodursi, quella di percepire etc.), ciascuna delle quali può
essere descritta come una “parte dell’anima” (movrion th'" yuch'"). Tre parti dell’anima
(tre facoltà del vivente) sono particolarmente importanti, perché sulla loro gerarchia si
fonda, secondo Aristotele, la classificazione dei viventi in piante (futav) e animali (zw/'a),
nonché la distinzione tra gli esseri umani e tutti gli altri animali. Queste tre facoltà sono: (a)
la facoltà di assimilare il nutrimento (duvnami" qreptikhv, qreptikovn), (b) quella di sentire
o percepire (aijsqhtikovn), (c) quella di pensare (nohtikovn). Di queste tre facoltà, alle piante
appartiene solo la prima, il possesso della seconda è costitutivo del genere degli animali,
mentre la terza è – tra gli enti corruttibili (fqartav) – di esclusiva pertinenza della specie
umana. Il qreptikovn, l’aijsqhtikovn e il nohtikovn costituiscono tre diversi ‘livelli’
dell’organizzazione funzionale del vivente (la yuchv), gerarchicamente ordinati secondo una
scala naturae di crescente complessità, in cui il possesso di un livello da parte di un essere
vivente è condizione necessaria (ma non sufficiente) per il possesso dei livelli successivi: il
qreptikovn può esistere separatamente dall’aijsqhtikovn e dal nohtikovn; l’aijsqhtikovn può
esistere separatamente dal nohtikovn, ma non dal qreptikovn; il nohtikovn – se limitiamo la
nostra osservazione agli enti corruttibili – non può esistere separatamente dall’aijsqhtikovn,
e dunque neppure dal qreptikovn. La strutturazione gerarchica di queste tre facoltà permette
di classificare tutte le altre dunavmei", verificandone la pertinenza all’uno o all’altro ‘livello’
della yuchv: è in questo senso che Aristotele identifica p.e. il fantastikovn (la facoltà
preposta alla fantasiva) con l’aijsqhtikovn (cfr. infra § 1.2).
2
Il termine fantastikovn compare in An. G 9, 432a31, Ins. 1, 458b30 e Ins. 2, 459a16.
to; fantastikovn è la facoltà o capacità (duvnami") correlativa alla fantasiva intesa come
atto (ejnevrgeia). Spesso però Aristotele usa fantasiva per denotare indistintamente l’atto e
3
manifestazioni vitali che, pur distinguendosi dalla sensazione
3
, possono
comunque venire spiegate a partire da questa, senza che si debba postulare
l’intervento di quel nou'" (“pensiero”, “intelletto”) il cui possesso costituisce
la differenza specifica degli esseri umani rispetto a tutti gli altri animali. La
fantasiva è infatti definita come un “movimento generato dalla sensazione
la facoltà, o addirittura la sola facoltà (p.e. in An. G 3, 428a1-4); lo stesso accade con
ai[sqhsi", che talvolta designa to; aijsqhtikovn (la facoltà), altre volte to; aijsqavnesqai
(l’atto), altre volte ancora entrambi. I termini utilizzati da Aristotele per indicare le facoltà
del vivente sono in origine aggettivi, poi sostantivati: aijsqhtikov"/-hv/-ovn significa anzitutto
“relativo alla percezione”, “dotato di percezione”, “percettivo”: da qui si passa a to;
aijsqhtikovn (neutro sostantivato), che sarà dunque “ciò che è relativo alla percezione”, “ciò
che è dotato di percezione”, “ciò che è percettivo”. D’altra parte l’aggettivo neutro
sostantivato può, in greco, designare sia una cosa dotata di una certa proprietà, sia la
proprietà stessa di cui è dotata la cosa: quindi to; aijsqhtikovn può denotare sia l’animale
(l’entità dotata di percezione), sia quell’aspetto dell’animale che fa sì che di esso si possa
dire che è dotato di percezione. È proprio quest’ultima possibilità che Aristotele sfrutta nel
creare la terminologia relativa alle facoltà. L’uso originario (aggettivale-predicativo) di
simili termini si può ancora cogliere in frasi come questa: h/| ojrektiko;n to; zw'/on, tauvth/
eJautou' kinhtikovn (An. G 10, 433b27-28: “in quanto l’animale è capace di desiderio
[o[rexi"], in tanto è capace di muovere se stesso”).
3
Nel rendere la parola greca ai[sqhsi" farò uso di “sensazione” e “percezione” come di
due termini del tutto equivalenti. In modo altrettanto indifferente mi servirò di “sentire” e
“percepire” nella resa del verbo aijsqavnesqai, e di “sensitivo” e “percettivo” in quella
dell’aggettivo aijsqhtikov". Si tratta ovviamente di una soluzione di comodo: in realtà il
concetto aristotelico di ai[sqhsi" non coincide integralmente né con il nostro concetto di
“sensazione” né con quello di “percezione”. Nota a questo proposito C.H. Kahn: “We are
not here concerned with what James calls the perception of ‘things’, something more
complex and intellectual than mere sensation. [...] On the other hand, Aristotle’s aisthêsis is
not quite the modern notion of sensation. The problem as Aristotle poses it concerns
neither the immediate data of consciousness (e.g. what are called ‘sense data’ or ‘raw
feels’) nor the perceptions we have of our own body, but, properly speaking, any capacity
possessed by living animals for obtaining information concerning the outside world – for
entering into contact with, and hence responding to, their food, their enemies, their mates,
their offspring. [...] In general, Aristotle thinks of sensation as external and ‘intentional’, as
directed towards an object outside the sentient body itself” (1966, 1979, p. 3).
4
in atto”
4
. È una naturale conseguenza di questa definizione che il
fantastikovn venga in ultima analisi identificato con la facoltà percettiva,
dalla quale si distinguerebbe soltanto per “l’essere”
5
: ciò significa che i
termini aijsqhtikovn e fantastikovn designano due diversi aspetti della
medesima realtà, e che le attività proprie del fantastikovn sono di fatto
attività dell’aijsqhtikovn qua fantastikovn
6
.
In tal modo Aristotele salvaguarda la possibilità di attribuire la fantasiva
anche ad animali diversi dall’uomo, possibilità che invece Platone si era
preclusa caratterizzando la fantasiva come una “commistione di sensazione
e opinione”
7
, e dunque considerando insito nella fantasiva un elemento di
giudizio razionale (l’opinione, appunto). Qualificando la fantasiva come un
atto della sola facoltà percettiva, Aristotele può al contrario sostenere che
essa, pur costituendo nell’uomo un fattore indispensabile al prodursi di tutte
le attività proprie della facoltà intellettiva (nohtikovn), non è però a sua volta
una di tali attività. Il fantastikovn e il nohtikovn sono per lui due
sovrapposti livelli dell’organizzazione funzionale del vivente (l’anima): il
possesso del primo è un necessario presupposto per il possesso del secondo,
ma il possesso di quest’ultimo non è a sua volta necessario per il possesso di
quello. Certo, nell’essere umano queste due “parti” dell’anima coesistono e
cooperano; ma l’identificazione del fantastikovn con l’aijsqhtikovn
4
kivnhsi" uJpo; th'" aijsqhvsew" th'" kat’ejnevrgeian gignomevnh (An. G 3, 429a1-2).
5
Ins. 1, 459a15-17: e[sti me;n to; aujto; tw/' aijsqhtikw/' to; fantastikovn, to; d’
ei\nai fantastikw'/ kai; aijsqhtikw'/ e{teron (“la facoltà preposta alla fantasiva è identica
alla facoltà percettiva, ma l’essere della facoltà preposta alla fantasiva e della facoltà
percettiva è diverso”).
6
Cfr. p.e. Ins. 1, 459a20-21: fanero;n o{ti tou' aijsqhtikou' mevn ejsti to;
ejnupniavzein, touvtou d’ h/| fantastikovn (“è chiaro che il sognare è sì un atto della facoltà
percettiva, ma di questa in quanto è preposta alla fantasiva”). Come vedremo, il sogno è
per Aristotele il caso più tipico di attività del fantastikovn.
7
suvmmeixi" aijsqhvsew" kai; dovxh" (Soph. 264b2).
5
garantisce alla fantasiva lo statuto di oggetto autonomo d’indagine,
indipendentemente dal suo coinvolgimento nelle attività del nohtikovn.
Non rientra perciò tra gli obiettivi di questa ricerca una ricostruzione
completa e sistematica delle complesse interazioni tra fantasiva e intelletto
individuate da Aristotele. Il ruolo svolto dal fantastikovn quale concausa
(condizione necessaria, ma non sufficiente) delle svariate attività
dell’intelletto umano, verrà qui trattato solo tangenzialmente
8
: cioè solo
nella misura in cui le annotazioni del filosofo relative a questo ruolo
forniscano eventuali indizi utili alla determinazione della natura della
fantasiva stessa. È invece il concetto di aijsqhtikovn – di una facoltà
percettiva comune a tutti gli animali, distinta e indipendente da quella
intellettiva, e articolata a sua volta in una molteplicità di funzioni particolari
– a costituire il quadro di riferimento all’interno del quale è necessario
collocare il pensiero di Aristotele sulla fantasiva.
1.3. È in effetti impossibile ottenere una comprensione adeguata di
questo pensiero, senza tener conto delle molteplici relazioni che secondo il
filosofo la fantasiva intrattiene con le altre attività proprie della facoltà
percettiva. Invano si cercherebbe, nel corpus, una trattazione sulla
fantasiva che non intrecci lo studio di questa funzione a notazioni più o
meno complicate sulle altre manifestazioni vitali che fanno capo
all’aijsqhtikovn. Lo studioso è perciò immediatamente costretto, dalla natura
stessa del materiale a sua disposizione, a collocare la fantasiva in un
contesto più ampio. Questa circostanza non è a mio avviso frutto del caso:
non dipende cioè da un’accidentale giustapposizione, a opera di Aristotele o
di qualche redattore successivo, di frammenti autonomi e annotazioni sparse
che potrebbero interpretarsi anche separatamente dal contesto in cui sono
venute a trovarsi; ma è, al contrario, il segno più evidente della tendenza
8
Una discussione dettagliata di questo argomento è reperibile in Wedin 1988 (cfr. in
particolare il cap. IV: pp. 100-159)
6
aristotelica a concepire la natura dell’animale come un’unità, le cui singole
funzioni possono venire adeguatamente comprese solo rapportandole al
tutto di cui fanno parte.
L’interprete non può dunque limitarsi a fornire un’analisi del rapporto tra
fantasiva e ai[sqhsi", quale lo si trova posto dalla definizione che
identifica la fantasiva con un “movimento generato dalla sensazione in
atto”. È infatti del tutto assente da tale definizione una considerazione del
ruolo svolto dalla fantasiva nel funzionamento dell’organismo. La
definizione si limita a esprimere un’ipotesi circa la natura della fantasiva;
compito dell’interprete è anche mostrare in che modo Aristotele si serve di
questa ipotesi nel tentativo di spiegare le varie manifestazioni della vita
dell’animale: si tratta cioè di vedere in che modo questo “movimento
generato dalla sensazione in atto” interagisce con le altre funzioni
dell’aijsqhtikovn, contribuendo al prodursi di quei fenomeni vitali la cui
spiegazione costituiva appunto lo scopo per cui l’ipotesi è stata formulata.
Sono una volta che sia stata esibita la natura di tali interazioni, la ricerca
potrà effettivamente considerarsi conclusa.
1.4. È stato spesso osservato come le opere di Aristotele non esibiscano
affatto quella struttura rigorosamente dimostrativa che i Secondi analitici
raccomandano come la forma propria della conoscenza scientifica
(ejpisthvmh): il momento della sistemazione del sapere in forma apodittica,
ove non sia del tutto trascurato, è comunque posto nettamente in secondo
piano rispetto al momento, ad esso preliminare, della ricerca delle
definizioni (oJrismoiv) e dei princìpi (ajrcaiv) sui quali dovrebbero fondarsi le
dimostrazioni (ajpodeivxei") relative agli oggetti di volta in volta considerati.
In questo tipo di indagini il punto di partenza è sempre costituito da quella
cognizione pre-filosofica e pre-scientifica dell’oggetto, che Aristotele
spesso chiama “esperienza” (ejmpeiriva), e che si caratterizza come
apprensione o coglimento dei fenomeni (fainovmena) relativi al campo
7
d’indagine in questione
9
. I fainovmena di cui Aristotele rivendica
l’importanza in sede metodica, non sono soltanto i dati reperiti mediante
l’osservazione diretta (fainovmena kata; th;n ai[sqhsin
10
), ma anche gli
e[ndoxa, che i Topici descrivono come il punto di partenza appropriato per le
argomentazioni dialettiche
11
. Secondo la definizione posta all’inizio dei
Topici, e[ndoxon è ciò che è ammesso
“da tutti, o dai più, o dai sapienti; e tra
questi, o da tutti, o dai più, o dai più conosciuti e illustri”
12
. Sviluppando
questa definizione, risulta che argomentare a partire dagli e[ndoxa vuol dire
argomentare a partire dalle opinioni condivise dalla maggioranza, o dalle
opinioni di quegli individui la cui autorità è riconosciuta dalla
maggioranza
13
. Sebbene sia molto difficile ritrovare nel linguaggio di
9
Per l’equivalenza tra ejmpeiriva e coglimento dei fainovmena, cfr. p.e. APr. A 30,
46a19-21. Il problema del ruolo attribuito all’ejmpeiriva e ai fainovmena nel pensiero di
Aristotele è stato affrontato in maniera sistematica da M.C. Nussbaum (1986, 1996, pp.
455-493): la studiosa americana tenta appunto di ricostruire quella “teoria generale dei
phainomena e del loro ruolo” (ibid., p. 488, n. 11) che a suo avviso Aristotele assumerebbe
come fondamento metodologico in tutte le sue indagini. Per una critica della sua
interpretazione, cfr. i brevi ma sensati rilievi di Lefebvre (1992, pp.41-45).
10
Per l’uso di questa espressione, cfr. p.e. Cael. G 4, 303a22-23 e 7, 306a16-17.
11
Sull’appartenenza degli e[ndoxa all’ambito dei fainovmena rilevanti per la costituzione
del sapere scientifico e filosofico, cfr. l’ormai classico articolo di Owen (1961, 1975). Per
una succinta discussione del ruolo della dialettica nella prassi teoretica di Aristotele, cfr.
Weil 1951, 1975.
12
Top. A 1, 100b21-23: e[ndoxa de; ta; dokou'nta pa'sin h] toi'" pleivstoi" h] toi'"
sofoi'", kai; touvtoi" h] pa'sin h] toi'" pleivstoi" h] toi'" mavlista gnwrivmoi" kai;
ejndovxoi". Nella lingua del IV sec. a.C. faivnomai può ormai ricoprire tutte le funzioni
proprie dell’uso intransitivo di dokevw: è per questo che Aristotele può usare fainovmena
indistintamente, per riferirsi sia agli e[ndoxa (= ta; dokou'nta pa'sin ktl.) che ai
fainovmena kata; th;n ai[sqhsin.
13
dovxa vale in greco sia “opinione” sia “fama”. Da dovxa, nel senso di “fama”, deriva
l’aggettivo e[ndoxo"/-on, il cui significato è “famoso”, “illustre”, “celebre”, “rinomato” (cfr.
p.e. Platone, Soph. 223b5; Senofonte, Mem. I, 2, 56; III, 5, 1). Perché qualcuno sia celebre
e rinomato come “sapiente”, bisogna evidentemente che la maggioranza gli riconosca una
qualche “sapienza”, e cioè una qualche autorità a stabilire cosa è vero e cosa è falso, cosa è
8
Aristotele un termine corrispondente all’italiano “tradizione”, l’importanza
da lui attribuita a questo tipo di pratica argomentativa è, di fatto,
un’importanza attribuita al radicamento del filosofo nella tradizione
culturale e intellettuale nella quale è cresciuto - in cui cioè si è formata la
sua e{xi" speculativa - e di cui perciò si trova a essere l’erede
14
. L’analisi
degli usi linguistici, nei quali si trovano depositate le credenze condivise
dalla comunità e le esperienze accumulate nel corso della sua storia
15
, e la
discussione delle teorie dei predecessori più autorevoli – esercizio dialettico
con cui si aprono quasi tutte le trattazioni del corpus – costituiscono in
effetti le due vie attraverso le quali Aristotele tenta di riappropriarsi di
quanto di buono poteva trovarsi nei concetti elaborati, riguardo a un dato
argomento, da una tradizione sentita come punto di riferimento
irrinunciabile
16
. Egli confida che in ogni uomo sia insita una naturale,
ancorché imperfetta, attitudine al coglimento della verità
17
: è perciò
nell’ambito delle opinioni tràdite (nell’ambito cioè di quelle opinioni alle
reale e cosa non lo è: oiJ mavlista e[ndoxoi tra i sapienti saranno perciò gli individui che
presso la maggioranza godono in maggior misura di tale autorità.
14
Sul pensiero di Aristotele circa il rapporto tra pratica filosofica e tradizione, cfr. p.e.
Metaph. a 1, 993b11-19.
15
Perciò ta; e[ndoxa sono anche ta; legovmena (cfr. EN. H 2, 1145b20): il linguaggio è
infatti il mezzo naturale di quella trasmissione, selezione e condivisione delle esperienze,
che permette l’assurgere di alcune di esse al rango di e[ndoxon, e di alcuni uomini al rango
di e[ndoxoi.
16
“Topics [...] is the scientific technique by which we can examine any thesis that may
be propounded. Such a thesis is probable or plausible by virtue of its position in the
intellectual life of the community; but it is scientifically demonstrable by virtue of a topical
examination. Topics [...] is a technique for extracting truth from current discourse - or
rather for eliminating falsehood; and it works from that pre-existing knowledge whitout
which, in Aristotle’s view, no science is even conceivable” (Weil, op. cit., p. 97, corsivo
mio). Cfr. Apo. A 1, 71a1-2: pa'sa didaskaliva kai; pa'sa mavqhsi" dianohtikh; ejk
prou>parcouvsh" givnetai gnwvsew" (“ogni insegnamento ed ogni apprendimento
intellettuale nasce da una conoscenza preesistente”).
17
Cfr. Metaph. a 1, 993a30-b7.
9
quali ogni uomo riconosce una qualche autorità) che devono a suo avviso
ritrovarsi i fondamenti del sapere, per mezzo di un esame rigoroso, condotto
secondo le regole della dialettica, che purghi tali opinioni da quanto vi è in
esse di contraddittorio o di confuso.
È quindi necessario, anche riguardo alla fantasiva, determinare quali
siano i punti di partenza storicamente dati dai quali Aristotele, secondo i
dettami del suo metodo, muove alla ricerca della definizione. Nel far ciò,
non possiamo limitarci a confidare nell’eventualità che sia il filosofo stesso
a rivelarceli: rischieremmo in tal modo di lasciarci sfuggire quelle allusioni
che, per il fatto di essere implicite nell’uso di una singola parola o di una
singola particolare locuzione, inevitabilmente sfuggono a chi non si trovi
già a conoscenza dell’e[ndoxon o legovmenon al quale Aristotele allude.
Proprio un’allusione di questo tipo svolge un ruolo fondamentale nella
trattazione in An. G 3 che si conclude con la già ricordata definizione della
fantasiva come “movimento generato dalla sensazione in atto”. Al
momento di specificare quale sia l’entità che intende definire, Aristotele
distingue (428a1-2) tra la fantasiva “per la quale diciamo che in noi si
genera un favntasma” (kaq’ h}n levgomen favntasmav ti hJmi'n givgnesqai),
e ciò che invece si può chiamare fantasiva solo “per estensione” o “per
traslato” (kata; metaforavn). Quest’uso metaforico del termine viene
lasciato da parte come non pertinente alla trattazione, mentre la fantasiva
“per la quale diciamo che in noi si genera un favntasma” è l’entità che il
filosofo tenta di definire nel prosieguo del capitolo
18
. Tutto il significato
della trattazione che poi sfocerà nell’oJrismov" di 429a1-2 dipende perciò dal
significato assunto da favntasma nell’uso linguistico cui Aristotele si
riferisce in 428a1-2 con le parole kaq’ h{n levgomen favntasmav ti hJmi'n
18
D’ora in poi per fantasiva si intenderà – salvo esplicita indicazione contraria – la
fantasiva intesa in senso proprio, quella “per la quale diciamo che in noi si genera un
favntasma”.
10
givgnesqai
19
. Quale sia però questo significato, il filosofo non lo dichiara, né
qui né altrove. Né d’altra parte è possibile stabilirlo soltanto sulla base dei
19
Scrive Schofield (1978, pp. 119-120): “notice that fantasiva is not stated to be the
faculty in virtue of which fantavsmata occur to us, but that in virtue of which we say that
a favntasma occurs to us. I take Aristotle to be intending by this formuls to distinguish
cases of fantasiva by the linguistic behaviour they prompt. [...] Aristotle’s choice of this
linguistic criterion as the working guideline for his investigation of the connection or want
of connection between fantasiva and other faculties of the soul, perception, belief,
knowledge, etc., is one of the most impressive features of his treatment of imagination [int.
fantasiva: cfr. infra §§ 2.3.2]. It provides a particularly clear and arresting testimony to his
enthusiasm for philosophizing on the basis of e[ndoxa, of course”. L’ultima di queste
asserzioni è indubbiamente vera, ma per il resto Schofield è alquanto impreciso: sarebbe
stato meglio dire non che Aristotele propone di distinguere le manifestazioni della
fantasiva da quelle degli altri kritikav sulla base del comportamento linguistico al quale
danno luogo, bensì che egli assume come punto di partenza della sua indagine sulla
fantasiva gli usi linguistici ad essa relativi. A questo riguardo Schofield commette un
grave errore di prospettiva: “in attempting to say what makes imagination different from
sense perception or belief Aristotle steers clear of two opposite but equally fruitless modes
of differentiation, with which he was nonetheless familiar. He does not make the distinction
between imagination and perception in physical or physiological terms; [...] Nor, on the
other hand, does Aristotle adopt the procedure associated with Hume, of reflecting on the
presence of sensory features in imaging, and then attempting to give an account, based on
introspection, of the difference in sensory quality between imaging and perception. He had
one defined fantasiva as a sort of weak perception, in the early Rhetoric [A 11, 1370a28];
but that approach has been abandoned by the time of De anima. Instead he opts firmly for
behavioural criteria. [...] And he divines that linguistic behaviour is of fundamental
importance” (op. cit., p. 120). In realtà Aristotele definisce la fantasiva nel De anima non
certo in termini comportamentistici, ma in termini strettamente fisiologici (429a1-2),
fornendone per altro una caratterizzazione molto simile a quella fornita nel passo della
Retorica menzionato da Schofield (cfr. infra § 1.5). La frase kaq’ h} levgomen favntasmav
ti hJmi'n givgnesqai, per un verso non è una definizione della fantasiva; per un altro verso,
se correttamente contestualizzata, essa significa soltanto questo: ‘ci capita talvolta di dire
che favntasmav ti givgnetai tiniv; la fantasiva è la facoltà responsabile dei fenomeni cui
ci riferiamo facendo uso di espressioni siffatte’. In altre parole, Aristotele non dice che è
natura della fantasiva dar luogo a un certo tipo di comportamento linguistico, e che perciò
11
suoi testi: egli parla sì diffusamente della natura del favntasma anche
lontano da G 3
20
(ad esempio nel De insomniis); ma è assai difficile trovare
un luogo in cui l’uso di questa parola da parte di Aristotele non sia già
compromesso con la particolare teoria circa la natura dei fantavsmata e
della fantasiva che egli propone sotto forma di definizione alla fine di
questo capitolo del De anima. Per noi è invece di cruciale importanza –
proprio per comprendere adeguatamente la struttura argomentativa che
porta Aristotele a proporre questa teoria e questa definizione – conoscere
l’uso di favntasma che il filosofo assume in 428a1-2 come punto di
partenza del suo discorso.
È ovvio, quindi, che non si potrà fare a meno di esaminare le occorrenze
di favntasma e di fantasiva nella letteratura greca del V e IV secolo a.C.,
allo scopo di determinare quale fosse l’ontologia implicita nell’uso di questi
due termini. Proprio la giustificazione (ed eventualmente la correzione) di
tale ontologia costituisce in effetti lo scopo che Aristotele – in accordo con
la sua generale concezione del rapporto tra prassi teoretica e tradizione – si
prefigge nel formulare la sua teoria sulla natura di queste entità.
1.5. Da tutto quanto si è detto finora, risulta chiaramente come una
ricerca sul concetto aristotelico di fantasiva che si pretenda perfettamente
conclusa dovrebbe prefiggersi quattro obiettivi fondamentali. Essi sono,
nell’ordine: (1) un quadro dell’evidenza linguistica e doxastica (legovmena,
e[ndoxa) di cui Aristotele dovette presumibilmente tener conto nella sua
indagine sulla fantasiva; (2) un esame del procedimento dialettico seguito
i singoli casi di fantasiva devono essere individuati sulla base del comportamento
linguistico cui danno luogo: si limita a registrare l’esistenza di un uso linguistico, e a
notificare che la facoltà responsabile dei fenomeni cui in tal modo si fa riferimento è la
fantasiva; si chiede perciò quale sia la natura di tale facoltà, e al termine della ricerca ne
fornisce una definizione in termini fisiologici.
20
D’ora in poi, quando menzionerò un libro di Aristotele enunciandone solo la lettera
d’ordine - A, B, G -, si intenderà A, B o G del De anima.
12
dal filosofo nel porre la definizione della fantasiva; (3) un’analisi del
significato della definizione stessa; (4) una valutazione della sua
adeguatezza allo scopo che Aristotele nel formularla si prefiggeva. I limiti
di spazio connaturati alla struttura del presente lavoro fanno sì che in esso si
potranno affrontare direttamente ed estesamente soltanto i primi due punti;
riguardo al terzo e al quarto ci si dovrà invece limitare a quelle anticipazioni
e a quegli spunti che – occasionati dallo svolgimento del discorso attinente
ai punti 1 e 2 – risulterà di volta in volta possibile fare anche al di fuori di
una trattazione compiuta e sistematica dei punti 3 e 4.
La definizione in questione è la già più volte ricordata definizione di G 3,
429a1-2, secondo la quale la fantasiva sarebbe una kivnhsi" uJpo; th'"
aijsqhvsew" th'" kat’ejnevrgeian gignomevnh: un “movimento generato
dalla sensazione in atto”. È questa in effetti l’unica vera definizione della
fantasiva che si registri nel corpus
21
. La formula di Rh. A 11, 1370a28, hJ
de; fantasiva ejsti;n ai[sqhsiv" ti" ajsqhnhv" (“la fantasiva è una sorta di
sensazione indebolita”), pur sovente scambiata per una definizione, non può
in alcun modo aspirare a questo titolo; e ciò a causa dell’indeterminatezza
conferitale dal ti", che accenna a dei caratteri della fantasiva di cui un
vero e proprio oJrismov" dovrebbe tener conto, ma che qui vengono lasciati
cadere come non pertinenti al contesto
22
. Argomento di questo capitolo
21
Cfr. Bonitz, Index Aristotelicus (d’ora in poi “IA.”) alle voci fantasiva, favntasma,
fantastikov".
22
La traduzione di Plebe (1961: “l’immaginazione è una sensazione debole”) e quella di
Dorati (1996: “l’immaginazione è una sensazione indebolita”) sono fuorvianti. Anche
prescindendo dalla questione dell’adeguatezza della scelta (a mio avviso molto discutibile)
di rendere fantasiva con “immaginazione”, vi è comunque da rilevare che le traduzioni in
questione hanno tutta l’aria di voler suggerire che la fantasiva è nient’altro che una
sensazione debole o indebolita (cfr. la celebre definizione di Hobbes “IMAGINATION
therefore is nothing but decaying sense”: Leviathan 1, II, [5], Tuck ed.); di modo che
qualunque sensazione “debole” o “indebolita” (qualunque cosa questi aggettivi vogliano
dire) potrebbe a buon diritto chiamarsi fantasiva. Nulla ci costringe ad attribuire ad
Aristotele una definizione così insensata. Non sempre è possibile rendere ti"/ti con
13
della Retorica sono infatti il piacevole e il doloroso: la fantasiva vi viene
introdotta solo per spiegare come mai chi ricorda e spera provi piacere, e
non costituisce un centro d’interesse di per sé. La formula di An. G 3, posta
alla fine di una trattazione esplicitamente dedicata al problema
23
, rimane
“un/una”: l’uso del pronome indefinito greco comporta assai spesso (e particolarmente
nell’usus di Aristotele) una sfumatura d’incertezza, che l’articolo indeterminativo italiano
non convoglia nel medesimo grado: quest’ultimo si adatta piuttosto a rendere quei casi in
cui in greco manchi del tutto un articolo o un pronome. Plebe e Dorati, insomma, traducono
come se il ti" non ci fosse, o non avesse alcuna importanza. Ma in questo caso il ti" serve
appunto a escludere che l’espressione ai[sqhsi" ajsqhnhv" venga considerata un adeguato
definiens della fantasiva. Le traduzioni di Freese (1967: “imagination is a weakened
sensation”) e Dofour (1960: “l’imagination est une sensation faible”) presentano lo stesso
difetto riscontrato nelle due traduzioni italiane. Meglio la traduzione di Kennedy (1991):
“imagination is a kind of weak perception”, purché con l’uso di kind non si voglia
intendere che fantasiva è una specie del genere ai[sqhsi". È pur vero che il ti" di
Aristotele, accompagnandosi al nome del genere, ha spesso la funzione di lasciare in
sospeso la determinazione della differenza specifica; tuttavia, se davvero il ti" di 1370a28
avesse questo significato, allora la fantasiva ricadrebbe a pieno titolo sotto il concetto di
ai[sqhsi", come accade per le specie rispetto al genere. È evidente, invece, che il valore di
ti" è qui dubitativo, e indica che la fantasiva può essere chiamata ai[sqhsi" soltanto in
maniera derivativa. Corretta la spiegazione di Watson (1982, p. 103, n. 6): “Rhet. 1370 a 28
says that phantasia is ai[sqhsiv" ti" ajsqhnhv". It is something like aisthesis, aisthesis tis,
like it a movement, but a secondary rather than a primary movement. This approach is
common to the Rhetoric, Parva Naturalia, and De Anima”. È abbastanza chiaro, quindi,
che la formulazione di Rh. A 11, 1370a28, non testimonia di un approccio alla fantasiva
alternativo rispetto a quello di G 3, ma si deve comprendere proprio sulla base della
definizione data in quel capitolo.
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An. G 3, 427b27-29: peri; de; tou' noei'n, ejpei; e{teron tou' aijsqavnesqai, tou'tou
de; to; me;n fantasiva dokei' ei\nai to; de; uJpovlhyi", peri; fantasiva" diorivsanta"
ou{tw peri; qatevrou lektevon (“Quanto al pensare, poiché è diverso dal sentire, e sembra
che ne facciano parte da un lato la fantasiva, dall’altro la uJpovlhyi", bisognerà parlare
della seconda dopo aver determinato la natura della fantasiva”). A questo punto comincia
la trattazione circa le diaforaiv (“differenze”: cfr. MA. 6, 700b20-22) tra la fantasiva e le
altre facoltà cognitive, trattazione che in 428b10 ss. porta alla costituzione di un’ipotesi
esplicativa, e in 429a1-2 finalmente sfocia nella definizione.
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perciò l’unica vera definizione della fantasiva che sia possibile trovare nel
corpus. L’indagine relativa al punto 2 di cui sopra avrà quindi la forma di
un commento, quasi riga per riga, a questo capitolo.
1.6. Nel corso di tale commento si accennerà già, in via preliminare, al
ruolo svolto dalla fantasiva nella vita dell’animale: è infatti a partire da una
precognizione di questo ruolo che il filosofo procede verso la
determinazione della sua essenza. Tale precognizione si fonda in primo
luogo (a) sui fainovmena relativi al campo d’indagine in questione: in questo
caso i fainovmena relativi alla fantasiva, costituiti dagli e[ndoxa o legovmena
di cui si sarà parlato nella prima parte della ricerca; e in secondo luogo (b)
sulle teorie di Aristotele circa la natura della sensazione e del pensiero
discorsivo, nella misura in cui queste teorie chiamano in causa –
esplicitamente o implicitamente – l’esistenza di una funzione psicologica
ancora da definire, intermedia tra la sensazione e il pensiero, dotata di
caratteristiche in larga parte coincidenti con quelle che gli e[ndoxa
attribuivano alla fantasiva, e dunque naturalmente candidata a portare
questo nome. Nel corso di G 3 i concetti di favntasma e fantasiva elaborati
dalla tradizione vengono da Aristotele esaminati criticamente, alla luce del
ruolo che egli – sulla base delle proprie teorie sulla natura del pensiero e
della sensazione – pensa di dover attribuire al givgnesqai dei fantavsmata
nella vita degli esseri senzienti. Scopo del filosofo, nel definire la
fantasiva, è la spiegazione dei fainovmena che abbiano superato l’esame
dialettico condotto nel corso del capitolo: scopo della definizione è, in altre
parole, la giustificazione e la correzione di quella precognizione della natura
della fantasiva, che aveva costituito il punto di partenza per la ricerca della
definizione stessa.