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per i principali settori d’intervento. In questo filone rientrano le svariate pubblicazioni che
tentano di valutare l’efficacia e l’efficienza delle azioni intraprese dalle Fondazioni nel
campo dell’arte e della cultura. Un corpus letterario, autonomo per qualità e dimensioni,
giustificato dall’evidenza che su questo settore ricade la parte più consistente delle
erogazioni. Con più di 488 milioni di Euro (31% del totale) destinati solo nel 2006 al
recupero, alla valorizzazione e alla promozione del patrimonio artist ico e culturale del
nostro Paese, le Fondazioni di origine bancaria possono considerarsi a buon diritto una
sorta di moderne Mecenate.
Nonostante queste premesse, il testo che sottopongo al lettore, oltre a raccogliere e
rivisitare le migliori esperienze esaminate, non ha perso l’originaria pretesa di arricchire di
nuovi elementi la discussione sulle Fondazioni bancarie e offrire ulteriori spunti di
riflessione sul tema.
La mia indagine si è focalizzata, infatti, sull’attività di Pianificazione e Controllo delle
Fondazioni e, in particolare, su come il generico fine di “utilità sociale” possa essere da un
lato declinato in strategie e programmi operativi e, dall’altro, efficacemente misurato e
valutato. Le Fondazioni bancarie, come tutte le aziende non profit, sono prive di quel
“formidabile” indicatore sintetico di risultato che è il reddito. La creazione di valore per
questo tipo di operatori economici difficilmente è percepibile in termini monetari, spesso è
esplicitata da parametri quantitativi, quasi sempre coinvolge fattori di tipo qualitativo. Da
qui, la particolare difficoltà per le Fondazioni a decidere i programmi da svolgere e a
misurare il valore dei servizi resi.
L’utilità sociale prodotta è data dalla capacità di dare risposte concrete e innovative ai
bisogni, espressi o latenti, delle comunità locali di riferimento. Bisogni, che rischiano di
non essere sufficientemente coperti né dalle soluzioni proposte dal mercato né dalle
politiche pubbliche. Le Fondazioni, grazie al loro radicamento nel territorio, si propongono
come interlocutori della collettività, in grado di percepire esigenze e tutelare valori,
mobilitare risorse e favorire l’azione sinergica di attori pubblici e privati, amministrazioni
statali e locali, imprese e associazioni di imprese, università ed enti di ricerca, terzo settore
e non profit.
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Il mio lavoro vuole dunque essere uno sguardo su come programmare, gestire e valutare
queste ambizioni, cercando di offrire valide soluzioni o interessanti alternative. Giudicherà
il lettore se lo sforzo è riuscito e la qualità di questa esposizione sulle Fondazioni di origine
bancaria, oggi più che mai “autonome, per fare”, ma sempre di più inclini a recepire.
Thomas Bastianel
Università Ca’Foscari – Venezia
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INTRODUZIONE
Le Fondazioni di origine bancaria (FOB) sono soggetti non profit, privati e autonomi, che
perseguono esclusivamente scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo
economico. Create all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso, le FOB costituiscono una
peculiarità nel panorama internazionale, sia per il modo in cui sono state create, sia per il
legame con le istituzioni di origine, sia per il sistema di governance e i rapporti con i
“portatori d’interessi” (stakeholder).
La loro nascita è in qualche modo “accidentale”, in quanto conseguenza di un processo
volto a riformare un sistema, quello bancario, estraneo agli obiettivi assegnati alle FOB;
tuttavia la loro natura non è estranea alla natura degli enti dai quali hanno avuto origine.
Va ricordato, infatti, che le originarie Casse di Risparmio, da cui le Fondazioni sono nate,
sorsero agli inizi dell'Ottocento come istituti nei quali convivevano due anime: quella
rivolta all'esercizio del credito e quella rivolta ad effettuare interventi di utilità sociale nei
confronti delle comunità di riferimento.
La trasformazione delle banche da enti pubblici economici a società per azioni ha reso
necessaria l’introduzione di nuovi soggetti, gli “enti conferenti”
2
cui attribuire le quote di
partecipazione. A questi enti fu successivamente dato il nome di “fondazioni bancarie”,
che prima che da una norma deriva da un uso adottato per semplicità nel linguaggio
giornalistico. Col tempo, e in base anche alle indicazioni normative, molte Fondazioni
hanno avviato un processo di dismissione delle partecipazioni di controllo nelle banche
conferitarie, che ha portato in alcuni casi alla totale alienazione delle quote.
Oggi le Fondazioni bancarie sono 88 e possono contare su un patrimonio complessivo,
diversificato per rischio e tipologia, che a valori di mercato è pari a 78 miliardi di euro
3
.
Nel 2006 l’importo totale destinato alle erogazioni ha sfiorato quota 1.6 miliardi, distribuiti
principalmente nei settori della ricerca scientifica, dell’istruzione, dell’arte, della cultura,
dell’assistenza alle categorie sociali più deboli, dello sviluppo del territorio.
Questi risultati sono il frutto di una gestione attenta e dinamica del proprio patrimonio, in
un contesto che solo dopo gli interventi correttivi della Corte Costituzionale – che ha
collocato le Fondazioni di origine bancaria tra i soggetti dell’organizzazione delle libertà
2
Come definito dal glossario ACRI, ente conferente si riferisce a fondazioni di origine bancaria,
comprendendo sia le Fondazioni Casse di Risparmio sia le Fondazioni Istituti di Credito di diritto pubblico
che originavano dallo scorporo ex lege n. 218/90 e relativo decreto attuativo, D.Lgs 20 Novembre 1990 n.
356.
3
Un valore comprensivo del patrimonio contabile (47,1 miliardi secondo l’ultimo rapporto ACRI) e della
differenza tra valore reale e contabile delle partecipazioni immobilizzate
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sociali, e non delle funzioni pubbliche – ha trovato una certa stabilità, ancorché non
definitiva.
La ricostruzione del processo evolutivo di queste figure – innovative per alcuni versi,
certamente di difficile inquadramento nelle categorie generali del diritto – è sinteticamente
illustrata nel primo capitolo del presente lavoro. L’esposizione parte dalle origini storiche
delle Fondazioni e dalle vicende che le hanno viste protagoniste in questi ultimi quindici
anni, per poi addentrarsi nell’analisi della loro composizione patrimoniale e della
problematica, oggi ancora non del tutto superata, delle dismissioni dei pacchetti azionari di
controllo nelle banche conferitarie (o nei gruppi bancari nati dalle loro fusioni). La disputa
sulla natura giuridica delle Fondazioni fa da filo conduttore anche per gli ultimi due punti
trattati nel capitolo: la proposta del Governo di convertire da privilegiate in ordinarie le
azioni detenute dalle FOB nella Cassa Depositi & Prestiti (circa il 30%) e la recente
costituzione della Fondazione per il Sud, avvenuta formalmente nel dicembre del 2006 e
fortemente voluta dall’ACRI (Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio spa).
Definita la natura privata delle Fondazioni di origine bancaria e sottolineato il loro
importante ruolo all’interno del settore non profit italiano, il secondo capitolo si concentra
sulle dinamiche e i processi attraverso cui questo particolare tipo di organizzazioni
definisce finalità e linee strategiche, sviluppa programmi operativi, misura e valuta i
risultati raggiunti. A differenza dell’impresa, infatti, dove il reddito d’esercizio o, più
recentemente, il valore per l’azionista sono indicatori utili del grado di efficacia ed
efficienza raggiunti, le organizzazioni non profit non possono misurare i risultati ottenuti
esclusivamente in termini di redditività, ma devono valutare la propria azione in base a
parametri più soggettivi e sofisticati. L’analisi vuole quindi suggerire da un lato come
orientare le finalità aziendali tenendo conto delle possibili valutazioni dell’output,
dall’altro come misurare i risultati attraverso parametri coerenti, in termini ad esempio di
quantità e qualità di servizi resi o, meglio ancora, attraverso indicatori in grado di
rappresentare il reale contributo dell’azienda al benessere collettivo. La declinazione di
queste analisi al caso specifico delle Fondazioni bancarie è l’oggetto del capitolo
successivo. In particolare verrà sottolineata la trasformazione avvenuta in questi ultimi
anni nel modus operandi delle Fondazioni: abbandonato il ruolo passivo di capitalista
senza progetto (intrappolate nell’immagine di “grandi elemosiniere”, prive di una visione
strategica di lungo periodo e guidate da logiche politiche), sono passate in maniera sempre
crescente allo sviluppo di un’autonoma programmazione capace di offrire – accanto alle
risorse finanziarie – un potenziale di ideazione e progettazione. Questa evoluzione è
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evidente anche nella Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo (quarto capitolo),
che in pochi anni ha saputo passare dalla prevalente (e comune) logica dei “contributi a
pioggia” a una visione strategica più attenta ai bisogni e alle istanze della collettività,
orientata a evitare l’eccessivo frazionamento delle risorse, stimolare la progettualità di enti
locali e organizzazioni non profit, favorire interventi di tipo strutturale e di grande impatto
sociale. In quest’ottica, verranno presi in considerazione solo i progetti più significativi di
tale processo evolutivo, nonché gli effetti prodotti in termini di benefici alla collettività e
sostegno allo sviluppo locale. Il saggio si chiude con uno sguardo al futuro delle
Fondazioni bancarie e la presentazione di alcune idee (nate per svago di mente, ma non
prive di spunti interessanti) sviluppate nella prospettiva di favorire ulteriormente il
riconoscimento delle Fondazioni come veri attori del territorio al servizio della comunità,
innovatori sociali, ed espressione di quella “marcia in più” che, di fatto, possono
rappresentare per il Paese.
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1. NATURA GIURIDICA E FUNZIONE ECONOMICA DELLE
FONDAZIONI BANCARIE: “UNA STORIA SENZA FINE”
“Il caso delle Fondazioni potrebbe rivelarsi uno di quelli
che gli anglosassoni definiscono di serendipity,
cioè, la facoltà di scoprire cose preziose e piacevoli
non ricercate. Spesso infatti nella vita degli uomini,
così come in quella delle istituzioni, il futuro riserva
imprevisti e talora, smentendo ogni previsione più nera,
volge in bene ciò che è nato male.”
1
Non è difficile spiegare i motivi per i quali la vicenda delle fondazioni di origine bancaria è
costantemente sotto i riflettori. Si tratta infatti di una vicenda rilevante per molte e diverse
ragioni. Per l'ammontare delle erogazioni annualmente distribuite, che - oggi, in Italia - fa
delle fondazioni di origine bancaria il più importante strumento non statale di
finanziamento di progetti di utilità sociale autonomamente promossi dalla società civile.
Per la dimensione dei loro patrimoni, che, in un momento di difficoltà finanziaria delle
istituzioni pubbliche, eccita i più disparati progetti su possibili loro impieghi o
riconversioni a sostegno di investimenti pubblici non dotati di adeguati finanziamenti a
carico del bilancio dello Stato. Per il ruolo ancora determinante che alcune di esse
detengono nella configurazione dell'assetto proprietario di molti dei maggiori istituti di
credito italiani, anche quando - in ossequio alla legge - abbiano già provveduto a cedere
una quota consistente delle loro partecipazioni nelle banche conferitarie.
Ma c’è di più. Come nota Bassanini, “le fondazioni bancarie sono situate, strategicamente,
in una terra di confine, investita come nessun altra da questi processi di trasformazione: la
terra dove passa il confine tra pubblico e privato, tra istituzioni e società civile, tra politica
e economia, tra poteri centrali e comunità locali, tra diverse concezioni della democrazia e
dell'organizzazione sociale. Non sorprende dunque che esse siano state e siano tuttora
l'oggetto di uno scontro durissimo, sul terreno politico, legislativo e giurisdizionale, e di
polemiche accanite, che spesso attraversano i maggiori schieramenti politici”.
1
Marcello Clarich - Andrea Pisaneschi ne “Le fondazioni bancarie. Dalla holding creditizia all’ente non
profit”, Bologna, 2001.
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Prima di affrontare la problematica concernente la natura giuridica, ieri, delle Casse di
Risparmio, oggi, delle Fondazioni di origine bancaria appare dunque opportuno
riassumerne la storia, partendo proprio da lì, dove tutto ebbe inizio.
1.1 All’origine delle Fondazioni Bancarie: le prime Casse di Risparmio
C’è chi vede nella nascita e diffusione delle casse di risparmio una diretta conseguenza
dell’Illuminismo, chi le ricollega al tramonto, all’inizio dell’Ottocento, di quelle istituzioni
come le corporazioni che facevano da intermediarie tra Stato e cittadini e che costituivano
una sorta di protezione per gli strati più deboli della società.
Sta di fatto che, sul finire del ’700, le classi agiate, intimorite dal dilagare del pauperismo e
animate da nuovi ideali filantropici, costituirono associazioni di beneficenza dedite alla
promozione del senso della previdenza e del risparmio, attraverso istituti specializzati nella
raccolta del denaro. Fu così che in tutta Europa si ebbe una fiorente nascita di casse di
risparmio (la prima testimonianza ad Amburgo nel 1778), sorte per iniziativa ora di
associazioni benemerite di privati cittadini, ora da religiosi e pie istituzioni, ora per volere
di pubbliche autorità a livello centrale o locale.
A seconda che fossero fondate dalle autorità o da privati cittadini, gli istituti in discorso si
distinsero rispettivamente in Casse a base istituzionale e in Casse a base associativa. Il
primo modello era caratterizzato dal fatto che l’iniziativa e la costituzione partivano
direttamente da entità pubbliche o da altre pie istituzioni che conferivano un fondo di
dotazione e nominavano un consiglio o un comitato di amministrazione. Nelle Casse di
risparmio associazioni, invece, l’iniziativa era assunta da ricchi privati, di solito persone in
vista dell’aristocrazia cittadina, che versavano la propria quota di partecipazione per
fondare la cassa e partecipavano attivamente alla sua vita nella veste di soci riuniti in
assemblea. Circa le ragioni che diedero luogo a queste istituzioni e quelle che erano le loro
originarie finalità, è utile (oltre che affascinante) andare a rileggere, in un italiano d’altri
tempi, il Proemio al Regolamento per l’istituzione della Cassa di Risparmio di Roma,
approvato con Rescritto pontificio del 20 giugno 1836: «(omissis) Pertanto la Carità che
immutabile, come Dio, nel suo principio, (omissis) è sempre operosa e sagace
nell’inventare nuove istituzioni a prò degli uomini, s’avvide che l’operaio medesimo potea
concorrere al proprio bene, quando negli anni della fatica e del guadagno serbato avesse
parte del suo danaro e all’utile lavoro avesse accoppiato il provvido risparmio. Questo
felice pensiero diè origine a quelle istituzioni che si dissero appunto Casse di Risparmio,
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perché il nome significasse chiaramente la cosa; ultime di tempo nella storia della pubblica
Carità (poiché in tutto procedasi a gradi) ma prime e principalissime per importanza.
Alcuni forse non bene intendendo l’opera, si avviarono non essere altrimenti di Carità;
(omissis) ma tutti veggono nelle Casse di Risparmio una novella salutevole applicazione
della Carità, la quale avendo gradatamente prodotto a seconda dei tempi e delle condizioni
sociali, prima gli spedali e gli ospizii, appresso le case di ricovero e di lavoro, poi le scuole
e i conservatorii d’arti per povero; da ultimo suggerì quelle istituzioni che promuovono lo
spirito di preveggenza, si confanno al crescente incivilimento e fortemente lo giovano.
È dunque la Cassa di Risparmio una specie di banca che riceve gratuitamente gli avanzi
ancor più piccoli che fa l’industrioso su’ suoi guadagni, gelosamente glieli serba ed
accresce, dandone un qualche frutto e gli restituisce ad ogni richiesta (omissis)».
2
In un primo periodo, tuttavia, le Casse di Risparmio si connotarono più come opera pia che
come banca. Il fondo di dotazione conferito dai privati sottoscrittori serviva da presupposto
per attivare la raccolta del risparmio e conferire all’iniziativa una certa affidabilità e
credibilità. Chi si rivolgeva alla Cassa, lo faceva con l’intento di accumulare un modesto
capitale cui poter attingere in caso di bisogno. Il tasso di interesse corrisposto costituiva
certo un incentivo, ma contava soprattutto la sicurezza dei depositi. Gli eventuali proventi
di questa attività venivano poi restituiti al territorio sotto forma di interventi di carattere
solidaristico e umanitario.
L’attività propriamente bancaria iniziò nel momento in cui la raccolta del risparmio si
estese al ceto medio. Allo scopo previdenziale per i piccoli risparmiatori, si affiancò (fino a
diventare prevalente) l’incentivo ad impiegare in modo redditizio le disponibilità liquide in
eccesso. Le casse iniziarono allora a investire i risparmi raccolti in operazioni di tipo
finanziario e creditizio, come le anticipazioni su titoli privati, lo sconto di effetti cambiari,
le aperture di credito e, sia pur eccezionalmente, l’acquisto di azioni e obbligazioni di
società commerciali. Nell’arco di pochi decenni, quindi, le Casse di Risparmio si
trasformarono da enti privati di assistenza e beneficenza in istituzioni sempre più simili a
banche.
2
Alla luce del costante dibattito sulle fondazioni bancarie, è curioso osservare come un antico testo sia
foriero di verità più di mille attuali contributi. Sorprendente, se si considera che lo stesso documento contiene
anche “Si formerà una Società di private persone le quali porranno la loro opera e i capitali gratuitamente per
stabilire una Cassa di Risparmio di Roma. [e ancora] Di tutti i modi che potevasi adoperare per la Fondazione
di una Cassa di Risparmio, il migliore è quello che ha già per sé l’esperienza degli altri paesi, si è appunto
una società di privati. Essi avrebbero potuto ragionevolmente esigere un piccolo frutto dal loro capitale, ma
han voluto darlo tutto all’istituzione.” E questo frutto doveva essere destinato ad attività filantropiche.
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La prima disciplina legislativa in materia fu emanata il 12 luglio 1888 con la L. n. 5546,
“Legge Crispi”, che costituiva una sorta di testo unico sulle Casse di Risparmio di origine
associativa e istituzionale e introduceva alcune innovazioni, caratterizzandole come istituti
di credito sotto la vigilanza del Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio, al quale
venivano attribuite nuove e più importanti responsabilità ispettive e di controllo. Attraverso
l’attribuzione della personalità giuridica, e la qualificazione «personale e intrasmissibile»
dello status di socio delle Casse associative, il legislatore ottenne la sottrazione della banca
all’influenza diretta dei fondatori e degli interessi privati. A questa normativa seguì la
Legge n. 6972 del 1890 «sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza» che favorì
il progressivo distacco delle Casse dalle Opere Pie, impose a quest’ultime la personalità
giuridica di diritto pubblico e istituì un sistema di controlli teso a verificare che gli scopi di
assistenza e beneficenza svolti da questi enti fossero in armonia con l’indirizzo generale
della riforma dell’assistenza pubblica
3
.
Alla luce di queste riforme, le Casse di Risparmio si trovarono assoggettate ad un regime
giuridico tipico, che, da un lato le allontanava dal modello originario di istituto
caritatevole, dall’altro poneva le basi per la loro pubblicizzazione. Il nodo della “doppia
anima”, bancaria e assistenziale, non venne tuttavia definitivamente sciolto, e ciò rese
difficile una definizione precisa della loro natura.
1.2 Il XX secolo. Dalla legge bancaria del 1936 alla privatizzazione del
credito
Nel decennio giolittiano le Casse di Risparmio godettero di un periodo di espansione,
venne rispettata la loro indipendenza e non vennero sottoposte ad alcun intervento
normativo, con l’eccezione della L. 9 aprile 1908, n. 174, relativa alla perdita di libretti di
risparmio o di deposito al portatore. Furono questi gli anni in cui le Gazzette Ufficiali, in
applicazione della “Legge Crispi”, pubblicarono una serie di Regi decreti di approvazione
o di modificazione di statuti delle Casse, nonché provvedimenti di scioglimento e
liquidazione.
La proliferazione delle Casse in questo periodo si spiega anche con il fatto che fino alla
prima guerra mondiale non esistevano particolari vincoli normativi alla costituzione di
3
La legge del 1890 si poneva come obiettivo di porre sotto la “protezione” del Governo organismi espressivi
di forze vive della comunità locali, spesso in contrapposizione con l’autorità centrale, a costo di comprimerne
lo sviluppo e alterarne le funzioni. Per i criteri ispiratori della legge sulle opere pie cfr. SPINELLI (a cura di),
Enti di Assistenza ed enti ecclesiastici, Modena, 1983.