5
Tutto il primo capitolo, costituito di un solo paragrafo dedicato
all’espressionismo e ancora solo un paragrafo rivolto alla produzione
successiva, in linea con l’incubo più onirico, si delinea come sostrato
necessario per comprendere il discorso centrale imperniato sul cinema
di David Lynch.
Lungi da qualsiasi pretesa di esaustività e completezza allora, lo
spazio esiguo dedicato a questioni di così ampia portata si profila
condizione necessaria per un simile lavoro di ricerca. Coprire un arco
di tempo così vasto, dagli anni Venti fino ai Settanta, non solo non è
operazione semplice, ma soprattutto non richiede un solo volume per
esaurirne la trattazione. Nostra finalità, invece, sarà quella di tracciare
un itinerario che consenta di sviluppare un discorso coerente in
relazione alle argomentazioni centrali del lavoro.
Insomma: da un lato cercheremo di indagare il background
cinematografico della poetica lynchiana, e dall’altro tenteremo di
inserire la sua opera nel panorama attuale del postmoderno.
6
CAP. I: LE ORIGINI DEL PERTURBANTE
CINEMATOGRAFICO
1. Per una definizione di “Espressionismo”
Definire i caratteri di uno stile cinematografico detto “espressionista”,
si profila impresa ardua, data la concreta impossibilità di stabilire
quali film o quali autori abbia interessato, e vista nondimeno la mole
di materiale storiografico-critico pronta persino a confermarne
l’inesistenza. Sembra chiaro, allora, il motivo per cui a interessarci
sarà, in prima istanza, il sostrato ideologico e culturale della cosiddetta
“avanguardia espressionista”, e solo in un secondo momento, alcuni
film i cui caratteri stilistici, tematici, transnazionali, vedremo
riaffiorare nella produzione cinematografica successiva.
Siamo in Europa, in un’area ad influenza principalmente tedesca. Già
dal 1905 era sorto il movimento pittorico “Die Brücke”, grazie anche
all’opera di Erich Heckel, Ernst Ludwig Kirchner e successivamente
Oskar Kokoschka. I nuovi artisti esprimevano il desiderio di negare,
attraverso la deformazione, il reale fenomenico con lo scopo di
“esprimere” un mondo alterato che fosse l’emanazione di un travaglio
interiore. Sin dagli anni Dieci si erano avvertiti i sintomi di un
cambiamento globale nell’assetto della vita dell’uomo: i primi, più
sensibili catalizzatori di tali cambiamenti, gli artisti, trasponevano
sulla tela una crisi di più vasta portata.
L’industrializzazione alienava l’uomo rendendolo proletario contro il
capitalista sfruttatore, Dio era morto e a dirlo per la prima volta al
mondo era stato, caso strano, un tedesco, Nietzsche; le ultime ricerche
scientifiche dimostravano che la vita di ogni essere umano era legata
all’evoluzione di un animale primordiale. A completare il quadro: la
prima guerra mondiale, in assoluto prima, vera mobilitazione di
masse, unite verso la morte certa. Questo il minimo indispensabile per
comprendere la condizione di spaesamento e confusione esistenziale
avvertita dagli uomini del tempo. Ed è in un panorama come questo,
7
che nasce e si sviluppa il movimento “espressionista”, avanguardia
culturale che presto invade ogni ambito artistico, dalle arti figurative
al teatro, dalla musica alla letteratura, arrivando a lambire anche il
cinema, arte in statu nascendi. Comune agli artisti orbitanti nel
movimento, la volontà di andare oltre natura, di superare la barriera
del sensibile esplorando un possibile altrove. L’uomo espressionista,
infatti, si presenta uomo in crisi, disorientato di fronte a un mondo che
non riconosce, schiacciato da una realtà in continua evoluzione, alla
ricerca continua della sua primigenia essenza, o di un possibile
sostituto del sè. Ma la polemica del movimento non sembra esaurirsi
nei termini di una crisi circoscritta e passeggera: piuttosto, essa
sembra rivolgersi a tutta la cultura “moderna”, alla morale borghese,
alla scienza positivista ottocentesca, a un’intera epoca durata quattro
secoli. L’uomo espressionista, allora, potrebbe essere considerato già
contemporaneo e, in ogni caso, uomo in trasformazione, fermo al
crocevia di epoche conflittuali, non tanto diversamente da quanto
succede all’uomo di oggi. La realtà fenomenica, irriconoscibile e
svuotata di senso, deve essere decostruita, capovolta, artefatta con lo
scopo di esprimere il travaglio esistenziale che questo homo novus
porta dentro di sé.
In un simile contesto, nascono le opere di Kandinski e Franz Marc, e
quelle di Chagall e Kokoschka, mentre in teatro si assiste alle
rappresentazioni di Füchs, Hollaender e Jessner, operanti nella
medesima area centroeuropea. Anche in letteratura, come in pittura e
teatro, si fa strada una spiccata tendenza all’antinaturalismo e
all’astrazione; il linguaggio verbale, così trasformato, “reinventa” la
poesia e la prosa. Franz Kafka, rimane fra i più importanti interpreti e
innovatori letterari del periodo, portavoce di una visione allucinata e
onirica di un reale incomprensibile.
Il termine “espressionismo”, non designando né la realtà storica di una
scuola né di un gruppo uniforme, sembra configurarsi piuttosto come
“una comoda approssimazione” (un minimo comune multiplo), usato
per indicare una serie di caratteri artistici e filosofici. Esso
8
implicherebbe allora, un “atteggiamento metafisico-esistenziale”
1
, un
“momento eterno dello spirito”
2
, usando una terminologia di Paolo
Chiarini, e più in generale diverrebbe il depositario di una crisi di
portata universale: crisi della “soggettività”, o meglio del “soggetto” e
del suo rapporto con il visibile, e crisi della parola come tramite di
questo rapporto (cosa, vedremo, ben rappresentata dal cinema del
periodo che gradualmente sopprime l’elemento verbale).
Di tutta questa ricerca di dati antinaturalistici, rivolta all’espressione
dell’intima lacerazione avvertita dall’uomo contemporaneo, il risultato
è una conflittualità tra forma e contenuto da cui sembra scaturire una
naturale inflessione grottesca. La componente del “macabro” e del
“grottesco”, diventa subito peculiarità di un movimento che,
recuperando i tratti di un antico “romanticismo gotico”, risulta
invischiato irrimediabilmente all’incubo e al “male di vivere” del
presente
3
. La generazione dei nati fra il 1880 e il 1890 dovette
risentire particolarmente del rinnovato clima culturale, esattamente
come i registi dei cosiddetti film espressionisti: F. W. Murnau (1888),
F. Lang (1890), A. Robison (1888), C. Mayer (1894), L. Pick (1886),
P. Leni (1885), R. Wiene (1881), K. H. Martin (1886), nati più o meno
assieme al cinematografo (1895). Pur non avendo fondato una scuola
omogenea, in certi casi dando vita a poetiche personali, brillanti e
originali (Lang e Murnau), in altri esaurendosi in schemi ripetitivi, una
cosa però sembra assodata: da una parte i “registi espressionisti”
risentirono tutti del fervore ideologico insito nel periodo, dall’altra,
cogliendo il nuovo medium in una particolare fase storica, riuscirono a
fondare un modo originale di esprimere l’incubo e il misterioso al
cinema, e cioè attraverso la rielaborazione, nell’interiorità della
visione (das gesicht), dei dati fenomenici e la resa in immagini del
1
Paolo Chiarini, Per una ridefinizione storico-semantica dell’Espressionismo, in Paolo Chiarini,
Antonella Gargano, Roman Vlad (a cura di), Exspressionismus: una enciclopedia
interdisciplinare, Bulzoni, Roma 1986, p. XXX.
2
Ivi, p. XXV.
3
Il “male di vivere” di cui parliamo, si era manifestato già molto tempo prima in pittura, da
quando Cézanne, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, dipingendo per la prima volta lo
spazio curvo e affrancandolo dalle leggi di rappresentazione spazio-temporale, faceva sentire in
modo forte la discrepanza tra io e mondo.
9
“perturbante onirico”, non privo, in alcuni casi, di elementi variamente
bizzarri. Del resto, quello stesso “orrore metafisico”
4
che caratterizza
il movimento espressionista, sembra scaturire anche dai grandi
progressi tecnologici tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del nuovo
secolo, non ultima, l’invenzione del dispositivo cinematografico,
nuova fabbrica di sogni e illusioni.
Come ben scrive Mittner: “L’uomo è staccato dalle cose, privo di
determinazione concreta, quindi privo di nome, di personalità […]. E’
l’uomo nudo (o cosmico o metaforico, in realtà metastorico e quindi
astorico) dell’espressionismo, in cui si riflette anche l’aspetto sociale
della crisi”
5
.
Da un tale, comune punto di partenza ideologico, la forma artistica
assume di volta in volta sembianze diverse: in pittura, il colore
stridente e la pennellata aggressiva, mostreranno l’artificio e il
turbamento dell’artista; in teatro la cosiddetta “recitazione estatica”,
unita alla deformazione di prospettive sceniche e all’esasperazione del
chiaroscuro attraverso le luci, inaugurerà una nuova, ricca stagione
drammatica; in letteratura la sintassi è frantumata, il lessico, non più
soggetto alla canonica distinzione aulico/prosaico, si confonderà con
la lingua comune. Il tempo è sospeso, lo spazio multiforme e
frammentato in base alle differenti prospettive.
L’homo novus dell’espressionismo, scrive ancora Mittner, sarebbe
“suggestionato dalla deformazione gotica che si combina spesso col
turgore barocco”
6
. Punto importante, questo, ai fini del nostro
discorso, l’espressionismo si configura da più parti come una
“scrittura barocca”, intendendo con quest’ultimo termine una
categoria della forma, una particolare morfologia in grado di diventare
anche il “gusto” di un’intera epoca, in contrapposizione al classico
7
.
La poetica espressionista, allora, possiede elementi barocchi nella
4
Ladislao Mittner, L’Espressionismo fra Impressionismo e “Neue Sachlichkeit”: fratture e
continuità, in P. Chiarini, A. Gargano, R. Vlad (a cura di), op. cit., p. 19.
5
Ibidem.
6
L. Mittner, ivi, p. 38.
7
Omar Calabrese espone la teoria di un ritorno in auge di forme barocche nella nostra epoca
contemporanea, all’interno del suo saggio, L’età Neobarocca, Laterza Editori, Bari 1987.
10
misura in cui esaspera violentemente l’espressione (di qualsiasi
materiale sia costituita, parole, pennellate, note musicali, immagini o
quant’altro), “eccita fortemente l’ordinamento del sistema”
8
,
estremizzando ogni dato fenomenico, dalla prospettiva al colore al
contenuto veicolato, e infine sospende il giudizio di valore. Tutta la
produzione cinematografica indagata in questa sede, risulterà
composta a più riprese, secondo questa linea, da elementi variamente
barocchi, consentendoci di tracciare un percorso diacronico che
attraverso la storia del cinema condurrà fino all’opera di Lynch (il cui
lato “barocco”, vedremo, seguirà anche un’altra direzione).
Tornando a noi, abbiamo visto come l’uomo espressionista si presenti
al crocevia di epoche, saturo di “razionalismo moderno” e costretto a
insorgere contro se stesso e il mondo circostante. Proprio questo
aspetto più sociale del movimento, ricollegato al disagio dell’uomo di
fronte al dilagare della tecnologia, è secondo Mittner, l’elemento di
avvicinamento alla “Neue Sachlichkeit” (Nuova Oggettività), corrente
culturale di qualche anno successiva e caratterizzata da un rinnovato
interesse verso il realismo e una più controllata analisi sociale (avrà un
parallelo anche in campo cinematografico).
Eppure quella espressionista, scrive Ferruccio Masini, sembra
identificarsi con “una categoria stilistica metastorica e al tempo stesso
(con) un necessario punto di riferimento in una prospettiva
antropologica ben determinata, quella del “Tardo io”,
dell’ultracivilizzata umanità dei robot e della cibernetica”
9
. Questa
definizione, così ben articolata, sembra contenere tutto ciò cui finora
si è fatto riferimento, e cioè che il fenomeno espressionista, ad un
livello ideologico-culturale, risulti essere:
1) prima emanazione di una poetica che fa esplodere la crisi
dell’uomo moderno, avviandolo verso i problemi della
contemporaneità;
8
Ivi, p. 30.
9
Ferruccio Masini, Espressionismo e “Ausdruckswelt” nella poetica di Gottfried Benn, in P.
Chiarini, A. Gargano, R. Glad (a cura di), op. cit., p. 95.
11
2) padre biologico e spirituale di un linguaggio cinematografico i
cui caratteri stilistici, manifestandosi (anche attraverso gli stessi
autori, vedi Lang) in alcune opere dagli anni Venti in poi,
hanno continuato a esprimere l’ambiguità del suo incubo
perurbante, l’onirismo e la bizzarria delle atmosfere, arrivando
fino a noi, e al cinema di David Lynch.
In questo consiste la straordinaria attualità, il rinnovamento operato a
inizio secolo dall’espressionismo, nella carica visionaria e polemica
che ha riempito di sé la storia successiva, fino ad arrivare a noi, e alla
nostra era da più parti definita postmoderna. Il motivo del sogno,
dell’ebbrezza, dell’allucinazione, dell’es, risponde ad una tensione
verso il dionisiaco, verso l’irrazionalità che segna dall’inizio il
Novecento rispondendo a ben cinque secoli di tentativi razionalizzanti
andati in rovina. Il senso diventa lentamente non-senso, l’umano
disumano, il quotidiano anormale, e tutto questo è unito in
un’inversione di rotta dominata dal caos, dall’assurdo e dal macabro.
“Si può storicamente provare”, dice Giulio Carlo Argan storico
dell’arte, “che l’Espressionismo non ha inventato un linguaggio
figurativo, ma un nuovo modo di comunicazione tra l’arte e il suo
ambiente sociale”
10
. E continua: “Con la parola Espressionismo […] il
processo dell’arte non va dall’esterno all’interno, non è un ricevere;
ma va dall’interno all’esterno; è un dare. L’arte non è più un modo di
conoscere, ma un’azione che si fa e che ovviamente non si esercita
sulla natura ma sugli uomini: è un ponte (Brücke) cioè una
comunicazione”
11
. Il discorso di Argan allarga ulteriormente l’ambito
della nostra riflessione, dimostrando che il vasto sistema della cultura
funzioni come un insieme di vasi comunicanti: la novità
dell’avanguardia espressionista interessa anche la modalità di
ricezione dell’opera d’arte.
10
Giulio Carlo Argan, L’Estetica dell’Espressionismo, in P. Chiarini, A. Gargano, R. Vlad, (a cura
di) in, op. cit., p. 233.
11
Ivi, p. 234.
12
Con l’età moderna, teoricamente iniziata intorno alla metà del
Quattrocento con l’invenzione della stampa a caratteri mobili, dovuta
a Gütenbergh (sistema varato a livello alto dalla prospettiva
albertiana), l’uso prioritario della vista, di un solo organo sensoriale,
aveva predisposto il fruitore a un tipo di “ricezione passiva”
dell’opera. Ma: le scoperte scientifiche a partire dalla metà
dell’Ottocento (l’elettromagnetismo e l’invenzione di una serie di
medium elettromagnetici come radio e telefono), le teorie di Maxwell
e di Einstein, le geometrie non euclidee e le filosofie irrazionaliste
(Bergson e il concetto di “durata”), il capovolgimento di alcune regole
classiche della narrazione letteraria (Joyce) e molto altro ancora,
portarono ad un rivolgimento totale dell’arte e della cultura, con una
progressiva inversione di rotta e il recupero di quelle sensorialità
“addormentate” da secoli (tatto, udito, olfatto). Risultato: nuove
possibilità anche per quel che riguarda le modalità ricettive dello
oggetto artistico. Una nuova tipologia di fruizione in cui per la prima
volta il percipiente risulterebbe coinvolto, attraverso una
partecipazione attiva all’interno del processo di significazione
dell’opera
12
. Quello che Argan sembra sostenere, è che, con
l’espressionismo, chi guarda l’opera ora riesce anche a interagire con
l’oggetto artistico, a riempire quelle forme di un significato compiuto,
intervenendo in prima persona nel processo di significazione. Per
quanto riguarda il discorso cinematografico, si potrebbe continuare
sulla stessa falsariga: e cioè, anche i film cosiddetti espressionisti
sembrerebbero richiedere un intervento pressocchè attivo da parte
dello spettatore, il quale è incaricato di “significare” ciò che vede.
12
Per un discorso più approfondito riguardo le interazioni fra grandi “sistemi culturali”,
rimandiamo a Marshall Mcluhan, The Gütenberg Galaxy. The Making of Typographic man,
University of Toronto Press 1962, trad. it. La galassia Gütenberg: nascita dell’uomo tipografico,
Armando Editore, Roma 1998 (6^ ristampa); M. Mcluhan, Understanding Media: the extensions
of man, Routledge & K. Paul, London 1964, trad. it. Gli strumenti del comunicare, Il saggiatore,
Milano 1967; Renato Barilli, Scienza della cultura e fenomenologia degli stili, Il Mulino, Bologna,
3^ edizione, 1997; E. Panöfsky, La prospettiva come ”forma simbolica”e altri scritti, Feltrinelli,
Milano, 1961 (il saggio risale al 1927); Von Heinrich Wölfflin, Kunstgeschichtliche grunbegriffe:
das problem der stilentwicklung in der neueren kunst, Hugo Bruckmann, München 1923, trad. it.
H. Wölfflin, Concetti fondamentali della storia dell’arte: la formazione dello stile nell’arte
moderna, Longanesi, Milano 1953.
13
Prima di affrontare più da vicino la questione cinematografica, però,
sinteticamente diremo che l’espressionismo, in qualità di movimento
storico-culturale:
1) applica una deformazione a livello formale e linguistico (in
letteratura, arte, teatro e vedremo anche nel cinema). Scardina le
regole sintattiche di ogni ambito artistico ottenendo un effetto di
straniamento spesso in chiave grottesca. In quanto arte barocca,
l’espressionismo si caratterizza per l’accumulazione caotica (o
all’opposto l’astrazione “telegrafica” degli elementi), per il
moltiplicarsi delle prospettive in una tensione continua al “limite” e
all’“eccesso” a livello di struttura, contenuto, ricezione. E’ un’arte
antinaturalistica e antimimetica.
2) è portavoce della crisi che investe l’uomo nell’era
industrializzata. Perdendo la cognizione del sé, egli si inoltra, anche
in seguito alle conseguenze tragiche della guerra, nei territori
perturbanti dell’inconscio, del rimosso, di visioni oniriche di morte e
violenza.
3) a livello ricettivo, l’espressionismo non solo sciocca, provoca e
sconvolge il fruitore, mostrandogli il proprio lato perturbante, ma
sembra consentirgli anche di partecipare attivamente al significato
dell’opera.
Vediamo come tutto questo entri prepotentemente nel cinema.
14
1. 1. L’Espressionismo e il cinema
Rese note le difficoltà legate ad un argomento non poco complesso,
avendo, peraltro, a disposizione un solo paragrafo, non ci rimane che
entrare nel vivo del discorso. Diversi sono gli autori che negli anni
hanno analizzato caratteri e peculiarità dell’espressionismo
cinematografico, a cominciare da chi ne discusse gli effetti sin da
subito (Kurtz
13
), fino ad arrivare alle opere più famose (e criticate)
della Eisner
14
, di Kracauer
15
e di Barbaro
16
. Oltre a questi saggi, una
mole di articoli scritti nei decenni successivi, sui singoli autori o sui
singoli film, e infine i recenti sviluppi, con un riesame della nozione di
“film espressionista”, grazie all’analisi su fonti d’epoca ad opera di
Leonardo Quaresima
17
.
Tralasciando problemi di periodizzazione (l’espressionismo distinto
dal “Kammerspielfilm” o dalla “Neue Sachlichkeit”) e di
interpretazione critica (e. versus “caligarismo”), preferiremo piuttosto
concentrare il discorso su caratteri tematici e stilistici presenti in
questo gruppo di opere, il peculiare linguaggio adottato,
soffermandoci poi sull’eventuale patrimonio lasciato alla produzione
cinematografica successiva.
Gli anni Venti sono ancora anni molto problematici per la nascente
industria cinematografica. Con appena trentacinque anni di vita, il
nuovo dispositivo spettacolare muoveva i primi passi da una parte
verso una desiderata attestazione di artisticità (la “settima arte”
canudiana), dall’altra verso una conferma tecnologica che ammettesse
la sua appartenenza alla categoria dei media.
13
Rudolf Kurtz, Expressionismus und Film, Verlag der Lichtbildbühne, Berlin 1926; trad. it.
L’espressionismo e il film, Longanesi, Milano 1981.
14
L. H. Eisner, Lo schermo demoniaco. Le influenze di Max Reinhardt e dell’espressionismo,
Editori Riuniti, Roma 1991, (1^ edizione del 1952).
15
Sigfried Kracauer, Cinema tedesco. Dal “Gabinetto del dott. Caligari” a Hitler, Mondadori,
Milano 1977; (tit. orig. From Caligari to Hitler. A Psychological History of the German Film, la
1^ edizione è del 1947).
16
Umberto Barbaro, Il cinema tedesco, Editori Riuniti, Roma 1973.
17
Vedi L. Quaresima, Der Expressionismus als filmgattung, in U. Jung e W. Schatzberg (a cura
di), Filmkultur zur zeit der Weimarer Republik, München - London - New York - Paris, Saur 1992;
e vedi L. Quaresima, Il cinema espressionista come “angewandte kunst”, in S. Barron e Wolf-
Dieter Dube (a cura di), Espressionismo tedesco: arte e società, Bompiani, Milano 1997.
15
Il “fenomeno espressionista”
18
al cinema sembra iniziare ufficialmente
a partire dal 1920, con Das Cabinet des Dr Caligari (Il gabinetto del
dottor Calligaris): eppure, tutta una serie di film precedenti aveva
preannunciato quelle stesse atmosfere, la focalizzazione sul visionario
e l’onirico, e persino l’uso della luce mirato alla definizione “emotiva”
dell’ambiente.
La diffusione del movimento artistico espressionista soprattutto in
zona tedesca, aveva permesso anche al cinema di assorbire quelle
stesse istanze innovative provenienti da altri ambiti culturali. Come
sottolinea Quaresima in seguito ad un approfondito lavoro filologico,
il cinema espressionista a partire da Caligari “non ha luogo per
avventura o per iniziativa isolata di giovani artisti”, bensì “nasce come
“programma” preciso, come svolta pianificata dell’industria
cinematografica”. “Il successo del film”, precisa Quaresima, “ […] è
costruito da una campagna promozionale di grandissimo impegno,
fondata proprio sulla novità e la sorpresa dell’incontro tra il cinema e
il movimento espressionista”
19
. Viste le premesse, non rimane che
soffermarsi sulla stimmung di questi film, quella particolare atmosfera
fra il macabro e il grottesco, che sembra aver lasciato traccia di sé in
certa produzione successiva.
Ma ancora un altro punto resta da chiarire, ed è di nuovo l’apporto di
Quaresima a risultare fondamentale: con il cinema espressionista
infatti, assistiamo ad uno dei primi tentativi di unire stilemi e
caratteristiche di un’avanguardia (proveniente dalle arti visive, ma
anche dal teatro), a contaminazioni provenienti dalla cultura
18
Parliamo di fenomeno non potendo parlare né di scuola, perché effettivamente una scuola non
fu, né di corrente, dato che certi film adoperarono solo alcuni degli espedienti espressionisti; altri
ancora sembrano invece seguire una tendenza saltuariamente modaiola. Fenomeno sembrerebbe
allora il termine ideale in quanto accorderebbe numerosi pareri discordanti sull’argomento,
compresa la teoria esposta da Quaresima, sull’espressionismo come “un cinema d’autore diffuso”,
in Modelli d’autore. La figura del “Filmregisseur”e i nuovi standard del cinema di genere:
Berger, Dupont, Frank, May, in G. Spagnoletti (a cura di), Schermi germanici: Ufa 1917–1933,
Marsilio Editori 1993, p. 204. Vedi anche la nozione di cinema espressionista come “angewandte
kunst”, ossia come “arte applicata”, in Il cinema espressionista come “angewandte kunst”, in S.
Barron, Wolf-Dieter Dube (a cura di), op. cit., p. 94.
19
L. Quaresima, Il cinema espressionista come “angewandte kunst”, cit., p. 91.
16
popolare
20
, riportando il tutto all’interno di un medium tecnologico,
ovvero un dispositivo meccanico. L’operazione allora, pur nota come
“svolta pianificata dell’industria cinematografica tedesca”
21
, ben si
confà all’estetica sottesa al movimento stesso, per cui l’artista ricerca
il contatto con le masse mirando utopisticamente all’opera d’arte
totale (gesamtkunstwerk) e quindi alla fusione di ambiti artistici elitari
e non
22
. Insomma, operazione commerciale sì, il cinema
espressionista, tuttavia sempre connotato come originale e
significativo.
Prima infatti dell’esplosione della “moda espressionista”, già alcuni
film svedesi avevano allentato il ritmo della narrazione, eleggendo il
paesaggio naturale a simbolo della tragedia umana, e cercando di
rendere in immagini quell’atmosfera onirica che poco più tardi
caratterizzerà il movimento. Due nomi su tutti emergono, gli svedesi
Victor Sjöström (Körkalen, Il carretto fantasma, 1921, e Vem Dömèr,
La prova del fuoco, 1921) e Mauritz Stiller (Herr Arnes Pengar, Il
tesoro d’Arne, 1919), i quali riescono a trascendere il naturalismo
delle immagini caricandole di simbolismi e particolare stimmung. In
Körkalen, Sjöström utilizza la tecnica del flashback e delle
sovrimpressioni, traendo da antiche leggende contadine una
narrazione fantastica spinta fino al grottesco. Morte, sogno e
allucinazione, uniti a lunghe pause di riflessione, dilatano il ritmo del
racconto e lo rendono simile allo stile tedesco, la cui lentezza sancirà
ben presto un marchio distintivo. Stiller, da parte sua, influenzato
dalle allegorie del classico cinema muto svedese, trasforma in
organico il non-vivente, facendo inconsapevolmente già operazione
espressionistica. Il paesaggio naturale e gli oggetti inanimati in Herr
Arnes Pengar acquistano vita propria, creando immagini
qualitativamente suggestive (la fuga dai ghiacci, il corteo finale), che
20
Ossia rimaneggiando pratiche derivate dalle arti figurative, dal teatro e dalla tradizione
romantica tedesca, Hölderlin, Novalis, Lenau e E. T. A. Hoffmann, e suggestioni mutuate da una
certa cultura mistico–esoterica (Kubin, Meyrinck), assieme a influenze della narrativa
feuilletonistica o di estrazione popolare.
21
L. Quaresima, ivi, p. 91.
22
Concetto esposto da Quaresima, ivi, p. 94.
17
testimoniano il forte talento visionario dell’autore. Tutto questo per
confermare ancora una volta che, operazione pianificata o no, quella
inaugurata da Caligari possiede caratteri stilistici congeniti, radicati
nel dna nordeuropeo, manifestandosi per di più nel cinema (vedi
anche la regione danese di C. T. Dreyer, il quale in questi anni
dirigeva i primi lungometraggi, memore di un’antica tradizione
nordica). Strategia di risollevamento dell’industria cinematografica
tedesca, il fenomeno espressionista appare evidentemente connaturato
in un territorio dove tematiche “perturbanti”, desunte dalla cultura sia
popolare che elitaria, già da tempo contrassegnavano i prodotti
artistici locali, entrando ora anche nell’immagine cinematografica.
Con Der Andere (L’Altro, 1913) di Max Macks, Der Student von
Prag (Lo studente di Praga, 1913) del danese Stellan Rye, Der Golem
und wie er auf die welt kam (Il Golem e come venne al mondo, 1914)
di Paul Wegener in collaborazione con Henry Galeen e S. Rye, e
Homunculus (1916) di Otto Rippert, si apre una nuova stagione per il
cinema tedesco. Questi quattro film, citati da Kracauer
23
come
appartenenti al “periodo arcaico”, esplorando il tema del doppio,
quella zona d’ombra intesa come dualismo innato nell’uomo, si
ispirano anche ad un’antica tradizione letteraria che da Hoffmann
passa per capolavori nazionali (uno per tutti, il Faust di Goethe),
lambendo opere letterarie appartenenti al filone nero-gotico (Edgar
Allan Poe). Nonostante l’uso di una tecnica per molti versi ancora
arcaica, l’esplorazione di tematiche psicanalitiche (allora in voga),
l’ambientazione ora realistica ora fantastica (Der Andere), e l’uso
delle luci in senso connotativo, mostrando talvolta una sconosciuta
profondità di campo (Homunculus), dimostrano come questi film
presentino i prodromi dello stile più tipicamente espressionista.
23
S. Kracauer, op. cit., pp. 29-36. L’analisi di Kracauer, primissimo esempio di “sociologia del
cinema”, riconduce tutto il cinema tedesco, dagli esordi a Weimar, alle disposizioni psicologiche
di un intero popolo, ossia a “quei profondi strati della mentalità collettiva che giacciono più o
meno sotto il livello della coscienza”. Secondo lo studioso, la cinematografia tedesca del periodo
avrebbe lasciato presagire l’avvento di un totalitarismo distruttivo come quello hitleriano.
18
Il retroterra irrazionalistico del nichilismo espressionista, irrompe nel
cinema sancendo la fine del “realismo ontologico”
24
dell’immagine
filmica, per dirla con Bazin, e, mettendo in discussione i rapporti
logici di senso, sceglie per esibirsi la via dell’onirico e soprattutto
della visione, o meglio, del “visionäre”
25
. Tralasciando la diatriba che
distingue film “caligarici” da film propriamente “espressionisti”
(menzionata per esempio da Mitry
26
), sembra invece più proficuo
iniziare un discorso sull’espressionismo cinematografico proprio dal
Caligari di Wiene, opera che sancisce ufficialmente l’esordio del
nuovo stile al cinema. La trama universalmente conosciuta, secondo le
intenzioni, vere o presunte, degli sceneggiatori Janowitz e Mayer
27
,
riguarda un incubo del protagonista Franz, uno squilibrato, il quale
immagina il Dr. Caligari, direttore del manicomio dove egli stesso è
ricoverato, ipnotizzare un sonnambulo (Cesare) e costringerlo a
uccidere. Il film è uno dei primi a introdurre un flashback fasullo o
allucinatorio. Denunciare il regime di falsità o anche solo di ambiguità
dell’immagine cinematografica, che per natura reca in sé le coordinate
della realtà materiale, potrebbe intendersi come operazione orientata
già in direzione meta-linguistica, il che testimonierebbe la rapidità con
cui il linguaggio cinematografico stesse evolvendosi. Inoltre le
scenografie dipinte, che rendono il paesaggio a metà strada tra la
piattezza delle superfici e la tridimensionalità di una prospettiva
infranta in molteplici punti di fuga, rompendo l’equilibrio
dell’immagine e suggerendo allusivamente il caos mentale del
24
André Bazin, Qu’est-ce que le cinéma? I, II, III, IV, Editions du Cerf, Paris 1958, 1959, 1961,
1962, trad. it. Che cosa è il cinema, Garzanti Editore, Milano 2000 (Presentazione, scelta dei testi
e traduzione di Adriano Aprà), p. 3–10.
25
L. Quaresima, Il cinema espressionista come “angewandte kunst”, cit., p. 95, citazione da B.
Balàzs, Der sichtbare mensch, oder die kultur des films, Deutsch – Österreichischer Verlag, Wien–
Leipzig 1924, ora in, Schriften zum film, vol. 1, Der sichtbare mensch. Kritiken und Aufsätze, 1922
– 1926, München, Hanser 1982, p. 93.
26
J. Mitry, Storia del cinema sperimentale, Clueb, Bologna, 2002 (la 1^ edizione è del marzo
1971), p. 52–53.
27
Kracauer, (op. cit., p. 61–78) afferma categoricamente che l’intenzione originaria dei due
sceneggiatori, mostrare la lucidità di Franz e la follia del Dr. Caligari, fosse stata tradita dal regista
Robert Wiene, con lo scopo di adattarsi ai desideri delle masse. In realtà, come sottolinea anche
Morando Morandini nella nota introduttiva al saggio, il Kracauer non esibisce prove
sufficientemente valide a riguardo. La sua tesi, infatti, è dibattuta da Erwin Leiser, L’histoire des
mésaventures de Caligari, in “Bianco e Nero”, n. 9–10, settembre – ottobre 1968, e da Francesco
Savio, Visione privata, Bulzoni ed., Roma 1972.