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Introduzione
Questa tesi ha come oggetto il Festival Oriente Occidente, nato in Trentino negli anni
ottanta, come me. È un festival di danza, ma affonda le sue radici nella ricerca teatrale
degli anni settanta e ottanta, ha un nome semplice, ma ricco di suggestioni e aspettative,
è molto partecipato, ma la sua piena comprensione racchiude molti interrogativi, è folto
di contraddizioni, ma terso di una sua logica intrinseca. Ho scelto questo argomento
ignara di ciò che racchiudeva, con una grande voglia di scoprire il mondo della danza,
aimé dimenticato nel mio corso di studi, e col desiderio di guardare, per una volta, al
luogo dove vivo, dimenticare il consueto desiderio di affrontare la mia miopia
guardando lontano e indagare un evento artistico che è nato e cresciuto al mio fianco,
spesso senza che io lo accettassi a braccia aperte.
L'oggetto d'indagine è circoscritto ai suoi ultimi sei anni di vita, e in questo studio ho
cercato di focalizzare gli aspetti essenziali alla sua comprensione. La danza innanzitutto,
chiave di lettura indispensabile per dare un'identità a questa manifestazione: quale
danza, quali questioni intorno alla danza, e i temi di identità e meticciato che
caratterizzano le pratiche di danza contemporanea presenti al festival. Poi lo spazio,
considerato in molteplici sfumature; a livello teorico/concettuale, lo spazio proprio della
danza, lo spazio turbato, inebriato, rinnegato, esaltato, modificato, plasmato, animato
dalla danza; a livello pratico/operativo, i luoghi propri del festival: dove e come questo
fiume vitale si espande fertilizzando o usurpando la città? Quali i rapporti con e
territorio, di che intensità, e duraturi o effimeri?.
Un'ultima parte è dedicata all'edizione del duemilasei, da me scrutata e partecipata in
una posizione liminale, ma ricca di fertili stimoli e riflessioni. Il mio ruolo, come
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spiegherò nell'introduzione al terzo capitolo, era infatti esterno/interno al festival, ero
osservatrice della manifestazione, ma collaboravo come volontaria all’organizzazione.
La metodologia seguita per realizzare questa tesi è quindi a metà strada tra quella
bibliografica e quella sul campo, infatti uno studio teorico sulla danza del Novecento e
contemporanea (la sua storia, i suoi sogni, lotte, rivoluzioni, riappacificazioni,
espansioni e conquiste) è risultato necessario, oltre che ricco di fascino, per la
successiva partecipazione alla parte spettacolare del festival; allo stesso modo, aiutare i
volontari e gli organizzatori è stato utilissimo per una comprensione più globale
dell'evento, sia per capire cosa stia dietro ad una manifestazione concentrata in dieci
giorni, sia per coglierlo come un qualcosa che vive, che si può toccare, modificare,
organizzare, qualcosa che richiede cura in ogni dettaglio.
La realizzazione di questa tesi è iniziata con delle domande; su consiglio di Roberta
Gandolfi, la mia relatrice, ho elencato tutte le domande (più o meno attinenti) che mi
passavano per la testa e dove e come poter giungere ad una risposta. Queste domande
hanno dato vita alla prima bozza dell'indice, poi modificato più volte fino al
raggiungimento della sua forma attuale: tre capitoli fluidi e definiti nelle loro tematiche,
il primo è dedicato al festival e alla danza, il secondo al festival e alla città e il terzo
all'edizione di quest'anno. Per redigere il primo è stato necessario uno studio personale
della danza, Roberta Gandolfi mi ha indirizzata verso alcuni autori e testi che
affrontavano il tema danza non solo attraverso la storia di questa disciplina, ma
guardando alle domande che questa forma d'arte, presente in ogni società e spesso non
come pura forma artistica, pone e si pone: che cos'è la danza per l'uomo? Come si è
sviluppata e modificata la sua percezione nel tempo e nei luoghi? Partendo da queste
domande è stato possibile insinuarmi nelle questioni brucianti che riguardano la danza
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contemporanea e realizzare una parte della tesi che ne affronta i problemi concettuali e
metodologici, concentrandomi soprattutto sul corpo della danza, le sue tecniche e la sua
determinazione sociale, sull'identità della danza nella sua concezione orientale ed
occidentale, sulle contaminazioni che stanno alla base di questo linguaggio e quindi sui
problemi di internazionalizzazione dei linguaggi artistici e di decontestualizzazione
degli stessi, e infine sulla circolazione delle culture e dei prodotti spettacolari fuori dal
loro luogo d'origine e quindi sui potenziali problemi di comprensione e decodificazione
di uno spettatore nel suo osservare una rappresentazione non appartenente alla sua
cultura.
Da questo studio più generale sono passata alle questioni particolari del festival
cercando di capire, grazie alle programmazioni delle edizioni passate e alle
dichiarazioni dei direttori artistici, quale tipo di danza il festival presenti ed inviti, e il
perché di questa scelta. Ho esplorato i programmi dal 2000 al 2006 cercando dei fili
rossi all'interno delle varie edizioni, scoprendo che la danza presentata al festival è
spesso intrecciata ad altre pratiche quali il teatro, l'architettura, lo sport...
Una volta scoperta questa tendenza si è rivelato interessante indagare l'identità del
festival: cercando di prestare attenzione anche alle sue radici si è giunti con mia
sorpresa all'ipotesi che il tema danza, attualmente centrale nelle programmazioni, sia lo
sviluppo di un'iniziale idea teatrale diffusa negli anni settanta e ottanta, il Terzo Teatro e
il suo modo di guardare al performer. A quest’ipotesi è stato dato il ruolo principe di
aprire la tesi, nel tentativo di presentare il festival partendo dal suo nome e dal suo
sviluppo.
Il secondo capitolo, intitolato Il festival e la città, tratta due relazioni essenziali che il
festival, proprio perché tale, intrattiene con i luoghi. La prima riguarda gli spazi del
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festival, e presenta le due modalità d’interazione che Danza e Festival intrattengono con
lo spazio, quindi da un lato dove si realizza la danza e come essa modifica lo spazio in
cui agisce, lo sconvolge al suo interno. D’altro lato, ho esplorato i rapporti che Oriente
Occidente stabilisce con il territorio, la rete di relazioni che ha creato nel trentino, il suo
confronto con la società, le sue istituzioni e i suoi soggetti costituiti. L'ultimo capitolo,
Narrare un festival, ha la forma del diario narrativo, ed è nato grazie alla possibilità di
osservare il festival dal suo interno. Grazie alla disponibilità dei direttori artistici e della
direttrice organizzativa, e dal desiderio di seguire tutti gli spettacoli nel tentativo di dare
un volto tangibile alle informazioni acquisite in precedenza, ho partecipato al festival
secondo due punti di vista, quello di chi osserva e quello di chi organizza (chiaramente
con mansioni secondarie e di limitata responsabilità): sono stata, di fatto, una
osservatrice partecipante. L'esperienza è stata sconvolgente nel suo svolgersi,
soprattutto per la grande quantità di tempo ed energia che ha richiesto; fruttuosa a
posteriori, per la maggior consapevolezza dell'evento sotto più punti di vista. L'idea
iniziale era di redigere questa parte come un diario di tutte le giornate, dopo questa
esperienza però si è rivelato più proficuo fare una selezione di alcuni percorsi
significativi a livello esperienziale. Ho privilegiato gli artisti che ho avuto modo di
conoscere personalmente e di cui ho guardato le prove, e le compagnie che mi hanno
permesso di partecipare agli stage (proposti dal festival in collaborazione con gli artisti
invitati) come osservatrice. L'incontro con gli artisti è stata senza dubbio la parte più
appagante della mia breve esperienza, la loro vitalità ha spesso rianimato momenti di
stanchezza, i loro “capricci” hanno scatenato sorrisi o nervosismo e le loro parole hanno
aiutato a vedere cosa stava dietro gli spettacoli. In quest'ultimo capitolo ho cercato di
dare un'idea di come è questo festival, attraverso numerosi appunti raccolti nei dieci
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giorni di manifestazione; ispirandomi alla pratica del diario etnografico, ho provato a
trasmettere in forma narrativa, anche attraverso il filtro delle mie conoscenze e stati
d’animo, l'atmosfera che ho vissuto, il contesto che abbracciava gli spettatori,
quell'insieme di aspettative non sempre soddisfatte dal festival e quella speciale energia
feconda che a volte scaturisce dall'incontro di musica, danza e un gruppo di persone che
assiste.
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Capitolo 1
IL FESTIVAL E LA DANZA
1.1
Danza, Oriente, Occidente: l'identità del festival
Il festival ha ventisei anni e sta diventando adulto. In questo percorso di vita ha
cambiato col tempo alcuni dettagli nell'organizzazione, ha tentato nuove strade per
comunicare, ha presentato danze d'avanguardia, di tradizione, contaminate con altre
discipline, ha coprodotto alcuni spettacoli, ha organizzato degli stage e ha occupato un
ruolo importante nel territorio trentino.
Questo capitolo ha lo scopo di indagare la danza che il festival presenta. In questa
introduzione vorrei presentare le sue caratteristiche identitarie, grazie all'aiuto di alcune
interviste, della mia breve esperienza come volontaria nell'organizzazione e di molte
riflessioni che si sono sviluppate in questo periodo di ricerca.
Il nome di questo festival, Oriente Occidente, mi ha creato delle perplessità: è un nome
che a mio avviso dice molto, ma forse troppo. La mia difficoltà iniziale risiedeva nel
dare forma a questo nome, dargli un senso, dargli insomma un “Oriente” ed un
“Occidente” che non fossero geografici, o meglio non strettamente geografici. Questo
problema derivava anche a ciò che anche il solo termine Oriente evoca nel mio
immaginario
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da irreparabile romantica quale sono; o forse, come afferma anche Nicola
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C'è un punto di Ferrara che io chiamavo Oriente, guardando dalla finestra del salotto dove abitavo,
all'ultimo piano di una palazzina quasi in centro; ricordo si poteva vedere un campanile, davanti ad
esso un ramo d'albero piatto, che si espandeva in orizzontale, forse era un ramo spezzato e la mia
miopia s'intrecciava alla mia idea di Oriente. Dal primo momento che l'ho visto ho chiamato questo
scorcio di tetti “Oriente”, e quando il sole scendeva, nei giorni in cui la nebbia dava una tregua era un
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Savarese
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evoca nell'immaginario collettivo dei luoghi comuni ormai arrugginiti ma
radicati.
Fin dai primordi nel teatro e nella cultura in genere, l'Oriente è stato sentito come il
luogo lontano, come l'esotico, come luogo di indagine spirituale suprema o come posto
di severa malvagità a seconda delle convenienze del momento.
L'Oriente è una creazione dell'Occidente, è una nozione complessa e inventata, uno
specchio in cui si apprendono poche cose sull'Asia ma molte sull'Occidente.
In generale a differenza degli americani, che associano l'Oriente all'Estremo Oriente
(soprattutto con Cina e Giappone), gli europei hanno una lunga tradizione col termine
orientalismo, intendendo quest'ultimo come modo di mettersi in relazione con l'oriente
basato sul posto speciale che questo occupa nell'esperienza europea occidentale.
“Muovo dall'assunto che l'Oriente non sia un'entità naturale data,
qualcosa che semplicemente c'è così come non lo è l'Occidente.[...]
Oriente e Occidente sono il prodotto di energie materiali e intellettuali
dell'uomo. Perciò proprio come l'occidente, l'Oriente è un'idea che ha
una storia e una tradizione di pensiero, immagini e linguaggio che gli
hanno dato realtà e presenza per l'Occidente.”
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Nonostante questa premessa, Said ci fa notare che è errato considerare l'Oriente solo
come un'idea o una costruzione culturale completamente priva di corrispettivo materiale
in quanto, in realtà, è un corpus teorico-pratico costituitosi nel tempo, realtà e leggenda,
immaginario e testimonianza; per questo ora risulta difficile sfatare l'illusione.
L'opposizione Oriente/Occidente non è naturale, i suoi confini stanno nel mito, nella
realtà non c'è nessun Oriente (inteso come unitario e distante), ci sono popoli, religioni,
società profondamente diverse tra loro e che non possono essere semplificate in un
piacere guardare lo scorcio e sognare di essere a San'a. Non voglio dire che quella fosse la mia idea di
oriente, ma devo confessare di non essermi nemmeno posta la domanda di cosa davvero l'oriente
fosse.
2
Nicola Savarese, Teatro e spettacolo fra Oriente e Occidente, introduzione, Laterza, Bari 1992.
3
Edward W. Said, Orientalismo, Bollati Boringhieri, introduzione, Torino 1978.
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unico universo distante quanto magico.
Riporto qui di seguito una breve parte di intervista
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in cui è stata chiesta ai direttori
artistici una spiegazione nei riguardi del nome scelto per il festival, e loro rivangando
nei ricordi hanno cercato di dare una risposta.
Paolo Manfrini:
“il nome nasce da... beh, noi avevamo fatto un pre-festival nel 1981, si
chiamava Rovereto: teatro, musica, un nome banalissimo a dire il vero; alla
fine di questo festival abbiamo invitato al Teatro Zandonai una compagnia
di Khatakali che faceva una notte intera di spettacolo, ininterrottamente
dalle nove di sera alle sei del mattino. La cosa è stata straordinaria perché lo
Zandonai, che allora teneva mille posti, era completamente pieno, anche alle
sei del mattino. Da lì abbiamo iniziato ad interrogarci su cosa significasse,
aiutati dal teatro, dalle ricerche di Barba e Grotowski... questo rapporto con
l'oriente. Da lì è nato il nome più semplice che potesse essere trovato, e ci
sembrava giusto mantenerlo; in un mondo così complesso una
comunicazione semplice è una cosa che funziona!”
5
.
Lanfranco Cis:
“Sia io che Paolo venivamo da un'esperienza particolare, e della danza
c'eravamo poco o nulla interessati, conoscevamo il mondo del teatro e ci
interessava particolarmente il teatro di strada. Questo tipo di teatro ci
rimandava indubbiamente a dei riferimenti fondativi, e questi riferimenti,
all'epoca degli anni settanta e ottanta, erano appunto i teatri orientali. Nel
teatro orientale ci era chiaro vedere l'indistinto tra la danza e il dramma, non
si capiva, c'era un unico termine per definirli: dramma. Noi abbiamo scelto
la danza per svariati motivi, inizialmente anche per motivi linguistici; ci
siamo messi a lavorare su quella che era in quel momento l'esperienza più
avanzata della ricerca teatrale e abbiamo invitato Eugenio Barba, abbiamo
deciso di affiancare l'oriente all'occidente ed è nata la prima edizione,
sottotitolata tra tradizioni e tradimenti”
6
.
La danza è stata scelta come canale di comunicazione privilegiato rispetto ad altre arti
curiosamente perché, nel teatro orientale e d'avanguardia occidentale, la dicotomia tra
4
Informazioni tratte dall'intervista “incontro con Oriente Occidente”risalente al 10 maggio 2004,
realizzata dall'Università Cattolica del Sacro Cuore, inedito. Il dattiloscritto mi è stato gentilmente
fornito da Oriana Cescatti.
5
“Incontro con Oriente Occidente”, intervista del 10 maggio 2004, realizzata dall'Università Cattolica
del Sacro Cuore, cit.
6
Ibid.
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danza e teatro non era presente:
“avevamo invitato l'Odin Teatret, Ravi Shankar, Carolyn Carson per il
rapporto che aveva stabilito nel teatro La Fenice con un gruppo di danzatori
(che poi hanno dato origine a tutta la generazione di danzatori italiani che
figura fino adesso), il Teatro Tascabile di Bergamo, Swarnamukhi, Jerzy
Grotowski con una sessione di Teatro delle Sorgenti, Julian Bach e Judith
Malina. Ricordo che Carolyn Carson si era follemente innamorata di
Grotowski, follemente dal punto di vista intellettuale; che Barba minacciava
tutti, Julian e Judith che continuavano a dire quanto era bello ciò che stava
accadendo. Questa sessione straordinaria ci ha fatto capire quanta
complicità ci fosse in effetti nella distinzione tra danza e teatro. Poi, man
mano, si è sempre più consolidato il versante della ricerca del coreografico
contemporaneo.”
7
.
L'ipotesi a cui queste dichiarazioni mi fanno pensare è che il nome Oriente Occidente si
configuri più come ideologia che come programma. Per sensibilità e conoscenza i
fondatori del festival erano forse vicini alla cultura teatrale del Terzo Teatro e del teatro
di ricerca degli anni '70 e '80, ed attraverso questa lente hanno dato vita al Festival; la
danza dunque viene scelta forse prima che come prassi artistica, come istanza di
“teatralità totale”.
1976: Eugenio Barba in occasione dell'Incontro internazionale di ricerca teatrale
presenta il Manifesto del Terzo Teatro; negli anni '80, Barba, introduce negli studi e
nella pratica teatrale l'Antropologia Teatrale:
“lo studio del comportamento dell'essere umano che utilizza la sua
presenza fisica e mentale secondo principi diversi da quelli della vita
quotidiana in una situazione di rappresentazione organizzata”
8
.
Negli anni 80 nasce il Festival, nelle prime edizioni gli artisti invitati sono più vicini al
teatro che alla danza, solo per citarne alcuni troviamo il Teatro Tascabile di Bergamo
che dal '74 data i primi esperimenti sul teatro "di strada", nel '77 comincia la sua
7
Ibid.
8
Eugenio Barba e Nicola Savarese, L'arte segreta dell'attore, Argo, Lecce 1996, cit..
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indagine sulla cultura scenica orientale; Jerzy Grotowski che come regista teatrale da
vita all'idea dell'atto totale, Julian Bach e Judith Malina che con il Living Theater, da
loro fondato nel '46, propongono la fusione del teatro con un forte impegno ideologico
etico e sociale.
Solitamente i festival si legano a una fenomenologia artistica; nel caso di Oriente
Occidente invece mi sembra di poter ipotizzare che la sua nascita è strettamente
connessa ad un determinato pensiero teatrale, anzi, a come il Terzo Teatro pensava al
teatro. L'apertura con cui poi il festival ha affrontato le edizioni successive ha permesso
l'incontro con la danza. Inizialmente con il teatro-danza, forse perché vicino al pensiero
teatrale del performer totale, poi il festival si evolve incontrando la danza
contemporanea come prassi e si specializza in senso coreografico. Inizialmente dunque
mi sembra ipotizzabile che la danza non fosse l'idea base che sorreggeva il Festival, lo
era piuttosto la sua pratica guardata attraverso il bisogno, che il terzo Teatro sentiva, di
un attore completo, non più condannato a imitare la vita e basta, ma capace di ri-fare la
vita anche e sopratutto grazie al suo corpo. In questo modo si potrebbe spiegare anche il
nome, Oriente Occidente, come scelta derivata dal pensiero teatrale di cui si sono nutrite
le pratiche spettacolari di cui abbiamo parlato (e forse in conseguenza anche i direttori
del Festival) cercando i principi pre-espressivi alla base dell'arte del performer di ogni
epoca e luogo. In questo senso il nome sembra in linea con tutta la storia del festival,
anche con il contemporaneo suo affacciarsi al meticciato nella danza. Ed anche in
questo ambito, la non fissità ideologica del festival, ha portato ad un'evoluzione, in
quanto, si è distaccato dal pensiero che confronta le tradizioni, e si è emancipato dal
tentativo (sempre meno realizzabile) di invitare esempi culturali “puri”, indagando
quell'Oriente e quell'Occidente che sempre più sono bandiera di ogni compagnia.