PREMESSA
IL DANNO DA PRODOTTI DIFETTOSI
1. Un fenomeno non solo giuridico
Nella società moderna è fenomeno consueto il propagarsi di
danni connessi con il processo produttivo. Volta a volta
risentiti dai prestatori di lavoro, dai consumatori,
dall'ambiente in generale, questi danni sono espressione di
un rischio che comporta alti costi sociali. Costi che pare
difficile ridurre anche in presenza di un progresso
tecnologico in costante incremento. E` pertanto necessario
assicurare, da un lato, il più esteso risarcimento a quanti
abbiano a risentire pregiudizi dall'esercizio di attività
dannose e, dall'altro, operare una razionale distribuzione
dei costi che a questi danni sono connessi.
Il fenomeno della circolazione di prodotti difettosi
diviene quindi argomento sempre più ricorrente all'interno
della moderna società dei consumi (e non solo capitalista)
in un mondo in cui la produzione di beni, soprattutto
quella industriale, è l'elemento fondamentale di ogni paese
sviluppato. Con la tendenza sempre crescente a far passare
tutto all'interno di un processo produttivo, così che
sembra che ogni cosa, ogni più piccolo oggetto debba essere
costruito industrialmente, sempre più ricorrendo
all'automazione delegando tutto alla progettazione e alle
macchine si corre anche il rischio di perdere, per così
dire, il controllo diretto dei processi stessi e rischiare
quindi di rimanere in balia di prodotti che possono
rivelarsi, anche pericolosamente, difettosi. Escludendo i
prodotti finanziari ed i servizi, ci riferiamo qui a quella
miriade di "beni mobili" che fanno parte della vita di
tutti i giorni e che sono l'essenza di una società
consumistica: dalle automobili agli orologi, dagli
alimentari ai cosmetici ai televisori, passando per un
numero, si potrebbe dire, infinito di altri beni ivi
compresi i farmaci.
Da ciò si può ben comprendere come il rischio di danno
provocato da un difetto di almeno uno di questi prodotti
non sia del tutto nullo, ma che anzi anche un piccolo
difetto possa rappresentare un grande pericolo per
l'incolumità delle persone in generale, non solo per quella
del suo acquirente o utilizzatore.
Questa caratteristica dei sistemi capitalisti ha generato
quindi la necessità sempre più sentita nel corso degli
anni, di dare una tutela maggiore al "consumatore", tutela
che richiedeva norme intese a realizzare un delicato
compromesso tra tutela del pubblico e interessi
dell'impresa, protezione dei valori della salute e
dell'integrità fisica e dei valori di libertà
dell'iniziativa economica privata.
Ma queste sono solo le conclusioni, ed anche molto recenti,
di tutto il tortuoso e travagliato cammino della disciplina
del danno da prodotto, cammino partito dall'estremo,
potremmo dire, tradizionale della responsabilità del
venditore per i vizi della cosa venduta.
2. Le disposizioni del codice civile in tema di
responsabilità contrattuale del venditore
e del fabbricante
In assenza di principi di responsabilità del produttore
l'unico modo in cui nel codice civile si ha un intervento,
diretto, a difesa del consumatore è attraverso l'art. 1490
e segg. in materia di compravendita escludendo, la
protezione dello stesso nei casi di beni di consumo
sottratti al controllo degli intermediari.
Vengono presi in considerazione solo i «vizi occulti» del
bene acquistato, mentre i vizi «noti» o «facilmente
riconoscibili» al momento della conclusione del contratto
non possono costituire oggetto di garanzia da parte del
venditore (art. 1491). Così anche vengono circoscritti i
soggetti coinvolti: devono essere necessariamente, parte
del contratto di vendita e cioè il consumatore-compratore
ed il venditore-dettagliante. Ed è esclusivamente
all'interno di questi due poli che si producono gli effetti
dell'azione di garanzia esperita dal primo contro il
secondo, il quale a sua volta ha diritto a promuovere la
stessa azione nei confronti del suo venditore; sempre che
nel frattempo non siano decorsi i termini di prescrizione e
di decadenza previsti dall'art. 1495 c.c. Questo sistema si
rivela pertanto macchinoso e complesso: non sempre il
fabbricante è raggiungibile con le azioni di garanzia dato
il sistema attuale di vendite a catena e si moltiplicano i
procedimenti con aumento dei costi di amministrazione della
giustizia ed aggravio dei tribunali. La soluzione
"contrattuale" per la tutela del consumatore si rivela
decisamente inadeguata, soprattutto laddove essa chiama in
causa in primis il dettagliante, e poi solo alla fine il
produttore, ma anch'esso sempre in veste di venditore.
«La possibilità di ravvisare una pretesa contrattuale del
compratore nei confronti di quest'ultimo è stata
prospettata sotto il profilo della cessione del contratto.
il rivenditore, cioè, cederebbe la sua posizione
contrattuale al compratore, il quale potrebbe quindi agire
contro il primo venditore facendo valere l'originario
rapporto di cui ora è titolare. Come si è già notato...,è
tuttavia estraneo al comune intendimento che il venditore
nell'alienare il bene ceda anche il contratto in base al
quale il bene stesso gli è pervenuto. Presumere in tal
senso una tacita volontà contrattuale sarebbe
manifestamente arbitrario»(
1
).
Un'ulteriore forma di tutela per il consumatore può essere
rappresentata dalla cosiddetta "garanzia di buon
funzionamento", consistente nei fatti in un accordo tra le
parti, volta ad introdurre una clausola per la quale il
venditore è ritenuto responsabile di qualsiasi
malfunzionamento (anche non grave) del bene venduto,
esonerando il compratore dal dimostrarne il difetto. La
possibilità di una tal cosa discende direttamente dall'art.
1512 c.c., il quale lascia ampia libertà in materia di
disciplina della vendita, disciplina alla quale il codice
permette alle parti ampia deroga. «Lungi dal sostituirsi
alle garanzie ordinarie, il ruolo vicario della garanzia di
buon funzionamento risulta con chiarezza dalla lettera
della legge che, nel fare salvi gli usi che stabiliscano
che la garanzia è dovuta anche in assenza di patto
espresso, facilmente lascia intendere che la garanzia di
questo tipo non si può considerare un elemento naturale
negotii, occorrendo invece una esplicita pattuizione dei
contraenti perché venga ad esistenza.
Quanto al risarcimento del danno, nel silenzio della legge,
si deve presumere, che anche in questa ipotesi si debbano
osservare i principi generali, e quindi sia necessario
accertare la colpa del venditore»(
2
).
La questione, è chiaro, deve necessariamente spostarsi su
altri territori giuridici ad essa più confacenti dove sia
possibile trovare quelle fonti del diritto da cui
scaturisca una reale possibilità di tutela degli interessi
legittimi del consumatore ma anche, più in generale e più
giustamente, del terzo casualmente danneggiato dal fatto
1Tratto da Bianca, La vendita e la permuta, Utet, Torino,
1972.
2Alpa, Garanzia di buon funzionamento e tutela del
compratore, in Foro It., 1979, I, 321 ss.
del prodotto difettoso. Come abbiamo detto una logica di
questo tipo risponde ad esigenze che trovano la loro
origine in ragioni di ordine sociale ed economico, di
fronte ad un potere sempre maggiore delle imprese le quali,
sia direttamente che indirettamente, riescono ad imporre le
loro strategie ed i loro prodotti (molte volte
indispensabili, come i farmaci) e di fronte a cui il
semplice consumatore può trovarsi del tutto impotente.
Ma questi obbiettivi sono stati conquistati "sul campo",
dopo una varie esperienze e dopo vari "insuccessi",
attraverso l'evolversi di una coscienza non solo giuridica,
ma anche sociale nei confronti del consumatore. Andremo
quindi ad analizzare nel primo capitolo la giurisprudenza
in materia di danno da prodotto, che meglio di ogni altra
cosa potrà spiegarci l'evoluzione della relativa dottrina.
CAPITOLO I
GLI ORIENTAMENTI DELLA GIURISPRUDENZA
1. Il caso Saiwa
Le prime pronuncie che affrontano il problema della
responsabilità del produttore per la circolazione di
prodotti difettosi escludono che il consumatore possa
ottenere dall'impresa il risarcimento dei danni sofferti.
Nella maggior parte dei casi questo orientamento si fonda
sull'applicazione dell'art. 2043 c.c.
Ai fini della nostra trattazione vedremo comunque tutti
quei casi che hanno portato, attraverso una via più o meno
tortuosa, alla creazione della normativa specifica che
rappresenta il punto centrale di tutto l`argomento.
Il leading case nella materia di cui stiamo trattando è una
sentenza della Corte Suprema del 1964(
3
), il cosiddetto caso
3Cass. civ. 25 maggio 1964, in Foro It. 1965, I, 2098.
In termini, «il dettagliante, il quale riceve generi
alimentari contenuti in involucri sigillati così come li
riceve dalla ditta fabbricante, non è responsabile dei
danni causati dalla ingestione di detti prodotti risultati
avariati, qualora si accerti che non ricorre alcuna sua
colpa (cattiva conservazione, alienazione oltre la
Saiwa. Una coppia di coniugi aveva acquistato una scatola
di biscotti della suddetta marca ed aveva contratto una
enterocolite febbrile, originata dall'ingestione di tali
dolciumi risultati avariati. Sia nel giudizio di primo
grado che in appello, veniva confermata la sentenza per cui
si escludeva qualsiasi responsabilità del rivenditore,
posto che non si era potuta accertare alcuna colpa di
questi, ma si riconosceva la responsabilità del fabbricante
(la Saiwa), che veniva condannato a risarcire i danni
sofferti dai coniugi. Non sussistendo nessuna colpa del
rivenditore (ad esempio per cattiva conservazione),
attraverso un procedimento logico presuntivo, anche la
Cassazione confermava in modo analogo la responsabilità del
produttore nell'avaria del prodotto, ribaltando così
l'onere della prova e ponendola a carico del convenuto.
Analizzando nei particolari il contenuto della sentenza
possiamo notare in primo luogo l'estraneità della stessa da
qualsiasi logica contrattuale, permettendo quindi anche al
terzo, non acquirente diretto del prodotto difettoso, nel
nostro caso l'altro coniuge, di essere legittimato attivo
al risarcimento del danno proprio per la semplice qualità
di "consumatore"; contemporaneamente legittimata passiva
diviene direttamente la ditta produttrice la quale, non
avendo alcun rapporto contrattuale con gli attori, è
chiamata in giudizio inevitabilmente ex responsabilità
aquiliana, motivando la Corte che la scatola di biscotti
era stata consegnata al rivenditore in confezione originale
e sigillata, rispetto alla quale lo stesso non agiva altro
che come mezzo materiale di trasmissione. Ma l'esclusione
di quest'ultimo vale solo come circostanza di fatto,
presentandosi il quesito se esista o meno, quando è
materialmente possibile, un dovere di controllo da parte
del dettagliante sui prodotti venduti, ed in che maniera
debba essere considerata la sua eventuale responsabilità
rispetto a quella del produttore, se la esclude ovvero se
la integra come avremo modo di vedere, più avanti in questo
capitolo, nel caso di scoppio di bottiglie.
Possiamo analizzare infine il modo in cui la Suprema Corte
abbia riconnesso la responsabilità del fabbricante
all'inosservanza della diligenza professionale nel processo
scadenza, ecc.).
Costituisce apprezzamento di fatto, non sottoposto a
controllo di legittimità della Cassazione, il
ricollegamento, attraverso un processo logico presuntivo,
del verificarsi dei danni sofferti dall'acquirente di
generi alimentari avariati alla condotta colposa della
ditta fabbricante.»