Introduzione
“Dejar la puerta abierta a todo caminante
porque las sendas justas se hacen entre todos”
Modena City Ramblers
Il tema delle migrazioni è a me molto caro, un po’ perché, nel mio piccolo,
migrante lo sono già essendo una studentessa fuori sede che si divide tra gli affetti
“lì” e gli affetti “qui” e un po’ perché migrante spero di poterlo essere anche in
futuro, recandomi in posti diversi non solo da turista. L’idea del migrante non ha
per me un’accezione negativa, anzi, rappresenta la libertà di spostarsi in ogni
luogo, senza dover però rinunciare ai propri legami familiari e affettivi. In una mia
visione utopica il migrante è libero di andare e tornare quando e come vuole,
sentendosi a casa nel mondo e non solo nel luogo natio. La realtà purtroppo è ben
diversa, le motivazioni che portano a spostarsi sono soprattutto di natura
economica, per cercare lavoro, mantenere la famiglia, avere condizioni di vita
migliori, o umanitaria, a causa di conflitti e guerre nel paese di origine. E anche
l’accoglienza, nella maggior parte dei casi, non fa certo sentire come a casa
propria ma bisogna far sempre i conti con discriminazioni di ogni genere.
L’Italia da storico paese di emigrazione che conta oltre 4 milioni di italiani
residenti all’estero, senza considerare le seconde e terze generazioni, è diventato a
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partire dagli anni Novanta paese di immigrazione con oltre 5 milioni di immigrati,
nel 2011. Nello scenario globale in cui viviamo le migrazioni non rappresentano
di certo una novità ma si sono molto diversificate rispetto al passato. Il migrante
oggi acquisisce l’aggettivo di transnazionale poiché è in grado di mantenere
rapporti e legami con il paese di origine nonostante l’integrazione nel paese di
destinazione. Il transnazionalismo dei migranti supera le frontiere degli stati
modificando le relazioni tra questi e minando la sovranità territoriale di ognuno.
Tutto questo avviene in un contesto internazionale caratterizzato da un profondo
cambiamento guidato dalla globalizzazione in cui gli stati perdono potere e
modificano il proprio ruolo.
In un’ottica transnazionale il migrante diventa un attore della cooperazione
internazionale e, nel caso italiano, soprattutto della cooperazione decentrata e
svolge un ruolo positivo sia per il paese di origine che per quello di residenza. Il
direttore dell’Ufficio di coordinamento per il Mediterraneo dell’Organizzazione
Internazionale delle Migrazioni, José Angel Oropeza, ha sottolineato il legame
che c’è tra l’esperienza passata e quella presente dell’Italia in tema di migrazioni
con queste parole “Il passato migratorio degli italiani all’estero così come l’attuale
scenario dell’immigrazione in Italia, si congiungono nella parola integrazione, che
porta a prefigurare un futuro basato sulla convivenza fruttuosa tra le diverse
collettività e l’offerta di pari opportunità affinché i più meritevoli possano mettere
le loro capacità a servizio del paese che li ha accolti e possano anche fungere da
ponte per il benessere dei paesi di origine”. La cooperazione decentrata
rappresenta lo strumento migliore per conciliare gli interessi e gli obiettivi del
Nord e del Sud del mondo, lì dove mette in discussione le idee e le forme di
sviluppo finora proposte dai paesi del Nord e supportando, invece, i percorsi
alternativi e maggiormente specifici del Sud. Nell’ambito della cooperazione
decentrata nasce e si sviluppa il concetto di cosviluppo, fondato sull’idea di uno
sviluppo circolare, reciproco e non unidirezionale di cui i migranti e le loro
diaspore sono tra i principali attori.
Per questo lavoro ho scelto di concentrarmi su uno studio di caso per poter
analizzare come in un contesto determinato ci si stia avvicinando alle politiche di
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cosviluppo e se queste possono avere realmente un riscontro positivo o meno.
L’oggetto dello studio di caso è stata la diaspora senegalese a Milano perché
nonostante non sia una delle più numerose è sicuramente una delle più attive tanto
in Italia quanto nel suo paese di origine. La Regione Lombardia è inoltre risultata
avere il maggior numero di migranti rispetto alle altre regioni ed è stata la prima
ad approvare una legge che regolasse le migrazioni. Le associazioni dei migranti
in Lombardia sono aumentate notevolmente negli ultimi anni e quelle della
diaspora senegalese sono tra le più numerose. A Milano, città ricca di iniziative e
progetti volti all’integrazione dei migranti, la diaspora senegalese ha potuto dare
spazio alle proprie iniziative, migliorare la propria formazione e trovare un
appoggio istituzionale e finanziario per i propri progetti di cosviluppo.
Il corso di cooperazione decentrata e non governativa della professoressa Ianni mi
ha fatto avvicinare a tematiche nuove nel campo della cooperazione che non
conoscevo e alle quali mi sono appassionata ogni giorno di più, in parte durante le
lezioni ed in parte grazie al sostegno della professoressa durante la stesura di
questa tesi di laurea. Questo lavoro mira, attraverso lo studio di caso della
diaspora senegalese, ad inquadrare i cambiamenti in atto, cogliendo le
trasformazioni degli attori e dei rapporti che instaurano. Si vuole comprendere il
potenziale che i migranti rappresentano e le modalità in cui si possono fare
promotori di nuove forme di cooperazione volte al cosviluppo. In particolare si
cerca di rispondere a due domande: i migranti possono essere realmente i
protagonisti di uno sviluppo “qui e lì”, al Nord e al Sud? E il cosviluppo può
davvero rappresentare una prospettiva innovativa e un cambio direzionale nella
cooperazione allo sviluppo o nella pratica si rivela solo uno strumento di
integrazione per i migranti? Il lavoro è suddiviso in quattro capitoli, i primi tre
basati su una ricerca bibliografica di autori più classici, come Beck o Habermas,
autori che hanno affrontato i temi specifici della cooperazione e delle migrazioni,
come Ianni e Ambrosini, ma anche sui lavori di istituti di ricerca come il CeSPI.
Nel quarto capitolo, invece, la ricerca bibliografica è rimasta fondamentale ma è
stata affiancata anche da un’analisi empirica dello studio di caso con interviste
alle associazioni dei migranti senegalesi a Milano ma anche a testimoni
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privilegiati, persone esperte nel campo della cooperazione e del cosviluppo, come
la ricercatrice del CeSPI Anna Ferro o Caterina Sarfatti dell’Ufficio Relazioni
Internazionali del Comune di Milano.
In particolare, il primo capitolo di questo lavoro illustra i cambiamenti avvenuti a
partire dagli anni Novanta sotto la spinta della globalizzazione. Le dinamiche che
questa ha messo in moto hanno riguardato processi sociali, economici, politici e
culturali portando ad una crisi dello stato-nazione e della democrazia. Gli stati non
sono più i soli attori del sistema internazionale ma vengono affiancati da nuove
soggettività (gli enti locali, la società civile, le organizzazioni internazionali) che
mettono in discussione i rapporti esistenti. Nel quadro di una crisi dello stato-
nazione non si può non parlare anche di una crisi della democrazia che in esso
aveva trovato le basi per i propri principi e si assiste ad un aumento quantitativo
dei governi che si definiscono democratici ma ad una riduzione della qualità di
queste democrazie perché spesso incomplete e illiberali. In tale contesto emerge il
concetto di transnazionale per indicare le nuove relazioni che la globalizzazione
ha posto in essere. Un ruolo importante e nuovo è quello del locale che, in
un’ottica transnazionale, non rappresenta più solo la vicinanza fisica o territoriale
ma, allo stesso tempo, diventa globale e cosmopolita. Le relazioni transnazionali
hanno permesso la nascita di nuove forme di mobilità e di nuovi flussi migratori, i
migranti diventano attori transnazionali che riescono ad avere rapporti
contemporaneamente con il paese di origine e quello di destinazione e diventano
attori dello sviluppo del paese di origine. Le diaspore, in particolar modo, hanno
un ruolo fondamentale per quanto riguarda l’invio delle rimesse, per i
trasferimenti di conoscenze e tecnologie, di capitale umano o per gli investimenti.
Il secondo capitolo si concentra sul passaggio da un concetto di sviluppo inteso
esclusivamente come crescita economica ad uno sviluppo inteso come benessere
sociale. I cambiamenti avvenuti nel corso degli anni e le esperienza fatte hanno
portato alla presa di coscienza del bisogno di uno sviluppo maggiormente
inclusivo che tenesse conto non solo delle ricchezza ma anche delle libertà civili e
politiche di cui parla Sen e della molteplicità dei suoi cammini. Sulla base di
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questa visione più inclusiva sono stati creati degli indici per misurare l’andamento
dei diversi cammini e la qualità dello sviluppo, misurando dimensioni nuove come
ad esempio quella dei diritti umani o quella ambientale. La crisi dello sviluppo è
accompagnata da una crisi della cooperazione che, fino a questo momento ed in
riferimento al concetto di sviluppo come crescita economica, aveva concretizzato
la sua azione prevalentemente attraverso programmi di costruzione di
infrastrutture o di aggiustamento strutturale. Ci si rende conto che non solo i
rapporti tra i paesi del Nord e quelli del Sud sono cambiati ma anche che le
disuguaglianze stanno diventando soprattutto interne ai diversi contesti nazionali
ed è necessaria una logica d’azione che miri a valorizzare il locale in un contesto
globale. Nascono così nuove forme di cooperazione tra territori, come la
cooperazione decentrata o la cooperazione Sud-Sud. La cooperazione allo
sviluppo deve, però, affrontare ancora numerose sfide, prima fra tutte quella delle
disuguaglianze che continuano ad aumentare facendo emerge la necessità di
un’agenda per il post-2015 che sia sempre più inclusiva. Nell’ambito dei
cambiamenti che hanno riguardato la cooperazione nasce, poi, il concetto di
cosviluppo ovvero un processo di sviluppo di tipo circolare del quale possano
beneficiare tutti gli attori allo stesso modo grazie ad uno scambio continuo di
conoscenze e risorse. Il tema del cosviluppo è stato collegato negli ultimi anni al
tema delle migrazioni e i migranti ne sono diventati gli attori principali in una
visione di tiple win in cui possano beneficiare dello sviluppo sia i paesi di origine
che quelli di arrivo che i migranti stessi.
Il terzo capitolo affronta il tema delle diaspore, considerate un nuovo attore dello
sviluppo e della cooperazione. Viene esposta l’evoluzione che il concetto di
diaspora ha avuto nel corso degli anni, da quando era riferito esclusivamente alla
dispersione degli ebrei ad oggi che fa riferimento ai gruppi di migranti che
mantengono un legame con il paese di origine e si identificano con un’identità
comune, sia essa religiosa, culturale o linguistica. Le diaspore odierne si
affermano come nuovi attori della cooperazione internazionale partecipando allo
sviluppo del paese di origine nonché di quello di destinazione e superando,
talvolta, l’aiuto fornito dagli attori classici. Attraverso il trasferimento di rimesse e
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di conoscenze e tecnologie ma anche attraverso le attività volte all’integrazione e
alla promozione della propria cultura, l’attività delle diaspore è diventata
fondamentale nelle politiche di cosviluppo. Le diaspore diventano oggi un
intermediario tra i paesi di origine e quelli di arrivo ed è necessario l’impegno da
entrambe le parti per coinvolgerle nelle politiche di sviluppo e di cooperazione
allo sviluppo per creare situazioni propizie affinché le attività che queste svolgono
abbiano un impatto positivo per lo sviluppo.
Il quarto capitolo, infine, è dedicato allo studio di caso ed analizza il ruolo che la
diaspora senegalese ha nei progetti e nelle pratiche di cosviluppo a Milano. Viene
illustrato il panorama generale delle migrazioni in Italia, l’andamento dei flussi
migratori, le nazionalità maggiormente presenti e l’evoluzione della legislazione
sul tema. Si fa poi riferimento, nello specifico, alla Regione Lombardia che ha il
maggior numero di stranieri in Italia e al capoluogo milanese, diventato lo
scenario di numerosi eventi e progetti delle associazioni dei migranti. L’analisi si
focalizza poi sulla diaspora senegalese che è molto attiva sul territorio attraverso
progetti volti all’integrazione dei propri membri ma anche attraverso la
partecipazione a progetti di cooperazione e, negli ultimi anni, di cosviluppo.
Vengono, infatti, analizzati alcuni programmi specifici come il Mida dell’OIM,
Fondazioni4Africa e il Bando per il cosviluppo del Comune di Milano che sono i
primi programmi orientati al cosviluppo ai quali la diaspora senegalese ha
partecipato. In particolare, il Bando per il cosviluppo del Comune di Milano è la
prima e unica iniziativa dedicata al cosviluppo da una municipalità italiana.
Questo lavoro ha cercato quindi di capire come il cosviluppo si è inserito nei
cambiamenti globali e come sia stato affiancato al tema delle migrazioni,
proponendo la possibilità di un cambiamento bidirezionale e innovativo che abbia
i migranti come attori principali. Un cambiamento che, considerando le
particolarità e le criticità emerse anche dallo studio di caso, è in atto ma che ha
ancora molta strada da fare e numerosi ostacoli, pratici e teorici, da superare.
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CAPITOLO 1.
La modernità liquida e il fenomeno migratorio.
1.1 Seconda modernità: crisi dello stato-nazione e della
democrazia.
Da sempre ci sono stati scambi e collegamenti, tra gruppi culturali diversi, oggi,
siamo di fronte ad un nuovo tipo di interazioni, più intense e su larga scala. Un
ruolo nuovo viene svolto dall’immaginazione che diventa una vera e propria
pratica sociale, non più intesa come pura fantasia ma come lo strumento attraverso
il quale riusciamo ad immaginare la realtà che ci circonda rendendola reale.
Quello che per noi è il passato, grazie alle nuove interazioni, diventa il presente di
altri (Appadurai, 2005). Gli anni Novanta sono stati caratterizzati da una serie di
cambiamenti, principalmente effetto della globalizzazione. Quest’ultima ha messo
in moto processi sociali, economici, culturali e demografici all’interno delle
nazioni ma che, allo stesso tempo, vanno oltre i confini nazionali (Kearney, 1995).
Lo stato nazione, così come inteso fino a quel momento e cioè come concepito
dopo la pace di Vestfalia, ha subito le principali trasformazioni e la sua
importanza è stata messa in discussione. Alcuni studiosi, come Habermas, hanno
parlato di un passaggio dal nazionale al post-nazionale. Altri, come Bauman,
hanno una visione più pessimistica e parlano di una fine dello stato e di una
“modernità liquida”, ovvero in continuo cambiamento (Bauman 2007). Altri
ancora credono che lo stato esista ancora e sia ancora importante ma che abbia
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subito delle trasformazioni fondamentali per adattarsi ai cambiamenti avvenuti
(Beck 2005). Il panorama che si presenta ai nostri occhi viene definito come una
“seconda modernità” ed è caratterizzato anche da quella che viene intesa come
una crisi della democrazia. Il processo democratico della prima modernità ha
trovato le basi nel modello di stato-nazione tipico dei paesi occidentali, i quali si
sono fatti promotori dei principi democratici. Come sostiene Sen, la democrazia è
fondamentale perché è la fonte delle occasioni sociali ma la sua esistenza di per sé
non basta, è necessario prendere in considerazioni anche i modi e i mezzi con cui
può esplicare le sue potenzialità (Sen, 2000). Lo stato nazione è costituito da tre
elementi, il territorio, l’economia e la nazione, i quali rappresentano un terreno
fertile per l’affermarsi della democrazia. Sono proprio questi elementi ad essere
messi in discussione dai cambiamenti provocati dalla globalizzazione. Se il
processo democratico poteva nascere all’interno di uno stato-nazione, il passaggio
ad una costellazione postnazionale fa sorgere dubbi e preoccupazioni. Nel
momento in cui gli stati devono condividere la propria sovranità territoriale con
altri attori del sistema internazionale e non hanno più il controllo totale del
proprio territorio e delle proprie frontiere, diventa difficile garantire i principi
fondamentali della democrazia, come l’autogoverno, la sovranità popolare, i diritti
economici e sociali fondamentali, il consenso (Habermas, 1999).
La globalizzazione, dal punto di vista di Bauman, ha causato una polarizzazione
della società che vede, da un lato, coloro che riescono ad adattarsi a questi
cambiamenti, i “globali”, e, dall’altro, coloro che non si adattano e vengono
esclusi ed emarginati, i “locali”. Si viene così a creare una gerarchia caratterizzata
da una grande mobilità, che vede i globali spostarsi e i locali chiudersi sempre più
nel loro piccolo (Diacono). Il fenomeno della globalizzazione comporta una
riorganizzazione dello spazio e del tempo. Lo spazio non è più considerato come
diviso tra centri e periferie con i relativi confini invalicabili ma si trasforma in uno
spazio multidimensionale e senza confini (Kearney, 1995). Diminuisce il peso di
un centro in grado di far rispettare la propria autorità mentre diviene difficile
definire i territori in maniera gerarchica in base alle capacità economiche,
politiche o militari di ognuno, poiché queste condizioni sono in continuo
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cambiamento. In tale contesto si tende a non parlare più di uguaglianza ma,
piuttosto, di parità come richiesta di riconoscimento, diritto di partecipare a questo
nuovo “gioco” creato dalla globalizzazione. Non si rivendica più il diritto a
diventare uguali ma piuttosto il diritto a rimanere diversi l’uno dall’altro. Se, da
un lato, si assiste ad un rapido aumento delle disparità verticali nell’accesso ai
valori condivisi senza incontrare grandi resistenze, dall’altro, le disparità
orizzontali aumentano ancora più rapidamente e vengono fortemente incoraggiate
dalle autorità politiche, commerciali e culturali. Alla lotta di classe tende a
sostituirsi la lotta per il riconoscimento (Bauman, 2007). L’attenzione non è più
posta sulle comunità all’interno delle nazioni ma sullo spazio di cui le nazioni
sono parte. Harvey sostiene che l’accelerazione del tempo è dovuta
prevalentemente all’economia politica capitalista, la quale ha come imperativo
una sempre maggiore riduzione del tempo medio di fatturato tra gli investimenti e
la riscossione dei profitti che porta ad una sempre maggiore compressione del
tempo. Un ruolo fondamentale è poi svolto dalle nuove tecnologie che permettono
uno scambio di informazioni e beni sempre più veloce (Kearney, 1995).
La globalizzazione è caratterizzata da numerose spinte contrapposte e
contraddittorie, come frammentazione e integrazione, disgregazione sociale e
nascita di nuove forme di socialità, nuovi attori internazionali con nuove regole e
al contempo un aumento di rivendicazioni localiste (Ianni, 2011). Per meglio
comprendere questi fenomeni sono stati coniati nuovi termini come
fragmegration, glocal e distant proximities che sono volutamente ambigui in
modo da poter essere inseriti in ambiti e discorsi differenti (Ianni, 2008). Riguardo
la globalizzazione Sassen fa riferimento a due diverse dinamiche, la prima è
quella che vede la nascita di istituzioni e processi globali che sono, però, attivi
anche a livello nazionale. Il secondo tipo di dinamica fa riferimento a processi che
non avvengono su scala globale ma a livello nazionale e all’interno dei singoli
territori ma sono parte integrante della globalizzazione poiché collegano i diversi
“locali” (Sassen, 2007). In un contesto tale si assiste al passaggio dalla prima alla
seconda modernità. Caratteristica della prima era un ambiente internazionale
caratterizzato da relazioni tra stati, unici attori e detentori della sovranità
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territoriale. I cambiamenti iniziati negli anni Novanta segnano il passaggio ad una
seconda modernità caratterizzata da nuovi attori, transnazionali ed eterogenei che
agiscono su più livelli, non appartengono ad un unico stato ma anzi si vanno ad
affiancare agli stati nazionali. Questi attori sono le organizzazioni internazionali, i
governi locali ed una società civile “globale” e sono il chiaro segno di una perdita
di potere da parte dello stato che avviene su più livelli (Ianni, 2008). Si assiste ad
una sempre maggiore disarticolazione delle colonne portanti dello stato nazione.
Da un punto di vista territoriale si ha un’erosione dal basso, con l’emergere delle
autonomie locali, e dall’alto con le organizzazioni internazionali. Il concetto di
nazione perde importanza nel momento in cui la globalizzazione permette uno
traffico di persone, idee e beni sempre maggiori che portano ad un forte
multiculturalismo. E infine, fondamentale, la disarticolazione tra economia e stato
che vede quest’ultimo fortemente legato al territorio e l’economia sempre più
indipendente. Non è più la politica a regolare l’economia ma viceversa. In un
contesto in cui questi tre elementi si dividono non si può più parlare di stato
nazione ma di stato transnazionale (Diacono). Lo stato non scompare ma non è
più in grado di creare coesione sociale e normativa poiché l’economia globale
mina la capacità statale di regolare il ciclo economico ed esercitare la funzione
redistributiva (Ianni, 2011). A tal fine è fondamentale l’efficienza
dell’amministrazione pubblica, poiché attraverso questa le società democratiche
possono auto-modificarsi. Lo stato, a causa della concorrenza e della grande
mobilità di capitali dovute alla globalizzazione, non riesce a reperire le risorse
necessarie a garantire quest’efficienza (Habermas, 1999). Bauman (2007) parla di
un passaggio dalla fase del nation-building alla fase del multiculturale e, più nello
specifico, di un passaggio da una modernità “solida”, dedita a difendere il
principio di sovranità territoriale e a fortificare le frontiere, ad una modernità
“liquida”, con confini sfocati e permeabili, una svalutazione del territorio e un
intenso traffico umano. I cambiamenti legati alla globalizzazione hanno scalfito lo
stato-nazione su più fronti. In primis, la certezza giuridica e l’efficienza
dell’amministrazione statale. In un contesto in cui i problemi non restano confinati
all’interno di un solo stato ma scatenano una serie di effetti a catena che vanno ad
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