5
coinvolgimento con altre persone e ai suoi bisogni materiali. Ciò
implica che la sua ragion pratica ha un fondamento culturale, ma che
quando attinge da significati già esistenti, le forme di questi possono
variare e cambiare. I significati vengono, perciò, utilizzati come
attrezzi ed esiste un forte fattore di rilevanza e intenzionalità nel modo
in cui vengono usati.
La prospettiva, allora, è lo strumento che organizza l’attenzione e
l’interpretazione che un individuo dà al significato trasportato
all’esterno, così come alla propria produzione di tale significato,
deliberata o spontanea.
Accumulando e organizzando l’esperienza, la prospettiva procede
generalizzandola per rispondere sempre meglio a nuove esperienze e a
nuove richieste di azione; essa diventa un paradigma personale e
alimenta certi modi di pensare. Consciamente o meno, si creano stili
preferiti nel gestire i significati.
La formazione di una diversa sensibilità è la conseguenza di
un’esposizione diseguale e di un’acquisizione di competenza in
sistemi differenziati di simboli all’interno del flusso culturale. Si
creano così interessi che guidano l’attiva gestione del significato nelle
relazioni sociali. Insieme alle prospettive, però, si muovono anche gli
orizzonti (nel senso della portata), in quanto le persone, specialmente
oggi, possono vedere più o meno lontano. C’è, si sa, chi si confronta
abitualmente soltanto con un numero limitato di idee, tratte da qualche
fonte presente nel flusso culturale “globale” che attraversa la società; e
da un ampio mondo di significati, queste persone si ritagliano
qualcosa di piccolo, di solo loro. Ma ci sono anche coloro che, grazie
alle proprie idee, sono coinvolti, in maggior o minor misura, con una
parte di mondo molto più ampia: le loro idee sono di più tipi e
provengono, direttamente o indirettamente, da più fonti.
Oltre a tutto ciò, le prospettive sono anche prospettive verso ulteriori
prospettive. Infatti, che lo si voglia o meno, nei contatti con le altre
persone si prendono in considerazione le opinioni altrui, mentre queste
si stanno ancora formando.
Quindi, in quanto organizzazione sociale del significato, la cultura
può essere vista come una serie di interconnessioni estremamente
6
complesse di tali formule; un network di prospettive, con una
produzione continua di forme culturali esplicite. In questo modo, la
messa in prospettiva del significato diventa un motore potente per
creare una diversità culturale all’interno di una società complessa,
proprio come è la nostra società odierna.
Ma quanto persone devono essere coinvolte perché noi possiamo
considerare la cultura un fenomeno collettivo? Poche come due, o
tante come milioni? Da quanto è emerso, anche e soprattutto, da
questo mio lavoro, possiamo pensare ai significati gestiti perfino da
una sola diade come a “una cultura”. Ed è esattamente qui che
incontriamo la nozione di subcultura.
Questo termine (che “nasce” all’incirca negli anni ‘30-’40) è
ampiamente usato sia in antropologia che in sociologia, e si è anche
lentamente inserito nel linguaggio quotidiano. Non mancano, però,
ambiguità e confusione circa il suo significato, come ho testimoniato
in molte parti dell’elaborato.
La stessa particella sub potrebbe trarre molti in inganno, in quanto:
“descrive questo tipo di cultura semplicemente come segmento di una
cultura più ampia, o come invece qualcosa di subordinato a una
cultura dominante, o addirittura come qualcosa di sotterraneo e ribelle,
al di sotto dello standard comune, qualitativamente e non solo
quantitativamente inferiore?”
In modo abbastanza sorprendente, una delle principali debolezze degli
scritti sulle sottoculture è che spesso prestano poca attenzione a quello
che succede alle interfacce con la cultura più ampia. Le “etnografie
subculturali”, infatti, sono il più delle volte piuttosto interniste. E il
prefisso sub, quindi, che dovrebbe segnalare che questa particolare
unità culturale è in parte caratterizzata dal suo far parte di un insieme
più ampio di caratteristiche culturali diverse, è virtualmente ignorato.
Inizialmente, potremmo dire che uno degli elementi che caratterizza
maggiormente la formazione di una subcultura è il fattore della
convalida sociale. I gesti esplorativi, infatti, giocano un importante
ruolo in questo contesto: “se tu allunghi il collo soltanto un po’,
anch’io allungo il mio soltanto un po’, o forse un po’ di più”; e mentre
7
questo avviene i partecipanti diventano egualmente legati al/dal
prodotto emergente.
Il processo subculturale (nel senso più generale del termine), perciò,
presuppone una simmetria di base di prospettive tra i partecipanti,
stabilizzata comulativamente e amplificata dal flusso culturale che
scorre tra loro. Va data enfasi simultanea alla particolarità culturale e
all’ancoraggio relazionale. In quanto fenomeno collettivo, una
subcultura appartiene a una particolare relazione sociale, o ad un
insieme di relazioni. Tuttavia non riguarda necessariamente ogni
aspetto del flusso di significato all’interno di questo segmento
relazionale della struttura sociale; riguarda soltanto ciò che in esso è
più o meno particolare, in contrasto con il flusso di significato che è
altrove nella stessa società. L’ancoraggio relazionale, invece,
suggerisce che l’unità di partecipazione in un processo subculturale
non deve essere considerata a livello degli individui, interi ed
indivisibili. Al contrario, è definito nel dettaglio a livello di particolari
situazioni sociali e relazioni specifiche. L’individuo, infatti, non è
totalmente incapsulato in un singolo segmento, connotato
subculturalmente, della struttura sociale. Le persone, piuttosto,
possono essere coinvolte in una sottocultura tramite un ruolo, o una
combinazione di alcuni dei propri ruoli, e in altre sottoculture
attraverso altri ruoli presenti nei propri repentori.
Perché, però, le subculture si sviluppino e continuino ad esistere come
piani di condivisione culturale, non basta che gli individui si trovino
nelle stesse circostanze in modo da generare prospettive simili, bensì è
necessario che interagiscano di fatto gli uni con gli altri e che siano, in
una certa misura, isolati (e non solo fisicamente). In questo modo, il
loro reciproco flusso di significati diventa una parte comparativamente
ampia dell’intero flusso culturale che li raggiunge.
Le subculture, in quanto clusters di significati socialmente distribuiti,
variano sia in rapporto alla dimensione dei propri inventari di
significati caratteristici, sia in rapporto alla dimensione dell’insieme di
relazioni sociali che li trasporta; inoltre non sempre esistono l’una
accanto all’altra. Addirittura si possono avere clusters di significati
con diversi livelli di generalità, spesso annidiati l’uno nell’altro:
8
subculture, subsubculture e così via (una sorta di matrioska). Una
sottocultura etnica, ad esempio, può scindersi, a sua volta, in base al
sesso, alla classe, all’età,…dal momento che ciascun aspetto provoca
un’ulteriore differenziazione delle prospettive tra i partecipanti al
processo culturale. E così si può procedere fino a quei complessi di
significato che riguardano realtà più ampie.
Al livello, invece, più basso della specificazione contestualizzata della
cultura si trova ciò che riguarda un insieme più limitato, particolare e
concreto di relazioni sociali. Quando si raggiunge tale livello, tuttavia,
si verifica un certo cambiamento qualitativo della natura dei significati
condivisi. Nella formazione delle prospettive, infatti, esiste un’azione
reciproca tra le esperienze personali concrete e le conoscenze e
disposizioni più generalizzate. Le prime sono in base alle seconde, e
queste ultime fanno da cornice all’interpretazione delle prime. Questa
dimensione, però, più limitata (quantitativamente e qualitativamente) e
concreta tende spesso ad essere ignorata, o addirittura snobbata. Un
termine specifico per questo tipo di culture potrebbe essere quello di
microculture. Si tratta, sostanzialmente, della parte più piccola di un
insieme sociale più ampio dove vengono mantenuti significati e forme
significanti particolari di ogni tipo. Mentre il concetto di subcultura,
sottolineando la particella “sub” problematizza l’incapsulamento, il
concetto di microcultura è più assoluto che relativo. C’è, infatti, una
grandezza massima approssimativa al di là della quale diventa più
difficile costruire una cultura sulla base di esperienze concrete
condivise, una biografia comune. Questo livello massimo dipende,
senza dubbio, dall’organizzazione sociale e da altri fattori contestuali.
Si può pensare che, mentre le sottoculture possono coinvolgere anche
milioni di persone che fanno riferimento a conoscenze condivise
relativamente generalizzate, le microculture (che si fondano sulla
concretezza dell’esperienza condivisa) possono raramente coinvolgere
più di un paio di dozzine di persone, o un centinaio (un esempio
lampante è offerto, all’interno della tesi, dall’analisi delle idioculture
della Little Champions League di Baseball).
A guardarci bene, gran parte del processo culturale prende la forma di
microcultura; questa, infatti, permette alle persone di andare e venire
9
tra gli aspetti concreti e quelli più astrattamente generali, non solo nei
procedimenti interiori delle proprie menti, ma con il supporto di ciò
che è collettivamente conosciuto. Ciò in quanto, ovviamente, le
microculture non hanno a che fare solo con la messa in circolazione
delle particolarità. Consentono, piuttosto, una trasformazione
socialmente riconosciuta di ciò che sarebbe pettegolezzo, da un lato, e
filosofia, dall’altro: ossia, il radicamento del generale nello specifico
del faccia a faccia.
La visione delle sottoculture, nel contesto dell’insieme più ampio,
suggerisce che esse si relazionano l’una nell’altra in diversi modi.
Possono, ad esempio, incrociarsi in uno stesso individuo, o possono
anche rispecchiarsi a vicenda. Così come le prospettive in generale
sono, in gran parte, prospettive di altre prospettive, le subculture
tendono ad essere prospettive collettivizzate di tante prospettive.
Esistono sottoculture che sono, principalmente, orientate al proprio
interno, verso il proprio angolo; dove ciò si verifica le persone
coinvolte si occupano soprattutto di trattare significati che riguardano
esclusivamente le attività interne al gruppo. Ma ne esistono anche altre
che si rivolgono maggiormente verso l’esterno, originando una
continua riflessione critica su di un qualche Altro. Molte, addirittura,
si trovano nel mezzo di queste due dimensioni.
Incontrando alternative tra le subculture collegate ai loro orizzonti, le
persone possono aderire ancora di più alle proprie prospettive, oppure
possono muoversi in modo ambivalente ed opportunistico tra fazioni
opposte, o intraprendere un processo di conversione culturale.
Assumere posizione rispetto alle altre sottoculture all’interno del
proprio orizzonte, evidenziando contrasti e somiglianze, può essere un
modo per affinare di riflesso i contorni della propria. Per esempio, i
gruppi etnici, le classi,…esibiscono reciprocamente differenza
culturale e ciò, che sia o meno fondato, acuisce le distinzioni sociali e
ostacola l’interazione, ma allo stesso tempo rafforza la coesione
interna al gruppo. Se, infatti, si vedono gli altri giocare una partita
diversa, con regole differenti, i confini sociali si rafforzano e gli
stereotipi aumentano.
10
A tal proposito, in sociologia, la teoria dell’etichettamento si è
sviluppata, proprio per affrontare fenomeni simili: le classificazioni
selettive che le persone "non devianti" fanno di coloro che deviano, e
le conseguenze sociali di queste classificazioni. Quando, infatti, per
una ragione o per l’altra, singoli individui o gruppi sono etichettati
come devianti, essi vengono isolati dal resto della società. In un tale
stato di isolamento, secondo la teoria, le persone fanno sempre più
riferimento ed affidamento ad altre classificate allo stesso modo; e
così la particolarità del processo subculturale si accentua
ulteriormente. Ed è precisamente in quest’ambito che incontriamo la
nozione di controcultura, che esemplifica brillantemente questa
tendenza generale della gestione del significato. La caratteristica
principale che definisce le controculture è il loro forte orientamento
all’esterno (a differenza degli altri due concetti esaminati) e
l’elemento conflittuale. La loro ragion d’essere è, sostanzialmente,
quella di rappresentare alternative concrete radicalmente opposte ad
altri insiemi di significati (solitamente quelli appartenenti alla cultura
dominante). Quindi, la controcultura, primariamente, si configura
come un fenomeno sociale di natura contestativa.
Dopo questa sorta di “sguardo ad ampio raggio”, o “visione
d’insieme”, che dir si voglia, in modo tale da dare delle coordinate per
muoversi meglio all’interno di queste tematiche, credo sia necessario
entrare, anche se brevemente e in modo sintetico, più nello specifico.
Intendo, cioè, illustrare i punti salienti che caratterizzano questo mio
lavoro teorico (esplorativo anche, in un certo senso, all’interno della
materia d’oggetto).
Idealmente, la tesi può essere suddivisa in tre/quattro parti principali:
la prima (che va dal capitolo 1 al capitolo 3 compreso) si occupa
essenzialmente della tematica subculturale (della sua origine, dei suoi
sviluppi ed evoluzioni nel tempo); la seconda (che va dal capitolo 4 al
capitolo 6 compreso) di quella controculturale (con anche analisi di
casi specifici); la terza (che caratterizza il capitolo 7) tratta del neo-
tribalismo (termine coniato dal sociologo francese Michel Maffesoli) e
la quarta ed ultima parte (capitolo 8) che indaga, in un certo senso per
11
la prima volta, su una realtà sociale nuova, o per meglio dire un
concetto sociologico-antropologico innovativo e assolutamente
all’avanguardia (soprattutto per quanto riguarda l’Italia): la nozione di
idiocultura.
Ciò che per me, comunque, è importante far notare, molto più dello
specifico contenuto di ogni singolo capitolo, è la presenza di tipi di
paradigmi sociologici molto diversi tra loro (a seconda del concetto
che viene in quel momento analizzato, del periodo storico in cui viene
preso in considerazione e anche della collocazione spaziale).
Ad esempio, la “Scuola di Chicago”, che rappresenta la genesi delle
sottoculture, si basa sull’approccio ecologico; le “Subculture devianti”
(con analisi di opere di Cloward ed Ohlin e di Becker) si rifanno molto
alla teoria dell’etichettamento e a quella comportamentale; i “Cultural
Studies” di Birmingham (con il testo fondamentale di Hebdige sulle
sottoculture spettacolari del dopoguerra britannico) fondano i loro
studi sul paradigma culturalista, dando enfasi allo stile visto come una
sorta di linguaggio; il “Neo-tribalismo” si riferisce molto al rapporto
diretto tra estetica ed etica, sottolineando l’importanza della sfera
affettiva, della condivisione di emozioni e di empatia facendo
emergere una visione della realtà sociale come caratterizzata dalla
presenza di infiniti reticoli e tribù; infine “Le Idioculture”, (termine
coniato dal sociologo Fine) che emergono da un tipo di ricerca,
attraverso l’osservazione partecipante, sulle dinamiche culturali,
comunicazionali e relazionali che si vengono a formare all’interno del
Campionato di Baseball della Little League. Questo tipo di studio
sociologico fonda le sue radici nell’interazionismo simbolico.
Last but not the least è la presenza, in Appendice, di tre traduzioni
dall’inglese, curate dalla sottoscritta, di articoli di sociologi quali
Milton Yinger e l’appena citato Gary Alan Fine.
CAPITOLO 1
LA SCUOLA ECOLOGICA DI CHICAGO
1.1 Il background sociale della città di Chicago
Nella seconda metà del XIX secolo e nei primi del XX il panorama
sociale che lo straniero americano ha di fronte è sostanzialmente
diverso da quello europeo; è un panorama fortemente scosso dallo
sviluppo urbano - industriale concomitante ad una massiccia
immigrazione
1
.
Parallelamente al mutamento sociale si è realizzato un intenso
rinnovamento nelle strutture urbane: “la costruzione dei primi ponti in
ferro, l’innalzamento dei grattacieli e lo sviluppo delle linee per il
trasporto urbano differenziano fortemente gli USA dall’Europa.” Le
conseguenze di questo frenetico ed incontrollato cambiamento non
tardano a farsi sentire ad altri livelli. Il continuo flusso migratorio dei
paesi europei genera un’accentuata corruzione che contribuisce
indirettamente alla modifica delle istituzioni politiche.
L’intensa attività edilizia trasforma il volto delle città americane e
favorisce un massiccio trend verso le aree suburbane. L’esempio
classico di tale trasformazione è proprio la città di Chicago, che in
questo periodo viene sottoposta ad una evoluzione demografica senza
precedenti. E’ un tempo di intensi cambiamenti durante il quale si
modifica non solo la struttura della famiglia, che da “estesa” passa a
“nucleare”, ma lo stesso tipo di vita che da “instabile” diventa “più
stabile”. La generazione di questo periodo infatti, proveniente in
prevalenza dalla fattoria americana o dall’Europa, travolta dai
cambiamenti, risponde con la strutturazione di quel tipico sistema
familiare che è proprio della città moderna.
1
Luigi Tomasi, La scuola sociologica di Chicago. 1. La teoria implicita. Franco Angeli (MI) ‘99
13
A Chicago, dopo il devastante incendio del 9 ottobre 1871, la
ricostruzione della città, in sintonia con il nuovo modo di pensare i
centri storici, segna la nascita di quartieri pressoché incomunicanti tra
loro, dove le differenziazioni etniche sono molto accentuate e dove i
ricchi vivono separati dai poveri.
In questo periodo i differenti gruppi di immigrati riflettono, a livello di
città, i diversi tempi nei quali sono arrivati a Chicago. Il movimento
migratorio, estremamente diversificato per origine e costumi, si
ripercuote sulla configurazione della città dando origine a specifici
quartieri e, in pari tempo, intacca la geografia della stessa, perché gli
immigrati si stabiliscono in aree ben determinate ed altamente
“etnicizzate”.
Tale congerie di popolazioni crea una cultura cosmopolita
sostanzialmente diversa da quella esistente nelle piccole città ed aree
rurali, sia dell’America che dell’Europa, dalle quali provengono gli
immigrati. Ciò fa di Chicago una “Metropolis of the West”: tre quarti
dei suoi abitanti sono infatti immigrati e la loro differenziazione
culturale costituisce un mosaico di comunità etniche. Ognuna di
queste comunità, poi, cresce e si sviluppa in forza delle sue istituzioni
interne.
E’ all’interno di questa profonda transizione che viene ad affermarsi la
“Scuola ecologica di Chicago”, le cui radici affondano nel filone
progressista del movimento di riforma e nella diffusa opinione che
raffigura la città come un cancro che corrode le virtù del popolo
americano
2
.
2
Renzo Gubert – Luigi Tomasi, Teoria sociologica ed investigazione empirica: la tradizione della
Scuola sociologica di Chicago e le prospettive della sociologia contemporanea. Franco Angeli
(MI) 1995
14
1.2 La Scuola
Specificatamente, per Scuola di Chicago s’intende la comunità
scientifica che ha operato in quella città, nel Dipartimento di
Sociologia e Antropologia culturale, nel corso degli anni ‘20,
svolgendo una serie di ricerche, soprattutto sulla realtà urbana, e
dando luogo ad una serie di pubblicazioni che sono entrate a far parte
della “Sociological Series” della Chicago University Press.
Concretamente, i suoi studiosi hanno gettato le basi della futura
“sociologia urbana”.
Di tale realtà Robert Ezra Park ed Ernest Burgess sono stati
indubbiamente gli animatori principali: alla loro elaborazione, poi, si
aggiunge quella relativa all’ecologia urbana da parte di Roderick
Mckenzie e la realizzazione di una serie di ricerche, condotte da
giovani allievi del Dipartimento, da Nels Anderson
3
in avanti.
Fin dalla fondazione del Dipartimento i sociologi di Chicago vedono
l’omonima città come un luogo di verifica delle loro teorie - e le
molteplici monografie lo documentano - con le quali propongono delle
ipotesi per la soluzione dei diversi mali della vita cittadina. La loro è
un’analisi che parte dalla tradizione scientifica sociale europea,
soprattutto tedesca, che aveva notevolmente influenzato il loro
pensiero (tra cui spiccano figure importanti come Simmel,
Ratzenhofer, Gumplovicz...).
I sociologi di questa Scuola costituiscono una “comunità
scientifica”con un forte orientamento verso l’analisi della condizione
umana. La dimensione spaziale ed ecologica, i temi dell’etnicità, i
rapporti e la devianza urbana sono solo alcune delle tematiche
affrontate. Gli studi sulle eterogenee comunità cittadine conducono ad
un’approfondita descrizione dei quartieri dove vivono gli emigrati.
3
(The Hobo, 1923) , Louis Wirth (The Ghetto, 1928) , Frederic Trasher (The Gang, 1927) , Ruth
Cavan (Suicide, 1928) , Harvey Zorbaugh (The Gold Coast and the Slum, 1929) , Clifford Shaw
(The Jack Roller, 1930 e The Natural History of a Delinquent Career, 1931) , Paul Cressey (The
Taxi-Dance Hall, 1932) , Franklin Frazier (The Negro Family in Chicago, 1932) , Walter Reckless
(The Vice in Chicago, 1933).
15
Quindi, in un tempo in cui i problemi si palesano esclusivamente nei
sintomi a carattere psichico individuale, questi sociologi evidenziano
con acutezza le modalità attraverso le quali le comunità locali
esercitano un profondo influsso sul comportamento del singolo.
1.3 L’approccio ecologico
L’analisi ecologica viene vista dal gruppo centrale del Dipartimento
come il paradigma attraverso il quale leggere, con un linguaggio
scientifico, i processi di evoluzione e trasformazione che si realizzano
nella società.
I processi interni alla comunità umana sono assimilabili a quelli
interni alla vita delle piante con la loro lotta per la sopravvivenza e
l’adattamento conseguente: la comunità umana è dunque prodotto di
una dinamica ecologica, esito di un processo competitivo, e del
conseguente assestamento, che ordina l’assetto spaziale e temporale
della società.
Ma che cos’è una comunità?
Secondo Mckenzie è una distribuzione ecologica di persone e servizi,
in un rapporto di interazione, tanto che la collocazione spaziale di
ciascuno è determinata dallo specifico rapporto che ha con tutte le
altre.
In questo modello teorico è contenuta la presupposizione e
l’incorporazione di quell’approccio che evidenzia ( tramite le mappe,
la rappresentazione della distribuzione della popolazione, le strutture
fisiche, le istituzioni e i gruppi ) la dimensione spaziale del
manifestarsi dei processi e che privilegia l’analisi condotta in termini
sociali, anziché individuali.
Park preferisce pensare in termini di processi, piuttosto che di
strutture, e mostra più attenzione agli stati di squilibrio che a quelli di
equilibrio. Più precisamente, egli ha un’idea del processo sociale come
un susseguirsi di stadi che da una situazione di relativo equilibrio
messo in crisi, dall’interno o dall’esterno, riportano la società verso un
16
nuovo relativo equilibrio. Egli esprime questa idea con il concetto di
“storia naturale”, per mezzo del quale intende tener conto del fatto che
nuovi equilibri si raggiungono per il gioco di forze impersonali, più
che come esito di una pianificazione umana.
All’interno di questo approccio, Park distingue due ordini in
interazione tra loro: l’ordine simbiotico (o ecologico) e l’ordine
sociale (o culturale). A loro volta, questi due ordini sono governati da
differenti principi e regolati da differenti meccanismi.
La società simbiotica viene vista come un aggregato di individui
segnati dalla competizione e dalla divisione del lavoro; la società
culturale come una comunità di persone che si organizza lungo la
comunicazione e il consenso.
Competizione è usato in senso derivato dall’idea di “lotta per la vita”
nel regno biologico, la quale si riferisce a individui che si trattano
considerandosi tra loro, per quanto è possibile, dei mezzi. Nella
competizione l’individuo non è consapevole dei suoi competitori, o
comunque stabilisce una relazione impersonale.
Comunicazione e consenso, invece, si riferiscono a un ordine morale,
a ideali e tradizioni comuni, a legami affettivi e scopi condivisi e alla
capacità di disciplinare impulsi in vista di trascendere lo stato di
natura, in quanto esseri sociali. Con la comunicazione diventa
possibile l’azione collettiva, mentre nell’ordine ecologico gli individui
semplicemente rispondono in modo simile a situazioni simili.
Sviluppando il suo schema, Park complica ancor di più il quadro,
osservando che le interazioni umane sono più complesse di quanto la
dicotomia simbiotico-culturale non permetta di individuare. E’
opportuno allora distinguere, a partire dall’ordine ecologico, un ordine
economico, uno politico e uno morale, che costituiscono una specie di
gerarchia.
Quindi, in questo tipo di approccio, la città si identifica nella sua
popolazione, nel modo in cui si concentra e si distribuisce.
All’osservazione sociologica si presentano tipiche “aree naturali” e la
città è, in ultima analisi, una costellazione di queste. Queste sono
naturali nel senso che la loro formazione, le loro caratteristiche e
funzioni non sono completamente previste o volute; bensì sono il
17
prodotto naturale dello sviluppo della città. La crescita di densità della
popolazione determina una differenziazione di funzioni, che per Park
si manifesta contemporaneamente in specializzazione spaziale. Il
valore del terreno è il meccanismo che concentra funzioni diverse in
aree diverse, con processi di “invasione”, “successione”, “selezione” e
“segregazione” che modificano equilibri prima raggiunti. Ma anche i
fattori culturali esercitano un ruolo ben preciso in questo processo,
creando attrazioni e repulsioni.
Ogni area naturale tende a raccogliere, dal flusso dinamico in
competizione della popolazione urbana, gli individui ad essa
predestinati: essi, a loro volta, conferiscono a quella stessa area un
carattere peculiare. E come risultato di questa segregazione, le aree
naturali della città tendono a diventare anche aree culturali specifiche:
una Black Belt, una Harlem, una Gold Coast, una Little Italy...;
ognuna con il proprio caratteristico complesso di istituzioni, usanze,
opinioni, tenori di vita, tradizioni, sentimenti ed interessi.
L’individualità fisica delle aree naturali urbane è accentuata, a sua
volta, dall’individualità culturale delle popolazioni segregate al loro
interno.
Aree naturali e gruppi culturali tendono a coincidere. Quindi, un’ area
naturale è un’area geografica caratterizzata tanto da una individualità
fisica quanto dalle caratteristiche culturali della gente che la abita.