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INTRODUZIONE
Le parole sono singolarmente la forza più potente a disposizione dell’umanità.
Possiamo scegliere di usare questa forza in modo costruttivo
con parole di incoraggiamento o in modo distruttivo
usando parole di disperazione. Le parole hanno energia e potenza
nella loro capacità di aiutare, guarire, ostacolare,
ferire, danneggiare, umiliare e renderci umili.
Yehuda Berg
Il lavoro trattato ha come obiettivo quello di analizzare i cambiamenti che
nell’ambito della comunicazione politica sono intercorsi nella storia della nostra
Repubblica, a partire dal secondo dopoguerra fino ad arrivare ai giorni nostri.
Il percorso, che sarà suddiviso in tre parti, ha inizio analizzando le varie
metodologie comunicazionali attuate durante gli anni della c.d. Prima Repubblica,
periodo caratterizzato da un modo di comunicare classico, fatto di comizi e dialoghi,
che molte volte culminavano in veri e propri scontri tra i diversi attori politici. I vari
esponenti si incontravano nelle piazze e nei teatri per poi spostarsi, verso la metà degli
anni Cinquanta, nelle tribune elettorali televisive le quali hanno decretato la nascita di
un nuovo spazio pubblico, da tutti accessibile e che andrà a sostituire i tradizionali
strumenti di partito fino ad allora utilizzati.
A partire dal 1946 la comunicazione politica ha subito un radicale mutamento
rispetto a quella attuata durante gli anni del regime fascista. In quel contesto la
comunicazione ha assunto i tratti tipici della propaganda e della manipolazione della
realtà prendendo il sopravvento su ogni forma di partecipazione partitica e politica. In
pratica non esisteva una dialettica tra i vari partiti politici, che vennero ben presto
5
annientati, individuando come unico destinatario dei messaggi propagandistici il popolo
da convincere e infine da soggiogare.
Dalle tribune elettorali televisive alla spettacolarizzazione della politica,
argomento trattato nel secondo capitolo, il passo è breve. Quest’ultimo fenomeno, nato
già con il diffondersi del mezzo televisivo, assume connotati più forti e decisi nel
periodo della c.d. Seconda Repubblica, quando nuove forze politiche si affacciano sulla
scena pubblica. È a partire da quel momento che la comunicazione politica si
arricchisce di nuovi strumenti, che fanno della televisione il mezzo più efficace per
coltivare la leaderizzazione dell’esponente principale del partito.
Il politico non è più mero portavoce della compagine di cui fa parte ma diventa
un vero e proprio “leader” che organizza e guida le campagne elettorali e si espone in
prima persona con parole e gesta eclatanti sottoposte all’attenzione dell’opinione
pubblica, al fine di ottenere consensi prima per se stesso e poi per il partito.
La situazione si evolve ulteriormente con l’ascesa di nuovi partiti e movimenti, il
cui modo di comunicare è oggetto del terzo e ultimo capitolo. A caratterizzare i nuovi
leader politici, definiti populisti con accezione negativa dalle vecchie Ølite, sono i
moderni social network e blog tematici. È nella rete internet e nelle pagine Facebook,
Instragram e Twitter che le attuali forze politiche comunicano direttamente con gli
elettori. La nuova strategia è volta ad abbattere il gap tra l’uomo politico e il cittadino
che si mostra, non solo impegnato durante le attività istituzionali, ma anche durante la
vita quotidiana e ancora nell’intimità famigliare. Il filtro televisivo e soprattutto quello
giornalistico vengono sempre più bypassati in favore di quella che viene definita
democrazia rappresentativa diretta.
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CAPITOLO I
LA COMUNICAZIONE POLITICA NELLA
PRIMA REPUBBLICA
1. La comunicazione politica, gli attori e la finalità: premessa.
La comunicazione politica viene definita come “lo scambio ed il confronto dei
contenuti di interesse pubblico e politico prodotto dai tre attori operanti nello spazio
pubblico: il sistema politico, il sistema dei mass media e il cittadino non solamente nella
sua veste di elettore”
1
.
La definizione appena riportata rende l’idea della molteplicità degli attori in
gioco in questo campo, in un sistema che si possa definire democratico. Essi sono:
il sistema politico, quello dei mass media, ovvero il principale strumento di diffusione
delle informazioni e il cittadino/elettore.
Ciascuno dei tre attori in gioco crea, veicola e recepisce messaggi dal contenuto
di natura politica elaborato in varie forme
2
.
Ma qual è il fine della comunicazione politica? La risposta è molto semplice:
consolidare il consenso e acquisirne un numero sempre maggiore trasmettendo,
attraverso i canali più idonei, i messaggi che sono stati costruiti appositamente e che
1
MAZZOLENI G., La comunicazione politica, Il Mulino, Bologna, 2004.
2
PISTORE P., Comunicazione Politica. Dai Social Network al Comizio, la Costruzione del Consenso
per Diventare Leader Politici, Bruno Editore, Roma, 2014, p. 6.
7
contengono le informazioni dirette all’elettore, in vista del confronto elettorale
3
. Il
contenuto del messaggio politico è di difficile percezione immediata. Esso in realtà
emana informazioni che vengono col tempo assorbite e percepite in vari momenti, tutti
consecutivi tra loro.
Per ciò che riguarda i canali di diffusione, attualmente ne possiamo contare
numerosi. Ormai la politica è diventata patrimonio dei media mainstream e dei social
network mutando la sua veste e passando da una modalità di informazione televisiva
sullo stato del Paese, sulla sua economia, sulle proposte volte a far crescere quel paese
come la politica dovrebbe essere ad una nuova trasmissione televisiva dove gli
esponenti delle varie correnti si esibiscono adottando un linguaggio non semplice,
rendendosi talvolta incomprensibili alla maggioranza dei telespettatori.
Sotto questo aspetto la televisione ha marcato un confine ben preciso: oggi
nessuno, politico o portavoce che sia, può sottrarsi alla legge della visibilità. La
televisione ha influenzato così profondamente il rapporto fra sistema politico, mass
media e cittadini da assumere una posizione predominante sui canali che veicolano i
messaggi.
2. Il modo di comunicare negli anni della Prima Repubblica: i comizi.
Comunicare in politica è un’arte difficile e laboriosa che richiede maestria e
grandi doti ma è anche un’arte che, nel nostro paese, ha assunto configurazioni diverse
nel corso degli anni subendo un’evoluzione senza eguali. Tuttavia se si vuole procedere
con una disamina adeguata occorre partire dall’analisi delle modalità e degli strumenti
utilizzati per comunicare, suddividendo i periodi che hanno caratterizzato politicamente
il nostro Paese.
Il primo periodo che si va ad analizzare è quello che comprende gli anni della
Prima Repubblica, ovvero gli anni che hanno caratterizzato l’Italia dal 1946 ai primi
anni Novanta, dominati maggiormente da partiti politici come la Democrazia Cristiana
(DC), il Partito Comunista Italiano (PCI), il Movimento Sociale Italiano (MSI) e il
Partito Socialista Italiano (PSI).
3
Ibidem
8
Durante gli anni della Prima Repubblica e soprattutto nella prima parte, almeno
fino agli anni Ottanta, lo strumento maggiormente utilizzato era il comizio, ovvero
l’incontro tra esponenti politici e i loro elettori nelle piazze, dove i primi presentavano il
loro programma elettorale da un palco, parlando alla folla, strumento di massima molto
efficace al quale attualmente si ricorre sempre più raramente. Oggi infatti esso appare
alquanto contaminato dal linguaggio della televisione
4
.
Edoardo Novelli, professore di Comunicazione Politica all’Università Roma Tre,
scrive della trasformazione di questo strumento raccontando che già negli anni Ottanta
il comizio si trasforma, si comincia a parlare di convention con un presentatore, di
collegamenti, di maxischermi. Per la prima volta il comizio non serve a farsi
un’opinione, ma diventa spettacolo televisivo, tanto da fare a gara perché le emittenti lo
trasmettano. Si ribalta il rapporto: chi ascolta dal vivo il comizio è una comparsa e il
destinatario diventa il telespettatore
5
.
Questo significa che erano ormai lontani i tempi in cui il comizio serviva a
costruire l’identità del partito politico che si serviva principalmente dei militanti armati
di striscioni, bandiere e carri allegorici. Di certo il comizio non era scomparso ma
essenzialmente mutato nelle sue manifestazioni. Nulla a che vedere con le folle del ’48
e le istantanee che immortalano Alcide De Gasperi ridotto a macchia in una piazza
Duomo a Milano stipata fino all’inverosimile, i toni epici di Padova e l’affanno che
precede l’ischemia di Enrico Berlinguer o ancora la madre di tutti i comizi, quello di
Consalvo Uzeda ne “I Vicerè”: “Assordato, abbacinato, sgomentato dallo spettacolo.
Dietro di lui, nuovi torrenti si riversavano nelle terrazze, nei portici, nell’arena […]
migliaia di mani applaudivano, sventolavano fazzoletti, l’ovazione si prolungava e le
grida salivano”
6
.
In quegli anni nessuno poteva pensare ad una candidatura se non si fosse distinto
in un comizio. La paura di fallire era forte, in pratica ci si giocava un’intera elezione
nella riuscita del comizio durante il quale, in verità, non s’intravedeva una
partecipazione dialettica tra le due parti, ma semplicemente un rapporto unilaterale dove
chi esponeva al massimo poteva ricevere contestazioni e fischi, ma nulla più.
4
CARUSO C., Campagna elettorale: c'era una volta il comizio... L'unico che continua a farli è
Beppe Grillo. Perchè gli altri leader hanno rinunciato?, Panorama, Milano, 30 gennaio 2013.
5
CARUSO C., Campagna elettorale, cit.
6
Ibidem
9
Spesso si cercava di dissuadere i partecipanti ai comizi boicottando le piazze. Si
ricordano le piazze siciliane negli anni dei moti e di Girolamo Li Causi, ad Alcamo,
dove i tumulti appositamente organizzati impedivano lo svolgimento del comizio, o
ancora i sorci che i missini a Napoli sguinzagliavano nelle piazze scatenando il panico
tra la folla, le campane suonate dai preti democristiani per infastidire i “rossi” e poi il
fatidico comizio di Amintore Fanfani a Caltanissetta per il referendum sul divorzio del
12 marzo 1974: “Volete il divorzio? Allora dovete sapere che dopo verrà l’aborto e
dopo ancora il matrimonio tra omosessuali, diventeremo tutti scimuniti. E magari
vostra moglie scapperà per andare con la serva”
7
.
Si ricordano ancora i comizi elettorali di Aldo Moro che in quelle manifestazioni
parlava a braccio per ore, quelli di Pietro Nenni che “convinceva” e quello di un Marco
Pannella che con i radicali, negli anni Ottanta, si inventava la maratona del comizio.
“Adesso certo, conta la scenografia e viene meno la funzione della parola”, chiosa
Novelli. Che ne è di Giancarlo Giannini e la sua coppola che fa lo strillone per il cugino
Tricarico candidato alle elezioni in “Mimi metallurgico ferito nell’onore”, di fronte a
una sconsolata Mariangela Melato? “sono tutti cugini” rispondeva Mimi. Si finisce con
Totò e al suo comizio verità, confessione che in cuor loro molti onorevoli vorrebbero
tirare fuori: “Per Roccasecca non potrò fare un cacchio. Non votate per me. Non votate
per me!”
8
.
3. La propaganda elettorale fino agli anni Ottanta.
Nella storia della comunicazione politica italiana di quel periodo è possibile
evidenziare la presenza di due diverse fasi
9
:
• una fase pre-televisiva, ovvero quel periodo che va dal 1945 al 1959, di
riorganizzazione della vita politica dove si rileva un’elevata partecipazione del
popolo alla politica con forme e modelli propri della militanza. Si va costruendo
7
NOVELLI E., La turbopolitica. Sessant'anni di comunicazione politica e di scena pubblica in
Italia: 1945-2005, BUR, Bologna, 2006.
8
CARUSO C., Campagna elettorale, cit.
9
ZUMBO D., Comunicazione politica, Youcanprint, EPUB, 2013.