Capitolo 1
L’ATTENZIONE
1. Introduzione
L’attenzione è una funzione psicologica dell’adattamento dell’uomo all’ambiente,
fondamentale per la sua sopravvivenza, che consiste nel focalizzare l’interesse su
qualcosa, di selezionare, cioè, una fonte d’informazioni significativa a scapito di altre.
L’imprevedibilità e la rapidità delle modificazioni dell’ambiente mettono alla prova la
sopravvivenza e l’adattamento dell’individuo ed è quindi di cruciale importanza la sua
capacità di risposta alle varie situazioni che affronta, come, appunto, eventi non previsti o
devianti dai propri scopi. Per decidere come e quando realizzarli è necessaria la capacità
di formulare e gestire delle priorità, aggiornandole continuamente ed adattandole alle
condizioni interne ed esterne: focalizzarci su ciò che è necessario per le nostre finalità,
istante per istante, permette questo processo di adattamento.
L’attenzione produce diversi fenomeni psicologici, a seconda della modalità di
funzionamento coinvolta: automatica o volontaria (ci si potrebbe anche esprimere in
termini di utilizzo inconscio o conscio, dell’attenzione): è quindi semplicistico considerarla
un concetto unitario.
La varietà delle situazioni che viviamo, impegnano la nostra attenzione in diversi modi.
Alcuni esempi: la nostra attenzione può essere attratta automaticamente da uno stimolo; ci
possono essere casi in cui abbiamo un’aspettativa su ciò che accadrà, quindi, la selezione
dello stimolo, che attrae la nostra attenzione, è più efficiente; quando dobbiamo rimanere
1
concentrati su qualcosa, invece, è necessario un controllo volontario dell’attenzione
(attenzione sostenuta); a volte dobbiamo occuparci di diverse attività contemporaneamente
(attenzione divisa); la capacità di svolgere un’attività in maniera più o meno esperta
influisce sulla concentrazione e quindi sull’utilizzo più o meno conscio dell’attenzione
stessa; migliorando la nostra abilità in un compito possiamo permetterci di rivolgere la
nostra attenzione altrove, ma se le condizioni di controllo dovessero complicarsi (aumento
del carico cognitivo) avremmo bisogno di investire nuovi sforzi per rimanere concentrati su
ciò che stiamo svolgendo e quindi ci impegneremo a “fare” più attenzione; nei casi in cui è
necessario un controllo delle azioni, l’attenzione è guidata dai nostri scopi e dalle nostre
priorità del momento.
Alla luce di questa funzionalità multipla dell’attenzione è comprensibile l’atteggiamento
dei ricercatori, i quali studiano singolarmente i diversi fenomeni attentivi: come prova di
questa caratteristica valgano i risultati di molti studi neuropsicologici che hanno
dimostrato come i diversi fenomeni dell’attenzione attivano diverse aree cerebrali. Inoltre,
non solo le caratteristiche fisiche del cervello, quindi la stessa attività neurale e la velocità
con cui le operazioni cognitive vengono messe in atto, influenzano le proprietà
dell’attenzione, ma gli stessi processi cognitivi possono essere influenzati, a loro volta,
dall’attenzione. Nel caso della memoria, i processi di codifica e di immagazzinamento delle
informazioni (che sono processi cognitivi), hanno nell’attenzione sostenuta, il loro principale
motore di attivazione. Una maggiore significatività (per l’individuo) del materiale da
elaborare mantenendo viva l’attenzione, genera una codifica più efficace: in questo modo
l’attenzione (l’attenzione sostenuta) ha reso più efficienti, quindi ha influenzato, dei processi
cognitivi (la codifica e l’immagazzinamento).
Le diverse aree del cervello svolgono funzioni differenti e ogni operazione eseguita può
essere specificata in termini cognitivi. Da un punto di vista anatomico sono stati
individuati tre principali sistemi attentivi (Stablum, 2002):
• Sistema attentivo anteriore (corteccia prefrontale) per l’elaborazione conscia e il
monitoraggio del comportamento
2
• Sistema attentivo posteriore (corteccia parietale) per l’orientamento in rapporto a
stimolazioni sensoriali, per l’elaborazione in dettaglio degli oggetti e il focus
dell’attenzione su zone specifiche dell’ambiente.
• Sistema attentivo dello stato d’allerta e della vigilanza, che influisce sia sul sistema
attentivo posteriore che anteriore, è localizzato soprattutto nell’emisfero destro e la
sua attivazione aumenta la velocità di selezione di un’informazione.
Questi sistemi godono di una certa indipendenza anatomica e funzionale, ma
generalmente interagiscono tra loro.
3
2. L’attenzione selettiva
In presenza di informazioni competitive tra loro si fa pressante il bisogno di selezionare
quelle che fanno al caso nostro, riguardo la situazione in cui siamo coinvolti, cioè
selezionare una o più fonti della stimolazione (interna o esterna) alla quale siamo
sottoposti: la funzione cognitiva di cui facciamo uso in questi casi è proprio l’attenzione
selettiva, la capacità di concentrarsi su ciò che ci interessa e di elaborare in particolare
l’informazione rilevante per i nostri scopi e priorità.
Entro certi limiti possiamo scegliere elementi importanti per quello che perseguiamo ed
ignorare ciò che può interferire con esso: l’elaborazione umana dell’informazione è molto
flessibile, l’individuo ha una certa libertà di scelta sul “che cosa” e sul “come” elaborare
cognitivamente ciò che percepisce ed in ogni caso la percezione conscia è sempre selettiva
(anche se abbiamo coscienza solo di una parte degli stimoli che pervengono al nostro
sistema sensoriale), inoltre lo stesso comportamento umano è influenzato dalla selettività.
Per i diversi fenomeni dell’attenzione selettiva (selettività per una modalità sensoriale, per
una zona dell’ambiente, per un oggetto e/o le sue caratteristiche, per determinati
movimenti del corpo) è stato evidenziato il coinvolgimento di substrati neurali diversi e
dunque di caratteristiche funzionali e anatomiche specifiche.
Le caratteristiche fisiche degli stimoli (posizione spaziale, colore, grandezza e forma, per
l’informazione visiva; timbro e frequenza dei suoni, per l’informazione acustica)
costituiscono i principali spetti dell’ambiente sensoriale, poiché più evidenti, sui quali si
può applicare la selezione attentiva.
Gli studi sull’attenzione selettiva hanno portato alle seguenti generalizzazioni empiriche:
• l’informazione cui si presta attenzione è selezionata ed elaborata in modo più
efficiente dell’informazione cui non si presta attenzione (Stablum, 2002).
• I processi di selezione sono la conseguenza di limiti del sistema cognitivo umano,
sono il risultato d’insufficienti risorse od insufficienti capacità d’elaborazione. Una
delle prime ipotesi teoriche, che sono state proposte, è quella che afferma che la
4
funzione dell’attenzione selettiva è quella di proteggere questo sistema a capacità
limitata dal sovraccarico d’informazione (Broadbent, 1958).
• L’attenzione selettiva è motivata dalla necessità di manifestare comportamenti
coerenti, flessibili e sensibili ai cambiamenti (Allport, 1989).
2.1 Selezione precoce & Selezione tardiva
Queste due importanti teorie sono state proposte negli anni Cinquanta ‐ Sessanta, sono
definite “strutturali” ed ipotizzano un meccanismo cognitivo che filtra il passaggio di
informazione. Esse hanno costituito il quadro di riferimento per la ricerca nei decenni
successivi alla loro formulazione.
All’inizio, attraverso il paradigma dell’ascolto dicotico, è stata indagata sperimentalmente
l’attenzione selettiva acustica, mettendo in evidenza come quest’ultima è facilitata dalle
caratteristiche fisiche (timbro) dello stimolo acustico (segnale o messaggio). Il soggetto,
munito di cuffia, riceve due messaggi simultanei dei quali uno deve essere ignorato.
Quando si tratta di ripetere il messaggio presentato all’orecchio non selezionato, non si ha
memoria dell’informazione contenuta in esso, mentre per quanto riguarda le
caratteristiche fisiche dell’elemento acustico sembra sussisterne il ricordo.
Broadbent (1958), attraverso la sua teoria della selezione precoce, riteneva che questa
fenomenologia dimostrasse che gli stimoli, cui non prestiamo attenzione, passano
attraverso un filtro selettivo, che opera sulla base delle caratteristiche elementari (fisiche)
degli stimoli stessi e quindi prima della codifica semantica. Dunque, mentre
l’informazione non rilevante decadrebbe progressivamente, gli stimoli sottoposti a
selezione ricevono ulteriori analisi (in prospettiva delle azioni da eseguire), raggiungendo,
così, il livello semantico.
Nel 1960 Treisman propose che il filtro piuttosto che essere del tipo tutto‐o‐niente (il che a
detta di Broadbent bloccherebbe a livello di elaborazione tutta l’informazione non
rispondente ai criteri di selezione), fosse un meccanismo che diminuisce la forza delle
informazioni non sottoposte al focus attentivo: solamente quelle valide ed importanti per
5
l’individuo, genererebbero una maggiore attivazione cognitiva, raggiungendo la soglia
della consapevolezza.
La teoria della selezione tardiva fu proposta da Deutsch e Deutsch (1963) e suppone che tutte
le informazioni vengano elaborate fino al livello semantico e ciò che interverrebbe non è
un filtro cognitivo ma un semplice processo di selezione della risposta in seguito
all’elaborazione. A dimostrazione di ciò nel 1974 Eriksen e Eriksen, studiando questa volta
l’attenzione selettiva visiva, riscontrarono un effetto d’interferenza quando c’era competizione
fra le risposte (ognuna corrispondente ad una lettera‐stimolo) da dare ad un test di
riconoscimento di lettere. Queste lettere erano poste, in una stringa, tra lettere che
fungevano da distrattori (quindi appartenenti alle altre risposte): se queste ultime non
fossero analizzate almeno fino all’attivazione della risposta, non si otterrebbe interferenza.
L’attenzione selettiva visiva sembra non essere in grado di escludere l’elaborazione dei
distrattori se sono presenti vicino al bersaglio e quindi essa può essere considerata simile
ad un fascio di luce di una certa ampiezza: se gli stimoli sono sotto questo fascio vengono
elaborati fino in fondo (Stablum, 2002).
2.2 Le funzioni inibitorie dell’attenzione: il “Negative Priming”
Alla luce delle considerazioni espresse dalla teoria della selezione tardiva si può sintetizzare e
generalizzare che l’attenzione selettiva, funzionalmente, agisce in due modalità:
• Attiva, che facilita l’elaborazione dell’informazione rilevante; un meccanismo di
attivazione che opera prima della selezione.
• Inibitoria, che attenua l’elaborazione dell’informazione non rilevante; un
meccanismo di “inibizione attiva della risposta” rende questo tipo di informazione
meno disponibile ai meccanismi di risposta.
A sostegno della selezione tardiva molti dati provengono da studi che hanno utilizzato il
paradigma del negative priming.
Ampiamente utilizzati, i paradigmi sperimentali di priming prevedono la presentazione di
un primo stimolo (prime) seguito da un secondo stimolo (probe) che richiede una risposta
6
immediata e specifica: se questo stimolo è semanticamente associato al primo si ha una
agevolazione della risposta (più veloce), quindi il priming è un concetto che riguarda la
facilitazione percettiva.
Il paradigma del negative priming permette di rilevare l’influenza degli stimoli ignorati, sui
tempi di reazione al secondo stimolo: l’influenza sta nel fatto che quando lo stimolo
ignorato è semanticamente associato allo stimolo successivo (il probe), la risposta al probe è
significativamente rallentata. Questo conferma l’elaborazione semantica anche per
l’informazione non rilevante.
L’ipotesi che oltre ad un processo di attivazione che interessa gli stimoli bersaglio,
l’attenzione opererebbe attraverso un processo di inibizione degli stimoli distrattori, prende
le mosse, da una ricerca di Dalrymple‐Alford e Budayr (1966) interessati all’effetto Stroop
(1935). Venne notata una situazione cosiddetta di suppress‐say
1
, in cui lo stimolo corretto al
quale rispondere (es.: il colore di una parola, come il “rosso”) era semanticamente
associato a quello interferente della prova precedente (es.: la parola “rosso”): in questo
modo si otteneva un tempo di risposta significativamente più lungo rispetto alla
condizione tipica in cui si verifica l’effetto Stroop: la soppressione della risposta allo stimolo
interferente provocherebbe una temporanea mancanza di disponibilità della risposta al
successivo stimolo (simile) rilevante. Questo risultato pare indicare che l’attenzione selettiva
operando una soppressione dell’informazione non pertinente, renderebbe quest’ultima
più difficile da attivare quando diventa successivamente bersaglio (Setti e Caramelli,
2003). Questo effetto di soppressione del distrattore (Dalrymple‐Alford e Budayr, 1966; Neill,
1977) è stato interpretato come complementare all’effetto priming (Meyer e Schvaneveldt,
1971) e quindi successivamente denominato negative priming (priming negativo) (Tipper,
1985).
1
Tradotto: soppressione della risposta
7
3. L’attenzione visuo‐spaziale
Questo tipo di attenzione consiste nell’abilità di selezionare particolari zone dell’ambiente
esterno. L’attenzione può usufruire di due tipi d’orientamento:
• Esplicito, con movimenti del capo e degli occhi. I movimenti oculari permettono di
ispezionare le aree interessate attraverso l’acuità visiva della fovea (area sensibile
della retina).
• Implicito, senza movimenti. È un semplice spostamento del focus attentivo che assegna
priorità d’elaborazione a determinate parti del campo visivo.
Per quanto riguarda le caratteristiche funzionali dell’attenzione visuo‐spaziale, essa può
essere “diffusa”, se le risorse attentive sono distribuite su tutta l’informazione visiva (tutto
lo spazio percepito), oppure “focale”, se viene concentrata su un’unica posizione spaziale.
L’ampiezza del focus attentivo è variabile e cambia a seconda delle richieste del compito ed
aumentando l’area del focus attentivo diminuisce l’efficienza d’elaborazione.
Sempre in riferimento all’orientamento dell’attenzione, esso può essere:
• Automatico: non può essere interrotto, non è influenzato dalle nostre aspettative,
non è soggetto a interferenza da parte di un secondo compito e svolge una
funzione essenziale per l’adattamento ambientale. Un evento improvviso che
appare nel campo visivo è ciò che fa orientare automaticamente su di esso
l’attenzione.
• Volontario: permette di scegliere fra gli eventi (situazioni‐stimolo) presenti
nell’ambiente, quelli che interessano.
3.1 L’orientamento implicito: componenti esogene & endogene
L’ attenzione visuo‐spaziale implicita è quella che permette al soggetto di percepire
(elaborare) uno stimolo che appare, senza preavviso in una qualsiasi zona del campo
8
visivo: in questo caso, l’attenzione, anche se orientata o fissata su un altro punto dello
spazio, si orienta automaticamente (implicitamente).
In questo tipico compito di orientamento implicito si può utilizzare un segnale (cue):
• Esogeno, che indica “spazialmente” il punto, la zona dove deve essere diretta
l’attenzione (es.: segnale luminoso). Esso richiama in modo automatico la nostra
attenzione.
• Endogeno, che indica “simbolicamente” il punto, la zona dove deve essere diretta
l’attenzione (es,: una freccia). Esso richiede un’interpretazione consapevole del suo
significato e permette un utilizzo volontario dell’attenzione.
Quando lo stimolo (target) compare nella posizione segnalata si ha una prova valida, invece
se compare nella posizione opposta alla segnalazione si ha una prova invalida, mentre si ha
una prova neutra in situazioni di uguale probabilità di comparsa (il cue compare in tutte le
posizioni possibili ed è considerata la condizione di controllo).
La differenza fra i tempi di reazione tra condizione neutra e condizione valida fornisce una
misura del beneficio che è possibile ottenere nel momento in cui si dirige subito l’attenzione
sulla posizione da focalizzare in seguito. Nel caso del confronto neutra‐invalida viene
fornita una misura del costo (rallentamento dei tempi di reazione) che si ottiene nel
momento in cui si dirige l’attenzione su una posizione diversa da quella in cui si deve
successivamente rilevare il target. Generalmente si è agevolati a rispondere nella
condizione valida, con segnali sia esogeni che endogeni, poiché la soglia sensoriale si abbassa
per la posizione segnalata (Posner, 1980).
3.2 I due punti di vista: spaziale & oggettuale
Diversi risultati sostengono che l’attenzione può essere diretta verso specifici punti dello
spazio. Quest’ipotesi, definita space‐based view, sostiene che l’attenzione sia diretta verso
regioni del campo visivo indipendentemente dal fatto che siano o meno occupate da
oggetti (Eriksen e Eriksen, 1974; Posner et al., 1984).
9