Introduzione Limiti all’approccio tradizionale del controllo strategico
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successo sperato. La capacità dell’impresa di mobilitare e sfruttare i suoi beni materiali
o immateriali è divenuta di gran lunga più essenziale rispetto all’investimento e alla
gestione di beni reali tangibili.
Negli anni ‘50 l’introduzione del budget ha cercato di risolvere il problema di
coordinamento fra funzioni diverse in imprese caratterizzate da un crescente livello di
integrazione verticale: sempre in quegli anni, l’affermarsi della logica di direct costing
ha cercato di fornire informazioni di costo in grado di supportare processi decisionali
coerenti con un contesto aziendale caratterizzato da un sistematico eccesso di capacità
produttiva. Negli anni ‘60 e ’70 emergono, invece, strumenti come la pianificazione
strategica e logiche organizzative di divisionalizzazione, utili in imprese caratterizzate
da una progressiva diversificazione orizzontale. Negli anni ’80 il Total Quality
Management ha cercato di rispondere al bisogno di valorizzare la conoscenza tacita e
diffusa in un contesto produttivo sempre più dinamico e flessibile. Da ultimo, negli anni
’90, il movimento del Value Based Management è stato il tentativo di rispondere
all’esigenze di una migliore tutela degli interessi degli azionisti a fronte di una completa
perdita del controllo aziendale, totalmente delegato al management.
Detto ciò si possono elencare alcuni dei presupposti operativi che tutt’oggi
caratterizzano le organizzazioni dell’era dell’informazione:
Funzioni trasversali: le organizzazioni dell’era industriale conseguivano
vantaggi competitivi attraverso la specializzazione di competenze funzionali
(acquisto, produzione, marketing, distribuzione). Ciò ha prodotto notevoli
profitti, ma col tempo, massimizzare la specializzazione funzionale ha portato
inefficienze enormi, ad assenza di comunicazione tra reparti e processi.
L’organizzazione dell’epoca dell’informazione funziona con processi integrati
che agiscono trasversalmente rispetto alle funzioni tradizionali, combinando i
vantaggi derivanti dalla specializzazione per competenza funzionale, con la
velocità, l’efficienza e la qualità dei processi integrati.
Collegamenti con clienti e fornitori: le organizzazioni dell’epoca industriale
lavoravano con i clienti e i fornitori attraverso transazioni a corta distanza che si
esprimevano in semplici rapporti contrattuali di compravendita e niente più. La
tecnologia informatica consente oggi alle organizzazioni di integrare l’offerta,
Introduzione Limiti all’approccio tradizionale del controllo strategico
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produzione e distribuzione in modo che le operazioni siano innescate dagli
ordini dei clienti, non da piani di produzione che sospingono i prodotti e i servizi
lungo la catena del valore. Un sistema integrato, dagli ordini dei clienti ai
fornitori di materie prime, permette a tutte le unità lungo la catena del valore di
realizzare miglioramenti enorme nei costi, qualità e tempi di risposta.
Segmentazione della clientela: Le società dell’epoca industriale hanno
prosperato e fatto profitti offrendo prodotti e servizi a basso costo, ma
standardizzati (ricordiamo la famosa espressione di Henry Ford “possono avere
qualsiasi colore vogliano purché sia nero”). Le organizzazioni dell’era
dell’informazione devono imparare ad offrire prodotti e servizi adeguati ai
diversi segmenti della loro clientela senza avere quell’aumento dei costi che
caratterizza le operazioni a grande varietà e scarso volume.
Globalizzazione: i confini nazionali non rappresentano più un ostacolo alla
circolazione di beni, persone e capitali. Allo stesso tempo, però, non vi è più
quella protezione passata e le imprese dell’era dell’informazione si trovano in
competizione con le migliori imprese del mondo dovendo combinare l’efficienza
e la messa a punto competitiva delle operazioni globali con la sensibilità per il
marketing che si applica ai clienti locali.
Innovazione: i cicli di vita dei prodotti si riducono di continuo. Il vantaggio
competitivo è temporaneo e non garantisce protezione contro gli attacchi della
concorrenza, dovendo anticipare le future esigenze della clientela, progettando
offerte di prodotti e servizi radicalmente nuovi e convertendo rapidamente le
tecnologie in possesso.
Lavoratori della conoscenza: le organizzazioni dell’epoca industriale hanno
creato distinzioni nette fra due gruppi di addetti. Il primo è formato dall’elite
intellettuale dei manager che usano le loro competenze analitiche per progettare
prodotti e processi, scegliere e gestire la clientela, sovrintendere le operazioni
giornaliere. Il secondo gruppo è composto da coloro che in effetti producono e
forniscono i servizi. Questa forza diretta, nel suo complesso, era un fattore
Introduzione Limiti all’approccio tradizionale del controllo strategico
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fondamentale della produzione per le imprese dell’epoca industriale, che
utilizzavano le sole capacità fisiche dei lavoratori, non le loro menti. Essi
eseguivano compiti e realizzavano processi sotto la supervisione diretta dei
“colletti bianchi”. All’inizio del terzo millennio, l’automazione e la produttività
hanno ridotto la percentuale di persone che nell’ organizzazione esegue funzioni
di lavoro tradizionali, mentre le esigenze competitive hanno accresciuto il
numero di persone che svolge funzioni analitiche quali ingegneria, marketing,
management e amministrazione. Anche le persone ancora coinvolte nella
produzione diretta e nella fornitura di servizi vengono valutate per i loro
suggerimenti su come migliorare la qualità, ridurre i costi e diminuire i tempi
del ciclo. Le macchine sono progettate per funzionare automaticamente e il
lavoro delle persone consiste nel pensare, risolvere i problemi, garantire la
qualità. Qui, le persone sono viste come risolutori, non come costi variabili.
Investire nella conoscenza di ogni addetto, gestirla e utilizzarla, è diventato
essenziale per il successo delle imprese nell’epoca dell’informazione. Affinché
le organizzazioni riescano a trasformarsi per competere con successo nel futuro,
devono realizzare varie iniziative di miglioramento, quali:
- management della qualità totale;
- sistemi di produzione e distribuzione just-in-time (JIT);
- concorrenza time-based;
- lean production/lean enterprise;
- costruire organizzazioni incentrate sui clienti;
- activity-based cost management;
- empowerment del personale;
- reengineering.
Definito tale contesto sembra abbastanza evidente come ogni organizzazione al
fine di governare le variabili critiche del successo debba dotarsi di un sistema di
controllo. Con tale termine si intende “il processo che consente all’alta direzione di
determinare se l’andamento delle attività di un’impresa può dirsi positivo e che motiva i
Introduzione Limiti all’approccio tradizionale del controllo strategico
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dirigenti ad impegnarsi per imprimere carattere di continuità ad un tale andamento1”. A
tal fine i diversi livelli gestionali debbono necessariamente avere una visione unitaria
degli obiettivi procedendo ad un costante confronto dell’andamento rilevato con gli
obiettivi. Il sistema di controllo fornisce anche la base di riferimento per le decisioni
riguardo alle azioni per correggere eventuali deviazioni rispetto agli obiettivi del piano.
In tal senso, diviene necessario superare la logica della rigida separazione tra il controllo
direzionale e quello strategico realizzando un bilanciamento delle rispettive
caratteristiche (vedi figura seguente). Si premette che per controllo direzionale si
intende un sistema utilizzato per far funzionare in modo efficace ed efficiente una
struttura organizzativa complessa, definendo determinate guide ed azioni che andranno
ad influenzare i membri dell’organizzazione stessa. Il controllo strategico deve, invece,
andare a monitorare il posizionamento di un’impresa nel tempo e nello spazio
competitivo, al fine di dare evidenza all’evolversi del suo profilo strategico2. Il
bilanciamento poc’anzi richiamato deve permettere il contemperamento di esigenze di
breve e medio-lungo termine riferite entrambe sia al perseguimento dell’efficacia che
dell’efficienza. Va osservato, infatti, che gli obiettivi di efficacia (in termini di rapporto
tra risultati ottenuti e risultati attesi) possono talora essere in antitesi con obiettivi di
efficacia (in termini di rapporto tra risorse impiegate e risultati ottenuti). Alla luce di
ciò, “il controllo di gestione diventa strategico quando cerca di catturare, in modo non
episodico, la strategia a livello di scelte e azioni di gestione operativa, quando richiama
con sistematicità l’attenzione del management sulle conseguenze strategiche
dell’operato quotidiano. E’ per questo che un valido controllo strategico si ha quando i
sistemi, destinati a facilitare il controllo di gestione, consentono di osservare l’impresa
nel tempo, per comprenderne le dinamiche evolutive (life cycle) e di posizionarla nello
spazio competitivo” (Alberto Bubbio).
1 M.Goold, J.J.Quinn, (1990), “The paradox of strategic controls”, Strategic Management journal vol.11,
2 Entrambe le definizioni sono di Franco Amigoni, 1982
Introduzione Limiti all’approccio tradizionale del controllo strategico
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Relazioni tra controllo direzionale e controllo strategico:
Fonte: Bergamin Barbato M. “Programmazione e controllo in un’ottica strategica” Utet, Torino, 1991
I motivi che giustificano l’istituzione di un sistema di controllo di questo tipo
sono principalmente tre:
1. il compito fondamentale di ogni impresa è quello di coordinare gli sforzi di
tutti coloro che vi lavorano e di favorire una visione unitaria tra manager dei
diversi livelli della gerarchia aziendale;
2. occorre motivare i singoli manager a perseguire gli obiettivi concordati
attraverso l’uso razionale di incentivi e sanzioni;
3. anche i piani più minuziosamente elaborati, a volte falliscono e in una tale
evenienza l’alta direzione deve decidere in che modo e quando intervenire,
acconsentendo alla modifica degli obiettivi, premendo per la messa a punto
di piani nuovi oppure provvedendo a sostituire i dirigenti.
Il sistema di controllo strategico avrà al suo interno obiettivi di più lungo
termine rispetto a quelli annuali presenti in un sistema budgetario. I problemi che ne
conseguono trovano la loro ragione d’essere nel fatto che i manager reagiscono più
prontamente ad obiettivi di breve termine che non a quelli di lungo periodo. Per tale
Efficienza di
breve periodo
Efficacia di
breve periodo
Efficienza di
medio-lungo
periodo
Efficacia di
medio-lungo
periodoCONTROLLO
STRATEGICO
CONTROLLO
DIREZIONALE
Introduzione Limiti all’approccio tradizionale del controllo strategico
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motivo, in molti raccomandano di prevedere nei sistemi di controllo strategico, anche
obiettivi intermedi di breve termine (pietre miliari) il cui conseguimento costituisca il
presupposto necessario per l’attuazione della strategia.
Si potrebbe affermare, estremizzando il concetto, che non vi è controllo efficace
se non ci sono obiettivi da perseguire e più essi sono chiari, più il controllo diventa
stringente. Si pensi a degli studenti che desiderano superare un esame, un conto è dire
“l’importante è superare l’esame” e un conto è darsi l’obiettivo di conseguire un
determinato voto. E’ nella definizione degli obiettivi che diventa rilevante aver
esplicitato la strategia perché l’obiettivo e la quantificazione dipendono proprio da essa.
Da una strategia diversa da quella di laurearsi con una buona media ed in tempi brevi
come ad esempio laurearsi sicuri di aver acquisito delle conoscenze utili per il dopo
laurea, cambieranno i parametri di controllo. Questa nuova strategia porterebbe a dare
maggior rilevanza all’obiettivo “acquisizione di conoscenze” più che quello della media
alta e dei tempi brevi.
E’ in questo contesto, con queste motivazioni ed altre esposte nei paragrafi
seguenti, che viene alla luce la Balanced Scorecard (o scheda di valutazione bilanciata).
Può essere definito come un sistema completo di gestione strategica dell’impresa. E’ un
approccio olistico alla gestione che partendo dall’esplicitazione della strategia attraverso
l’uso di mappe strategiche, arriva all’esecuzione e alla verifica della stessa tramite
l’utilizzo di indicatori e schemi logici. La Balanced Scorecard era stata inizialmente
pensata come modello per misurare e valutare le prestazioni di un’organizzazione.
Attraverso di esso la valutazione della prestazione non era più effettuata attraverso
indicatori di carattere esclusivamente economico-finanziario, ma piuttosto attraverso un
cruscotto articolato in quattro prospettive bilanciate: oltre a quella economico-
finanziaria, la prospettiva del cliente, quella dei processi interni e la prospettiva della
formazione e della crescita. In pratica lo scopo dichiarato dello strumento era di
bilanciare gli indicatori finanziari, che permettono di valutare il risultato di azioni
precedentemente intraprese con i driver della creazione di valore futuro
dell’organizzazione. Successivamente la Balanced Scorecard si è evoluta in un
management system completo per implementare ed eseguire la strategia cioè per
allineare le risorse con gli intenti strategici permettendo al management di elaborare
nuove forme organizzative fortemente orientate alla strategia.
Risorse tangibili e intangibili Limiti all’approccio tradizionale del controllo strategico
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1.2 RISORSE TANGIBILI E INTANGIBILI
Negli ultimi anni si è riconosciuto che per valutare un’impresa e il suo
management è necessario considerare valore e rendimento non solo delle risorse
materiali che utilizzano, ma anche delle persone che animano le attività dell’impresa e
ne determinano i risultati: il capitale umano. Analogamente per quanto accade per le
risorse materiali (terreni, fabbricati, impianti e strumentazione varia) e alcune
immateriali (marchi e brevetti), per la valutazione delle prospettive di un impresa si è
riconosciuto che risulta essenziale disporre di indicatori che consentano di seguire nel
tempo le variazioni di valore del patrimonio umano ad essa disponibile.
Nel processo di formulazione strategica il management è chiamato a stabilire
quali segmenti di mercato/bisogni clienti servire e, nello stesso tempo, quali capacità e
skills del personale integrare nonché quali sistemi informativi e organizzativo -
gestionale adottare. Nel compiere queste scelte l’attenzione è rivolta a far sì che si
possano realizzare attività di servizio al cliente che siano uniche ai suoi occhi.
Oggi tale processo deve avvenire con la piena consapevolezza che la capacità di
offrire valore al cliente dipende dalle competenze sviluppate e consolidate nel tempo,
vale a dire dall’integrazione di questi elementi: conoscenze, assets fisici e persone
(figura seguente). Si ricordi però che le competenze ricercate dall’impresa devono
essere distintive rispetto a quelle dei concorrenti. Esse lo diventano solo se: generano
valore per il cliente, hanno un ampio spettro di applicabilità in termini di prodotti e
processi produttivi e, da ultimo, sono altamente protette a causa della difficile
imitabilità. Basti pensare alla competenza distintiva sviluppata da Sony nella
miniaturizzazione, da Hewlett-Packard nella elaborazione dei dati e informazioni, da
Apple nel design e da DHL nella consegna dei pacchi.
Le competenze di un’impresa devono divenire specifiche e difficilmente
acquisibili dai concorrenti. Esse devono essere il frutto dell’integrazione profonda delle
risorse create attraverso l’uso di processi organizzativi sviluppati ad hoc. Pur
contribuendo in modo rilevante alla soddisfazione del cliente in relazione al valore che
egli percepisce, le competenze dell’impresa possono non essergli note né tanto meno
visibili. Le competenze sono processi, di natura sia tangibile che intangibile, che
l’impresa ha sviluppato nel tempo. Possono essere considerate dei beni intermedi,
Risorse tangibili e intangibili Limiti all’approccio tradizionale del controllo strategico
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antecedenti ai prodotti e ai servizi finali, che sono stati generati con la finalità di
aumentare la produttività e l’efficacia delle risorse a disposizione.
Competenze come risorse intangibili:
Fonte: Ostinelli C., (2000), "BSC: monitorare le risorse intangibili per sviluppare le competenze distintive
dell'impresa", in Balanced Scorecard: come misurare le prestazioni aziendali, Amministrazione e
Finanza Oro, Ipsoa, Milano n° 1
La competenza nasce nel momento in cui il sapere si traduce in azione, in beni e
servizi, in sistemi e in metodologie di lavoro. In tal senso il management deve
condividere la concezione di un’impresa quale portafoglio di risorse (umane, di natura
tecnologica, commerciale, finanziaria,…) e di competenze, oltre che di prodotti, servizi
e unità di business. In quest’ottica assumono importanza oltre che le risorse tangibili,
quali quelle finanziarie e fisiche, le risorse intangibili (intangible assets). Nell’ultimo
decennio l’attenzione per le tematiche legate al ruolo delle risorse intangibili si è molto
acuita e appare in vertiginosa crescita. Una numerosa serie di fattori ha contribuito a ciò,
quali: l’emergere e l’affermarsi della cosiddetta “Knowledge Economy”; l’attenzione
crescente per driver della creazione d’impresa; la sempre maggior rilevanza del capitale
umano.
Le nuove organizzazioni, costruite sulla conoscenza, sono costituite nella loro
essenza da beni intangibili, che rappresentano il punto di partenza della grande sfida per
stabilire teorie in grado di sostenere modelli di misurazione ed evidenziazione dei valori
Conoscenze
PersoneAssets fisici
COMPETENZE
COME
Risorse tangibili e intangibili Limiti all’approccio tradizionale del controllo strategico
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di mercato di un’impresa. Il fatto che le attività immateriali divengono sempre più
fattori decisivi per il successo di un’organizzazione, ci è dimostrato anche da diversi
studi condotti. Nel 1982, secondo uno studio del Bookings Institute, i valori contabili
delle attività materiali rappresentavano il 62% del valore di mercato. Nel 1995 tale
rapporto era sceso al 38 %, mentre alla fine de 1999, il valore contabile di AOL
rappresentava solo il 3 % della capitalizzazione di mercato, mentre quello di Coca Cola
si attestava al 7,9%. Detto ciò, sembra superfluo dire che l’imperativo per l’impresa del
terzo millennio è rappresentato dall’individuazione di strategie per la gestione e la
comunicazione del valore degli intangible assets alla comunità finanziaria. Con beni
materiali come gli edifici o i macchinari, il valore è relativamente simile per tutte le
categorie di utilizzatori. Se non si può ottenere il massimo valore estraibile da questi
beni, si possono sempre vendere ad altri che ne possono sfruttare appieno le
potenzialità. In qualche modo il valore è indipendente dall'utilizzo.
I beni immateriali non creano valore di per sé, autonomamente e non sono quindi
facilmente scambiabili o vendibili ad altri. Il loro valore viene solo dal contesto
dell'organizzazione e deve essere collegato alla strategia organizzativa e a tutti gli altri
beni materiali e immateriali che l'organizzazione possiede. La domanda che tutte le
organizzazioni dovrebbero porsi per dare inizio ad una nuova pratica di valutazione
dell’intangibile è la seguente: “Come misurare il valore che il mercato è disposto a
pagare per acquistarci?”. In questo modo il vantaggio competitivo, storicamente basato
su fattori materiali (scorte, costo della produzione ecc…), passa ad essere definito anche
sulla base della valutazione ed identificazione dei beni immateriali (marchi, brevetti,
innovazione, soddisfazione del cliente, risorse umane ecc…).
Una esauriente classificazione è quella proposta da Coda3 in quanto ha il pregio
di esplicitare la classe di risorse immateriali delle relazioni interne. Esse si originano e
si esauriscono all’interno dell’azienda e sono tipicamente rappresentate dalla cultura
aziendale, dallo stato d’animo dei dipendenti, dalle capacità del management ecc…
Appartiene a questo contesto l’impegno verso l’organizzazione (organizational
commitment) definibile come “il legame psicologico che risulta dall’allineamento fra le
aspettative dell’individuo e quelle dell’impresa”.
3 Coda V., (1988), “L’orientamento strategico dell’impresa”, Utet, Milano
Risorse tangibili e intangibili Limiti all’approccio tradizionale del controllo strategico
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Classificazione risorse intangibili:
Fonte: Rielaborazione da Coda V., (1988), “L’orientamento strategico dell’impresa”, Utet, Milano
Il bene intangibile di maggior interesse sia dal punto di vista manageriale sia dal
lato dei metodi di misurazione e valorizzazione è senza alcun dubbio il Capitale
intellettuale. Nella letteratura esso è definito come la somma delle conoscenza di tutte le
risorse di un’organizzazione, la quale può disporre di un vantaggio competitivo
rappresentato dalla materia intellettuale che si compone di informazioni, competenze ed
esperienze utilizzate per generare ricchezza.
Una folta schiera di economisti è solita classificare il Capitale intellettuale in tre
raggruppamenti:
Capitale umano che rappresenta lo strumento creativo, la fonte
d’innovazione che alimenta ogni funzione organizzativa.
Capitale strutturale, si tratta delle tecnologie, delle invenzioni, delle
pubblicazioni e dei processi, che possono essere brevettati, avere i loro
diritti d’autore registrati o essere protetti da leggi commerciali.
Capitale del cliente, rappresentati da indici di ritenuta, di redditività e
soddisfazione del cliente, ecc…
RISORSE
INTANGIBILI
Risorse conoscitive
- Conoscenze di ambiente
- Metodologie operative
- Routine aziendali
Risorse reputazionali
- Relazioni esterne
- Fiducia
- Credibilità
Relazioni interne
- Commitment
- Cultura aziendale
- Stato d’animo dei dipendenti
Risorse tangibili e intangibili Limiti all’approccio tradizionale del controllo strategico
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Allo stato attuale esiste ancora molto scetticismo in materia e uno dei principali
motivi è l’alta soggettività e parzialità della valutazione dei beni intangibili, in
particolare se confrontate con il tradizionale bilancio d’esercizio e il suo grado di
certezza, verificabilità e facilità interpretativa. I fatti più recenti (Parmalat e Cirio in
testa), però, hanno dimostrato che anche il consueto bilancio d’esercizio presenta chiari
limiti nella propria capacità rappresentativa, a dispetto della presunta oggettività e
verificabilità delle cifre che lo compongono. Il problema di base risiede nel fatto che la
tradizionale teoria delle misurazioni aziendali poggia su una visione dell’azienda come
un’organizzazione che genera valore solo nel momento dello scambio/transazione (costi
e ricavi) con terzi, credenza, questa, ormai superata dalla realtà che vede gli intangibles
come fonte di valore per effetto del loro impiego all’interno delle combinazioni
produttive aziendali prima ancora che si verifichi la transazione commerciale.
Questi ostacoli di natura concettuale al riconoscimento degli intangibles nel
bilancio d’esercizio possono forse fornire una ragione del perché un numero crescente
di imprese, soprattutto nel nord Europa (es. Skandia) abbia iniziato la produzione di
documenti informativi extra-bilancio (i cosiddetti “Intellectual Capital Statements”),
fuoriuscendo in tal modo dalla gabbia dei principio contabili/valutativi, nel tentativo di
predisporre e diffondere una rappresentazione più idonea e soddisfacente di tali risorse
attraverso l’utilizzo di criteri nuovi ed eterogenei, di natura anche non finanziaria.
Certamente non è più possibile ignorare l’effetto dei beni intangibili sulle
organizzazioni, di conseguenza si dovrebbero prevedere differenti forme degli attuali
procedimenti contabili per attribuite il vero valore di un’organizzazione, in quanto i beni
intangibili non rientrano ancora nei tradizionali modelli contabili tradizionali.
La seguente tabella prende in considerazione le principali differenze che passano
tra gli asset tangibili e intangibili. Essa suggerisce come il manager delle risorse umane
richiede vaste e differenti competenze rispetto a quelle necessarie per gli asset tangibili.
In particolare, i benefici delle Human Resources come asset non non sono visibili ma
vengono alla luce solo quando il ruolo delle persone è allineato con un altro asset
intangibile: il sistema d’implementazione della strategia dell’organizzazione.
Risorse tangibili e intangibili Limiti all’approccio tradizionale del controllo strategico
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Asset tangibili versus asset intangibili:
Asset tangibile Asset intangibile
Prontamente visibile Invisibile
Rigorosamente quantificabile Difficile da quantificare
Parti del bilancio Non rintracciabile attraverso la contabilità
L’investimenti produce ritorni noti L’accertamento si basa su ipotesi
Può essere facilmente copiato Non può essere comprato né imitato
Si deprezza con l’uso Si apprezza con l’uso
Possiede applicazioni finite Possiede multiple applicazioni senza una
riduzione del valore
Indicatori economico-finanziari Limiti all’approccio tradizionale del controllo strategico
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1.3 INDICATORI ECONOMICO-FINANZIARI
Storicamente il sistema di misura adottato dall’economia è quello contabile.
Possiamo far risalire le prime tracce di registrazioni contabili delle transazioni
economiche a migliaia di anni fa quando erano usate da antichi egizi, fenici e sumeri per
facilitare le transazioni commerciali. Facendo un salto al secolo appena trascorso, le
innovazioni finanziarie, come l’indicatore di redditività sul capitale investito (ROI), il
budget operativo e il budget di cassa, furono decisive per il grande successo di
moltissime imprese. La forte tendenza nel secondo dopoguerra di diversificazione, ha
creato una richiesta interna di rapporti e valutazioni delle performance dell’unità di
business, una pratica usata in modo molto massiccio.
Tuttavia molti autori hanno criticato l’uso estensivo, o addirittura esclusivo, di
misure finanziarie nelle imprese, ponendo eccessiva enfasi al raggiungimento e al
mantenimento dei risultati economici a breve termine che inducono ad eccedere negli
investimenti con ritorno a breve termine, limitando così la creazione di valore a lungo
termine, in particolare nel campo dei beni immateriali ed intellettuali che generano una
crescita prospettica. E’ inevitabile che quando i manager subiscono forti pressioni per
conseguire a breve termine performance economico-finanziarie di alto livello, ci siano
degli svantaggi che limitano la ricerca di investimenti nelle opportunità di futura
crescita. Peggio ancora, questo tipo di comportamento, può indurre l’impresa a ridurre
le spese per la creazione di nuovi prodotti, il miglioramento dei procedimenti, il
potenziamento delle risorse umane, la tecnologia, i database e i sistemi informazione,
oltre che per lo sviluppo della clientela e del mercato. A livello contabile, questi
elementi determineranno delle uscite nel breve con maggiori costi ma osservando le
prospettive future, essi sono utili, per non dire indispensabili, per la futura permanenza
sul mercato dell’impresa. Cosa dire di un’azienda specializzata nel mondo Internet che
cresce del 10%? Bene rispetto al passato ma drammatico rispetto al potenziale
ottenibile. Come valutare un’azienda del comparto tecnologico che azzera i costi di
ricerca e sviluppo? Bene sul piano economico ma disastroso per le prospettive del
futuro. Il fatto di privilegiare il ROI o il ROE nella misurazione delle prestazioni può
portare a trascurare la valutazione di qualsiasi miglioramento della posizione
competitiva dell’impresa; ad esempio l’ampliamento della quota di mercato o il
miglioramento della qualità dei prodotti, che costituiscono elementi che garantiscono la
Indicatori economico-finanziari Limiti all’approccio tradizionale del controllo strategico
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redditività nel medio-lungo termine, producono nel breve periodo effetti negativi in
termini di costi e ricavi e quindi un peggioramento del risultato economico.
Questi concetti sono conosciuti dalle imprese che adottano delle azioni di
mercato dirette proprio alla crescita e allo sviluppo dei prodotti/mercati ma è qui che si
verifica il paradosso. E’ incomprensibile pretendere dai manager delle decisioni
orientate al medio-lungo periodo allorquando tutto il sistema di incentivazione e di
retribuzione poggia su indici e valori riferiti all’anno e quindi al breve periodo. I
lavoratori vorranno, come è logico aspettarsi, massimizzare la propria funzione di utilità
che comprende, oltre alla stima e a tutte le variabili puramente gratificanti, anche la
retribuzione; di fronte alla possibilità di veder diminuita tale componente,
presumibilmente adotteranno decisioni e politiche volte ad avere un impatto positivo
sugli indicatori di breve che sono la base per il compenso a loro spettante, sacrificando
in tal senso le possibilità di crescita. Certamente non si può pretendere diversamente!
Il tradizionale processo di rendiconto economico-finanziario è ancorato ad un
modello di contabilità elaborato secoli fa per un ambiente di transazioni dirette, frontali,
fra entità indipendenti. Eppure questo antiquato modello di reporting finanziario viene
ancora usato dalle imprese dell’era moderna nel tentativo di costruire beni e capacità
all’interno dell’organizzazione e di forgiare collegamenti e alleanze strategiche con una
terza parte.
Gli indici che generalmente vengono utilizzati dagli analisti finanziari possono
suddividersi in differenti categorie a seconda dello scopo conoscitivo principale per il
quale vengono calcolati. Si sono così ottenuti, seguendo un’impostazione consolidata,
indici di redditività, di produttività, di liquidità e di struttura finanziaria. La tabella
seguente può dare un’idea schematica di quali sono gli indici per ognuna delle categorie
introdotte: