4
• Il nuovo ruolo degli stakeholders
Nell’era della globalizzazione4, dove le imprese agiscono sul mercato mondiale, i loro molteplici
interlocutori sociali assumono un ruolo di primo piano5.
In effetti, l’imprenditore non può più prescindere dal prendere in considerazione le differenti
istanze sociali: egli deve cercare di conciliare e contemperare le varie esigenze collettive in modo
da evitare ogni ripercussione negativa sulla propria immagine aziendale;
• Lo sviluppo e la diffusione delle ONG
Le organizzazioni non governative si sono sviluppate e diffuse, acquisendo capacità di iniziativa e
divenendo una controparte significativa per le imprese e persino per i governi.
Fra di esse, per la particolare importanza che riveste, merita una citazione l’International Labour
Organization (ILO) che, attraverso l’attuazione di alcune importanti iniziative si prefigge di
tutelare i diritti fondamentali di tutti i lavoratori6;
• L’espansione dei mass-media
La nostra società è caratterizzata e qualificata dalla creazione incessante e dalla distribuzione
continua di notizie e informazioni.
Come effetto di tale situazione, l’attività d’impresa è spesso sotto l’occhio critico dei mass-media
che fungono da strumenti di denuncia e di diffusione, presso un vasto pubblico, di eventuali
comportamenti aziendali scorretti. In forza di tale ragione, l’impresa deve saper gestire il suo
rapporto con i mezzi di comunicazione, tentando di influenzare positivamente il pubblico mediante
l’adozione di un orientamento etico.
La totalità dei fattori descritti hanno motivato le aziende ad assumere un comportamento
socialmente responsabile verso tutti i propri stakeholder: nel primo capitolo viene presentato,
attraverso i cenni storici e le prospettive teoriche che vi sono correlate, il cammino europeo e nazionale
intrapreso dai fautori della RSI.
I principi che la animano, le dimensioni costitutive ed una valutazione critica rispetto ai suoi costi e
benefici, sia dal punto di vista dell’impresa che da quello degli stakeholder, continuano la sua
dettagliata analisi.
4 L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) ha definito la globalizzazione come “un
processo attraverso cui mercati e produzione nei diversi paesi diventano sempre più dipendenti tra loro, a causa della
dinamica di scambio di beni e servizi e attraverso i movimenti di capitale e tecnologia”.
5 C. Sorci, La valutazione degli interventi imprenditoriali, Giuffrè, Milano 1984, pp. 8-9.
6 Precisamente, l’ILO, costituita nel 1919 come Agenzia delle Nazioni Unite, presenta una struttura tripartita, composta
da sindacati, associazioni di datori di lavoro, governi. Nel 1964, l’ILO ha vinto il Premio Nobel per la pace e per il
lavoro.
5
L’indagine termina con un confronto fra i principali strumenti di attuazione della Corporate Social
Responsibility, il codice etico, il bilancio sociale e la Social Accountability 8000.
Con l’intento di fluire dalla visione teorica alla dimensione pragmatica ed operativa, la protagonista
del secondo capitolo è Formula Servizi.
La cooperativa forlivese, in forza del bilancio di sostenibilità che ha redatto nel 2007 e dei numerosi
riconoscimenti ufficiali ottenuti in questi anni, è portata ad esempio per la propria illuminata politica
aziendale, che si palesa come la concreta espressione di un’organizzazione socialmente responsabile:
la mission e la vision dichiarano le sue priorità acclarate, come l’attenzione alle esigenze dei propri
dipendenti, la tutela della loro salute e l’incremento della sicurezza in ambito lavorativo, che vanno ad
intrecciarsi con le esigenze di preservare l’ambiente ed il desiderio di relazionarsi col territorio.
Attualmente i principi della RSI, inizialmente pensati per un’organizzazione profit, vengono
progressivamente tradotti in contesti differenti dove l’impresa, da soggetto promotore, diventa a sua
volta stakeholder e le caratteristiche dello strumento si adeguano alle esigenze della comunità, degli
enti pubblici e di tutti gli attori sociali, in modo da costruire una piattaforma comune di valori e azioni
che permettano una migliore gestione dei territori.
L’estensione applicativa della responsabilità sociale, dall’impresa al contesto locale, trova forza
nell’obiettivo di migliorare la qualità della vita della comunità e di coniugare le giuste istanze
economiche con attenzioni sociali e ambientali, nell’ottica di garantire i bisogni delle generazioni
attuali senza compromettere la possibilità che quelle future riescano a soddisfare i propri.
Nell’ultima parte della tesi tratto proprio di questo.
Dopo un breve sunto delle molteplici definizioni sociologiche di comunità e di territorio ed aver
sottolineato l’importanza dell’approccio relazionale per valorizzare il patrimonio territoriale e
promuovere lo sviluppo locale, mi addentro nel concetto, ancora poco diffuso e compreso, di
Responsabilità Sociale del Territorio (RST).
Grazie a questo ci si sposta verso una visione di insieme dove non è più l’impresa ad essere
chiamata a relazionarsi con la comunità, ma è il territorio, ora, ad essere concepito alla stregua di un
organismo: un sistema i cui valori fondanti aspirano a migliorare la qualità della vita della comunità in
un percorso di costruzione condiviso dove le istanze economiche vanno coniugate con le attenzioni
sociali ed ambientali nell’ottica di uno sviluppo sostenibile.
Questo è il mutamento di un paradigma: la vera scommessa di ogni comunità territoriale.
7
CAPITOLO I
LA RESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA
1. Cenni storici e prospettive teoriche
Il problema della socialità nel governo e nella cura degli interessi delle aziende è una questione che
ha acceso il dibattito economico, in una grande quantità di Paesi, da diversi anni.
Essendo una delle principali manifestazioni dell’agire umano, l’attività economica non può difatti
trascurare di confrontarsi con problemi di natura sociale ed etica: invero è ormai unanimemente
riconosciuto che l’azienda sia una vera e propria “istituzione sociale”1 capace di produrre degli effetti
sul sistema economico-sociale in cui è immersa e, a sua volta, da questo stesso condizionata.
Già sul finire del 1800, generalmente caratterizzato dall’individualismo economico, alcuni leader
d’azienda avevano compreso la gravità dell’impatto di molte loro attività professionali sull’ambiente
circostante e sulla comunità in cui la loro impresa era inserita.
A causa degli effetti negativi creati, col fine di evitare di essere ostacolati, essi cercarono di
raccogliere consensi intorno alla propria attività economica, mediante iniziative filantropiche a favore
delle collettività locali.
Questa visione si evolve nel secolo successivo ed è fatta propria da quelle imprese consce di
possedere, e capaci di coltivare, non solo beni materiali ma anche immateriali, come l’offerta di tutela,
garanzie e sostegno al benessere della comunità: subentra un maggior senso della collettività e la
constatazione di una inscindibile interdipendenza fra l’impresa e l’ambiente sociale in cui essa opera.
In termini generali, si può sostenere che un’impresa è socialmente responsabile quando,
consapevole dell’influenza che esercita nella società, se ne fa carico concretamente e adotta
comportamenti che rispondono alle aspettative di sicurezza e miglior qualità di vita dei lavoratori, dei
consumatori, di rispetto dell’ambiente e della società.
Questo concetto di responsabilità sociale non è dei nostri giorni ma risale ai primi decenni del XX
secolo quando, negli Stati Uniti, per effetto del governo di Franklin D. Roosevelt si sviluppò un
rinnovato fervore verso i problemi sociali.
1 A tal proposito Bertini afferma: «L’azienda costituisce l’espressione più elevata del comportamento umano sul piano
economico. Essa è un’istituzione sociale in quanto creata dagli uomini per il raggiungimento di finalità umane nel
contesto della collettività organizzata» (U. Bertini, Il sistema d’azienda, Giappichelli, Torino 1990, p. 34).
Per un approfondimento del concetto d’impresa, si rimanda alla relazione presentata dal Dott. Giandonato La Salandra
nel Convegno tenutosi all’Università degli Studi di Foggia, il 19 novembre 2004 (Atti del Convegno, Responsabilità
Sociale d’Impresa, Università degli Studi di Foggia e Associazione Studentesca Rinascita Universitaria, Foggia 2005).
8
Oltreoceano, infatti, il concetto di responsabilità d’impresa era già conosciuto e discusso negli anni
’20, quando si comincia a parlare della necessità per i dirigenti d’azienda di operare nell’interesse non
solo degli azionisti, ma anche degli altri interlocutori sociali2.
Tuttavia, l’andamento critico dell’economia (Depressione degli anni ’30) e gli eventi storici di quei
decenni (soprattutto il conflitto mondiale degli anni ’40), imposero altre priorità, facendo in modo che
il dibattito su questo tema prendesse reale vigore solo a partire dagli anni ’503.
Infatti, è proprio dalla seconda metà del secolo scorso che emergono con rinnovata forza, e vengono
ampiamente discusse dalla letteratura accademica e manageriale, le idee sui doveri delle imprese verso
la società.
Durante questa fase di approfondimento, una pietra miliare, in quanto primo contributo teorico di
carattere organico sulla responsabilità sociale delle attività economiche, è il pensiero di H. R. Bowen,
formulato nel 1953 e al quale viene unanimemente riconosciuta la paternità del concetto di Corporate
Social Responsibility (CSR)4.
Egli fa emergere la consapevolezza che le imprese, specie quelle di grandi dimensioni, sono centri
vitali di potere che, attraverso le strategie, decisioni e azioni perseguite, investono e condizionano la
totalità della società circostante.
L’autore sostiene che l’analisi delle scelte aziendali non si limita a stimare il raggiungimento di
risultati economici, ma si estende anche agli effetti di natura sociale che da esse derivano.
Tale asserzione propone un concetto di responsabilità dell’impresa comprendente i problemi sociali
della comunità5.
2 «Già negli anni ’20, i manager delle prime grandi corporation americane – General Electric in testa – si rendono conto
di condizionare in vario modo con le loro azioni e decisioni non solo la vita dei loro azionisti ma anche la vita dei loro
dipendenti, dei loro clienti e della società più in generale» [N. Cerana, La responsabilità sociale nella letteratura e nei
fatti, in N. Cerana (a cura di), Comunicare la responsabilità sociale. Teorie, modelli, strumenti e casi d’eccellenza,
FrancoAngeli, Milano 2004, p. 23].
3 Quanto affermato risponde al vero, anche se i primi studi sul tema della Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI)
possono essere fatti risalire ai decenni precedenti. Si vedano, ad esempio, le opere di: C. Barnard, The functions of the
executive, Harvard University Press, Cambridge 1938; J. M. Clark, Social control of business, Mc Graw-Hill, New
York 1939; T. J. Kreps, Measurement of the social performance of business, Government Printing Office, Washington
1940.
4 Anche se sarebbe più corretto attribuirgli quella di “Social Responsibility of Businessman”.
5 «Under any circumstances, we are moving in the direction of demanding that our institutions take responsibility
beyond their own performance and beyond their own contribution. We will demand this not only of business enterprise
but of all other institutions as well – the university and the hospital, the government agency and the school»
(P. F. Drucker, The concept of the corporation, in «Business and Society review», autunno 1972, p. 16).
9
Prendendo le mosse dal basilare quesito: «What responsibilities to society may businessmen
reasonably be expected to assume?»6, Bowen fornisce una prima definizione di responsabilità sociale:
«It refers to the obligations of businessman to pursue those policies, to make those decisions, or to
follow those lines of action which are desiderable in terms of the objectives and values of our
society»7.
Sottolinea a questo proposito Cecilia Chirieleison:
«Il dibattito scientifico, in questa prima fase si concentra, dunque, sulla social responsibility dei
“businessmen” […], la cui essenza viene vista nel riconoscimento della capacità dei dirigenti, e quindi
dell’impresa, di incidere sul contesto ambientale e di conseguenza nell’esistenza di obblighi sociali che
vanno oltre la semplice funzione di produzione e distribuzione di beni e servizi e l’ottenimento di un
profitto. Dal momento che tale attribuzione di responsabilità era volta a cercare di orientare le imprese
a decisioni volontarie che potessero comportare benefici per la società, buona parte degli studi erano
finalizzati ad analizzare le esternalità positive e negative della gestione aziendale, dall’inquinamento,
all’occupazione»8.
Il concetto di responsabilità sociale, fin dal principio, nonostante fosse basato su decisioni
volontarie assunte dalle imprese, suscitò un ampio dibattito e fu motivo di controversie a livello pratico
e teorico concernenti sia la sua stessa esistenza che l’ampiezza dei suoi contenuti.
Infatti, questa prima teorizzazione ha incentivato la produzione di numerosi contributi9 che,
attraverso diversificate indagini ed analisi, hanno costruito un filone teorico sulla responsabilità sociale
preponderatamente incentrato sugli effetti, economici ed extraeconomici, delle attività delle aziende.
6 H. R. Bowen, Social responsibilities of the businessman, Harper & Row, New York 1953, p. XI.
7 Ibidem, p. 6.
L’autore, quindi, considera la responsabilità sociale come il «dovere degli uomini d’affari di perseguire quelle politiche,
di prendere quelle decisioni, di seguire quelle linee di azione che sono desiderabili in funzione degli obiettivi e dei
valori riconosciuti dalla società» ( A. Beda e R. Bodo, La responsabilità sociale d’impresa. Strumenti e strategie per
uno sviluppo sostenibile dell’economia, Il Sole 24 ORE, Milano 2006, p. 1).
Solo quando aumenta la consapevolezza della preminenza delle grandi corporations, si inizia a parlare più propriamente
di “corporate” social responsibility.
8 C. Chirieleison, L’evoluzione del concetto di corporate social responsibility, in G. Rusconi e M. Dorigatti (a cura di),
La responsabilità sociale d’impresa, FrancoAngeli, Milano 2004, p. 84.
9 Una sintetica ma esaustiva presentazione dei principali contributi teorici sulla responsabilità sociale d’impresa sono
presenti in: M. A. Massei, Interesse pubblico e responsabilità sociale. Regolatori del comportamento aziendale,
E.G.E.A., Milano 1992, pp. 119-136.
Un’ulteriore analisi della letteratura internazionale sulla CSR è presente anche in: S. Cantele, La stakeholder scorecard.
Dalla formulazione delle strategie alla misurazione delle performance sociali, Giappichelli, Torino 2006, pp. 1-31.
10
Fra questi, vale la pena di citare il contributo di Milton Friedman, sostenitore del fatto che l’unica
responsabilità sociale dell’impresa consistesse nel produrre e nell’offrire servizi e beni con l’obiettivo
di realizzare il massimo profitto, dal momento che il suo operato viene concepito unicamente come
legato all’interesse dei propri azionisti:
«Few trends could so thoroughly undermine the very foundations of our free society as the acceptance
by corporate officials of a social responsibility other than to make as much money for their stockholder
as possible»10.
Inoltre scriveva il fondatore della Scuola di Chicago che, nel 1976, fu insignito del premio Nobel
dell’economia:
«La sola ed unica responsabilità del business è usare le risorse e impegnarsi in attività per aumentare il
più possibile i profitti, nel rispetto delle regole del gioco che sono, bisogna sottolinearlo, quelle della
aperta e libera competizione»11.
Se l’impresa è capace di raggiungere tale scopo, gli azionisti hanno interesse ad investire
ulteriormente e dallo sviluppo aziendale consegue l’interesse generale, ossia il benessere della
comunità:
«[…] includere nel processo decisionale dell’impresa valutazioni di ogni altro genere (quelle indicate
dalla responsabilità sociale), comporta una riduzione della attenzione sulla massimizzazione del
profitto e quindi rappresenta una minaccia alle razionali scelte economiche.
[…] Il perseguimento del profitto significa un aumento dell’utilità e della distribuzione di tale utilità
alla comunità. La responsabilità sociale, di conseguenza, consiste nel fatto che l’impresa è definita
meccanismo efficiente di perseguimento dell’utilità»12.
Malgrado i numerosi attacchi, l’idea di responsabilità sociale continuava a diffondersi, non solo tra
la pubblica opinione e gli studiosi di economia, ma anche tra i dirigenti e i manager d’azienda, in
seguito al combinato agire di due fattori.
10 M. Friedman, Capitalism and freedom, University of Chicago Press, Chicago 1962, p. 133.
Anche in Cfr. M. Friedman, The Social Responsibility of Business Is to Increase its Profits, in G. D. Chryssides e J. H.
Kaler, An introduction to business ethics, Chapman, London 1993.
11 M. Friedman, The Social Responsibility of Business Is to Increase its Profits, New York Times Magazine, 13
September 1970, reprinted in T. Donaldson e P. Werhane, Ethical Issues in Business: A Philosophical Approach, 2nd
Edition, Prentice Hall, Englewood Cliffs, NJ 1983.
12 M. A. Massei, Interesse pubblico e responsabilità sociale. Regolatori del comportamento aziendale, cit., pp. 122-
123.
11
Da una lato, le conquiste di un crescente potere economico, politico e sociale da parte delle imprese
rendeva sempre più manifesto il divario tra le finalità di profitto delle aziende e una sequela di valori
sociali che si andavano affermando nella società, con la conseguente apprensione e timore che si
verificassero ribellioni sociali, come scioperi e boicottaggi, e che si potesse palesare l’ingerenza dello
Stato nell’economia: l’assunzione intenzionale e volontaria di responsabilità era considerata preferibile
all’imposizione coattiva e coercitiva da parte dei pubblici poteri.
Dall’altro lato, agiva un secondo fattore, ossia il levarsi di una competizione non basata
unilateralmente sui prezzi, che apriva gli spazi per una differenziazione dell’immagine dell’impresa,
che poteva essere retta da comportamenti conformi alle aspettative sociali e giustificava l’aspirazione
delle imprese di essere “buoni cittadini” delle rispettive comunità.
In ambedue i casi, il presupposto era l’affermarsi di un management professionale come forza
dominante nell’impresa, dotato delle capacità tecniche e delle risorse necessarie per affrontare in
maniera esplicita e risolvere, qualora fosse possibile, i problemi sociali.
Nel corso degli anni ’60 gradualmente crebbero in numero e qualità i contributi teorici in questione,
tanto da andare ad imporre definitivamente la locuzione di Corporate Social Responsibility (CSR)13.
Si può sinteticamente sostenere che è in questo decennio che si pongono le basi per una
responsabilità d’impresa capace di andare oltre i doveri legali ed economici, sebbene in forma ancora
vaga.
Difatti, parallelamente, nella sempre più cospicua letteratura in materia, cominciano anche ad
emergere le critiche al filone di pensiero sulla CSR.
Si aveva a che fare con definizioni vaghe che stimolavano l’insorgenza di interrogativi e ai quali la
dottrina non riusciva a rispondere in modo univoco:
«Le imprese si devono semplicemente uniformare alla richieste della società o devono anticipare i
bisogni futuri? Quanto deve incidere sul sociale un’impresa per poter essere considerata socialmente
responsabile? Come dovrà essere giudicata un’impresa che eccelle in un particolare campo della
responsabilità sociale ma è carente negli altri? Come è possibile definire e misurare standard di
responsabilità sociale? Sono solo alcune delle questioni sollevate […]»14.
13
In merito all’ambiguità del termine afferma Votaw:
«The term is a brilliant one; it means something, but not always the same thing, to everybody. To some it conveys the
idea of legal responsibility or liability; to others it means socially responsible behaviour in an ethical sense; to still
others, the meaning transmitted is that of “responsible for”, in a casual mode; many simply equate it a charitable
contribution» (D. Votaw, Genius Becomes Rare, in D. Votaw & S. P. Sethi, The corporate dilemma: Traditional values
versus contemporary problems, Prentice Hall, Englewood Cliffs, NJ 1973, p. 11).
14 C. Chirieleison, L’evoluzione del concetto di corporate social responsibility, cit., p. 86.
12
In secondo luogo, ci si rese conto dell’esistenza di un trade-off, ancora semplicemente intuito e non
definito con accuratezza, tra i molteplici tipi di ricavi e costi economici e sociali: si acquisiva cioè la
coscienza e che il miglioramento delle condizioni economiche e sociali di un’impresa poteva implicare
il peggioramento di un’altra, alla stregua di quel tipo azione volta a sostenere il miglioramento sociale
per un gruppo e che, simultaneamente, può comportare come conseguenza il peggioramento per un
altro, in termini ad esempio di una riduzione del lavoro, minori profitti o tasse più alte.
Avversa alla CSR, infine, si era levata anche l’obiezione di determinare solo operazioni di facciata,
senza incidere in modo serio sulla ridefinizione del sistema di obiettivi proprio dell’impresa: era
assente un dibattito profondo sui principi motivanti l’agire sociale dell’azienda15.
Nel corso degli anni ’70, ad alimentare i dibattiti sull’etica e la responsabilità sociale d’impresa, non
furono solo gli scandali16 ma anche i movimenti sociali che iniziarono a battersi per la tutela dei
consumatori, per la sicurezza sul posto di lavoro e per la difesa dell’ambiente.
Oltre a ciò, con l’avvento della globalizzazione, il tema della CSR si è palesato in modo
dirompente, poiché il potere delle imprese è lievitato in modo considerevole, divenendo sempre meno
controllabile e reprimibile da parte del potere politico, specialmente a livello internazionale.
Alla luce di questa situazione, la teoria si è orientata ad approfondire la definizione di quei
comportamenti che rendono un’impresa socialmente responsabile.
In questo contesto si inserisce il fertile ed innovativo pensiero di Carroll che, nel 1979, elabora la
cosiddetta piramide della corporate social responsibility, ovvero la sua famosa definizione
“quadripartita” di responsabilità sociale.
15 Veniva osservato a riguardo: «The doctrine was essentially empty at the core because it merely instructed managers
to act with an ‘obligation’ toward a variety of entities without actually saying what values were to guide that action; it
was left to the managers’ own moral devices to ascertain the appropriate acts of obligation» (B. M. Mitnick, Systematics
and CSR, Business & Society, vol. 34, issue 1, p. 8).
16 Il codice etico d’impresa comincia a diffondersi in modo significativo solo a partire da questo decennio, nonostante
l’antesignano fosse stato approvato dalla multinazionale Johnson & Johnson già nel 1947:
«E questo avviene sull’onda di una serie di scandali che scuotono gli Stati Uniti: tra il 1973 e il 1976 la Sec – Security
Exchange Commission – il Dipartimento di Giustizia e il Ministero delle Entrate statunitense, analizzando l’attività di
400 grandi corporations, scoprirono che un terzo di queste aveva costituito appositi fondi neri per il pagamento di
pubblici ufficiali. L’indignazione dell’opinione pubblica fu tale che portò ad un inasprimento della legislazione sui
pagamenti illeciti ai partiti politici e all’approvazione nel 1977 del Foreign Corrupt Practices Act a seguito del quale i
codici etici e i codici di comportamento cominciarono a diffondersi a macchia d’olio come strumento operativo di
gestione aziendale» (N. Cerana, Comunicare la responsabilità sociale. Teorie, modelli, strumenti e casi d’eccellenza,
cit., p. 24).
13
Figura 1: La piramide di CSR, Carroll 197917
«It is suggested here that four kinds of social responsibilities constitute total CSR: economic, legal,
ethical and philantropic. Furthermore, these four categories or components of CSR might be depicted
as a pyramid. To be sure, all of these kinds of responsibilities have always existed to some extent, but
it has only been in recent years that ethical and philanthropic functions have taken a significant
place»18.
Imprescindibile punto di riferimento per tutta la dottrina successiva, egli statuisce che «the social
responsibility of business encompasses the economic, legal, ethical, and discretional expectations that
society has of organizations at given point in time»19 cercando, in tal guisa, di conciliare l’esistenza di
finalità sia di ordine economico che sociali20.
17 Ibidem, p. 24.
18 A. B. Carroll, The pyramid of corporate social responsibility, Business Horizons 1991, n. 34, june-august, p. 40.
19 A. B. Carroll, A tree-dimensional model of corporate social performance, Academy of Management Review 1979,
n. 4, p. 500.
20 Antesignano di questo filone di pensiero è il rapporto del Committee for Economic Development. Lo statunitense
CED osservò che il contratto sociale tra la società e le aziende stava cambiando in modo sostanziale, poiché a queste
ultime veniva chiesto di assumersi responsabilità molto più vaste che in passato.
Tale documento identifica difatti il famoso approccio dei “tre cerchi concentrici” della responsabilità delle imprese.
Quello più interno, rimanda alle responsabilità essenziali per l’esecuzione efficiente della funzione economica
dell’azienda 8produzione di beni, creazione di posti di lavoro e contributo alla crescita economica).
Il cerchio intermedio riguarda la responsabilità nell’esercizio della sopraccitata funzione, con una particolare sensibilità
ai valori e alle priorità sociali (es: rispetto dell’ambiente e buone relazioni con il personale).
Infine, il cerchio più esterno, comprende la disponibilità dell’impresa ad assumersi delle responsabilità più ampie che
non le sono proprie, agendo per lo sviluppo della società.
Committee for Economic Development, Social responsibilities of business corporations, New York 1971, p. 15 e segg.
Responsabilità
economiche
Philantropic Responsibilities
Be a good corporate citizen
Ethical Responsibilities
Be ethic
Legal Responsibilities
Obey the law
Economic Responsibilities
Be profitable
Responsabilità discrezionali
Responsabilità etiche
Responsabilità
giuridiche