1.3 L’organizzazione scientifica del lavoro - One best way
L’obiettivo dichiarato di Taylor nell’organizzare scientificamente il lavoro è quello di
“conseguire un aumento della produzione tale da passare in un altro ordine di
grandezza rispetto agli standard precedenti. La trasformazione del modo di produrre
ma soprattutto nella struttura organizzativa deve essere radicale .”; un obbiettivo
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decisamente innovativo e ambizioso.
In modo da stabilire una produzione standardizzata del lavoratore, una mansione viene
divisa, fino ad avere una mansione per ogni singola sequenza di movimenti necessari
per compierla. Tale sequenza di movimenti viene osservata e misurata attentamente in
modo da poter trovare i migliori metodi e tempi di lavoro, in rapporto alle caratteristiche
individuali del lavoratore, per eliminare i “tempi morti” e massimizzare l’efficienza (cfr.
1.2); tali studi furono noti con il nome di “time and motion studies”.
Taylor, basandosi proprio su questa “parcellizzazione” delle mansioni e sulla
separazione tra progettazione ed esecuzione del lavoro, definisce un modello
organizzativo su cui la sua organizzazione scientifica del lavoro si basava: il “Task
Management”. Il “Task Management” è, come poc'anzi detto, un modello organizzativo
d’impresa per cui l’organo direttivo stabilisce un ammontare di lavoro quotidianamente
e gli operai dovranno eseguirlo senza apportarvi modifiche, né in termini di diminuzioni
né in termini di aumenti (cfr. 1.2).
Il vantaggio di questo sistema, quindi, è che si ha un controllo nettamente superiore
degli output per via di un lavoro ormai ampiamente standardizzato e uniforme che ha
una resa prevedibile al centesimo e un rendimento in aumento per via della applicazione
del cottimo differenziale.
Taylor, però, è consapevole che applicare il Task Management su larga scala scatenerà
l’opposizione perché non appena si provava, iniziavano gli scioperi ed i sabotaggi da
parte dei lavoratori… quindi per far accettare il nuovo metodo, egli propone una politica
di alti salari da erogarsi in modo diverso dal cottimo: il cottimo differenziale.
Nel cottimo il lavoratore è stimolato e deve impegnarsi affinché il salario sia
proporzionale alla quantità lavoro, quindi più produce, più viene pagato.
Nel cottimo differenziale, invece, la retribuzione è determinata, come nel cottimo, dalle
quantità prodotte in un certo arco di tempo, però si tiene in considerazione il numero
complessivo di pezzi prodotti oltre il fatto che il lavoratore debba eseguire
rigorosamente quanto è prescritto dal “task”: in sostanza, superata una certa percentuale
del task si ha un salario per unità prodotta superiore, un premio di rendimento.
Taylor è convinto che i tecnici, a seguito di analisi, debbano individuare quali siano le
caratteristiche peculiari, e che quindi caratterizzino, ogni soggetto e assegnargli il lavoro
Giuseppe Bonazzi, Storia del pensiero organizzativo, Franco Angeli, 2008 - pag. 42
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che meglio gli si adatti; egli sostiene che per qualsiasi tipo di lavoro, esistano degli
“operai di prima categoria”: “ogni uomo è di prima categoria per qualche genere di
lavoro e se cercherete abbastanza troverete senz’altro qualche genere di lavoro che è
particolarmente adatto a lui ”.
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In sostanza afferma che ogni uomo possa eccellere, e quindi essere di “prima categoria”
in qualche lavoro, ma afferma anche che nessun uomo possa eccellere in tutte le
mansioni; è compito quindi dei tecnici dell’organizzazione scientifica del lavoro
stabilire dove e come collocarlo e rendere tale collocazione la più produttiva possibile.
Essendo il personale dirigente impegnato in numerose e svariate mansioni, Taylor si
rese conto che era necessario restringere le aree di competenza dell’organo direttivo e
aumentare il numero di quadri intermedi.
La tipica direzione basata sulla gerarchia militare viene a mancare e si sostituisce con
quella di tipo funzionale, dove gli operai risultano essere subordinati a più superiori,
ciascuno dei quali sarà responsabile per un aspetto particolare del lavoro, e non più ad
un unico capo.
T. Detti e G. Gozzini, ci spiegano meticolosamente questo nuovo sistema di
management, per cui: “la fabbrica doveva essere diretta da un ufficio di
programmazione costituito da tecnici-manager, che scomponeva nei minimi dettagli
tutte le fasi del ciclo produttivo, attribuiva a ogni operaio mansioni parecchio
delimitate e ne prestabiliva meticolosamente i singoli gesti e i tempi necessari per
ottenere rendimenti ottimali. Si realizzava così una divisione del lavoro fondata su una
gerarchia e una disciplina molto rigide, che toglieva ai lavoratori ogni autonomia e
concentrava tutti i poteri decisionali nelle mani della direzione. ”.
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La parcellizzazione delle mansioni, la privazione della autonomia nei lavoratori, e
l’accentramento dei poteri decisionali alla direzione, tipiche dell’Organizzazione
Scientifica del Lavoro, si legittimano nel ricorso alla scienza, in particolare nella “One
best way”: per il compimento di un lavoro esiste sempre una, e una sola, “via migliore”
per compierlo, come per la risoluzione di un problema esiste sempre una, e una sola,
soluzione ottimale; tale via e tale soluzione possono essere raggiunte solo facendo
riferimento alla scienza, impiegando quindi metodi scientifici di ricerca.
La ricerca della one best way è la ricerca del modo più conveniente ed economico per
compiere una data operazione, inoltre, oltre che garantire una maggiore efficienza
dell’organizzazione produttiva, potrebbe anche risultare come una soluzione ottimale di
risoluzione dei problemi tra le parti dato che porta con sé una superiorità sia politica che
sociale, perché la pseudo-scientificità che la caratterizza la fa apparire al di sopra delle
parti: tutti devono adeguarsi alle norme e ai limiti dettati dalla scienza, tutti devono
quindi adeguarsi alla one best way.
Taylor disse che “l'uomo che si trova alla testa dell'azienda è sottoposto come l'operaio
alle regole che sono state sviluppate attraverso migliaia di esperimenti, e le norme che
sono state sviluppate sono eque. Il codice delle leggi è giusto, e quelle questioni che con
gli altri sistemi sono oggetto di giudizio arbitrario e perciò possono portare a
disaccordi, sono state oggetto del più accurato e attento studio al quale hanno preso
parte sia il lavoratore che la direzione, portando alla soddisfazione di entrambe le
parti. ”. Le soluzioni che trova la one best way sono soluzioni imparziali, che non
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favoreggiano né il lavoratore né la direzione, ma nemmeno li contrastano; è una regola
Frederick Taylor, L’Organizzazione Scientifica Del Lavoro, Milano, Etas Kompass, 1967 - pag. 347
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Tommaso Detti e Giovanni Gozzino, Storia Contemporanea: L’Ottocento, Milano, Bruno Mondadori, 2011- pag. 223
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Frederick Taylor, L’Organizzazione Scientifica Del Lavoro, Milano, Etas Kompass, 1967 - pag. 357
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oggettiva a cui devono sottostare tutti i dipendenti e datori di lavoro; un mezzo che più
che far sciogliere le controversie tra dipendenti e datore di lavoro, le pone nel nulla,
vista la neutralità del metodo scientifico.
La realizzazione pratica della organizzazione scientifica del lavoro nelle fabbriche di
tutto il mondo, però, fu ben lontana dalla armonia appena esposta…l'intima convinzione
di Taylor era che la scienza, con la “one best way”, potesse essere un mezzo per
prendere decisioni in modo neutrale e che la sua applicazione rigorosa potesse portare
l'umanità a un'era di abbondanza e di concordia sociale.
1.4 Critiche al Taylorismo
Un incongruenza del Taylorismo è che mentre aumentava la sua popolarità, crescevano
sovente anche le voci che ne denunciavano limiti e ne reclamavano il superamento .
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Le principali critiche fecero riferimento al fatto che l’organizzazione scientifica del
lavoro fosse:
• uno strumento per intensificare il lavoro operaio;
• un disegno sulla determinazione della condotta umana, irrealizzabile;
• un semplice episodio interno allo sviluppo dell’industria e dell’impresa moderna;
• vessante e oppressiva nei confronti dei lavoratori.
Correnti filo-operaie considerano il taylorismo come mezzo per intensificare lo
sfruttamento del lavoro operaio. Una importante critica è stata avanzata dal politico ed
economista americano Harry Braverman, conosciuto per le sue idee marxiste che
ponevano l’operaio al centro dell’attenzione.
Lui vede il taylorismo come uno strumento che porta alla creazione di un divario
sempre più grande tra lavoro intellettuale e lavoro manuale; pone interesse, quindi, su
una mancanza totale di attenzione verso il fattore umano, nei suoi aspetti sia fisiologici
che psicologici: l’operaio viene considerato come una semplice macchina da lavoro
d’industria, il suo lavoro è strumentale alla creazione del profitto dell’imprenditore.
Il sociologo francese Georges Philippe Friedmann, invece, avanza critiche da un punto
di vista meno politico e più umanistico: per lui bisogna recuperare il significato da dare
al lavoro, bisogna ripristinare il lavoro con contenuti intelligenti, bisogna riconoscere
diritti e dignità e sviluppare una cooperazione comunitaria nell’azienda.
L’ideale per Friedmann è una sviluppata democrazia industriale in cui le esigenze di
profitto si ammortizzino con il rispetto dei valori umani e sociali delle varie componenti
che prendono parte alla produzione; il problema sorge nella netta separazione che si ha
tra ideazione ed esecuzione e tale problema può essere risolto attribuendo valore
intellettuale, morale e sociale al lavoro.
Furono promosse anche critiche da un punto di vista più scientifico, da parte dello
psicologo e sociologo australiano Elton George Mayo, che nel 1927 presso gli
stabilimenti della Western Electric di Hawthorne, a Chicago, condusse ricerche ed
esperimenti dove sottolineò come la produttività aumentasse se venivano cambiate delle
peculiarità del taylorismo in favore delle risorse umane.
Georges Friedmann, Problemi umani del meccanismo industriale, Torino, Einaudi, 1971
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