Dalla manifattura al terziario: Malìparmi, un’azienda veneta del Fashion. Maura Paccagnella
strumenti interpretativi, perché quelli nuovi, più consoni, devono ancora
prendere corpo. Si comprende così che maggiore è la precisione nel
selezionare quelli che debbono essere utilizzati, e il significato che ad essi
viene assegnato, meglio il nuovo paradigma potrà essere indagato, ma ad
oggi questa definizione si presenta ancora in progress ed il grado di
incertezza terminologica rimane elevato, così da non consentirne
un’univoca interpretazione. Malgrado ciò esso si sta affermando, sta
prendendo forma e la necessità di delinearne gli elementi chiave si fa
sempre più incisiva.
Un primo particolare aspetto che va via via emergendo è
rappresentato da come gli individui nelle loro scelte siano indirizzati, non
più solamente e principalmente da necessità funzionali vere e proprie,
materiali, quantitative, ma da una più ampia e preponderante esigenza di
senso, di significati, di emozioni, di segni e simboli da poter condividere
con altri mossi dalle loro stesse passioni. Questo aspetto sta condizionando
molti elementi sia della vita sociale che di quella economica facendo
emergere bisogni di comunicazione, di esperienzialità, di condivisione, di
responsabilità, che fino a qualche tempo fa non erano contemplati. La
qualità della vita, del lavoro, dell’ambiente diventano necessità
irrinunciabili di cui il sistema economico deve tenere conto nella sua offerta
a fronte del fatto che gli individui per questi accorgimenti sono disposti a
pagare un premium price. Il valore dei beni viene così a dipendere sempre
meno dalle loro particolari caratteristiche funzionali, materiali, e sempre più
da quelle qualitative, emozionali, simboliche, che riescono a soddisfare
quella domanda di senso che gli individui stanno dimostrando. Un’esigenza
personale, unica, ma condivisa nei suoi tratti generali da gruppi di persone.
Una spinta verso l’immaterialità che non si estingue con il possesso di
quantità di beni sempre maggiori, ma che ne richiede una differenziazione
qualitativa. In questo nuovo modo di guardare il mondo devono
riconoscersi anche le aziende, che non potendo più disporre di elevate
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economie di scala, a causa di mercati sempre più saturi e frammentati,
devono cercare di individuare tra le nuove esigenze del consumo quelle a
loro più consone. In base a queste, poi, dovrà indirizzare un’offerta
originale e differenziata ad un gruppo sufficientemente ampio di
consumatori che le condivida. A questo dovrà far conoscere la propria
offerta e farsi riconoscere nel lungo periodo. Il tutto per poter dar luogo ad
un sostenibile meccanismo di creazione ed interpretazione di nuova
conoscenza da trasformare in utilità spendibile nel mercato.
A questo primo aspetto si affianca un generale cambiamento
dell’assetto competitivo del sistema economico. Un sistema che a ritmi
sempre più serrati si sta allargando, abbattendo confini fisici, culturali,
linguistici, a livello globale. Eterogeneo nella sua composizione, ma
uniformemente orientato alla soddisfazione di esigenze, espresse o meno, in
cambio di valore spendibile. In modo da poter rigenerare le proprie
premesse e continuare a svilupparsi nello spazio e nel tempo. Un sistema
che negli ultimi anni ha visto emergere nuovi paesi dotati di grandi spazi, di
manodopera a basso costo e di un’elevata absorptive capacity (capacità di
apprendimento). Questi si sono imposti nel panorama economico globale
con grande velocità e hanno travolto quella parte dell’offerta che, basandosi
ancora principalmente sulla sola produzione manifatturiera, non è riuscita a
concorrere con loro sul terreno del prezzo. Nello stesso tempo, però, la loro
entrata nel sistema globale ha dato la possibilità a quelle aziende, già dotate
delle adeguate strutture e competenze, di potersi fornire in maniera più
efficace ed efficiente (a minori costi e a volte con migliore qualità) di
alcune lavorazioni standardizzate e/o labour intensive (ad elevata intensità
di manodopera) che non era loro più conveniente o possibile continuare a
svolgere al proprio interno o nel loro paese d’origine. Dando luogo ad
un’apertura mondiale delle catene di fornitura e di distribuzione. Perché la
crescita economica di questi paesi in via di sviluppo deve essere vista anche
come un’opportunità, per le aziende delle economie avanzate, di allargare il
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proprio mercato di sbocco. In ogni caso, sia esso quello finale o quello
intermedio, devono individuare nicchie globali a cui poter far conoscere la
propria offerta e presso le quali rendersi riconoscibili. È proprio la
riconoscibilità, la differenziazione rispetto alla concorrenza, il mezzo
principale sul quale le aziende devono puntare sia per conquistare un
maggior numero di clienti, che per allargare il numero di potenziali
collaboratori con cui poter condividere le proprie conoscenze e competenze
specifiche.
In questo nuovo paradigma, diversamente dal precedente, infatti, non
basta più solamente ampliare la quantità di beni prodotti e venduti per poter
rendere il processo produttivo più conveniente attraverso crescenti
economie di scala. Occorre invece un’adeguata organizzazione interna, che
dia luogo ad una buona capacità relazionale e creativa, che consenta di
attuare un’efficace processo di innovazione continua. Questo infatti
rappresenta l’unico strumento per poter rimanere nel mercato e generare
vantaggi competitivi. Un processo in cui i veri protagonisti sono gli uomini,
che con la loro creatività, la capacità di apprendere e rielaborare
informazioni e conoscenze, sono in grado di imbrigliare una parte della
complessità del sistema e trasformarla in utilità, in valore per sé stessi e per
il consumatore finale. Una creatività che ha bisogno di essere flessibilmente
organizzata e condivisa sia all’interno che all’esterno delle aziende
attraverso la costruzione di relazioni, sia formali che informali, che ne
consentano la diffusione e la continua rigenerazione. Tutti elementi, il
capitale umano, il capitale organizzativo, il capitale relazionale e quello
sociale (gli intangibles), che si possono racchiudere tra quegli aspetti
immateriali che i sistemi statistici e contabili, ereditati dal precedente
paradigma, non contemplano come mezzi di produzione del valore, ma che
oggi come mai prima sono indispensabili per poter realizzare quel processo
di creazione di senso che garantisce il raggiungimento di un vantaggio
competitivo sostenibile rispetto ai concorrenti.
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Nel caso specifico del sistema moda, risulta evidente come questo
sia da sempre stato influenzato da un particolare fenomeno sociologico, la
moda appunto. La moda, presentandosi mutevole, ma condivisa, svolge
ruolo particolare: crea alfabeti di significati tramite i quali gli individui
possono comunicare il loro ruolo e la loro identità agli altri. Per questo
motivo il sistema che li è costruito sopra si è dovuto basare fin dalla sua
nascita sulla creatività e sull’ingegno degli individui. Un sistema che deve
rispondere all’esigenza delle persone di comunicare e comunicarsi ancor
prima che a quella di coprirsi e ripararsi, e che per questo motivo, da quanto
abbiamo appena detto, si è inserito fin da subito in quella che abbiamo
definito economia della conoscenza. Un’economia che genera valore
economico attraverso la creazione, diffusione e reinterpretazione di
elementi immateriali, intangibili. Per questo motivo lo possiamo
considerare un precursore, perché ha da sempre impostato il proprio modo
di creare valore sull’intangibile, sui significati legati ai prodotti che propone
più che sulla loro funzionalità. Basti pensare all’haute couture affermatasi
in Francia a metà del 1800, che più che un vestito indossabile, comodo e
funzionale, proponeva un’opera d’arte, un modo di intendere
l’abbigliamento che oggi si ritrova sulle passerelle dell’alta moda.
Espressione, comunicazione artistica e simbolica sono il motore del
sistema, che declina poi questi significati, lo stile, l’identità del marchio, in
abiti più funzionali, adatti ad essere usati come strumento comunicativo
nella vita di tutti i giorni. Questo linguaggio ha però bisogno di essere
comunicato per poter essere condiviso dagli individui e per poter così
assumere il ruolo per cui è stato generato. L’affermazione del proprio
simbolismo necessita della creazione di un’identità originale, differente
rispetto a quella generata dai concorrenti, e di un continuo processo di
rinnovamento nell’evolvere ciclico delle stagioni efficacemente comunicato
al proprio target di riferimento. Questo implica una forte strutturazione sia
interna alle aziende, in cui il peso dell’ufficio stile e dell’ufficio marketing
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hanno un ruolo cruciale, che del sistema in generale. Un settore che pur
essendo definito tradizionale, a causa della scarsa qualificazione della
manodopera necessaria per poter realizzare la base materiale su cui
successivamente vengono creati quei sistemi di espressività che
costituiscono il vero valore di un prodotto moda, risulta considerevolmente
terziarizzato, includendo oltre alla mera industria un sempre più esteso
complesso di servizi dedicati e una rete distributiva specializzata.
In Italia questo settore presenta ancora oggi un peso preponderante
nella produzione manifatturiera nazionale, rappresentando la colonna
portante delle produzioni made in Italy nel mondo, secondo solo alla
meccanica di precisione. Ha un’antica tradizione che alcuni fanno risalire
addirittura ad epoca rinascimentale in cui la cultura per le stoffe, i tessuti e i
filati era già ampiamente diffusa, ma alla quale si sommava il particolare
gusto per il bello e ben fatto tipico del popolo italiano circondato da un
bagaglio culturale e paesaggistico di prim’ordine.
Un sistema, quello del tessile-abbigliamento, che si fonda su un
processo produttivo fortemente segmentato, che non necessita di contiguità
spaziale tra le fasi, ed è perciò facilmente suddivisibile tra entità produttive
autonome. Questo aspetto negli anni l’ha portato a strutturarsi secondo una
particolare forma che prevede alcune aziende committenti, le imprese
leader, contornate da una fitta rete flessibile di fornitori e subfornitori di
piccole o piccolissime dimensioni solitamente concentrata all’interno di un
distretto industriale. I committenti rappresentati sia da imprese finali che da
aziende commerciali, adottando una visione strategica di lungo periodo,
coordinano e controllano l’intera filiera composta da terzisti e/o da fornitori
strategici che lavorano su commessa con un forte orientamento al prodotto.
Delegando tutta o parte della mera produzione manifatturiera hanno quindi
concentrato i loro sforzi nella gestione dei rapporti col mercato finale
attraverso la costruzione di identità di marca riconoscibili investendo buone
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quote di fatturato in attività di ricerca e sviluppo, marketing e
comunicazione.
Oggi però anche il sistema moda italiano sta subendo i cambiamenti
che stanno investendo l’intero sistema economico globale precedentemente
delineati. Questi cambiamenti, la smaterializzazione del valore, e la
globalizzazione dei mercati, hanno colto impreparata principalmente quella
base di piccole aziende poco strutturate e dalle competenze scarsamente
qualificate che, comunque, rappresentano la maggior parte del settore.
Queste, non essendo state capaci di evidenziarsi nel mercato globale per
qualche loro particolare competenza, elevata qualità, stile originale,
innovazione tecnica di prodotto o processo, si stanno scontrando in modo
diretto con le aziende dei nuovi paesi emergenti sul terreno del prezzo. Uno
scontro insostenibile nel lungo periodo a causa delle diverse condizioni
produttive che ne caratterizzano le rispettive economie. Nel caso italiano
abbiamo un’economia avanzata in cui la qualità del lavoro e dell’ambiente
devono sottostare a rigide regole impostate da una società che avendo
raggiunto un certo grado di benessere non è più disposta a rinunciare ad una
certa qualità della vita. Nel caso delle economie emergenti, invece, ci si
trova di fronte ad un sistema ancora scarsamente regolato dove la necessità
spinge ad accettare orari di lavoro più lunghi e salari più bassi, e in cui i
principi ambientalisti non sono ancora fortemente sentiti. Ciò consente loro
di realizzare lavorazioni in cui il costo della manodopera e dei materiali
utilizzati risulta più basso.
Queste piccole aziende manifatturiere affermatesi grazie alla loro
flessibilità e alla produzione in piccoli lotti durante il periodo di crisi del
fordismo, conseguentemente alla deverticalizzazione e allo spin-off da
quelle di più grandi dimensioni, e concentratesi nei distretti industriali,
stanno perdendo la loro importanza. Dopo essere state per trent’anni la base
dell’intera filiera integrata del tessile-abbigliamento italiano, che grazie alla
sua stretta collaborazione con i settori complementari, ha consentito il forte
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sviluppo dell’industria meccanica e la crescita del sistema dei servizi
specialistici dedicati, a causa della loro scarsa propensione alla ricerca, alla
qualificazione del capitale umano e ad adottare una organizzazione basata
su una visione strategica di più lungo periodo, stanno dimostrando oggi una
grave situazione di crisi.
Una situazione che, da quanto mi accingo a sostenere nella mia tesi,
potrà essere da loro superata solamente attraverso un processo di
ristrutturazione che, implicando una certa dose di rischio, consentirà loro di
potersi inserire a pieno titolo in quel nuovo paradigma la cui caratteristiche
salienti ho delineato poco sopra. Un processo che non le porterà
necessariamente ad abbandonare la loro specializzazione nel sistema moda,
o le ridotte dimensioni, ma che le spingerà inevitabilmente ad incrementare
la loro dotazione di intelligenza terziaria. Dovranno selezionare, tra le
attività che svolgono, quelle che ritengono le loro core competences
(competenze chiave) per poterle valorizzare facendo investimenti mirati. E
dovranno delegare all’esterno lo svolgimento delle altre di cui necessitano,
ma che a loro non risultano più convenienti, o che gli altri, essendosi a loro
volta specializzati, sanno fare meglio e a minori costi. Non limitandosi
però, come è avvenuto fin’ora, alla sola dimensione distrettuale o nazionale,
ma instaurando relazioni non puramente commerciali anche con partner
esteri, per poter entrare in contatto con le loro conoscenze specifiche, e per
poter diffondere le proprie ad un più ampio numero di possibili
interlocutori. Diventando così un’impresa a rete aperta, che focalizzandosi
su alcuni elementi chiave, si organizzi internamente per riuscire a gestire
profittevolmente una buyer driver commodity chain internazionale da un
lato e una rete di distribuzione adeguata dall’altro. Per potersi distinguere
dalla concorrenza tramite la creazione di un proprio elemento differenziante
e cercando di farlo conoscere e riconoscere ad un bacino sempre più ampio
di clienti da un lato, e di possibili collaboratori dall’altro. Una scelta che in
ogni caso implica un maggiore investimento in intelligenza terziaria, ossia
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nella capacità di integrare il sapere codificato contenuto nelle macchine con
quello cognitivo contestuale e tacito insito negli uomini, nelle
organizzazioni e nei sistemi sociali, che le permetterà di superare il trade off
tra moltiplicazione ed efficacia, e le consentirà di scegliere di indirizzarsi
verso una forma di neoindustria o di neoservizi. Nel primo caso, la
neoindustria, sceglierà di integrare nella produzione manifatturiera delle
caratteristiche di personalizzazione, di differenziazione dell’offerta tipiche
del mondo dei servizi che le permetteranno di offrire al mercato un prodotto
dalle caratteristiche particolari, che i concorrenti non riescono a proporre,
per elevata qualità, caratteristiche tecniche, innovatività. Nel secondo caso,
i neoservizi, invece, dall’abbandono delle attività manifatturiere, potrà
ricavare le risorse necessarie all’organizzazione di una struttura gestionale
complessa in grado di poter instaurare proficue relazioni flessibili con
partner accuratamente selezionati con l’aiuto dei quali proporre delle forme
di servizio più complesse rispetto a quelle tradizionali che, oltre ad
incontrare le particolari esigenze dei clienti, siano anche riproducibili ad un
adeguato bacino d’utenza.
Nel mondo della moda un particolare esempio di ristrutturazione
verso la forma dei neoservizi è data da Malìparmi. Una piccola azienda
manifatturiera del nord-est che dopo un fortunato passaggio generazionale,
avvenuto nel principale momento di espansione della piccola impresa
italiana degli anni ’90, ha abbandonato la produzione manifatturiera in
house e l’ha affidata in outsourcing a selezionati fornitori sia italiani che
esteri. Si è riorganizzata al suo interno dedicando ampio spazio a quelle
attività di tipo terziario, come la progettazione del prodotto, la ricerca, il
marketing, la gestione e selezione di fornitori e distributori, ecc. che le ha
permesso di realizzare un proprio marchio, con uno stile originale, non
copiato. Il quale ha incontrato, in questa nuova concezione sociologica della
moda, l’esigenza espressa dalle consumatrici di realizzare quel cross
dressing, mescolanza di stili, che, evadendo dalle tendenze imposte
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dall’offerta, permette al consumatore di crearsi un proprio stile personale
attraverso l’accostamento creativo di capi diversi. Si è inserita in un
segmento di mercato, quello di medio-alta gamma, delle griffe trend maker,
in cui le aziende italiane della moda hanno da sempre mantenuto la
leadership e grazie alle quali si è affermato nel mondo l’Italian Style. Un
segmento dalle elevate barriere all’entrata di tipo immateriale dove la
riconoscibilità e tradizione del marchio sono caratteristiche fondamentali
per poter acquisire uno spazio nel mercato. A queste Malìparmi ha risposto
creando uno stile originale basato sulla sua tradizione artigianale, ricco di
accessori e in cui l’attenzione al particolare è il carattere fondamentale. Ed
indirizzandosi ad una particolare nicchia di consumatrici dalla personalità
forte e decisa, attraverso una comunicazione innovativa, che punta
sull’esperienzialità e sul connubio tra arte ed abbigliamento. Attraverso una
scelta distributiva, l’apertura di negozi monomarca, in cui prestare
maggiore attenzione alla clientela e a cui far toccare con mano lo spirito, il
mondo, che muove l’azienda e che questa vuole far trasparire di sé. E
realizzando eventi sia all’interno dei punti vendita che al di fuori, durante le
sfilate o tramite sponsorizzazioni, che associano il brand a vari tipi di forme
artistiche o culturali, come il tango, la musica folk o le mostre di fotografi o
pittori.
Attraverso la realizzazione di uno stile originale è riuscita a creare,
individuando e soddisfacendo le particolari esigenze delle sue consumatrici,
un maggior valore per la cliente (v). Nello stesso tempo è riuscita a farsi
conoscere ad un sempre più ampio bacino di consumatrici (n), allargandosi
anche all’estero, per ora principalmente in Europa. E, grazie alla
riconoscibilità acquisita nel mercato dal suo marchio, riesce a mantenere
sostenibile e redditizia (p) la sua attività anche in un’economia avanzata,
realizzando il 24% medio annuo di crescita sul fatturato.
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