4
Il lavoro è fondato su una base teorica che mi ha permesso di
individuare le radici culturali dell’umanizzazione dell’opera d’arte, opponendo
l’analisi scientifica o estetizzante, propria, almeno fino a tempi recenti, della
critica, ad un atteggiamento diverso che ho chiamato “magico simbolico”.
Questo approccio all’opera d’arte, che è antropologicamente il primo ed
il più immediato, utilizza strumenti irrazionali ed emotivi, riconosce oltre la
forma artistica l’espressione dell’inconoscibile e dell’assoluto. Credo che un
atteggiamento di questo tipo sia oggi riproposto dai mezzi di comunicazione,
benché avulso dalle basi religiose che storicamente lo fondavano e basato sulla
tipica dimensione frammentaria e “a flusso” della cultura di massa.
Oggi dai media viene proposto un approccio irrazionale, emotivo,
narrativo nei confronti dell’opera d’arte; questo avviene in accordo con le
formule comunicative tipiche di ogni medium ed entra a far parte degli
strumenti di manipolazione del messaggio a fini comunicativi e di
spettacolarizzazione.
Sicuramente l’impressione di una “umanizzazione” dell’opera d’arte
viene confermata nella prima fase dell’analisi, che coinvolge il periodo
immediatamente successivo alle prime scosse di terremoto. Tutti i quotidiani
analizzati, anche se in misura diversa, utilizzano i temi e gli stili che ho
considerato rilevanti per la ricerca. Il Tg1 costituisce invece un caso
particolare.
Sicuramente le testate locali, dando più spazio all’informazione di
servizio o alla copertura informativa di tutti i Comuni colpiti dal sisma,
puntano di meno sull’emotività, sul “grido” nel racconto delle notizie sui beni
culturali e vi dedicano uno spazio quantitativamente minore. Anche loro però
utilizzano in larga misura metafore e aggettivi che danno una forma
antropomorfa ai monumenti e nonostante pratichino una costruzione della
notizia meno complessa, realizzano a volte delle vere e proprie “storie” che
riguardano le opere d’arte.
In queste testate l’aspetto che spicca di più è quello dell’attaccamento
locale ad un emblema cittadino, individuato in un monumento, che rappresenta
l’identità del luogo; ho chiamato questi “segni nel territorio” che rappresentano
una comunità “landmark”, seguendo la denominazione data da Ernst
Gombrich. Se il bene artistico nei quotidiani locali è visto come oggetto di
identificazione, nelle testate nazionali esso viene preso come simbolo “ad hoc”
per la creazione di una notizia più accattivante, più avvincente; un oggetto su
cui investire un’emozione portata spesso ai limiti estremi.
5
I quotidiani nazionali inoltre dispongono di un’ampia parte riservata ai
commenti, che ha prodotto anche un “metadiscorso” sui media: queste testate
hanno ospitato la discussione su come la notizia è stata trattata, hanno creato la
polemica sul grande spazio che è stato riservato alle opere d’arte rispetto a
quello riservato alle persone, hanno dibattuto sul ruolo che l’arte ha nella vita
umana. Si è creato dunque un discorso teorico sia sulle scelte giornalistiche, sia
sull’opera d’arte.
Il modo di trattare la notizia cambia con il passare del tempo. Il Tg1,
che in un primo momento si era tenuto cauto rispetto all’ondata di emotività
che investiva il patrimonio culturale danneggiato, poi segue con partecipazione
le vicende che riguardano i monumenti; la Rai documenta infatti tutti i lavori di
restauro della Basilica di San Francesco e trasmette con una lunga diretta e con
uno speciale la cerimonia di riapertura al pubblico della chiesa.
Nel frattempo il Tg5, che aveva scatenato l’ondata di emozione
soprattutto grazie alla trasmissione delle immagini del crollo nella Basilica,
volge la propria attenzione sulla condizione dei terremotati e per tutto il
periodo della ricostruzione, di tanto in tanto, trasmette servizi dai campi
container.
A due anni di distanza dalle prime scosse dunque, nel periodo in cui le
chiese più importanti riaprono, in tempo per il Giubileo del 2000, questa è la
situazione sui media: i quotidiani trattano solo sporadicamente l’argomento e
quando lo fanno, come per la riapertura della Basilica ad Assisi, sembrano
celare un “senso di colpa” verso i terremotati che li porta a bilanciare ogni
notizia data sui monumenti con altrettanti richiami ai disagi delle persone; la
Rai segue la situazione nei campi container ma fa dell’attenzione specifica
verso i beni culturali la sua marca distintiva; il Tg5 enfatizza il ruolo di
denuncia rispetto alla condizione dei senzatetto e ne segue regolarmente la
situazione.
Dunque il sistema dei media riequilibra la situazione dimostrando , a
più di due anni di distanza dai fatti, un ritorno di attenzione sulle persone, con i
loro sentimenti, le loro difficoltà e le loro storie personali. Un forte elemento in
questa direzione è il film che Francesca Archibugi sta girando sul terremoto e
che racconterà, nello stile intimistico tipico della regista, vicende di persone la
cui vita è stata sconvolta da tale evento.
Dunque è questa la parabola che viene individuata, con una particolare
attenzione analitica per la prima parte del ciclo della notizia: da una forte
umanizzazione del monumento, che è cardine della notizia nella sua prima
fase, ad un ritorno sull’uomo: una “umanizzazione” dell’uomo stesso, attuata
6
anch’essa a fini di comunicatività giornalistica.
Questa parabola è ciò che appare alla superficie dell’accaduto, quello
cioè che i media hanno voluto rendere pertinente ed evidenziare, attraverso il
loro specifico linguaggio e le proprie tecniche. Si è creata così una evidente
separazione tra i fatti ed “il raccontato”, tra ciò che è accaduto e ciò che i
media hanno scelto di comunicare. Separazione, presente nella costruzione
giornalistica di ogni notizia, che si risana solo all’interno di una società
mediatizzata.
La nostra società rilegge i propri oggetti ed i propri avvenimenti
attraverso il filtro proposto dai mezzi di comunicazione; ciò le permette di
accettare e rendere utili ai propri fini le informazioni che lo specchio
distorcente dei media fornisce.
Questo apre un discorso molto più ampio, qui solo parzialmente
affrontato, che è il rapporto tra fatti, percezione del sociale, mutamento
culturale e ruolo dei media.
7
I
L’uomo soggiogato, l’arte umanizzata
8
9
Il 26 settembre 1997, alle ore 13 e 30, il Tg1 apre il notiziario senza
sigla, senza titoli, con delle immagini scioccanti filmate nel Sacro Convento
francescano di Assisi. Urla, gente che scappa, riprese in soggettiva che tramano
e si spostano repentinamente. Un grave terremoto ha colpito Assisi e
l’Appennino umbro - marchigiano, spiegherà appena dopo la conduttrice.
Queste sono le prime immagini, riprese durante la forte scossa di terremoto,
che l’Italia vede.
La sera stessa alle ore 20 il Tg 5 apre a sua volta con delle immagini
che resteranno nella storia del giornalismo: viene ripreso, durante la scossa
sismica, il fragoroso crollo di una parte del soffitto della Basilica superiore di
San Francesco. La Basilica francescana, simbolo di pace e di fede nel mondo,
monumento fondamentale per la storia dell’arte europea, crolla uccidendo
quattro persone, e “lo fa” sotto gli occhi delle telecamere. Tutte le notizie
inerenti al terremoto che ha colpito l’Umbria e le Marche partono da qui, si
sviluppano sempre nell’ombra di queste immagini scioccanti, terribilmente
estetiche e subito assurte a simbolo.
Nelle prime ore fatica ad emergere l’entità dei danni nei territori colpiti,
il numero definitivo delle vittime, la situazione delle persone colpite dal sisma;
non solo a causa della situazione di emergenza in cui vengono preparati i
notiziari, e della mancanza di informazioni precise, ma soprattutto a causa
dell’ondata di emozione scatenata soprattutto nei confronti della Basilica di
San Francesco, che pervade non solo le notizie, ma anche la capacità di
attenzione del pubblico.
Proprio in relazione a questo parlerò di una umanizzazione dell’opera
d’arte. Credo cioè che in questa prima fase della notizia l’opera d’arte abbia
sostituito l’uomo, nel senso che più dell’uomo era funzionale alla costruzione
giornalistica della notizia, ed è stata quindi trattata con le modalità
comunicative normalmente riservate alle vicende che coinvolgono le persone.
I mezzi di comunicazione infatti mettono una grossa enfasi sulla chiesa
danneggiata; la notizia delle persone morte sotto il crollo delle vele nella
26 settembre 1997, ore 11.42, Basilica
superiore di San Francesco. La sequenza
del crollo delle quattro vele affrescate nella
ripresa fatta da Paolo Antolini.
10
Basilica appare contestualmente, e accentua l’emotività che viene riversata
sull’evento. Per quanto riguarda le persone coinvolte dal terremoto, viene
raccontato l’aspetto del dolore, della paura, della disperazione. Per questo parlo
di uomo soggiogato, nel senso di sopraffatto dalla sofferenza e dal terrore; c’è
però un secondo punto di vista, contemporaneo, e che mostra un uomo
ammaliato dal fascino dell’opera d’arte distrutta. Questa visione è trasmessa
soprattutto dai quotidiani attraverso l’“io parlante” negli articoli, cioè
attraverso il simulacro dell’autore che appare nel testo.
L’uomo che i media rappresentano, dunque, è anche affascinato dalla
bellezza della Basilica e la vede, nella sua inaspettata fragilità, umana.
L’enunciatore guarda con emozione e con partecipazione personale la Basilica
danneggiata e le riconosce il ruolo di testimone della grandezza umana nei
secoli. Il monumento è considerato un soggetto vivo e dalla forma umana,
come apparirà chiaro con l’analisi dei mezzi di comunicazione.
Nella prima fase della notizia dunque, questo è il modo in cui vengono
rappresentati i due principali protagonisti, l’uomo e l’opera d’arte. Prima di
addentrarmi nella trattazione vorrei però dare un quadro dell’accaduto.
11
IL TERREMOTO DEL 1997 IN UMBRIA: BREVE DOCUMENTAZIONE DEI FATTI
Il 4 settembre 1997 a Colfiorito, frazione di montagna nel Comune di
Foligno, sul confine marchigiano, si registra una scossa sismica di media entità,
che i sismologi ora considerano il “foreshock”, la scossa precorritrice della
sequenza sismica che ha colpito l’Umbria e le Marche nei mesi successivi; io
mi riferirò, in tutto il lavoro, solamente alla situazione dell’Umbria.
Il 26 settembre comincia in quelle zone “uno dei più straordinari
processi sismologici mai registrati con strumentazione moderna. In sei mesi più
di ottomila scosse (...) con sette eventi di magnitudo maggiore o uguale a 5.0,
che in Italia è la soglia di danneggiamento degli edifici”
1
.
Alle 2.33 del 26 settembre si verifica una forte scossa di terremoto con
epicentro Colfiorito di Foligno. Fortunatamente nelle zone di montagna molte
persone si erano già allontanate dalle abitazioni più vecchie e passavano la
notte fuori casa fin dalla prima scossa di inizio settembre; ci sono però,
nonostante questo, due morti a Collecurti, nel maceratese: una coppia di
anziani coniugi viene sepolta dalle macerie; il paese è completamente distrutto.
Circa nove ore dopo, alle 11.42, si verifica un’altra scossa di magnitudo
5.8, VIII - IX grado della scala Mercalli, “che rappresenta il valore degli eventi
più forti di questo settore dell’Appennino”
2
; muoiono altre otto persone, alcune
di infarto, altre colpite dai crolli: nella Basilica superiore di San Francesco di
Assisi una trentina di persone tra frati, amministratori locali, tecnici e
giornalisti stavano ispezionando gli affreschi, per rilevare i danni provocati dal
sisma della notte precedente. La nuova scossa li coglie di sorpresa; alcune parti
del soffitto a volte crolla, quattro persone rimangono uccise. Si tratta di due
frati, Padre Angelo Api e il novizio Borowec Zdizslaw, e due tecnici della
soprintendenza, Bruno Brunacci e Claudio Buggiantella.
Paolo Antolini, il cameraman di una emittente locale, Umbria TV,
riprende il crollo delle vele nella Basilica. Vendute al Tg5 le splendide,
drammatiche immagini vengono trasmesse nell’edizione delle 20. Il giorno
dopo la CNN è in possesso di queste riprese, che faranno il giro del mondo e
diventeranno simbolo del terremoto in Umbria.
Si perdono quattro vele affrescate nella Basilica di San Francesco: una
vela blu a stelle oro e una con San Matteo che evangelizza la Giudea, dipinta
1Enzo Boschi (Presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica), La sequenza sismica umbra 1997-98, in
AA.VV., Dopo il terremoto, Cassa di risparmio di Foligno s.p.a. 1999
2ibid.
12
da Cimabue, situate all’incrocio tra la navata ed il transetto, crollano
frantumando l’altare sottostante. Le altre due vele, proprio sopra l’ingresso,
erano attribuite ad un giottesco e rappresentavano due dottori della Chiesa.
Crolla anche una teoria di santi affrescata tra la volta e la controfacciata.
Altri gravi danneggiamenti sia alle strutture civili che ai beni culturali si
hanno nelle zone di Foligno, Nocera Umbra, Gualdo Tadino; molte città
turisticamente rilevanti per la Regione sono colpite: non solo Assisi ma anche,
ad esempio, Gubbio e Spoleto.
Il Ministero per i Beni e le Attività Culturali nomina una Commissione
Speciale per i Beni Culturali, con a capo Antonio Paolucci, che deve decidere
gli interventi urgenti e che poi curerà il restauro della Basilica. La commissione
sarà molto impegnata nella messa in sicurezza del Santuario francescano, visto
che numerose scosse anche violente si susseguono nei giorni successivi al 26
settembre, con una punta il 14 ottobre.
In quella giornata infatti scosse del VII - VIII grado della scala
Mercalli, con epicentro Sellano di Foligno, causano sensibili aggravamenti alla
condizione di edifici abitativi e monumentali in un territorio già colpito.
Per il pubblico dei media questa data coincide con due eventi che,
ripresi in diretta dalle televisioni, diventano immagini emblematiche di questo
terremoto lungo e imprevedibile: il timpano del transetto sinistro della Basilica
di San Francesco, gravemente danneggiato, rischiava di crollare sulla Basilica
inferiore; viene fissato con una imbracatura metallica sollevata da una gru; a
Foligno la sopraelevazione settecentesca della Torre Civica - detta da quel
momento “torrino” - crolla mentre i Vigili del Fuoco cercano di fissare una
struttura di protezione in ferro.
In questa prima parte del lavoro mi riferisco ai fatti che vanno dal 26
settembre all’8, 9 ottobre; nella seconda parte guarderò le notizie che seguono
le scosse del 12 - 14 ottobre e nella terza parte mi riferirò ai due anni di
ricostruzione post terremoto. Questa periodizzazione corrisponde ad uno
specifico modo di trattare la notizia da parte dei mezzi di comunicazione,
soprattutto per quello che riguarda la concezione dell’uomo che si comunica, e
la percezione delle opere d’arte, con la loro capacità di catalizzare l’attenzione
e l’emotività.
Mi sembra ora necessario, per parlare del ruolo che l’opera d’arte ha
ricoperto in questa notizia, capire come i mezzi di comunicazione, in generale,
si sono occupati e si occupano del patrimonio artistico; cercherò quindi di fare
un breve quadro su questo.
13
L’ARTE NEI MEZZI DI COMUNICAZIONE
Un rapporto molto stretto tra mezzi di comunicazione ed arte è esistito
da sempre, cioè da quando i media hanno cominciato a profilarsi come un
sistema, all’epoca delle avanguardie artistiche: esse infatti riciclavano le forme
e gli stili comunicativi forniti dal sistema massmediatico; contemporaneamente
i media, che hanno continuo bisogno di immagini e innovazione formale,
hanno sempre utilizzato le opere d’arte come “materiali” da reinterpretare e
rielaborare.
La produzione artistica è ampiamente utilizzata dalla cultura industriale,
anche per la sua connotazione di prestigio che legittima i contenuti e le forme
della comunicazione di massa, per la sua funzione di riconoscibilità, che
permette di scavalcare il rumore da sovrabbondanza di informazioni, perché si
richiama ad un universo ludico, o di piacere
3
.
Fin dagli anni Sessanta si è dibattuto però sulla capacità dei media di
restituire nella sua integrità l’opera d’arte, che si caratterizza proprio per essere
unica e “irripetibile”.
Secondo un’opera classica di Benjamin
4
il medium, che riproduce
illimitatamente l’immagine dell’opera d’arte, snatura la sua identità originaria,
perché la filtra con il suo apparato tecnologico e le dà un’interpretazione ed un
punto di vista nuovo. La fruizione di un’opera nelle culture storiche era sempre
mediata da rituali, contesto ambientale, accessibilità limitata, norme di
interpretazione legate alla funzione sociale per la quale l’opera era stata
concepita. Queste mediazioni culturali, già messe in secondo piano dal
concetto profano di “bellezza”, vengono oggi cancellate.
Parleremo a lungo delle concezioni estetizzanti, che riducono l’opera ad
un oggetto d’analisi, valutabile secondo il parametro della qualità tecnica
d’esecuzione; per ora mi sembra importante considerare questa concezione di
Benjamin, secondo cui la riproducibilità dell’opera la snatura nel suo
significato più autentico.
La riproducibilità illimitata e a basso costo delle immagini e delle
parole pone diversissimi fruitori di fronte all’opera, (gruppi socioculturali
diversi, tradizioni segniche diverse), un’opera che però ha perso il suo contesto,
perché è entrata nel flusso comunicativo della cultura di massa, che è astorico
3Michele Rak, La produzione dell’arte nella società industriale, Palumbo 1981
4Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi 1966
14
ed aspaziale.
Secondo Rak
5
, i mezzi di comunicazione trasmettono all’opera d’arte la
propria forma, i propri valori estetici ed il proprio stile comunicativo; questo
doppio passaggio, (attraverso un diverso contesto e una diversa cultura, e
attraverso il medium), ne annulla i valori originari. L’autore fa l’esempio della
Gioconda, citata e riutilizzata in tutti i contesti, ed innumerevoli volte. Questo
ritratto è stato reso ormai una “scatola vuota”, che può venire riempito dai più
vari contenuti e dai valori trasmessi dal medium stesso.
Esso infatti non è mai neutro, non solo perché comunica attraverso uno
specifico apparato tecnico, che è investito di significati, ma perché ha un suo
specifico codice comunicativo, che viene sovrapposto e modifica quello
originario dell’opera d’arte, già oggetto significante.
La televisione, che in Italia si è da subito occupata della
documentazione sul patrimonio artistico, è sembrata sempre consapevole di
questo scarto creato dall’apparato tecnico. Mentre la telecamera cercava di
“scomparire” nei primi documentari, restituendo uno sguardo più neutro
possibile sulle opere analizzate, oggi i registi lavorano consapevolmente su
questa sovrapposizione di due linguaggi espressivi diversi.
Fin dai primi mesi di funzionamento del mezzo televisivo in Italia, nel
1954, la Rai si è occupata di beni artistici, proponendo documentari e interviste
giornalistiche ai protagonisti. Seguirono poi numerose trasmissioni che
ricalcavano due diverse tipologie: la rubrica culturale e i documentari
monografici
6
.
Di questa “famiglia” facevano parte gli storici documentari di Carlo
Ludovico Ragghianti, i “critofilm”, andati in onda negli anni Sessanta
7
. Con lo
stile didattico tipico della televisione di quegli anni, questi documentari
presentavano analisi stilistiche approfondite di opere celebri.
Lo stile accademico e l’alto livello della trattazione non hanno
probabilmente permesso al programma di svolgere il fine divulgativo che si
proponeva, rivolgendosi ad un pubblico al quale mancavano i necessari
strumenti culturali. Si trattava comunque dei primi, accurati documentari
televisivi sulle opere d’arte. L’approccio, abbiamo detto, era analitico e il
linguaggio da critica d’arte.
5
Michele Rak, La produzione dell’arte ... cit.
6
Vedi Luisella Bolla e Flaminia Cardini, Le avventure dell’arte in TV, RAI- Nuova ERI, 1994
7
I “critofilm” sono stati analizzati da Paola Scremin in occasione del workshop “L’arte nel villaggio
elettronico”, nell’ambito del Prixitalia 1999; Siena, 24 settembre 1999
15
I documentari di oggi non hanno più uno stile didattico, ma piuttosto
evocativo, cercano di rendere un messaggio estetico anche attraverso il
montaggio, la musica ecc., ed in questo sovrappongono consapevolmente al
linguaggio dell’opera d’arte il linguaggio cinematografico. Per quanto riguarda
i documentari filmati, oggi il dibattito riguarda proprio il ruolo di mediazione
svolto dal regista. Si deve far “parlare l’opera”, o sovrapporre una visione
soggettiva?
In generale, e facendo un raffronto con i primi documentari, possiamo
dire che oggi il regista non scompare mai, ma rivendica un ruolo nel processo
comunicativo, utilizzando gli strumenti cinematografici a discapito di una
narrazione oggettivizzante. Allo stesso tempo però l’opera d’arte è presentata
al pubblico con meno mediazioni, portatrice di un messaggio estetico ma anche
di una sua capacità comunicativa intrinseca, identificata spesso con una
funzione emotiva. E’ questa funzione emotiva che ci interessa, perché sembra
essere il principale strumento di comunicazione tra l’autore ed il pubblico; essa
infatti introduce un elemento di spettacolarizzazione al quale oggi i media
sembrano non voler rinunciare.
Nel dibattito c’è anche chi considera la comunicazione filmata incapace
di trasmettere questa emozione; Michel Anthonioz dichiara: “Devo ammettere
che la TV non riesce ad arrivare al cuore, al mistero, che è la tipicità assoluta
dell’arte”
8
.
Luciano Emmer invece sembra fiducioso nella capacità del video di
restituire l’emozione suscitata dall’arte; significativo in questo senso è il suo
film Bella di notte, girato in notturna dentro Galleria Borghese e prodotto da
Rai 2.
L’autore si aggira nelle stanze della villa, incontra le opere, guarda
negli occhi i personaggi dei quadri e parla loro, raccontando le proprie
emozioni e i propri pensieri a ruota libera. Incontra nel buio il busto di
Scipione Borghese e con lui comincia una conversazione. Il film è un dialogo
intimistico con i personaggi ritratti nei quadri e con le statue; la villa si anima
di innumerevoli presenze amiche al regista, che le rivela.
Questo mi sembra, emblematicamente, il punto di arrivo di una
parabola che, per quanto riguarda il documentario televisivo, dallo stile
didattico e analitico, passando per la ricerca dell’emozione e dell’attrazione
visiva arriva all’umanizzazione dell’opera d’arte, come strumento di
comunicazione pregnante ed altamente divulgativa.
8Michel Anthonioz, vicedirettore di Art’è, è intervenuto al workshop “L’arte nel villaggio elettronico”,
nell’ambito del Prixitalia 1999; Siena, 24 settembre 1999
16
Cosa intendo quindi per umanizzazione dell’opera d’arte? Un
atteggiamento che riconosce l’arte come forma sensibile di un contenuto
assoluto, e che quindi non la vede come oggetto da analizzare, ma come
soggetto con cui comunicare, attraverso gli strumenti dell’irrazionalità,
dell’emozione, dell’intuizione. Questo approccio verso la forma artistica, che è
sempre esistito, come vedremo nel prossimo paragrafo, viene portato dai mezzi
di comunicazione alle sue estreme conseguenze: l’opera d’arte viene
antropomorfizzata, le si attribuisce cioè un corpo di forma umana ed uno
spirito con delle caratteristiche umane.
Proprio questo credo sia accaduto nella trattazione giornalistica del
terremoto in Umbria, ma non credo comunque che si sia trattato di un caso
isolato nel panorama dei media. Voglio fornire quindi altri due esempi, presi da
forme di comunicazione diverse, che dimostrano un identico atteggiamento
verso l’opera d’arte. Ambiti diversi per cercare di dimostrare che questo modo
di comunicare l’arte prende piede da un sentire diffuso, che si rispecchia in
molte situazioni comunicative.
Devo chiarire che mi riferisco, in tutta la tesi, solo al “versante” del
mittente, di chi cioè produce il messaggio attraverso i diversi mezzi; non ho
fatto un’analisi dei consumi né degli effetti della comunicazione sui destinatari,
ipotizzando però che ci sia una comunanza di sensibilità e delle competenze
comuni tra il mittente ed il pubblico, come deve avvenire in ogni
comunicazione riuscita, e come sembra probabile visti i segnali tangibili di una
sensibilità abbastanza diffusa nella società verso alcuni aspetti dei beni
culturali.
Per la mia ricerca è significativa l’attività di Mecenate ‘90, associazione
che si identifica con lo slogan “avviciniamo l’arte alle persone”.
L’associazione ha organizzato per il secondo anno consecutivo un’apertura
notturna e gratuita di tre importanti gallerie d’arte moderna e contemporanea,
con musica e ospiti dal mondo dello spettacolo: un’iniziativa rivolta ai giovani
che cerca di creare una familiarizzazione immediata, istintiva ed emotiva con le
opere.
La pubblicità dell’iniziativa puntava proprio sull’umanizzazione
dell’oggetto artistico: nello spot un ragazzo, moderno Pigmalione, ballando
musica rap corteggia una statua; nella versione su carta la scultura “il bacio” di
Redon nasconde la vita: sono un ragazzo e una ragazza abbracciati.
L’atteggiamento umanizzante è riscontrabile nella pubblicità, che è la
forma di comunicazione normalmente più innovativa come codici, ma non
come contenuti: essa infatti dovendo essere di immediato impatto e
17
comprensione sfrutta idee già formate; è una spia di un atteggiamento già
presente. La pubblicità inoltre punta spesso su codici comunicativi emotivi ed
immediati, cosa che non dovrebbe fare in teoria la critica o il documentario. E’
dunque interessante notare un “approccio umanizzante” anche in queste forme
di comunicazione, che di solito non seguirebbero le tendenze riscontrabili nei
media.
Anche la critica, appunto, sembra ritrovare un approccio immediato ed
emotivo, restituendo all’opera la sua carica vitalistica ed il suo mistero:
l’ultimo libro di Vittorio Sgarbi si intitola Gli immortali
9
. Ad una trattazione
classica, che con tradizionali criteri storico-artistici analizza, in modo
divulgativo, l’opera dei grandi della pittura da Giotto a Andy Warhol, l’autore
giustappone un’introduzione ispirata, con riferimenti personali ed uno stile
emozionato.
“Gli immortali” sono gli artisti attraverso le loro opere d’arte, immortali
perché il loro spirito è nell’opera e vive in ogni generazione di pubblico che la
ammirerà. In copertina “la creazione dell’uomo” di Michelangelo sottintende
un parallelo tra l’artista e Dio, creatori entrambi di cose eterne. Il parallelo, che
verrà esplicitato nell’introduzione del libro, sembra accennare ad un ritorno
alla filosofia romantica.
Il tema è quello tradizionale dell’eternità dell’arte rispetto alla caducità
degli uomini e delle cose; è un tema toccato innumerevoli volte in letteratura,
da Dante in poi, e proprio attraverso questo concetto il Romanticismo giunse
alla mitizzazione dell’artista, il “genio” che poteva vedere oltre i limiti umani e
raggiungere l’eternità attraverso la creazione.
Sgarbi però punta tutto sull’opera, che racchiude lo spirito di chi l’ha
creata ma vive di vita propria, circondata da uomini destinati alla morte.
“Niente come le opere d’arte assomiglia al corpo umano, insieme di anima e di
corpo”; questa frase è emblematica dell’identificazione dell’artista con ciò che
crea, e dell’umanizzazione dell’oggetto artistico. L’autore volutamente usa un
linguaggio antropomorfizzante: le opere possono “morire di vecchiaia”,
“morire di malattia”, essere “ancora giovani”.
Cito ancora un pezzo dall’introduzione di questo libro, che mi sembra la
conferma di quell’atteggiamento di cui ho ipotizzato la diffusione, e che ho
chiamato umanizzazione dell’opera d’arte: “Nei musei siamo pieni di persone
vive che sono i quadri, non i visitatori, i quadri sono vivi, animati, riempiono di
vitalità le pareti, anzi reclamano come le donne un’attenzione specialissima”
10
.
9Vittorio Sgarbi, Gli Immortali, Rizzoli 1999
10ibid., corsivo mio.