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particolare per le decisioni da adottare in una situazione
linguistica altrettanto particolare come la nostra. Dobbiamo
anche considerare che l’inserimento di alunni stranieri si
inserisce in un macrocontesto importante quale quello segnato
dall’europeizzazione dell’Italia e dalla globalizzazione che
generalmente caratterizza gli equilibri mondiali di oggi. La
presenza immigrata nelle scuole italiane non va vista, allora,
come un ostacolo, ma come l’elemento catalizzatore per il
miglioramento. Per compiere una buona riforma scolastica, dato
che questo è oggi un argomento rilevante, bisogna cominciare a
convincersi che la diversità non implica separazione o
improduttivi test d’ingresso per non sconvolgere la presunta
vitalità pura della lingua italiana, ma una cosciente osservazione
della natura linguistica dell’integrazione. Dico questo in quanto
un principio fondante del fare scuola italiano è
l’universalismo, che implica necessariamente l’inserimento in
classi comuni, affinché possa essere rispettata la crescita
pedagogica del discente nelle relazioni con gli altri, per
agevolare ogni tipo di pratica interculturale. L’iscrizione ed il
primo inserimento a scuola degli alunni stranieri, deve dunque
essere un copione largo che va costruito e condiviso da tutto il
personale scolastico. Attenzione particolare va dedicata ai
ragazzi che hanno compiuto i quattordici anni, in quanto li
aspetta la difficile scelta della scuola superiore. Per questo
motivo dobbiamo puntare su una scuola media inferiore più
efficiente e multiculturale. Il Ministro Fioroni sosteneva, sempre
nello stesso documento, la necessità di perseguire un
plurilinguismo scolastico. Quest’ultimo può essere raggiunto
solamente rivedendo l’offerta formativa in termini di LS,
proponendo non più una lingua straniera in genere che a seconda
dei casi è l’inglese o il francese, ma propinare un rapporto solido
con le lingue che caratterizzano quel particolare ambiente e
quella specifica classe. Altro elemento che merita un’accurata
attenzione è la scelta della scuola. Anche se le famiglie devono
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essere libere di scegliere la formazione dei loro figli è doveroso
fornire un minimo d’orientamento, anche per evitare che i
genitori operino scelte restrittive per motivi logistici come per
esempio la distanza. È ovvio, tuttavia, che la scuola deve
necessariamente essere comprensiva ed accogliente nei
confronti della famiglia immigrata, la quale si trova a dover
amalgamare la propria quotidianità con una prospettiva
situazionale e sociale totalmente nuova. È fondamentale,
dunque, coinvolgere attivamente il nucleo familiare nel processo
d’inserimento. Per far ciò è necessario, comunque, inscrivere il
proprio modo di essere in una prospettiva personalista di cultura,
slegata da qualsiasi preconcetto che possa essere d’intralcio alla
conoscenza che nasce dallo scambio con le diverse realtà. Un
concetto chiave espresso dal succitato documento ministeriale è
quello di “educazione alla cittadinanza”. Solo in questo ambito,
scriveva il Ministro Fioroni, possiamo concepire
l’interculturalità. Per impartire una buona educazione alla
cittadinanza è necessario porre i nostri ragazzi in un’ottica
nuova per quanto riguarda tutte le discipline. È auspicabile, per
esempio, impostare un insegnamento della geografia che intenda
spiegare la mondializzazione delle nuove realtà urbane ed un
insegnamento della storia che non sia più asfitticamente
eurocentrico, ma che sappia guardare ai processi di lungo
periodo, che costituiscono il tavolo di prova per tutti i popoli e le
epoche. Una spinta nuova va data inoltre, a mio parere, alla
presenza della Religione Cattolica nelle scuole, in quanto
bisogna sempre più convincersi che la componente religiosa è
estremamente rilevante nella società di oggi, come lo è sempre
stata. Dovremmo però imparare che bisogna approdare ad uno
sguardo multireligioso, che sia lontano da dogmatismi e
tradizionalismi di sorta. L’autonomia scolastica pone in rilievo
le capacità operative del personale scolastico sottolineando in
particolar modo la funzione della dirigenza scolastica. La
presenza di un dirigente impegnato e dotato di diversi carismi
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umani e culturali è l’elemento catalizzatore di scelte e
comportamenti interculturali dell’intera scuola, oltre che una
sicura garanzia per le competenze gestionali e specifiche che
devono essere dispiegate sul campo della multiculturalità. Le
scelte della scuola si vedono anche nell’organizzazione del
personale non docente che deve certamente rinnovarsi ed
esercitarsi a dover far fronte ad istanze tecnico-amminstrative
sempre più diverse e necessariamente interculturali. A volte si
prova la sensazione di vivere in una realtà troppo frammentata,
ma è questa divisione di noi stessi nelle tante sfumature della
realtà l’unica via speculativa rimanente per lo studio delle
integrazioni. Lo stesso ex-ministro Fioroni, nel suo intervento al
seminario “Cultura Scuola Persona”
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, ci dice che la sfida
odierna è dare senso alla frammentazione del sapere. In questa
rinnovata realtà la scuola deve ritrovare la sua forza maieutica
per aiutare i ragazzi a tirare fuori la loro curiosità, la loro
meraviglia e le loro capacità, per sentirsi realmente fieri di
essere umani, di avere facoltà di pensiero e di analisi e di trovare
pieno soddisfacimento nella realizzazione delle loro esigenze
conoscitive. Gli ostacoli che impediscono ciò sono comunque le
emarginazioni e gli analfabetismi di ritorno che non consentono
di essere proprietari consapevoli del proprio essere cittadini. Per
ovviare a tali ostacoli bisogna formare degli individui che non
abbiano dei concetti culturali predefiniti e validi per tutti, ma
delle categorie linguistiche e mentali flessibili atte ad adattarsi
alla veloce mutevolezza del panorama sociale odierno. In questo
processo è fondamentale porre al centro l’unicità dell’alunno, il
quale vive nel suo particolare contesto familiare, culturale,
spirituale, etico ed estetico. Considerare centrale la posizione
dello studente e della sua famiglia significa attuare delle
strategie formative valide sia in senso verticale che in senso
orizzontale. La sfida è, infatti, quella di riuscire a permettere al
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Intervento del ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni al
Seminario “Cultura Scuola Persona”, Roma, Biblioteca Nazionale Centrale,
3 aprile 2007
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discente di poter compiere delle scelte consapevoli supportate da
un solido curricolo verticale costruito negli anni e strutturato per
comprendere ed inglobare le diverse istanze culturali con le
quali capita sempre più spesso di approcciarsi. Per avvalorare
questa affermazione torno a ribadire la necessità di strutturare in
maniera diversa ed interculturale le programmazioni, in quanto
siamo stati abituati, fino a poco tempo fa, ad una scuola tendente
a formare dei cittadini nazionali, italiani. È scientificamente
improprio considerare il plurilinguismo come un fenomeno
riguardante esclusivamente la nostra società, in quanto tutte le
epoche sono state caratterizzate dalla presenza di più lingue nel
corso del loro esistere e ci hanno lasciato dei patrimoni
linguistici altrettanto variegati. Certamente non dobbiamo
dimenticare le radici del nostro popolo, ma dobbiamo evitare di
essere italiani in una maniera restrittiva e sentimentalmente
“protezionistica”, per poter invece essere parte del popolo del
mondo. L’unica via è, dunque, quella che ci conduce a
valorizzare ancora i valori nazionali, ma rivestendoli di una luce
europea e mondiale, chiedendoci il ruolo che hanno i nostri
monumenti e i nostri valori in questo “villaggio globale” che è il
mondo odierno. Tali valori, tali memorie nazionali, devono
servire a comprendere meglio il contesto in cui si sono formate
tutte le altre realtà nazionali e sociali per essere più compatti
nell’affrontare le problematiche che oggi interessano il pianeta.
Per creare una consapevolezza mondiale dell’esistere e del veder
esistere gli altri è necessario che tutte le discipline si vengano
incontro e collaborino nel creare quel sapere esteso e ramificato
che necessita all’alunno cosmopolita di oggi, il quale deve
necessariamente imparare a ravvisare e far propri i punti che
collegano il macrocosmo del globo ed il microcosmo del suo
vivere quotidiano. In questo rapporto tra grande e piccolo la
mobilità conoscitiva e relazionale è garantita dal curricolo, il
quale guida l’apprendente dall’inizio alla fine del suo percorso
formativo. L’elaborazione di un curricolo trasforma la scuola in
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un attivo ed efficiente centro di ricerca, in quanto esso va visto
come una realtà sempre e comunque in fieri, che si sviluppa dal
prodigarsi impegnato di tutti i docenti che forniscono un solido
apporto allo sviluppo della stessa offerta formativa.
Quest’ultima deve essere costruita in maniera tale da poter
fornire all’alunno non una conoscenza meramente erudita dei
saperi o nel peggiore dei casi una specializzazione in tuttologia,
ma un bagaglio vivo ed attivo che man mano conduca
l’apprendente a sceverare gli elementi e le tecniche di ogni
disciplina partendo da un intero ambito di conoscenze. Un
termine che nel mondo della formazione di oggi appare usurato
è competenza. Tale parola ci spiega, invece, il cambiamento
sostanziale che investe tutti gli attori formativi. Possedere
competenze vuol dire, infatti, saper essere flessibili e
“adattabili” a tutte le situazioni che richiedono diversi modi di
approccio e non possedere delle nozioni sedimentate, ma
ineluttabilmente infruttuose in contesti variegati e variabili come
quelli del sapere odierno. Questo tipo di flessibilità può essere
fornita solo dall’organizzazione che nasce in seno all’autonomia
scolastica, il che non significa assoluta libertà d’azione di ogni
scuola, ma possibilità di scegliere le strategie più adatte per
affrontare le esigenze legate alla scuola ed al territorio locale.
Qualunque strategia, comunque, non può prescindere dal
concetto di comunità d’apprendimento. Questa idea vale a
maggior ragione per l’insegnamento di una lingua seconda e per
l’attuazione di tecniche didattiche interculturali, in quanto
l’alunno non può vivere e lavorare essendo isolato, perché deve
essere immerso in una comunità di pratiche che aiuta a
sviluppare il senso di organizzazione con gli altri, deve vivere in
una comunità di dialogo che insegna a conosce l’altro in
maniera non pregiudizievole e deve vivere, infine, in una
comunità di diversità, che insegna a valorizzare e curare
amorevolmente l’essere e la provenienza dell’altro. Appartiene
certamente al DNA italiano la natura del migrante per
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antonomasia: prima oltreoceano, poi le migrazioni interne verso
il settentrione e di nuovo all’estero verso altri paesi come la
Francia, la Germania o la Svizzera; il girovagare di italiani per il
mondo non si è mai fermato. Nonostante ciò devo notare con
immensa afflizione che le politiche di integrazione nel nostro
paese non si rivelano in tutti i casi fruttifere e una sorta di velata
xenofobia permane, perlomeno nelle menti di nostalgici che
rimpiangono determinate ideologie e periodi storici della vita
del Paese. Nel trattare la materia certamente controversa
dell’integrazione di immigrati nella società e nella scuola
italiana, questione che interessa le strutture sociali del nostro
territorio ormai da circa un ventennio, mi sento in dovere di
affermare che il problema preminente è certamente la lingua.
Studiare le problematiche relative all’acquisizione dell’italiano
come lingua seconda (L2), oltre ad essere estremamente
interessante ai fini della progettazione di politiche sociali per il
futuro, risulta ineludibilmente necessario per comprendere la
formazione di quegli stadi denominati interlingue
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che sono lo
specchio dell’acquisizione linguistica, i cui limiti ed incentivi
sono rappresentati anche dalle condizioni sociali di cui prima ho
parlato. Lo studio delle varietà interlinguistiche, tenendo in
considerazione anche il framework delle varietà acquisizionali
approntato in sede europea, ci conduce ad una più sicura e
scientifica conoscenza della natura dell’apprendimento
linguistico e dei comportamenti precipui ad ogni forma di
contatto tra culture che voglia produrre risultati vincenti per il
futuro. A tal proposito nascono tutti i progetti di collaborazione
tra ricerca teorica e didattica, università ed enti locali, scuole e
famiglie. Proprio le scuole sono il laboratorio primo di nuove
sperimentazioni teorico-didattiche, in quanto ci danno la
possibilità di confrontare i dati provenienti dall’apprendimento
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Si definisce interlingua quella varietà linguistica derivante dal contatto tra
diversi codici specialmente in contesti di apprendimento spontaneo. Tale
interlingua è soggetta a continue modificazioni e riformulazioni nel processo
che porta al raggiungimento di una lingua target. (Cfr. G. Berruto, Prima
Lezione di sociolinguistica, Laterza, Bari, 2006).
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spontaneo a cui ogni individuo che si integra è soggetto e quelli
derivanti da un apprendimento guidato come può essere appunto
quello scolastico o quello dei corsi di italiano L2 per adulti,
realizzati nei Centri Territoriali Permanenti o dalle associazioni
di volontariato in concomitanza con le amministrazioni locali.
Le ricerche e le soluzioni in ambito di integrazione richiedono
un indefesso impegno anche sul fondamentale versante
dell’intercultura. Termine quest’ultimo, che viene ripetuto
costantemente dagli addetti ai lavori e non, ma su cui aleggia
ancora il rischio di incomprensioni a livello tecnico-semantico.
Integrarsi ed integrare non vuol dire affatto esercitare
dell’asfittico assimilazionismo nei confronti di chi arriva nel
nostro Paese, ma significa conoscere approfonditamente l’altro
per imparare a conoscere nuovamente se stessi. L’istanza
multiculturale richiede la docile e premurosa pazienza di chi ha
voglia di ascoltare l’altro ed ascoltare se stesso nell’assumere
una veste sociale e linguistica inaspettata: quella del dialogo.
Non un dialogo tra sordi che inibisca qualunque espressione di
somiglianza o diversità, ma accoglienza di diversi modi di
intendere il mondo e la vita che si esprimono attraverso maniere
altrettanto dissimili di percepire la propria realtà linguistica e
quella dell’altro. Solo dall’amoroso gesto dell’ascolto può
sorgere quella forza che pian piano conduca un parlante allo
sviluppo della competenza comunicativa e della capacità di
muoversi sempre più agilmente tra le sfumature del continuum
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che caratterizzano il repertorio linguistico italiano. Per favorire
un atteggiamento di comprensione è certamente auspicabile che
le scuole possano essere sempre più attrezzate a livello di
materiali e risorse professionali per fronteggiare le esigenze di
chi arriva in un mondo didattico e linguistico totalmente nuovo.
La carta vincente della scuola odierna, a mio parere, è quella di
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«Si tratta di un insieme di elementi continuo, non discreto, privo di divisioni
nette e confini categorici, bensì con passaggi graduali da un’entità a
un’altra». (G. Berruto, Prima lezione di sociolinguistica, Laterza, Bari, 2006,
p. 75).
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incrementare la collaborazione con le università e gli enti di
ricerca affinché la speculazione teorica e i risultati delle ricerche
sul campo possano essere modelli paradigmatici da spendere
agevolmente nell’azione pedagogica, la quale può realizzarsi
solo studiando in maniera comparata lingua e didattica. È per
questo che nel presente lavoro intendo occuparmi separatamente
dei due settori. Resta ancora molto da fare in questo cammino di
conciliazione tra ricerca e didattica, ma molti progetti sono già
stati realizzati con sicuri e lodevoli successi. La didattica
linguistica in particolare, gode dell’alacre prodigarsi di validi
docenti e ricercatori in ambito universitario che cercano anche di
erigere solidi ponti con le più disparate realtà scolastiche
italiane. Concludo questa breve premessa sperando in un sempre
più attento contributo dello Stato alle politiche di integrazione
che non consistono in una mera distinzione tra regolari ed
irregolari, ma richiedono fatica e dedizione nell’aiutare chi ha
voglia di tirarsi avanti, anche con politiche economiche volte a
sostenere la ricerca e la scuola pubblica, non misconoscendo la
necessità di perseguire chi delinque.