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problema dell’esplosione dell’informazione nel capitolo 1, per giunge-
re, dopo aver considerato le scuole di pensiero emergenti e maggior-
mente significative, ad illustrare nel capitolo 2 la metodologia CPP-
TRS di Graziella Tonfoni, che costituisce il substrato teorico di tutto il
lavoro. Quindi si cercherà, con il capitolo 3, di sperimentare le nostre
ipotesi sul campo di una piccola impresa editoriale, alla luce della me-
todologia appena menzionata. Infine si concluderà con il verificare la
possibile esistenza di una conoscenza che chiameremo appetibile,
proponendo nel capitolo 4 anche alcune linee guida operative, deri-
vanti dall’analisi del caso. In altre parole si cercherà di mostrare come
nell’odierna “società dell’informazione” - caratterizzata da un aumen-
to esponenziale e incontrollato di dati e da una conseguente tendenza
alla superficialità e alla perdita di contesto nella loro trasmissione - sia
ancora possibile trovare esempi di forti investimenti sulla qualità del
prodotto informativo quale quello editoriale. Verranno quindi proposte
alcune applicazioni di un modello che si potrebbe dimostrare utile
come un buon esempio di Information Design, al fine di arginare il vi-
stoso fenomeno della moltiplicazione delle informazioni, spesso non
sufficientemente elaborate e ponderate. Il fine ultimo di questo model-
lo di valutazione non è tanto quello di uniformare la comunicazione
attraverso l’uso di immutabili principi o regole, quanto quello di ren-
dere il destinatario – nel nostro caso il lettore – capace di non perdere
la piacevolezza che può provare nell’informarsi, attraverso i molteplici
canali nell’ambito diversificato dei vari contesti. Tutto questo credia-
mo sia possibile attraverso un non facile processo di autoriflessione da
parte di chi produce ed organizza l’informazione. Chiunque voglia
comunicare qualcosa dovrà infatti prendere coscienza del proprio ruo-
lo e ripensare la sua comunicazione in modo cognitivamente calibra-
to: proponendo cioè una conoscenza che risulti di fatto gestibile da
parte delle capacità cognitive di un utente-destinatario che non sia in-
differenziato, ma che appartenga ad un modello già previsto e ponde-
rato in un momento precedente all’atto comunicativo. Stiamo parlando
di una sorta di sviluppo sostenibile delle informazioni: cioè quel parti-
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colare processo grazie al quale, nonostante l’inevitabile aumento sia in
quantità che in velocità dei dati trasmessi, – reso possibile dal forte
effetto catalizzatore delle nuove tecnologie informatiche – possa esse-
re mantenuta la fiducia nella possibilità da parte dell’individuo di sa-
per gestire il flusso informativo. Quest’ultimo infatti non è un feno-
meno che deve essere sottovalutato poiché, in una società caratterizza-
ta da un sostanziale surplus di informazione, potrebbe provocare non
pochi problemi e vere e proprie difficoltà alle capacità cognitive di chi
ne subisca gli effetti. Basti pensare ai problemi derivanti dalla ricerca
di informazioni sulla rete internet, al bisogno di continua formazione
che si avverte ormai in molti settori professionali, o al disorientamento
causato dall’eccessivo numero di soluzioni operative nei confronti di
un singolo problema. Per non parlare dello stress mentale dovuto
spesso alla ricezione passiva di informazioni superficiali, non elabora-
te, se non addirittura inutili allo scopo che ci siamo prefissi o sempli-
cemente rispetto al nostro stile di vita.
Tuttavia, lontani dal voler proporre una lista di “patologie” più o
meno esistenti, ciò che si cercherà di mostrare sarà l’applicazione di
ipotesi generiche, come quelle appena esposte, allo specifico settore
editoriale. Il motivo per cui si è deciso di lavorare sui prodotti edito-
riali deriva dal fatto di averli considerati come oggetto delle grandi
trasformazioni che, verificatesi a partire dai primi anni novanta, hanno
investito molte aree sociali, economiche e politiche, fino a rimanere
del tutto attuali ancora oggi. Infatti, è principalmente a causa
dell’avvento del web e della sua capillare diffusione all’interno dei
processi produttivi, che si è assistito a un aumento frenetico di dati e
informazioni incontrollate. Si sono verificati così cambiamenti signifi-
cativi all’interno della filiera editoriale, che hanno modificato proprio
la figura stessa dell’editore e del suo peculiare lavoro di mediazione
fra il mondo delle idee e quello dell’evocazione del desiderio di lettu-
ra. Infatti, se è vero che il web ha modificato rapidamente prospettive
e modalità lavorative all’interno di molti altri settori professionali, è
ugualmente vero che, proprio all’interno delle uniche imprese che cer-
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cano un rapporto armonioso fra ovvie esigenze di mercato e “prodotti”
di fatto intellettuali o comunque di non immediata fruizione, questi
mutamenti siano avvertiti in misura maggiore e con conseguenze più
evidenti. Con l’avvento delle nuove tecnologie di elaborazione
dell’informazione infatti, nonostante il riconoscimento di alcuni inne-
gabili vantaggi come la migliore efficacia comunicativa, l’aumentata
possibilità di offerta grazie a diversi supporti informativi e
l’abbattimento dei costi di gestione, il mondo editoriale ha visto deli-
nearsi anche una serie di nuove problematiche che tutt’oggi non sem-
brano aver trovato una precisa soluzione. Solo per fare qualche esem-
pio possiamo pensare alla scissione fra cartaceo e digitale, allo scol-
lamento del contenuto dal supporto, alla perdita di importanza della
figura dell’editore, all’aumento vertiginoso di titoli proposti a fronte di
un abbattimento delle tirature, all’iposegmentazione della domanda e,
non per ultimo, al pericolo di grandi concentrazioni dovute ai forti in-
vestimenti necessari per il mantenimento di un’offerta variegata, com-
prendente quindi un numero crescente di informazioni su varie tipolo-
gie di supporti. Basti pensare inoltre alle alleanze che, negli ultimi an-
ni, si sono diffuse fra gli editori che offrono prodotti multimediali e le
aziende che forniscono servizi di telefonia e di connessione a internet,
con lo scopo di aumentare le occasioni per promuovere nuove strate-
gie e far aumentare l’offerta.
Si capirà quindi come il trattamento di tali problematiche non
possa essere affrontato, in modo esaustivo, in questo lavoro: se non
altro per la vastità degli argomenti e la molteplicità degli approcci
possibili. Così, dopo aver illustrato brevemente le tematiche generali
inerenti a tutto il settore editoriale, è venuto il momento di operare una
scrematura nei confronti dell’argomento che andremo ad analizzare e
di proporre la specifica metodologia di cui ci siamo serviti per sotto-
porre il tutto, attraverso uno studio “sul campo”, al vaglio di una teoria
scientifica.
Il case study con cui avremo a che fare riguarderà una libreria
che si è specializzata appunto nel genere dei libri rari, esauriti o di oc-
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casione: insomma testi che non si trovano nelle librerie canoniche
maggiormente conosciute dal grande pubblico e che quindi non se-
guono le regole di un mercato caratterizzato dalla moltiplicazione dei
titoli, con conseguente accorciamento del ciclo di vita del singolo li-
bro e diminuzione delle tirature. Stiamo parlando della libreria “Chia-
ri” di Firenze. I motivi di questa scelta si possono rintracciare innanzi-
tutto nel fatto che “Chiari” è anche una piccola casa editrice ed ha
quindi a che fare con le problematiche sopraesposte; tuttavia si carat-
terizza come una libreria-casa editrice di nicchia, che possiede cioè
una piccola quota del mercato di riferimento, e che punta quindi molto
sulla qualità dei suoi “prodotti” come fattore di successo; di conse-
guenza “Chiari” si mantiene lontana dalle logiche di mercato canoni-
che e riesce a rimanere del tutto al di fuori di alcune conseguenze qua-
li l’eccessiva offerta di titoli a fronte di una domanda limitata, e
l’inevitabile perdita di cura e valorizzazione del singolo libro. Nel ter-
zo capitolo il lettore potrà apprendere la storia della libreria e l’offerta
che propone ai suoi clienti. Per adesso basti considerare i motivi appe-
na esposti che ci hanno spinto a considerarla per un’analisi in questa
sede.
La metodologia che abbiamo adottato per dimostrare scientifica-
mente le nostre ipotesi, è quella elaborata da Graziella Tonfoni fra il
1989 e il 1994, denominata CPP-TRS, cioè Communicative Positio-
ning Program – Text Representation System che, tradotto in italiano,
significa: programma di posizionamento comunicativo – sistema di
rappresentazione dei testi. Facendo riferimento ai testi che sintetizza-
no in modo maggiormente efficace l’intera metodologia, possiamo di-
re che questa si presenta come caratterizzata dal fine ultimo della pro-
gettazione, dell’architettura o design di testi, intesi questi ultimi come
unità comunicative complesse, cioè unità che consentano ai parlanti di
rappresentare e trasmettere informazioni. In altri termini si tratta di
applicare il sistema di progettazione di un edificio, con i relativi schiz-
zi e disegni tecnici, alla scrittura e al trattamento dell’informazione in
generale. Il metodo si basa su un vasto corpus di studi compiuti
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dall’autrice nell’ambito dell’Intelligenza Artificiale e individua quindi
vari modi di procedere del pensiero umano nel gestire situazioni co-
municative. E’ evidente infatti che l’assunto sul quale l’autrice ha
fondato il sistema CPP-TRS si fonda sul fatto che la comunicazione
può essere effettivamente migliorata riconoscendo le proprietà dei
processi cognitivi che sono attivati tanto dall’emittente quanto dal ri-
cevente. Per ottenere questo risultato ha ritenuto opportuno creare un
sistema che innanzitutto individuasse tali processi e successivamente
li rendesse ben visibili. Il modulo CPP è un programma di posiziona-
mento comunicativo, cioè un percorso fatto di modelli attraverso cui
l’individuo prende coscienza dei processi cognitivi attraverso cui si
relaziona ad un testo, sia per scriverlo che per leggerlo, con lo scopo
di aumentare la sua capacità di progettazione del testo stesso. Ogni in-
dividuo sceglie il suo posizionamento, cioè il diverso stile cognitivo
con cui affrontare una situazione comunicativa. Il TRS invece è un ve-
ro e proprio sistema di rappresentazione visiva, studiato per permette-
re all’individuo di trasmettere informazioni con caratteristiche diverse
da quelle comunicabili attraverso il solo linguaggio naturale. Si capi-
sce bene quindi come il merito di tale metodologia consista nel rico-
noscere la fondamentale libertà che mantiene l’individuo nello sce-
gliere il suo particolare stile comunicativo, e nel rifiutare ogni tipo di
imposizione operativa. Colui che viene definito un utente passivo di
fronte ad una comunicazione per lo più omologata, attraverso il CPP-
TRS si trasforma in un decisore attivo dello stile del suo messaggio e
in un individuo cosciente dei suoi processi cognitivi. Il grande vantag-
gio di questo metodo è quindi quello di essere rivolto a tutti poiché,
pur essendo un sistema fisso, mantiene una forte flessibilità nelle sue
applicazioni e riesce così a modellarsi diversamente, a seconda sia
delle capacità cognitive e degli scopi dell’individuo, che della situa-
zione comunicativa. La parte della metodologia che verrà messa in
pratica in questo lavoro sarà quella relativa alle cosiddette tele testua-
li, cioè rappresentazioni grafiche dei processi cognitivi attivati
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dall’individuo nel momento in cui si trova a dover gestire una certa
quantità di informazione.
Nel capitolo 2 si parlerà più approfonditamente sia delle tele, sia
della metodologia, illustrando anche le specifiche e possibili applica-
zioni. Per ora è sufficiente aver introdotto gli scopi e il senso del CPP-
TRS, per comprendere il motivo per cui è stato utilizzato in questo la-
voro. Si è scelto di utilizzare questa metodologia per procedere nella
proposta di un’applicazione ai contenuti alla libreria-casa editrice
Chiari, con lo scopo specifico di procedere ad un esperimento di In-
formation Design; insomma, per mettere alla prova su un campo nuo-
vo questo metodo che, derivando da studi di Intelligenza Artificiale,
non può mancare di verificare nelle situazioni reali i suoi assunti teo-
rici.
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Introduzione:
l’Information Design
Sembra utile a questo punto scendere in dettaglio e concentrarci
sulla disciplina che di fatto costituisce la base concettuale di tutto il
nostro lavoro: l’Information Design. Considerando subito il senso let-
terale di questa espressione possiamo notare che contiene il termine
“design”, a cui di solito nel senso comune si attribuisce il significato
di “disegno”, nel senso di forma o aspetto fornito a qualcosa da qual-
cuno. In realtà non siamo molto distanti dal significato preciso di De-
sign; tuttavia è necessario precisare meglio la definizione del termine
per meglio comprendere la sua effettiva portata e l’attinenza con
l’altro termine: informazione. Infatti il design rappresenta un processo
di progettazione che prevede sì la effettiva concretizzazione di un
“prodotto” finale, ma che esiste anche in quanto piano e disegno basa-
to sulla valutazione dei cosiddetti effetti cognitivi. Per fare un esempio
del concetto di design possiamo pensare ad una azienda che ha inten-
zione di introdurre un nuovo prodotto nel mercato: l’area marketing
dovrà prima valutare i pregi e i difetti del prodotto, dovrà fare ricerche
sulla quantità e sulla qualità della domanda, sul modo in cui potrebbe
essere recepito dai consumatori e sui fattori di successo del prodotto
stesso; insomma dovrà progettare il suo prodotto e ne dovrà costruire
appunto il design. Storicamente il termine design compare in epoca
industriale, quando cioè si verificò un improvviso scollamento fra le
varie fasi del processo produttivo. Non abbiamo più l’artigiano che,
modellando le forme, controlla tutto il ciclo produttivo, dall’ideazione
di un prodotto alla sua effettiva realizzazione; con la diffusione
dell’industria e l’utilizzo delle macchine, la produzione diventa “seria-
le”, cioè consistente nella separazione tra la fase iniziale di progetta-
zione e quella successiva di esecuzione. E’ in questo contesto che si
sente l’esigenza della figura del designer, cioè di colui che si assume
la responsabilità di progettare un prodotto in funzione delle sempre
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più diversificate esigenze dei clienti. In architettura infine il termine
design assume una connotazione leggermente diversa e viene concepi-
to come il particolare stile usato dal singolo architetto per realizzare
un lavoro, mantenendo comunque il carattere semantico di progetta-
zione e di strategia costruttiva.
Per quanto riguarda invece la parola “informazione” possiamo
dire che deriva dal latino informare, che significa “dare forma” e “i-
struire”. In questo caso l’etimologia latina ci aiuta a capire bene il sen-
so del termine: infatti da un lato informare significa dare una forma e
quindi un senso a un insieme non organizzato di dati, dall’altro, con
l’accezione di “istruire”, prevede il senso dell’apprendimento di una
nuova conoscenza da parte di un individuo. “Istruire” è un termine più
forte di “insegnare” o di “educare”. Contiene già in sé il significato di
effettivo recepimento della nuova informazione da parte di un destina-
tario.
Fondendo i due termini arriviamo alla definizione più specifica e
corretta di Information Design, che è appunto un settore di ricerca teo-
rica e applicata che si occupa di individuare e fornire indicazioni per
modellare l’informazione sulla base delle necessità degli utenti, ricor-
rendo a precisi criteri finalizzati ad ottimizzare l’organizzazione dei
contenuti, per facilitare l’apprendimento di ciò che viene trasmesso.
Questa definizione ci porta a capire il campo di applicazione odierno
della disciplina, quello cioè dei settori che più di altri hanno subito la
forte influenza portata dallo sviluppo delle nuove tecnologie informa-
tiche. Queste ultime infatti hanno contribuito enormemente ad un au-
mento esponenziale e incontrollato di dati e contenuti, sia grazie alla
loro flessibilità di utilizzo, che alla loro economicità e velocità di dif-
fusione nel mercato. Vedremo quindi il grande cambiamento che le
tecnologie informatiche hanno provocato nell’ambito dei processi
produttivi e dei vari settori di ricerca. Per il momento ci interessa no-
tare soltanto come lo sviluppo più significativo dell’Information De-
sign appartenga alla storia degli ultimi venti anni e non di più; proprio
nel periodo in cui la tecnologia digitale e la rete Internet sono diventa-
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te alla portata di molti individui, spesso non preparati alla precisa or-
ganizzazione e alla stessa comprensione dell’eccessiva mole di infor-
mazioni disponibili. Per questo l’information designer diventa una fi-
gura professionale di fondamentale rilievo nei settori produttivi. Non
stupisce quindi che le aree maggiormente recettive per lo sviluppo di
questa professione siano state, e siano tutt’ora, la Gran Bretagna e gli
Stati Uniti: la prima con una maggiore attenzione agli studi basati
prettamente sulla grafica, la seconda più interessata invece ad un am-
biente ingegneristico ed a ricerche più marcatamente tecniche, finaliz-
zate alla gestione della conoscenza, trasmessa principalmente attraver-
so l’uso del linguaggio naturale.
Siamo giunti così ad introdurre la due discipline che possono es-
sere considerate le “madri” dell’Information Design: l’Intelligenza Ar-
tificiale e la Linguistica Computazionale. La prima è nata nel 1956,
nell'ambito di una conferenza ad Hannover, nel New Hampshire (Stati
Uniti) e i più importanti partecipanti a questo incontro, tra cui Marvin
Minsky e Claude Shannon che, con gli altri, possono essere considera-
ti i padri fondatori della disciplina, erano fermamente convinti che,
una volta compresi i meccanismi che regolavano la mente umana,
questi potessero essere riprodotti artificialmente. Il fine ultimo diven-
tava quindi quello di realizzare, nella pratica, una serie di programmi
per computer che potessero rappresentare il comportamento intelligen-
te dell'uomo. Questa, in breve, è la grande scommessa della intelligen-
za artificiale. Le sue applicazioni, poiché l'intelligenza umana si arti-
cola secondo molteplici facoltà, si sono sviluppate in diversi settori,
come quello della robotica, della visione e della logica, spesso utiliz-
zate nell'ambito industriale, nonché nella medicina e nelle scienze fisi-
che. Il settore che però ci interessa di più in questo lavoro è quello ri-
conducibile a quell’aspetto dell’intelligenza umana che si collega al-
l'uso del linguaggio naturale, cioè a quella capacità che ha l'uomo di
comunicare con gli altri attraverso l'articolazione di parole che, se-
guendo un ordine logico-grammaticale, si combinano per formare i
discorsi che possano esprimere i pensieri. A questo punto possiamo
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parlare della seconda disciplina sopramenzionata: la Linguistica Com-
putazionale, che si può considerare in un certo senso un settore speci-
fico della IA, in quanto disciplina che studia il linguaggio da un punto
di vista scientifico, cioè basato su modelli che richiedono una precisa
verifica per risultare validi. Tale verifica avviene in modo computa-
zionale, cioè basandosi sull’utilizzo del computer come mezzo appli-
cativo, e porta la linguistica ad allontanarsi dai tradizionali studi sul
linguaggio ed a caratterizzarsi come un’area disciplinare che, come
quelle scientifiche, formula teorie solo quando ne ha verificato sul
campo la portata. Il linguaggio verrà così non solo analizzato nelle sue
componenti sintattica e semantica, ma ne sarà anche verificata
l’efficacia nell’ambito della ricezione e dell’apprendimento da parte
del destinatario. Infatti, se la filosofia del linguaggio si fermerà a con-
siderare la lingua esclusivamente da un punto di vista sintattico e fo-
nologico, la Linguistica Computazionale si cimenterà nel difficile stu-
dio delle implicazioni semantiche e delle influenze contestuali, sempre
in relazione alla comunicazione linguistica.
Vedremo più diffusamente i contributi che hanno fornito sia
l’intelligenza artificiale che la linguistica computazionale al problema
del sovraccarico delle informazioni che caratterizza la società odierna.
Qui si intende invece contestualizzare la disciplina dell’Information
Design, ma soprattutto conoscerne le fonti, per poi meglio comprende-
re la portata degli studi fatti in merito. Ciò che in fondo l’information
designer cerca di fare è trovare una soluzione all’inevitabile problema
della esplosione delle informazioni, a cui ognuno di noi può assistere
oggi. L’Information Designer ha come obiettivo quello di rendere per-
tinente un certo insieme di dati ai fini di un determinato scopo o esi-
genza. Il problema infatti sta nel fatto che spesso non solo non sap-
piamo discernere quale informazione è più interessante ai nostri scopi,
ma non capiamo neanche per quale motivo la stiamo cercando. Questo
può sembrare paradossale, ma non lo è se pensiamo che spesso, quan-
do ci troviamo di fronte a troppe possibilità, non sappiamo quale si
adatta di più alle nostre esigenze. Un esempio molto semplice può es-
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sere quello dell’acquisto di un certo prodotto all’interno di un super-
mercato: ci troviamo a scegliere la stessa categoria di prodotto fra
numerose proposte fornite da marche diverse, ognuna delle quali cerca
di attirare il cliente attraverso strategie di promozione differenziate.
Spesso l’atteggiamento del consumatore è quello di rivolgersi al pro-
dotto che acquista da molto tempo e di cui “si fida”, oppure di fare
una scelta in termini di prezzo, scegliendo quindi il prodotto più con-
veniente. Questo secondo criterio di scelta tuttavia ci interessa molto
meno; infatti, anche se per il consumatore può essere ovviamente un
buon motivo compiere la scelta più conveniente, qui stiamo parlando
di una scelta basata sull’insieme dei fattori critici del prodotto. E’ piut-
tosto il rapporto qualità-prezzo che mette in crisi la nostra scelta: me-
glio scegliere un prodotto che costa meno ma che conosciamo poco o
dare più importanza alla fiducia a fronte di un prezzo più alto? Non è
la risposta a tale domanda che ci interessa, quanto capire lo stato
d’animo di un individuo posto di fronte a scelte come questa. Con
l’informazione è un po’ la stessa cosa: l’aumento esponenziale dei
supporti attraverso i quali possiamo accedere all’informazione, ha
provocato un doppio problema per l’individuo, che si concretizza in
due scelte fondamentali: scegliere che tipo di informazione ricevere ed
identificare la fonte da cui si intende riceverla. Tutto questo può pro-
vocare una sensazione di grande confusione nell’individuo, che può
sfociare in un “immobilismo cognitivo”, cioè in una incapacità di
compiere delle scelte e, in generale, di essere consapevoli dei propri
obiettivi. Come sosteneva il filosofo illuminista Immanuel Kant, che
la vera libertà non può esistere se le nostre azioni non sono guidate da
regole che noi stessi ci siamo imposte; di fronte a troppe possibilità la
nostra capacità di compiere delle scelte si blocca e, paradossalmente,
ci si trova di fronte a una mancanza di possibilità che, dopo aver pro-
vocato una riduzione di volontà operativa, può sfociare nella totale
sottomissione a se stessa.
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La libertà di compiere un’azione quindi può essere compromessa
dall’eccessiva serie di opzioni proposte per compierla, proprio perché
non riusciamo a scegliere quella più giusta per noi.
Con questo si intende affermare che anche le innumerevoli mo-
dalità attraverso cui oggi è possibile ricevere informazione possono
inibire le nostre capacità ricettive. La troppa informazione della socie-
tà odierna può quindi provocare una non-informazione dilagante, con-
sistente in una mole enorme di dati non controllati e, soprattutto, una
impossibilità di diventare conoscenza per l’individuo.
Quest’ultimo problema costituisce il punto di partenza da cui ci
muoviamo. Vedremo quindi adesso il contesto storico in cui è sorta e
si è sviluppata questa problematica, che chiameremo “lo spartiacque
degli anni novanta”, verificheremo così gli effetti che ne sono scaturi-
ti, per poi concentrarci sulle possibili soluzioni proposte dalle discipli-
ne che abbiamo da poco introdotto: l’Intelligenza Artificiale, la Lin-
guistica Computazionale e l’Information Design.
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Capitolo 1
Dall’esplosione dell’informazione
alla gestione della conoscenza
“Una edizione feriale del New York Times contiene più informazioni
di quante ne potesse apprendere mediamente una persona in tutta la
sua vita nel XVII secolo in Inghilterra…”.
Con queste parole Richard Saul Wurman intitola il primo capito-
lo del suo Information Anxiety. La frase è ovviamente provocatoria,
ma fornisce una buona idea dell’ammontare di informazioni cui oggi
siamo sottoposti e che, in qualche modo, dobbiamo gestire. L’autore
poi la inserisce in un testo che, già di per sé, ha un titolo interessante
ed allo stesso tempo inquietante, cioè ansia da informazione. Wurman
sostiene che nella società odierna l’eccessivo aumento dei mezzi e dei
supporti attraverso cui possiamo ottenere informazioni abbia provoca-
to un’esplosione dei dati stessi e, di conseguenza, uno stato d’animo
quasi patologico nelle persone: una nuova ansia. Nuova perché fino ad
oggi sembrava assurdo pensare a una persona ansiosa a causa
dell’informazione. Oggi invece siamo di fronte a una forte disparità
fra la quantità di testi e quella di informazione fornita di uno specifico
significato, che siamo capaci di comprendere o che vogliamo comun-
que acquisire in funzione di uno scopo che ci siamo prefissi. Con le
parole dell’autore: “…l’informazione è diventata la forza trainante
della nostra vita, e la minaccia sinistra di questa massa di dati in con-
tinua espansione che dobbiamo recepire ha reso ansiosi la maggior
parte di noi. L’ansia da informazione trae origine dalla lacuna sempre
più vasta tra quello che capiamo e quello che riteniamo di dover capi-
re. L’ansia da informazione è il buco nero tra i dati e il sapere; si ma-
nifesta quando l’informazione non dice quello che vogliamo o abbia-
mo bisogno di conoscere” (Wurman, 1989). Secondo l’autore ameri-
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cano, ci troviamo spesso in situazioni che possono provocare in noi
ansia: leggere un manuale di istruzioni e non riuscire a capire il fun-
zionamento dell’apparecchio che abbiamo acquistato, consultare una
cartina che non corrisponde alla realtà più complessa; oppure, più
semplicemente, quando volgiamo lo sguardo alla pila di libri, opusco-
li, solleciti di abbonamento a riviste, promemoria o quant’altro si può
trovare su una scrivania di chi è interessato a rimanere informato oggi
nella nostra società.
Vediamo quindi più nello specifico quando nasce, o meglio,
quando diventa evidente il forte ritardo della nostra capacità di com-
prendere l’informazione rispetto alla produzione dei dati stessi. Quali
sono tate infatti le cause precise che hanno dato vita al “buco nero” di
cui parla Wurman? In quale contesto storico-ideologico possiamo i-
scrivere lo sviluppo di questa ansia da informazione? E quali sono sta-
ti, di fatto, i contributi dei vari settori di ricerca in merito a tale pro-
blema?