Introduzione
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Introduzione
“ Lavorare è, per ogni persona, un diritto-dovere che assume un valore fondamentale
non soltanto dal punto di vista prettamente economico e remunerativo, ma anche per le
sue implicazioni sociali e psicologiche, con impatto determinante sulla qualità della
vita. Se le considerazioni di cui sopra valgono per la maggior parte delle persone, è
chiaro come anche (e soprattutto) per le persone con disabilità […] Un efficace
inserimento lavorativo può essere importantissimo per le persone con disabilità per
accrescere il proprio senso di autoefficacia, autostima ed autorealizzazione…ed al
tempo stesso rappresenta sicuramente uno dei passaggi fondamentali e centrali nel
processo di inclusione sociale.”
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Parlare di diritto al lavoro, attualmente, può sembrare strano, ma è pur sempre una
realtà, una realtà che però viene spesso attribuita solo ai raccomandati, ai “figli di papà”,
mentre invece è una realtà che spetta a tutti, anche alle persone diversamente abili.
Il lavoro è la motivazione per cui si studia per anni, lo scopo di una vita perché porta
all’indipendenza economica, al poter possedere una casa, creare una famiglia, ma, per
molti, non è solo un fine, può significare la vita stessa. Questo è ciò che spiega
l’affermazione sopra riportata: lavorare, per una persona con diversabilità, significa non
soltanto diventare indipendente, ma, soprattutto, riconoscersi come persona attiva nel
suo ruolo sociale.
Il lavoro è dunque una tappa importante per tutti e, soprattutto, per queste persone
speciali, che hanno una disabilità. Ma è così semplice trovare un posto di lavoro per chi
è disabile?
La risposta affermativa sarebbe facilmente accettabile, visto le leggi che esistono a
favore dell’inserimento lavorativo delle persone con disabilità, ma a questa risposta
sorgono altre domande: queste leggi vengono effettivamente rispettate? E se si da chi e
in che modo?
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Anffas onlus e Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, “Manuale Facilitato”: cosa dice la
Convenzione, a che punto siamo in Italia, le proposte selle nostre famiglie, Roma, Anffas onlus, 2009,
pp. 70-71
Introduzione
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C’è chi non rispetta queste leggi, ci sono altri che le rispettano, ma a modo loro,
magari sfruttando queste persone, c’è anche chi è ancora vittima di molti pregiudizi che
portano a tante discriminazioni; senza parlare della mancanza di formazione
professionale a favore di queste persone con disabilità, infatti, purtroppo molto spesso,
le si crede incapaci di poter avere delle specializzazioni e così se gli si offre un lavoro è
solo perché si è obbligati dalla legge o per solidarietà pietistica.
Insomma, ciò che offre il mondo del lavoro per queste persone con disabilità non
sembra così roseo. Leggi o non leggi c’è sempre chi sfrutta le situazioni o lascia queste
persone a se stesse, come se ognuno dicesse “non è affar mio”.
In questi casi, sopra citati, “ l’errore è non capire che il disabile porta con sé valori
propri e ha una capacità produttiva che, se opportunamente supportata, costituisce un
arricchimento per l’organizzazione”
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C’è anche chi, però, lancia un barlume di speranza per queste persone, dimostrando
che esse sono importanti e uguali a tutti gli altri. Questo qualcuno porta queste persone
con disabilità “dall’incertezza alla realtà”!
Queste aziende che si occupano realmente dei bisogni delle persone con disabilità
non stanno soltanto seguendo la legge, ma danno l’opportunità a delle persone di
costruirsi la propria vita, di autorealizzarsi, di sapere che non esistono per essere un
peso nella società, ma per essere parte integrante della società stessa. Inoltre anche le
aziende stesse ne ricavano moltissimo, infatti molte persone diversamente abili arrivano
all’attività lavorativa dopo molte fasi di formazione, con molteplici percorsi e, proprio
per questo, è molto probabile che, a volte, essi sappiano suggerire soluzioni o
miglioramenti che i lavoratori normodotati, per via della routine e a volte di mancanza
di stimoli nei confronti del lavoro stesso, raramente riescono a proporre.
Questo lavoro si propone di evidenziare quali sono ancora le carenze riguardanti la
possibilità di occupazione per una persona disabile e come queste influiscono sulla vita
del disabile stesso, quindi si parte da una situazione di incertezza, per arrivare
gradualmente ad una soluzione, cioè come si presenta la realtà, in chiave positivistica.
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S. Angeloni, L’aziendabilità. Il valore delle risorse disabili per l’azienda e il valore dell’azienda per le
risorse disabili, Milano, FrancoAngeli, 2010, p. 259
Introduzione
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Il primo capitolo (Analisi e critiche sulle linee di inserimento lavorativo delle persone
con disabilità) affronta la questione giuridica, come si è evoluta col tempo e cosa
realmente è stato fatto alla luce di tali provvedimenti. Analizza, inoltre, come queste
leggi, e la loro osservanza o meno, hanno influito sui soggetti disabili in età lavorativa.
Purtroppo si noterà una situazione iniziale abbastanza negativa che accentua un po’ la
“incertezza” che i soggetti diversamente abili si trovano ad affrontare.
Il secondo capitolo (Formazione professionale per le persone diversamente abili) si
sofferma maggiormente sulle possibilità che vengono sancite dalle leggi a favore di una
formazione professionale a giovamento del lavoratore disabile, affinché sia
maggiormente preparato e competente. In questa parte, quindi, si vedrà un iniziale
spiraglio da quella primaria “incertezza” verso un capovolgimento della situazione.
Il terzo capitolo (L’occupabilità delle persone diversamente abili) analizza più a
fondo le vere possibilità occupazionali che vengono assicurate ai soggetti disabili in età
lavorativa. Oltre a dilungarsi sulle misure preventive e su quelle effettive che le aziende
si preoccupano di attuare, termina con quattro esperienze positive, esperienze reali, di
persone diversamente abili che sono attualmente, e magari anche da diversi anni, in
qualche mansione lavorativa. Con questa parte si arriva, quindi, già alla visione della
“realtà”.
Il quarto capitolo (La Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità)
esamina approfonditamente questo strumento di tutela, la Convenzione ONU, per
affermare maggiormente la reale possibilità della persona disabile di poter essere
inserita nel mondo del lavoro, perché è un suo diritto, che c’è sempre stato, ma che ora è
riconosciuto da questa carta che permette maggiore tutela ed affidabilità.
Questo percorso che parte dall’incertezza per arrivare alla realtà lavorativa, permette
di capire quanto è stato fatto e quanto ancora deve essere fatto, affinché il soggetto
diversamente abile sia a tutti gli effetti padrone della sua vita anche, e soprattutto, in
ambito lavorativo.
Ottimo, in relazione a questo lavoro di tesi, il tema che venne utilizzato nel 2003 per
la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro: “La
diversità: un’opportunità per l’Europa”
Capitolo 1
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Capitolo 1. Analisi e critiche sulle linee di inserimento
lavorativo delle persone con disabilità
“ Emerge prepotente l’esigenza di garantire il rispetto della dignità delle persone,
sempre più diseguali ma proprio per questo sempre più bisognose di “rispetto” ”
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1.1. Disabilità: significato unico o plurale?
Nella legislazione odierna sono tutelati, tramite la legge 12 marzo 1999 n.68, la legge
5 febbraio 1992 n.104 e il decreto legislativo 10 settembre 2003 n.276, i soggetti
invalidi e inabili, cioè tutti coloro che hanno perso in gran parte o del tutto la capacità
lavorativa in alcune attività, ma che possono ancora svolgere diverse attività lavorative,
e tutti coloro che invece non possono più svolgere alcuna occupazione.
La distinzione che le leggi fanno tra soggetto invalido e soggetto inabile, però, sono
distinzioni irrisorie, perché all’interno della tutela vengono raggruppati tanti tipi di
disabilità che sono, però, diverse tra loro e quindi occorrerebbe ci fossero distinzioni
maggiori all’interno del concetto di disabilità stessa.
“ È indispensabile allenarsi alla relazione con l’altro, con il diverso, con il lontano,
da scoprire e valorizzare nella sua unicità e irripetibilità, sapendo che non esiste la
persona disabile “a taglia unica”, così come del resto non esiste l’uomo normale”
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Il soggetto diversamente abile, quindi, non va visto sempre allo stesso modo,
qualunque sia il suo handicap, ma è necessario capire il soggetto in sé e porre le basi su
ciò che egli sa e può fare. La base per l’integrazione sociale di tale soggetto deve quindi
essere la valorizzazione delle sue abilità residue e del suo modo di affrontare la propria
condizione.
Molto importante è quindi tener conto singolarmente del soggetto che si ha dinanzi,
colui che si vuole immettere nel mondo del lavoro, e per farlo al meglio bisogna tenere
conto di tutto ciò che gli riguarda, infatti “ non si può lavorare sul suo inserimento
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G. De Simone, Obiettivi e tecniche del diritto diseguale nei confronti dei lavoratori svantaggiati, in M.
Ballestrero e G. Balandi (a cura di) Lavoratori svantaggiati tra eguaglianza e diritto diseguale, Bologna,
Il Mulino, 2005, p. 69
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S. Angeloni, op. cit., p. 260
Capitolo 1
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lavorativo dimenticando le altre parti della sua vita come se il lavoro fosse l’unica
risposta, o la risposta risolutrice per la persona disabile “
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La persona disabile che deve essere inserita nell’ambito lavorativo è, quindi, un
soggetto unico e irripetibile, con una diversa patologia, ma non solo, anche con una sua
storia, con dei suoi bisogni e con le sue priorità. Il soggetto, quindi, è unico ed è proprio
per questo che la definizione di disabilità deve essere plurale.
Compito dell’azienda è quello di favorire l’inserimento e l’integrazione lavorativa a
favore di queste persone disabili, non solo perché ne hanno diritto, ma perché esse
favoriscono la loro identità.
L’inserimento lavorativo ha molta importanza nell’acquisizione di un’identità
personale del soggetto, soprattutto se questi è disabile, perciò bisogna prestare molta
attenzione a tutti gli aspetti che possano favorire l’acquisizione di tale nuova identità,
soprattutto bisogna mostrare attenzione al linguaggio che si utilizza, per far sì che ci sia
un’effettiva integrazione, infatti “ le terminologie che usiamo sono così perverse che se
facciamo una cosa normale noi la chiamiamo con parole normali, se la facciamo fare
a persone disabili dobbiamo trovare un’espressione gergale. Se una persona sana va a
cavallo, va a cavallo, se è un handicappato fa ippoterapia. […] Queste terminologie
sono un tragico baratto tra bisogno di identità degli operatori e un bisogno di identità
sacrificata nella persona disabile “
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Il linguaggio utilizzato va quindi modificato, in favore della vera integrazione delle
persone disabili nell’ambito lavorativo e le modificazioni devono avvenire su due fronti.
In primo luogo il linguaggio va modificato in seguito ad una riflessione che modifichi
anche il nostro punto di vista sull’individuo stesso, infatti solo quando saremo in grado
di vedere le possibilità occupazionali di una persona, riuscendo a visualizzarla non più
come handicappata e disabile, ma riconoscendo le sue abilità e capacità lavorative,
potremo favorirne l’inserimento. In secondo luogo cambiare il linguaggio significa
anche favorire, nella società e negli utenti disabili dell’azienda, lo scaturire di punti di
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G. Mancini e G. Sabbatini, Sintesi dei lavori di gruppo, in G. Mancini e G. Sabbatini (a cura di)
Riabilitazione - lavoro. Una metodologia per l’inserimento lavorativo delle persone ex tossicodipendenti,
disabili e dei pazienti psichiatrici, Roma, Carocci, 1999, p. 41
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E. Montobbio, L’integrazione lavorativa della persona disabile. Perché e come, in G. Mancini e G.
Sabbatini (a cura di) Riabilitazione - lavoro. Una metodologia per l’inserimento lavorativo delle persone
ex tossicodipendenti, disabili e dei pazienti psichiatrici, Roma, Carocci, 1999, p. 50