Introduzione
L’Argentina era una parola … un altro mondo
un sogno, una cosa quasi inverosimile no? […]
Mi ricordo, in fondo alle scale, tutte piangendo:
“Ma dai C. non andare”, ma cosa si fa? “Ma
dai che l’America” … Abbiam messo piede sulla
nave … 24 giorni dei quali 9 cielo e mare,
nient’altro non si vedeva nient’altro. Lì mi son
resa conto che sarebbe stata una cosa
impossibile ritornare
C.O.
Il lavoro qui presentato si propone di analizzare una parte del fenomeno
migratorio trentino in Argentina, si tratta infatti di uno studio di caso incentrato sui
trentini emigrati nel Secondo Dopoguerra, nelle zone di Buenos Aires e San Nicolás
de los Arroyos.
Attraverso l’uso dell’approccio biografico e, nello specifico, attraverso l’analisi di
ventuno racconti di vita, raccolti a Buenos Aires e San Nicolás de los Arroyos, ho
cercato di far luce sui vari aspetti che connotano l’esperienza di emigrazione: la
questione della scelta migratoria, gli aspetti riguardanti l’inserimento nella nuova
società ed i temi della conservazione e ridefinizione della identità del migrante.
La scelta del metodo, di tipo qualitativo, è derivata dall’obiettivo iniziale
prepostami quando ho dato vita al progetto destinato a diventare la mia tesi di laurea:
capire i significati assegnati dai migranti alla loro stessa esperienza di emigrazione.
Con l’uso dell’intervista biografica ho cercato di avvicinarmi alla loro prospettiva, di
capirne le motivazioni, di coglierne le categorie mentali, le percezioni, i sentimenti e
le interpretazioni, che essi stessi hanno dato e danno alla propria esperienza.
D’altronde chi, meglio di colui o colei che l’ha vissuta, può spiegarci cosa significa
emigrare e come viene vissuto il rapporto con le proprie origini e con la terra di
accoglienza?
Rispetto alla scelta del tema trattato, vediamo che il fenomeno migratorio trentino
in Argentina è, in termini temporali, il flusso migratorio più esteso della regione.
5
Infatti, se i maggiori tributari trentini di emigrazione quali Stati Uniti, Brasile,
Austria, Svizzera e Francia attirarono i nostri per periodi specifici, la scelta
dell’Argentina quale meta migratoria vede il suo inizio subito dopo la metà del 1800
per fermarsi solo negli anni Sessanta.
Quantificare questo fenomeno risulta difficile, quantomeno rispetto alle prime
ondate migratorie. Cerchiamo ugualmente di fornirne delle stime, basate su indagini
relative a determinati periodi. Riguardo alla prima ondata migratoria
1
, una prima
indagine venne condotta da don Guetti sull’esodo americano tra 1870 e 1887,
stimando uno spostamento di circa cinquemila trentini verso l’Argentina, secondo
altre indagini, condotte dall’Ufficio per la Mediazione del Lavoro di Rovereto e
relative al periodo tra il 1900 ed il 1911, il numero potrebbe aumentare fino alle
dieci/dodicimila unità. La seconda ondata, che caratterizza il periodo compreso tra le
due guerre vede, secondo la Camera di Commercio di Trento, l’arrivo a Buenos
Aires di dieci/quindicimila trentini. Mentre nei quindici anni successivi alla Seconda
guerra mondiale, l’Istat e fonti statistiche argentine suggeriscono l’arrivo di
cinque/settemila trentini
2
, definendo così la terza e ultima ondata migratoria
(Grosselli 2000). Dal punto di vista argentino, per quanto riguarda l’immigrazione
successiva al secondo conflitto mondiale, il picco di entrate si ha tra il 1946 ed il
1954, con la quota italiana che supera il 50% del totale (Olivieri 1987).
Tutti i nostri intervistati sono emigrati nel periodo compreso tra il 1947 ed il 1951,
cioè in quegli anni che potremmo definire gli “anni di fuoco” dell’emigrazione
italiana in Argentina
3
, del resto il fenomeno si ridusse notevolmente a partire dalla
fine degli anni Cinquanta: in Italia era iniziata la ripresa economica dopo gli anni di
1
Il fenomeno migratorio trentino si inserisce, almeno dopo il 1919, all’interno del fenomeno
migratorio italiano. Rispetto a quest’ultimo vengono classicamente identificate tre ondate migratorie,
una precedente il Primo conflitto mondiale, una tra le due guerre e l’ultima che va dalla fine del
Secondo conflitto mondiale fino agli anni Settanta. Vediamo infatti che le rilevazioni ufficiali
dell’emigrazione italiana cominciano nel 1876, data che permette di stabilire l’inizio del fenomeno
storico dell’emigrazione. Il flusso più grande di migrazioni si vede tra la fine del ‘800 e l’inizio della
Prima Guerra Mondiale, in particolare un terzo dell’intero contingente è uscito tra il 1900 e il 1915; il
fenomeno rallenta nel periodo tra le due guerre e vi è una ripresa consistente nel Secondo Dopoguerra:
un quarto degli espatri avviene tra il 1945 e il 1976. (Favero e Tassello 1978). In questo senso il
fenomeno migratorio trentino è in linea con il fenomeno migratorio generale italiano.
2
Non sempre si trattò di emigrazione definitiva.
3
Vediamo che, anche dal punto di vista italiano, l’emigrazione verso il Sudamerica si esaurisce
praticamente con la prima metà degli anni ‘50 (Favero e Tassello 1978).
6
crisi successivi alla Seconda guerra mondiale; in Argentina, modificati gli obiettivi di
sviluppo, più che braccia si iniziarono a richiedere capitali (De Rosa 1988).
Le città argentine, meta finale dei nostri migranti, prese in considerazione sono
due: Buenos Aires e San Nicolás de los Arroyos. Per quanto riguarda Buenos Aires
ci riferiamo all’intera conurbazione metropolitana, comprendente oltre che la Capital
Federal anche la Gran Buenos Aires, e che conta oggi, con 15.594.428 abitanti
4
, più
di un terzo dell’intera popolazione argentina
5
. Guardando agli anni in cui arrivarono i
nostri trentini, il censimento del 1947 indica la presenza di 4.722.381 abitanti
6
. La
scelta di Buenos Aires è stata determinata dall’alta probabilità, dato il numero
elevato di abitanti, di riuscire a trovare sufficienti trentini disposti a concedermi
un’intervista.
Per quanto riguarda San Nicolás de los Arroyos, situata nella provincia di Buenos
Aires, a circa 250 km a nordest della capitale, ne sono venuta a conoscenza grazie
alle indicazioni di Mariano Roca, il mio contatto con i trentini a Buenos Aires
7
. Mi è
sembrato interessante includerla nella ricerca per due motivi, il primo dei quali
riguarda le sue dimensioni, ridotte rispetto alla capitale, contando oggi 145.821
abitanti e 25.029 nel 1947. C’è da notare, rispetto a San Nicolás, che iniziava a
svilupparsi industrialmente proprio in quel periodo, ed infatti raddoppiò la
popolazione nel giro di una decina di anni
8
. Il secondo motivo che mi ha spinto ad
includere il caso di San Nicolás in questo studio, riguarda la particolarità della
emigrazione verso questo luogo, infatti, come vedremo meglio nel primo capitolo, è
legata alla storia della ditta Scac, Società Cementi Armati Centrifugati. Fondata a
Mori
9
nel 1920, la Scac riscosse successo con il palo di cemento armato centrifugato,
suo prodotto principale, ed aprì diverse filiali sia in Italia che all’estero, la prima
4
I dati statistici relativi a Buenos Aires e San Nicolas de los Arroyos, qui e di seguito presentati, sono
stati tratti dai dati presentati dal Instituto Nacional de Estadistica y Censo de la Republica Argentina
(Indec). In particolare, i dati relativi al censimento del 1947 sono stati tratti dal sito
www.indec.mecon.ar, mentre quelli relativi al 2010 dal sito www.censo2010.indec.gov.ar.
5
Il totale della popolazione argentina nel 2010 è di 40.091.359 abitanti (Indec).
6
Su di un totale di 15.893.815 (Indec).
7
Si veda la nota metodologica, in particolare il paragrafo “L’accesso al campo”.
8
I dati riferiti al 1960 indicano 49.082 abitanti (Indec).
9
Il comune di Mori si trova nella zona roveretana, in provincia di Trento.
7
delle quali nel 1949 a San Nicolás de los Arroyos, segnando così il destino di molti
trentini
10
.
Il presente lavoro è articolato in cinque capitoli. Il primo tratta la dimensione della
mobilità. Analizzeremo in primo luogo i fattori che hanno portato i nostri ad
emigrare dal Trentino per scegliere come meta l’Argentina, vedremo infatti che, se
esistono delle motivazioni alla base delle scelta di partire, allo stesso modo vi sono
dei fattori che hanno determinato la meta del viaggio. In secondo luogo verrà
analizzato il progetto migratorio nei termini della sua durata, ossia se e come si
trasformò da progetto a tempo determinato ad una vita trascorsa in Argentina; e nei
termini della sua scelta, ossia se questa riguardò il singolo individuo piuttosto che il
nucleo familiare e, in quest’ultimo caso, come venne percepita la decisione di partire
dai membri della famiglia.
Il secondo capitolo tratta il tema del lavoro e della costruzione della casa. Per
quanto riguarda il primo, vedremo quali caratteristiche assunse il lavoro migrante ed
il ruolo che rivestì sia nei percorsi di mobilità sociale, che nei percorsi di inserimento
sociale dei nostri trentini. Per ciò che concerne la casa, vedremo quale significato
assunse il possedere un proprio bene immobile sul territorio sia in termini di sviluppo
di un senso di appartenenza, che in termini di raggiungimento degli obiettivi previsti
dal progetto migratorio.
Il terzo capitolo indaga il tema della conservazione e ridefinizione della identità
etnica intesa in questo senso come identità territoriale e culturale. Vedremo infatti
che emersero, nel corso dei colloqui, alcuni elementi intesi dagli stessi intervistati
come significativi della loro identità particolare, elementi che si rifanno sia a tratti
culturali del loro essere trentini, sia a vincoli territoriali con la specifica regione. I
nostri si definiscono “trentini”, perché nati e vissuti, in parte, in una comunità
insediata su di un territorio, della quale ne portano alcuni tratti culturali. A questo
proposito vedremo come l’interazione con la società ospitante e con le altre
collettività migranti, abbia inciso sui processi di conservazione e ridefinizione della
loro identità.
10
Si veda il portale www.trentinos.com/it/san-nicolas.
8
Dopo aver analizzato, nei precedenti capitoli, i diversi aspetti del fenomeno
migratorio che ha caratterizzato il nostro studio di caso, mi sono chiesta chi siano i
trentini emigrati oggi: sono trentini in Argentina, argentini nati in Trentino, nessuno
dei due o entrambi? Nel quarto capitolo ho cercato di fornire una risposta a questo
interrogativo.
Il quinto capitolo riguarda la scelta metodologica. Oltre a definire la metodologia
usata, illustro lo strumento di rilevazione da me scelto e la procedura di analisi dei
dati raccolti, che mi ha portato a trarre le conclusioni esposte in questo lavoro. Ho
ritenuto inoltre opportuno mostrare al lettore i criteri di selezione dei soggetti e le
fasi di accesso al campo e di raccolta delle interviste.
In appendice si potrà trovare la traccia dell’intervista biografica usata nel corso
dei colloqui con i nostri trentini emigrati.
Una ultima breve precisazione riguarda le parti di testo delle interviste utilizzate
nei prossimi capitoli. A tal proposito riporto la legenda della simbologia usata in fase
di trascrizione.
(…) Parole non comprensibili nella registrazione.
(nota) Nota dell’autrice, considerata utile per una migliore comprensione del senso
della frase.
[traduzione] Traduzione del testo dal castigliano o dal dialetto all’italiano
11
.
R: ricercatrice.
I: intervistato.
[…] Parte del testo integrale omessa per agevolare la lettura del pezzo considerato
significativo.
11
Ho fornito la traduzione del testo laddove mi sia sembrato opportuno per una migliore
comprensione. Per favorire una maggiore fluidità nella lettura, ho evitato di tradurre quelle parole che,
seppur dialettali, mi sono sembrate comprensibili al lettore italiano.
9
Desidero ringraziare sentitamente la mia relatrice, dott.ssa Emanuela Bozzini, che
mi ha seguito in tutte le fasi di ricerca: dalla stesura del progetto, quando ancora non
era certa la mia partenza, fino alla scrittura finale della mia tesi di laurea.
Grazie a Chiara, sorella sempre presente nonostante le mie numerose assenze, e ai
miei cari nipoti Martino, Simone e Filippo.
Un pensiero va a tutti i trentini e le trentine che mi hanno concesso un po’ del loro
tempo, ne riporto solo i nomi di battesimo, per garantire loro la riservatezza. Mario,
Renato, Enzio, Dario, Yolanda, Luciano, Rinaldo, Carla, Pacifico, Luisa, Guido,
Enrico, Maria, Elsa, Adolfo, Maria, Rina, Antonia, Elisa, Carmelo, Enrico e Sergio:
non ho raccolto dati, ma emozioni; mi avete regalato i vostri ricordi, grazie.
Senza il prezioso aiuto di Mariano Roca e dei Circoli Trentini di Buenos Aires e
San Nicolás de los Arroyos non sarei stata in grado di rintracciare i miei intervistati.
Grazie per avermi messo nelle condizioni di poter effettuare la ricerca.
El último, pero no por eso menos importante, agradecimiento es para mi querida
Argentina y para los que me acompañaron en esta aventura. Gracias especialmente a
Ezequiel por el aguante y a su familia por haberme hecho sentir como en casa.
10
1.
LA SCELTA DI PARTIRE
Entonces salì el dos de marzo del Cincuenta,
tenìa diecinueve años, y lleguè el veinte, o sea
dieciocho dias de agua de agua, pero la pasè
bien dentro de todo. [Quindi partii il due marzo
del Cinquanta, avevo diciannove anni, e arrivai il
venti, cioè diciotto giorni di acqua di acqua, però
l’ho passata bene al finale]
M.B.
In questo primo capitolo, dedicato alla mobilità, analizzeremo gli aspetti relativi
alla scelta migratoria, considerando in primo luogo le cause della partenza.
Negli ultimi decenni la sociologia delle migrazioni, tradizionalmente incentrata
sui processi di incorporazione dei migranti nella società ospite, ha esteso
progressivamente la sua attenzione sulle cause del fenomeno migratorio (Zanfrini
2007), le cui interpretazioni classiche sono riconducibili principalmente a due filoni:
l’approccio demografico e l’approccio economico. Il primo fa riferimento ad una
visone idraulica del fenomeno, secondo cui le cause dei movimenti della popolazione
in un’area sarebbero la conseguenza di un eccesso relativo di popolazione in un’altra
(Venturini 2001), mentre per il secondo, l’approccio economico, possiamo
individuare a sua volta due grandi categorie: gli studi microeconomici e gli studi
macroeconomici. I primi si concentrano sulla scelta migratoria, come
massimizzazione dell’individuo; sugli effetti della migrazione nel paese di partenza,
indagando sia sul legame tra crescita economica, popolazione e capitale umano che
sugli effetti delle rimesse; e sugli effetti nel paese di destinazione. I secondi si
concentrano su due temi: l’analisi del fenomeno migratorio in una economia chiusa,
focalizzandosi sullo sviluppo economico o l’analisi in una economia aperta
all’interno degli scambi internazionali (Venturini 2001).
Nelle scienze sociali, l’insoddisfazione verso gli approcci tradizionali ha portato
all’elaborazione di diverse teorie sulle migrazioni internazionali mirate ad una
11
migliore comprensione dei flussi migratori (Zanfrini 2007). Ci si è concentrati su di
una serie di fattori espulsivi, ossia interni al paese del migrante, quali possono essere
la mancanza di risorse, gli squilibri economici, le condizioni di lavoro, le
persecuzioni, ecc …, che incidono sulla scelta di partire; e su fattori di attrazione,
quali ad esempio l’esistenza altrove di situazioni giudicate maggiormente favorevoli
(Pollini e Scidà 2002).
La dicotomia tendente a polarizzare i fattori espulsivi e attrattivi tende però a dare
un’interpretazione eccessivamente riduttiva del fenomeno, quindi, rispetto al lavoro
qui presentato, si è cercato di analizzarne la coesistenza come causa della scelta
migratoria. Vedremo infatti che, sulla decisione di partire, sono intervenuti sia fattori
espulsivi, quali la scarsità di risorse economiche e le tensioni politiche che hanno
caratterizzato il Secondo Dopoguerra italiano, sia fattori attrattivi, quali la situazione
di sviluppo economico in cui versava l’Argentina in quegli stessi anni, la presenza di
una catena migratoria che potesse ammortizzare i costi sociali e, per il caso di San
Nicolás de los Arroyos, la presenza di un terzo attore sulla scena migratoria.
In secondo luogo verranno presi in considerazione gli aspetti che trasformarono
quello che era un progetto migratorio a tempo determinato, ossia con un ritorno
previsto, in un progetto migratorio definitivo. Vedremo infatti che non tutti partirono
con l’idea che il loro fosse uno spostamento definitivo, alcuni contemplavano un
ritorno che non avvenne. A questo proposito ci siamo chiesti quali siano stati i motivi
che li spinsero a cambiare i loro piani e a rimanere
Infine, data la presenza di casi in cui il fenomeno migratorio investì non
esclusivamente il singolo individuo, bensì l’intera famiglia, ci siamo interrogati
riguardo la proprietà della scelta, cioè come questa venne sviluppata all’interno del
nucleo familiare. In particolare vedremo a chi poter ricondurre la decisione della
partenza e come questa venne accettata dai restanti membri della famiglia.
1.1 I fattori espulsivi: perché partire dal Trentino
Ci tengo a precisare che il fenomeno migratorio, nella sua complessità, non è
riconducibile ad una sola causa, bensì risulta maggiormente comprensibile se
relazionato alla combinazione delle differenti cause interne al paese di partenza e dei
diversi fattori di attrazione caratterizzanti il paese ricevente. Partendo da questa
12
precisazione, il primo aspetto che ci aiuta a comprendere la scelta migratoria è
riconducibile all’insieme di fattori espulsivi, cioè ai fattori interni al contesto di
origine e che spinsero i nostri soggetti a partire.
La situazione di disagio causata dalla Seconda guerra mondiale investiva tutta
l’Europa: i settori produttivi e la finanza pubblica risentivano conseguenze anche
maggiori rispetto a quelle dettate dalla Prima guerra mondiale (Leonardi 2005).
In particolare, la situazione italiana appariva particolarmente drammatica, il paese
era infatti condizionato da una situazione finanziaria statale disastrosa ed indebolito
da una forte inflazione che causò, nel 1947, un vertiginoso aumento del costo della
vita. Si sommava alla situazione critica il fatto che le potenzialità di recupero
sembrassero ridimensionate, dato il significativo stato di degrado dell’apparato
produttivo e delle vie di comunicazione. Non diversa era la situazione delle singole
realtà: nel Trentino sia la società che la struttura economica uscivano provate e
indebolite dal conflitto. I danni alle infrastrutture e alle abitazioni erano piuttosto
importanti, il sistema di scambi risultava fortemente sconvolto, la ripresa non era
facile dati i bassi tassi di crescita dell’organizzazione produttiva e si ripresentava il
problema della scarsa disponibilità di capitale finanziario. In particolare, a partire
dalla seconda metà del 1946, la crescente inflazione e il relativo innalzamento dei
prezzi ebbero effetti destabilizzanti sulla realtà economica locale, inoltre la domanda
restava insoddisfatta a causa di un’offerta di beni, soprattutto alimentari, insufficiente
rispetto alle necessità (Ibidem 2005).
L’economia continuava ad essere di tipo prevalentemente agricolo, al settore
primario apparteneva più del 40% degli occupati. Le particolarità idrografiche e
geomorfologiche della regione costituivano però un limite all’estensione della
superficie coltivabile e alla produttività della terra, restringendo il campo di scelta
delle colture; le condizioni climatiche avevano spesso un’influenza negativa
sull’esito dei raccolti ed il frazionamento delle campagne in unità esigue costituiva
un limite strutturale all’esercizio razionale dell’agricoltura. Difatti il Trentino era
caratterizzato da ampie estensioni di terre silvo-pastorali, di proprietà pubblica o
collettiva e da un’area coltivabile ristretta e dominata dalla piccola proprietà diretto-
coltivatrice, spesso incapace di garantire la sussistenza dell’intero nucleo familiare
(Lorandini 2005). Il settore industriale, che occupava circa il 33% della forza lavoro,
13
era caratterizzato da un’accentuata debolezza dimensionale. Prevalevano industrie di
piccole dimensioni e, se la produzione di cemento ed energia aveva superato i livelli
produttivi precedenti al conflitto, la struttura complessiva dell’industria trentina
restava debole, caratterizzata da un basso contenuto tecnologico e da una forte
incidenza di settori tradizionali quali la lavorazione del legno, il tessile, il vestiario,
gli alimentari ed il tabacco (Bonoldi 2005). Il settore terziario, del quale faceva parte
il 27% degli occupati necessitava di una riorganizzazione complessiva (Ianes, 2005).
Alla situazione economica lasciata dalla guerra si affiancava una nuova situazione
politica internazionale, infatti al termine del conflitto le risorse di potenza risultavano
drasticamente ridistribuite: i due nuovi e indiscussi protagonisti della scena mondiale
erano Stati Uniti e Unione Sovietica, iniziava così l’epoca del bipolarismo. Da
un’iniziale alleanza antinazista, già debole data la forte differenza ideologica tra i due
blocchi, la situazione precipitò in aperta tensione nella prima metà del 1947 quando
gli Stati Uniti, preoccupati per una potenziale espansione Sovietica, adottarono una
strategia di contenimento. Per quanto riguarda l’Italia, venne eliminata la
partecipazione dei partiti comunisti al governo e più generalmente in Europa fu dato
il via, nel 1948, al piano Marshall. La polarizzazione internazionale tra le due
potenze e tra i due rispettivi sistemi ideologici divenne evidente anche dal punto di
vista geopolitico (Romero 2001).
In questo contesto si inserisce il fenomeno migratorio qui studiato, che si presentò
quindi come una di valvola di sfogo alla crisi postbellica sia dal punto di vista
economico, data la scarsità di risorse, spesso accompagnata dalla presenza di una
famiglia numerosa, che dal punto di vista politico, data la tensione che caratterizzò
gli anni successivi al conflitto.
1.1.1 La mancanza di risorse: povertà e disoccupazione
Abbiamo visto come, conclusasi la Seconda guerra mondiale, il sistema
socioeconomico trentino, basato sull’agricoltura tradizionale spesso non specializzata
e su modeste attività produttive, presentasse diversi fattori di debolezza. Di fronte
alla sottoccupazione rurale e alla disoccupazione urbana, alcuni videro la partenza
come una possibile soluzione al problema della mancanza di prospettive di rapido
sviluppo. Il signor O.C. ci racconta di essere emigrato nel 1948, la decisione fu
14
dettata dalla mancanza di risorse sommata alla presenza di un nucleo familiare
numeroso, infatti la sua famiglia, residente nella Valle del Chiese, viveva grazie ad
un’economia agricola di sussistenza che diventò insufficiente quando, finita la
Seconda guerra mondiale, fecero ritorno a casa i due fratelli:
A che quel tempo li anche, là lavoravo come un matto perché in casa c’avevamo cinque
vacche, monti, digamo [diciamo] una famiglia che non era proprio povera povera,
stavamo abbastanza ben però non c’era mai un centesimo, prima per la guerra, che
l’ammasso … l’ammasso per il latte poi l’ammasso per il fieno, o sea quel poco che
habìa se lo portavan via, c’avevo due fratelli ed erano tutti e due in guerra, uno stava
in Russia e l’otro estava in … Montenegro, al final andaron a parar [finirono] in Linz
prigionieri, sono ritornati in casa nel 45 … in agosto e stavamo li tutta la famiglia e
tutti non potevamo restare.
Vediamo quindi come il fattore economico si sposi spesso al fattore demografico:
le già scarse risorse dovevano in alcuni casi essere divise tra tante bocche da sfamare
e, laddove questo permettesse comunque una relativa sopravvivenza della famiglia,
non lasciava però spazio alla costruzione di progetti futuri. Ci racconta il signor R.D.
di essere emigrato nel 1951, dopo un primo spostamento familiare a Bolzano. Come
ci dice lui stesso, lavorava in una fabbrica di pianoforti e lo stipendio andava diviso
in casa. Quando conobbe quella che diventò sua moglie si rese conto che, secondo
ciò che prometteva la situazione economica di allora, non avrebbe avuto grandi
possibilità se fosse rimasto, fu così che decise di partire:
A 29 anni un dopoguerra difficile, il figlio maggiore di una famiglia numerosa, portare
a casa fino all’ultimo centesimo, vedevo un futuro senza … poco non vedevo futuro per
me, m’ero fatto una morosa … anche quello ha complicato le cose eh eh, e allora avevo
parenti qui in Argentina, un fratello e una sorella di mia madre. […] In Italia il
Dopoguerra era molto oscuro, molto oscuro, è difficile spiegare […] io ero falegname,
figlio di falegname, vivevamo a Bolzano, la mia famiglia aveva avuto rovesci grandi,
tutta la famiglia era emigrata tutta a Bolzano, lavoravamo in una fabbrica di
pianoforti, Schulze e Polmann dove facevan i mobili e piani e era poco troppo poco,
era impossibile veder futuro con stipendi di 28, 30 mila lire al mese, affittare …
qualcosa di piccolo povero non costava meno di 15, 17 mila lire, era impossibile
formar famiglia.
In questi casi, in cui la situazione è segnata dalla crisi economica e da un generale
stato di malessere, la partenza era spesso legata alla ricerca di un proprio futuro,
come ci viene raccontato da C.R. partito nel 1948. La Val di Cembra, dove viveva
15
con i genitori e le due sorelle non era molto ricca, ma possedevano alcuni
appezzamenti di terra e lui stava facendo la carriera militare lavorando alla Caproni
come meccanico d’aviazione, ma decise di congedarsi e di partire, il perché lo lascio
dire a lui stesso:
Bè in Italia, io sono di Mosana di Giovo, sai dov’è? Della Val di Cembra, è il primer
paesetto sopra Lavis, incomincia Lavis, Verla, Ceola,e poi Cembra no? Non è tanto
ricca la Val di Cembra però in fin noialtri avevamo la proprietà a Lavis e a Pressano,
no avevamo campagna, no digamo [diciamo], contadini diciamo e … bè io son andato
nell’aviazione e ho fatto la carriera fino a sergente, era di carriera poi sono uscito de
là e mi son dedicato a meccanica del automotori dico … e qua … io qui c’avevo il taller
meccanico [officina meccanica].
R: Si, e lei si ricorda perché è venuto qua?
I: y a buscar [cercare] un futuro mio, no?
R: perché li c’era poco lavoro intende?
I: in Italia non c’era molto …
In una situazione economicamente poco promettente, alcuni dei nostri emigranti
decisero di cercare il proprio futuro altrove, la decisione venne così dettata dalla
volontà di migliorare la propria esistenza. Come ci suggerisce Palidda (2008) la
decisione di emigrare venne presa quando il soggetto non fu più soddisfatto della
propria condizione, di sé stesso e di ciò che gli offriva il mondo in cui viveva o di ciò
che avrebbe potuto concretamente aspirare a conquistare in esso. In questo senso la
decisione di partire apparse come urgente e necessaria.
1.1.2 La paura:le tensioni militari e il possibile nuovo conflitto
Abbiamo visto come alla situazione economica poco favorevole si affiancasse una
situazione politica caratterizzata da diverse tensioni. In primo luogo coloro che erano
stati arruolati ed erano sopravvissuti al fronte dovevano fare i conti con il proprio
passato, spesso segnato da ricordi dolorosi se non addirittura scioccanti. Ci racconta
T.E. che emigrò nel 1949, all’età di dodici anni, insieme alla madre ed al fratello,
raggiunsero il padre partito poco tempo prima. In questo stralcio ci racconta proprio
l’esperienza del padre:
Si mio papà dopo che ha, dopo che è finita la guerra […] lui è arrivato a casa nel 45
quasi a funerale e ... allora come aveva la sorella qua, si vede che ha incominciato a
scriversi con la sorella e e e allora ha detto bene dai, ti pago il passaggio e vieni ...
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perché non è che il mio papà non aveva lavoro, perché ce l’aveva il lavoro, aveva
paura de che poteva succedere un’altra guerra, perché li lavorava a Trento, lavorava
all’Italcementi …
R: Mm
I: E la e la e ... lavorava como meccanico en la parte riparazione de la ... non so come
se ciama [chiama] li ... si la parte meccanica era era ... e poi … quando è andato in
officina a dire al capo che se ne andava le ha detto vara di … ci sarà lavoro per te e
per i tuoi figli anca ... no, el dis [dice], dopo 5 anni di guerra non l’è sta bon de … l’ha
l’ha passata abbastanza … abbastanza male …
R: Mm
I: E si che ha avuto la fortuna che porque era, l’han portato a un campo petrolifero che
era al confine con la Cecoslovacchia era il (…) e li ha trovato un ingegnere che
lavorava, un tal G. di cognome, trentino, che quando quando che ha saputo che era era
trentino allora ogni tanto lo portava lo portava a casa a far qualche lavoretto, perchè
non stia sempre dentro nella … nel lager ... L’è sta en un lager e allora, poi raccontava
tante cose ... de volte mangiava le scorze di patate no le patate … bè però el, claro
dopo quello … uno no non …
R: Mm
I: Non si sente … bah.
Tornati a casa dopo aver vissuto in prima persona le esperienze drammatiche della
guerra, spesso dopo un periodo di prigionia, alcuni rielaboravano un sentimento di
rifiuto, una voglia di allontanarsi in maniera decisiva dai luoghi una volta a loro cari,
per prendere le distanze anche fisiche da quei ricordi troppo dolorosi. Fu questo il
caso di molti padri e mariti, che coinvolsero nella loro scelta l’intera famiglia, come
accadde appunto per T.E.
Al ricordo personale si sommava spesso la paura per i propri figli: il conflitto
ideologico tra i due blocchi antagonisti rimaneva sulla soglia di uno scontro militare
diretto, facendo pensare a nuovi possibili arruolamenti. Anche O.E. è emigrata con la
madre e con i fratelli da bambina, sono partiti dalla Vallagarina nel 1950, due anni
dopo di suo padre, il cui piano era appunto quello di salvare i figli maschi da una
nuova guerra:
Bueno la mia immigrazione, mio papà è venuto nel 48, dopo la guerra perché aveva
quattro, cinque machi [maschi] e non voleva che venga un’altra guerra e se lo
portarono [li portassero] via, e dopo nel ‘50 siamo venuti noi, la mia mamma con i 5
figli, saremo 4 e un fratello di mia mamma che lo ha cri ... come si dice, aveva due anni
e lo ha, lo ha allevato, lo ha allevato mia mamma.
È quindi la paura che spesso ha mosso questi migranti, una paura dettata da loro
stessi o dai propri padri che non avrebbero sopportato il vedersi portare via un figlio
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