Introduzione
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Introduzione
L’esperienza televisiva ha suggerito sin dagli inizi, una serie di riflessioni teoriche, che hanno
iniziato a delineare una sorta di possibile estetica della televisione. Rimanendo fedeli ad una
terminologia concreta e basilare, in questa tesi si preferisce parlare di analisi tecnico-formali
condotte sul solo varietà televisivo e di conseguenti, riconoscibili, poetiche riconducibili alla
televisione in generale.
Di fronte al fenomeno televisivo del varietà ed alle strutture operative che mette in opera, sarà
dunque interessante esaminare l’apporto che l’esperienza di produzione televisiva può dare alla
riflessione estetica, sia a titolo di riconferma di posizioni già assodate, sia come stimolo ad allargare
e ridimensionare certe definizioni teoriche.
La televisione nell’assolvere alla sua funzione primordiale da sempre riconosciutale, ovvero la
funzione comunicatrice (e di informazione), sconfina continuamente nella creazione d’arte,
mantenendo sempre il potere di ingigantire anche il più piccolo dettaglio. In questa ricerca si
intende sviluppare un’idea in cui, la dimensione artistica ed estetica intervengano fattivamente nelle
dinamiche televisive e nelle operazioni specifiche che caratterizzano il fenomeno televisivo detto
“spettacolo di Varietà”.
Sinteticamente, lo spettacolo di varietà risponde ad un fine ricreativo, di diletto, di intrattenimento,
dunque rallegra, diverte, procura benessere, giova a coloro che vi si accostano. Ma non tutti sanno
che, prima di approdare in televisione, questa forma di spettacolo leggero ha attraversato delle fasi
storiche e culturali importantissime, meritevoli di uno studio ed un’analisi meticolose, in quanto
specchio culturale della nostra società. Il varietà è un genere artistico che deriva direttamente dal
teatro, un teatro che con i suoi sviluppi nell’avanspettacolo, nella rivista e nella commedia musicale,
conserva radici culturali autorevoli, nonostante in alcune fasi, esso sia stato relegato in un angolo, e
considerato, rispetto ad altri generi teatrali, minoritario e “popolare”.
Il periodo storico che ha visto fiorire e crescere il varietà e che ha visto riconosciutogli da parte del
pubblico, la sua portata artistica e culturale è quello che va dall’ultimo decennio dell’Ottocento fino
agli anni Sessanta del secolo successivo. È esistito dunque, un breve periodo in cui teatro di varietà
e varietà televisivo hanno convissuto, anche se quest’ultimo stava già iniziando a surclassare il
primo.
Dagli studi storici svolti nella prima parte della tesi, emergerà come il varietà in senso stretto
rappresenti il naturale sviluppo artistico e la forma di arricchimento economico del caffè-concerto,
che col primo Novecento diventerà a tutti gli effetti un genere teatrale. È proprio nei primi decenni
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del Novecento, che il varietà conosce l’apice del suo successo popolare e mondano, generando in
seguito la rivista e l’avanspettacolo.
La rivista nasce in Italia nel 1886 come rassegna di costumi, di ambienti, di coreografie afferenti lo
spettacolo di varietà. L’avanspettacolo vive felicemente fra il 1930 ed il 1940 come spettacolo di
rivista-varietà in aggiunta allo spettacolo cinematografico, ma non è un’invenzione italiana. Il XX
secolo è dunque il secolo più fecondo per il varietà; soprattutto nella sua prima metà, esso si rivela
foriero di celebri personalità artistiche che hanno lasciato una traccia indelebile nell’arte varia quali:
Anna Fougère (che si ribattezza Anna Fougez), Raffaele Viviani, Ettore Petrolini, Leopoldo Fregoli,
e poi più avanti Franca Valeri, Dario Fò, Virgilio Riento, Walter Chiari, Sandra Mondaini,
Raimondo Vianello, Franca Rame, Delia Scala, Gino Bramieri, Carlo Dapporto, Enzo Garinei,
Corrado Lojacono, Enzo Turco, Eduardo De Filippo, il Principe Antonio de Curtis in arte Totò ed
altri ancora. Tutti nomi che hanno scritto la storia del teatro e della rivista di varietà.
La “maniera teatrale” si impone nei programmi televisivi fin dagli esordi della TV, caratterizzando
la programmazione degli anni ’50 e’60. I registi che per primi hanno intuito che la traduzione
televisiva dell’evento teatrale dovesse tenere conto della specificità della TV, in quanto mezzo
stesso di “scrittura” dello spettacolo, sono stati: Eduardo De Filippo, Giorgio Strehler, Luigi
Squarzina ed Ugo Gregoretti. Nella forma sviluppatasi sul palcoscenico del teatro, il varietà
televisivo, che conosce il suo culmine artistico negli anni Sessanta, assembla l’una dietro l’altra una
serie di performances artistiche di tenore diverso: dal numero del comico di turno, spesso un
monologo, alle canzoni interpretate da cantanti di successo ingaggiati per l’intera durata delle
puntate, ai balletti, da un attore del cinema quasi sempre presente, fino alle scenette leggere ed
ironiche che parodiano personaggi, opere o romanzi celebri.
In Italia, il primo varietà televisivo è stato: “Un, due, tre”, in onda a partire dal 20 Gennaio 1954 dal
Teatro dell’Arte del Parco Sempione e che ha visto tra i suoi conduttori più celebri: Ugo Tognazzi
e Raimondo Vianello. Questo programma TV ha segnato il passaggio dal teatro di rivista alla rivista
televisiva, anche se la rappresentazione teatrale di varietà non era ancora del tutto sparita ma stava
iniziando il suo declino. La forma di questo trapasso, asserisce Aldo Grasso in: “Storia della
televisione italiana”, si chiama sketch, ed è un prestito dell’italianissimo teatro di rivista.
“Un, due, tre” è stato pioniere del varietà televisivo in Italia, dando inizio ad una lunga serie di
varietà che si sono susseguiti nel corso degli anni nella TV nostrana: “Canzonissima”, che con le
sue diciotto edizioni decreta un record, “Studio Uno” detentore di una novità sconvolgente, cioè
della messa in visione dei dispositivi tecnici e riproduttivi dello spettacolo, “Doppia coppia”,
“Quelli della domenica”, “Non stop”, “Fantastico” ed i più recenti “Stasera pago io…”, “Torno
sabato”, “Uno di noi”, “Famiglia Salemme show”, “Non facciamoci prendere dal panico” ecc…
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Un punto che è doveroso sottolineare e su cui concentrerò la mai analisi è il trasferimento di questo
genere di intrattenimento dalla scena allestita su un palcoscenico teatrale alla scena allestita in uno
Studio televisivo, con tutte le modificazioni tecnico-formali che esso comporta e che si ripercuotono
anche sui contenuti. Si esaminerà ciò che la ripresa televisiva aggiunge e toglie al varietà rispetto
alla precedente rappresentazione teatrale, e la rivoluzione che ha sollevato quella straordinaria
operazione, connaturata esclusivamente al fenomeno comunicativo televisivo, in cui un evento
viene mandato in onda nello stesso istante in cui questo avviene, e che prende il nome di: ripresa
diretta. Essa offrirà lo spunto per alcune riflessioni estetiche, in quanto ha agito prepotentemente
sull’immaginario collettivo determinando un nuovo rapporto tra opera e spettatore. Soprattutto si
esaminerà la funzione che la ripresa diretta riveste nel varietà televisivo, conferendogli una
connotazione di genuinità, immediatezza, autenticità e naturalezza. Tutte qualità che rientrano nel
panorama dei requisiti maggiormente voluti dal pubblico e che rinsaldano il suo rapporto di fedeltà
con lo spettacolo, di cui il pubblico si sentirà partecipe e parte integrante, proprio in virtù della
consapevolezza di stare fruendo di un avvenimento, sebbene ripreso, che accade nell’istante in cui
lo si sta guardando, esattamente come a teatro.
Più che in ogni altro programma, la ripresa diretta dimostra di assumere una valenza fondamentale
nel varietà televisivo, in cui la capacità d’improvvisazione gioca un ruolo determinante, come
testimoniano gli show più riusciti, che hanno potuto avvalersi di professionisti talentuosi ed in grado
di intervenire prontamente, di fronte ad eventi inattesi e cambiamenti repentini di ciò che era stato
precedentemente stabilito in scaletta.
Nel capitolo seguente, si ripercorreranno gli elementi, le fasi ed i meccanismi di scrittura del varietà
televisivo: durata complessiva e durata dei singoli eventi proposti nel corso della trasmissione,
drammaturgia, regia, scaletta, scorrevolezza, scenografia, costumi, luci, attacco, ritmo del
programma ecc…, focalizzando in particolare l’attenzione sulla parte ideativa-creativa. Ovvero si
analizzerà il testo della trasmissione, più comunemente conosciuto come “copione”, e che, come
sostiene F. Doglio in: “Televisione e spettacolo”, è sempre all’origine di un buon spettacolo TV e
gli conferisce un senso ed un significato.
Il testo televisivo di un varietà si progetta, si costruisce, si ipotizza sulla carta, ma “accade”
soprattutto in onda, nel momento del suo stesso svolgimento in video. Il varietà viene così
classificato come un work in progress, un lavoro che si attua nel corso del suo svolgimento; un
copione troppo rigoroso, analitico (anche se poi come afferma l’autore Benedetto Marcucci, ogni
varietà ha una storia a sé), toglierebbe naturalezza alla trasmissione, condizionando il conduttore ed
impedendogli perfino di cogliere le dinamiche e le opportunità che si presentano in scena. Nella
delicata ed articolata fase della realizzazione del testo di un varietà televisivo, primeggia la figura
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professionale dell’autore televisivo, di cui proveremo a scandagliare il nodale ruolo da lui rivestito
nell’ambito del varietà. Questo autore televisivo deve fronteggiare una costante avventura
trasformativa, anche in vista delle aspettative dello spettatore nella fruizione di un tale spettacolo,
ed egli non potrà trascurare nemmeno per un attimo il suo speciale rapporto fatto d’allusione e
confidenze a mezza voce con il suo pubblico. L’immediatezza dello spettacolo di varietà, il fatto
che questa esperienza televisiva venga vissuta dallo spettatore, nell’istante in cui realmente essa si
sta verificando, necessita di un fiuto, un intuito, una sensibilità e capacità creative speciali
dell’autore di varietà, che in scena devono tradursi in una proverbiale capacità d’improvvisazione e
nel potenziamento emotivo di un produttivo rapporto col pubblico.
Nel capitolo conclusivo, si tenterà di individuare se c’è, un minimo comune denominatore tra le
diverse modalità strutturali, organizzative ed espressive di due varietà sensibilmente lontani tra di
loro dal punto di vista temporale. Proveremo ad uscire dal generico ed a circoscrivere il campo di
indagine alla produzione di due spettacoli televisivi di varietà: “Doppia coppia” condotto da
Alighiero Noschese e “Stasera pago io…” condotto da Fiorello, partendo dall’analisi di due puntate
specifiche degli shows. Investigheremo sui due spettacoli di varietà per afferrare, se esistono, delle
regole e dei meccanismi che possono dirsi simili, delle affinità e dei parallelismi o anche
incongruenze e discrepanze nella lavorazione e nell’attuazione dei due varietà in esame.
Si indagherà, tenendo come riferimento lo schema delle varie fasi di realizzazione di un varietà
televisivo redatto da P. Taggi nel suo volume: “Un programma di……scrivere per la televisione”,
su: le tecnologie di ripresa, le figure professionali, le scenografie, i costumi, le luci, gli attacchi, i
ritmi, i modi di condurre del presentatore, le disposizioni e le funzioni del pubblico, le capacità di
attrazione, le diverse articolazioni dei titoli di testa e di coda, le scelte della sequenza e
dell’alternanza imposte alle singole esibizioni, ed ancora si indagherà su altri fattori ed aspetti che
caratterizzano e distinguono le puntate dei due varietà in analisi.
Cercheremo in tal modo, di scorgere e comprendere i rapporti che intercorrono tra questi due
programmi televisivi, rappresentativi del modo di intendere e fare il varietà nel passato e del modo
di intendere e fare il varietà ai giorni nostri, ed inoltre cercheremo di cogliere le evoluzioni, le
innovazioni, i mutamenti che hanno avuto luogo nel periodo compreso tra il 1969, anno di
programmazione di “Doppia coppia” ed il 2001, anno di programmazione di “Stasera pago io…”.
Il confronto tra i due spettacoli televisivi di varietà, ci offrirà anche l’opportunità di verificare la
capacità di questo genere artistico televisivo, di sfuggire all’omologazione mediatica dei format
statunitensi, mantenendo una originalità cercata e voluta dai tanti nomi che hanno fatto il varietà
televisivo italiano sulle Reti di Stato.
Introduzione
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Per completare il quadro d’analisi, abbiamo previsto in appendice l’intervista ad un autore
televisivo di varietà, che ha recentemente collaborato alla creazione dell’ultimo show televisivo di
Gianni Morandi, in onda nell’autunno 2006 su Raiuno, dal titolo: “Non facciamoci prendere dal
panico”. Benedetto Marcucci si è prestato a rispondere alle domande poste in questa intervista, le
cui esaustive risposte, ci accompagneranno nel nostro excursus sull’entusiasmante lavoro
dell’autore televisivo di varietà. Inoltre, tali risposte documenteranno la versatilità, la sensibilità e la
solidità artistiche, che un maturo autore televisivo di varietà deve possedere per affrontare e gestire
prontamente soprattutto gli eventi imprevisti, e l’elasticità che gli occorre per ammettere un
cambiamento nello spettacolo, qualora si verificasse un inaspettato orientamento di gusti del
pubblico, nel corso della puntata o delle puntate successive.
Capitolo 1 - La storia del varietà: dal teatro alla televisione
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Capitolo 1
La storia del varietà: dal teatro alla televisione
1.1 Origini e percorsi storico-teorici del Teatro di Varietà
Il varietà è una forma di spettacolo leggero che deriva direttamente dal teatro, ma non tutti sanno
che il teatro di varietà con i suoi sviluppi nell‟avanspettacolo, nella rivista e nella commedia
musicale, ha delle radici culturali molto importanti.
L‟arco di tempo abbracciato da questi generi, va dall‟ultimo decennio dell‟Ottocento agli anni
sessanta del secolo successivo; ma la loro origine comune è d‟importazione francese, sul modello
dei café-chantant: spettacoli che hanno vita su pedane volanti costruite all‟aperto accanto ai tavolini
dei caffè più lussuosi delle città. Qui si esibiscono, scritturati dai proprietari dei locali: comici,
duettisti e cantanti; quando, sul finire dell‟Ottocento la moda del caffè-concerto prende piede
definitivamente anche in Italia, nascono spazi appositi per questo tipo di spettacoli: locali chiusi,
veri e propri teatri, nei quali dare rappresentazioni in ogni periodo dell‟anno, non solo in estate.
Il varietà in senso stretto, rappresenta il naturale sviluppo artistico e la forma di arricchimento
economico del caffè-concerto.
Non meno di trenta, trentacinque grandi cafès-chantants, poi teatri di varietà, fioriscono in Italia tra
la fine del XIX sec. ed il principio del XX sec, cioè dalla Belle époque allo scoppio del primo
conflitto mondiale.
Fra le grandi città: Napoli, Milano, Roma sono in testa, per numero e qualità, alla graduatoria dei
varietà nazionali. A Napoli primeggia, fin dagli ultimi anni del 1800, il fastoso e festoso Salone
Margherita, che cancella ogni traccia e ogni ricordo dell‟ antichissima Partenope, del vecchio
Rossigni e d‟altri piccoli cafès più o meno chantants della seconda metà dell‟Ottocento, quando il
varietà napoletano è costituito generalmente da comici improvvisatori, eredi diretti dei Pulcinella,
dei Tartaglia, dei Pagliacci da circo, scritturati per le farse finali di spettacoli popolari.
La platea del Salone Margherita è divisa in due ordini: anteriore e posteriore; davanti, sotto il
palcoscenico a contatto con l‟orchestra è il vero “ partire des rois”; sulla scena, non molto grande,
Capitolo 1 - La storia del varietà: dal teatro alla televisione
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ma abbagliata di luce, sfilano le più favolose étoiles internazionali: francesi, spagnole, inglesi, russe
ecc…
Contemporaneo, e forse antecedente al Salone Margherita, è il Circo delle Varietà, poi rimodernato
ed ingrandito, qui vi sono ospitati, oltre a grandi numeri d‟oltralpe, le prime troupes esotiche,
acrobati e giocolieri, “famiglie di colore”, attrazioni ciclistiche di fine secolo, fenomeni di fama
mondiale in carattere, col titolo del teatro: Circo delle Varietà.
Sempre a Napoli nel 1890, i fratelli Marino inaugurano al centro della città, il San Martino, primo
teatro italiano di varietà che tenta la rivista.
I fondatori dei varietà intitolano ai Reali d‟Italia dell‟epoca, Margherita ed Umberto, i migliori
palcoscenici minori dell‟Otto-Novecento. La Sala Umberto è il solo sopravvissuto dei teatri minori
di varietà d‟un tempo; per quarant‟anni è il dominio di Wolfango Cavaniglia, arcinoto negli
ambienti teatrali col semplice nome di Wolfango, il lungo meritato successo del suo locale è dovuto
a lui, alle sue personali e romanissime doti d‟abilità e simpatia, alla conoscenza di uomini e cose
d‟ogni teatro, al fiuto proverbiale e alle relazioni infinite.
Ma due nomi romani vanno inseriti in questa piccola rassegna del varietà nostrano: l‟antichissimo
teatro Jovinelli e l‟altrettanto antico teatro Esedra; sui manifesti, e sulle pagine della vecchia
“Tribuna”, essi portano il nome di teatro, ma sono autentici cafès-chantants dell‟epoca di Gabriele
d‟Annunzio, croniquer mondano, di Carlo Rudinì, brillante figlio di papà Eccellenza e di Trilussa
delle prime favole.
“Una parvenza di teatro si manifesta ai primi del secolo, allorché, in un angolo dei portici di Piazza
Castello, una sorta di baraccone, ma riccamente infiorato e illuminato, apre le sue porte: è il Caffè-
concerto Romano, dal nome del primo proprietario.”
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Qui si svolgono autentici spettacoli di varietà, con orchestrina diretta da maestri concertatori che
curano soltanto la parte musicale e con intervalli durante i quali il pubblico può ballare. Non manca
quasi nulla per dare ai torinesi l‟idea di un cafè-chantant della vicina Francia.
Anche Genova va considerata fra le città che per moltissimi anni mantiene la tradizione del varietà,
genere di spettacolo molto vicino al gusto di gente come la milanese e la genovese, che va a teatro
essenzialmente per svagarsi.
I varietà nostrani si definiscono alla francese: cafés-chantants, perché in generale, il primo
repertorio, così come in Francia, è costituito dalla canzone; all‟origine c‟è la canzone napoletana di
lontanissimi natali; si può dunque dire che in Italia anche il varietà, come ogni altro genere di teatro,
esordisce cantando e parlando nel dialetto dei poeti e improvvisatori che si richiamano, nel tempo,
alle storiche “farse cavaiole” con le maschere atellane.
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Ramo.L., Storia del varietà, Roma, Garzanti, 1956, p. 76.
Capitolo 1 - La storia del varietà: dal teatro alla televisione
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Col primo Novecento, il café-chantant diventa teatro: è il tempo di Vincenzo Valente canzoniere,
dopo essere stato operettista celebratissimo dei fratelli Ernesto e G. B. De Curtis, di Salvatore
Gambardella, di Vincenzo di Chiara, di Rodolfo Falvo, per citare alcuni fra i più popolari autori
napoletani del primo decennio del secolo XX.
La grande risorsa delle stelle italiane del primo Novecento è sempre la canzone, la viva, passionale,
nostalgica, accorata voce di “Napoli tutta core e sentimento”; la si alterna, con straordinaria fortuna,
con la canzone briosa, brillante, spregiudicata, persino umoristica; sono i giorni di “Comme t‟ha
fatto màmmeta”, di “Lily Cangy”, di “Ninì Tirabusciò”, classici del ridere sonoro di tutta una
generazione, e che segnano l‟epoca delle prime “gommeuses” nazionali.
La gommeuse, in Francia, è la canzonettista indiavolata che si agita e magari si contorce a guisa di
gomma: quella che anche nei nostri primi varietà napoletani (e romani, o torinesi, o milanesi),
conquista il pubblico, tra frizzi e grida, tra evviva e fischi.
Nei primi tre decenni del Novecento, il varietà conosce l‟apice del suo successo popolare e
mondano (non paragonabile ad alcun altro genere di spettacolo all‟epoca), generando in seguito la
rivista e l‟avanspettacolo, generi di altrettanto vasto successo.
Verso la metà del secolo scorso, la rivista diviene un vero e proprio spettacolo di varietà, che fa
leva sulle attrattive delle belle donne, sulla validità dei comici, sulla bravura delle ballerine e
persino sulle attrazioni prelevate dai varietà di tutto il mondo; si tratta in definitiva di una rivista di
costumi, di ambienti, di coreografie; più che altro uno spettacolo per gli occhi.
Ma non è stato sempre così, nell‟oltre mezzo secolo che va dalla fine dell‟Ottocento al secondo
dopoguerra, la rivista italiana ha vissuto varie età:
1. Da fine Ottocento al 1922, è realmente “rivista”, spettacolo di attualità politica, letteraria,
mondana, teatrale, sportiva. Nel testo, la rivista passa in rassegna fatti e persone del giorno,
sulla scena, essa presenta questi personaggi in caricatura; per le musiche prende a prestito
canzoni d‟ogni tempo o brani di opera adatti ad essere parodiati.
2. Dal 1923 al 1944-45, la rivista esclude per ragioni di opportunità, o per disposizione
dell‟autorità, ogni contenuto politico, specie per quanto riguarda la politica interna, badando ad
eliminare ogni allusione che possa sembrare non ortodossa. Rivista nel senso originario non è
già più, questa rivista del secondo periodo ama in genere rivestirsi di produzioni proprie.
3. Dal 1945 al 1955, salvo un fugace ritorno nell‟immediato dopoguerra al genere satirico-
politico, la rivista si orienta decisamente e definitivamente verso lo spettacolo di “gran varietà”,
che è in sostanza il bis della “revue à-grand-spectacle” dei music-halls parigini.
Capitolo 1 - La storia del varietà: dal teatro alla televisione
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4. Dal 1950 a questo tipo di rivista si affianca un nuovo genere, la rivista cosiddetta “di cervello”,
che non intende affidare il suo successo puramente allo spettacolo, ma vuole imporsi per
l‟intelligenza del contenuto.
L‟anno di nascita della rivista in Italia è il 1886; si presenta al pubblico parlando il dialetto
milanese, almeno sul manifesto del Teatro Fossati, dove si legge: “ Se sa minga, rivista di Carlo
Gomez”, famoso compositore musicale dell‟epoca.
Anche la seconda rivista italiana è milanese, non solo il titolo: “ El sogn de Milan” è dialettale, ma
tutto il testo di Carlo Bertolazzi, Francesco e Giovanni Pozza. La rivista viene rappresentata dalla
compagnia milanese di Davide Carnaghi, la stessa formazione che qualche anno dopo, il 25 gennaio
1902, mette in scena nello stesso teatro una rivista di Alberto Colantuoni: “La rava e la fava”
oppure “Di tutto un po‟”, titolo caro all‟autore che sotto questa sigla, anni dopo, inizierà alla Radio
a Milano una serie di trasmissioni, che saranno la prima radio-rivista della storia italiana.
I tre atti di “Turlupineide”, passano in rivista il turismo straniero in Italia, le vittorie socialiste,
l‟affermarsi del partito clericale, l‟equilibrismo giolittiano, la poetica di Pascoli e di Pastonchi, gli
scioperi tranviari ecc…
Dal 1912 al 1914, non meno di quaranta riviste di questo genere si rappresentano nelle maggiori
città; meritano di essere ricordate: “ Monopoleone” di Giovacchino Forzano, “Il Mistero di San
Palamidone” di Renato Simoni, “ Giocondiano” e “ Un po‟ d‟amore” di Giuseppe Visconti, padre
del regista Luchino Visconti.
Dal 1914 al 1917 hanno lunga fortuna le riviste della Taverna Rossa di Milano (l‟antico Eden
rimodernato), nella interpretazione della Compagnia diretta da Carlo Rota, esse sono: “Senza veli”
di Carlo Rota , “Dall‟Aja alla Baja” di Silvio Zambaldi, “Quel che ho fatto” di Luciano Ramo, “Il
Sor Betto e la Sora Betta” di Luciano Ramo e Carlo Rota ecc…
Queste piccole e grandi riviste del primo ventennio del Novecento sono spesso firmate da
commediografi, poeti, scrittori e giornalisti di primo piano.
La rivista “Il vile pedone” di Carlo Rota fa muovere i suoi primi passi sulla scena ad una
giovanissima artista; la ragazza debutta all‟insaputa della famiglia; si chiama Anna Mencio, ma
sceglie un nome d‟arte che si addice al suo primo trucco, in tutto simile, per il colore giallo-oro ad
un idolo egiziano: si fa chiamare Wanda Osiris.
A metà novembre del 1922, va in scena al Teatro Fossati di Milano, la rivista “Manicomio!” di
Luciano Ramo, Carlo Rota e Guido Galli, il primo spettacolo del genere firmato da tre autori, e nel
dicembre successivo, “Manicomio!” si rappresenta al Costanzi di Roma per circa un mese, ma è
l‟ultima rivista di attualità. Coi primi di gennaio del 1923, istituita presso la Presidenza del
Consiglio la censura sulle riviste, il suo primo tempo è finito.
Capitolo 1 - La storia del varietà: dal teatro alla televisione
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Tutte le interpreti di canzoni, napoletane e non, sono stabilmente consacrate nell‟organo ufficiale
del caffè-concerto italiano 1900-1925 che si intitola il café-chantant: la rivista è quindicinale, si
pubblica a Napoli e ne è fondatore e direttore Francesco Razzi e poi suo fratello Enrico. Largamente
diffusa nell‟ambiente concertistico, illustratissima ed aggiornatissima, la rivista è una specie di
dizionario del varietà del tempo, con suoi corrispondenti da ogni centro importante, elenchi,
movimenti e indirizzi raccomandati (pensioni, restaurants, maestri di canto, di ballo, fornitori).
Un altro periodico del genere, ma di tono più elevato, è l‟Eldorado, fondato e diretto da due
espertissimi: i napoletani Nobile, padre e figlio; al tempo stesso a Milano si pubblicano: “La
canzonetta” e “Il risveglio”, mentre a Genova: “Il programma”.
Non c‟è canzonettista o artista di caffè-concerto che neghi l‟abbonamento che dà diritto alla foto
nelle pagine di testo.
La seconda età della rivista in Italia, che coincide col ventennio fascista, vede le compagnie di
operette abbandonare il normale repertorio e tentare con fortuna un genere per loro nuovo: una sorta
di spettacolo di fantasia.
A Napoli, Michele Galdieri tenta di opporsi alle limitazioni imposte dalla censura di Roma, e con
molta abilità cerca di far passare per innocenti, le intenzioni meno ortodosse. Dario Niccodemi è il
primo capocomico-direttore di prosa a proporre la rivista come genere d‟arte: “Triangoli” di Oreste
Biancoli e Dino Falconi, rappresentata con immediato e lungo successo in tutta Italia, sancisce
l‟inizio dell‟epoca delle cosiddette “riviste senza ballerine”.
Dal 1930 in avanti, mentre da un lato, la “rivista senza ballerine” con attori e attrici di prosa, tenta
di portare il genere su un piano più elevato, le superstiti compagnie di operetta, con elementi del
vecchio caffè-concerto e della più recente arte varia, si alleano dall‟altra parte per dar vita
all‟avanspettacolo.
L‟avanspettacolo, vale a dire lo spettacolo di rivista-varietà in aggiunta allo spettacolo
cinematografico, vive felicemente fra il 1930 e il 1940, ma non è un‟ invenzione italiana.
Tuttavia sulle scene nostrane, il nuovo genere viene subito accolto con entusiasmo, i maggiori
cinema-teatri del tempo aprono le loro porte, oltre a formazioni di ex-operetta, anche a formazioni
di rivista come la Macario, Totò, Taranto, Rascel e Tino Scotti.
L‟avanspettacolo rappresenta l‟unica forma d‟arte effettivamente organica alla classe sociale entro
la quale è nato e a cui è principalmente rivolto, cioè quella composta dagli operai, dagli artigiani ed
i piccoli commercianti. Esso risulta essere sostanzialmente luogo di opposizione al regime fascista
fin da tempi non sospetti; su quei palcoscenici infatti, vengono rappresentati sketches e monologhi
basati principalmente su questioni di fame e di contrapposizione fra quanti mangiano e quanti
saltano i pasti. In questo genere di spettacoli, si danno due o tre recite al giorno, a seconda della
Capitolo 1 - La storia del varietà: dal teatro alla televisione
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capienza dei teatri e della ricettività della città o del paese in cui la compagnia è ospite; ogni recita
precede la proiezione cinematografica che è chiamata ad introdurre e servire, ma talvolta, nel caso
di compagnie di particolare successo, al termine dell‟ultima proiezione, ossia intorno alle dieci di
sera, si dà un ultimo spettacolo ridotto alle sole vedette.
Si tratta in sostanza di rappresentazioni analoghe a quelle del varietà, con i comici e le ballerine,
con i cantanti ed i maghi, con gli illusionisti ed i contorsionisti; le compagnie più povere, tuttavia,
offrono solo numeri comici, di ballo e di canto. In ogni caso i temi trattati dagli sketches e dai
monologhi sono semplici e d‟ambientazione povera, il rovescio preciso della ricchezza e
dell‟esotismo esibito senza pudore dal cinematografo.
Col tempo però, l‟avanspettacolo degenera, al periodo dignitoso del 1930-35, succede il periodo del
più grossolano cattivo gusto; così l‟avanspettacolo giunge al suo termine, anche perché dal 1930
avanza sulle scene italiane la rivista italo-viennese dei fratelli Schwarz, di fronte alla quale, anche le
migliori formazioni italiane sono costrette a cedere.
Nel decennio della loro attività in Italia (1930-1940), i viennesi Arturo ed Emilio Schwarz
presentano dieci spettacoli, fra vere e proprie riviste, riviste-operetta, e riviste-varietà.
Alle loro produzioni :”Donne all‟Inferno” presentato il 4 Dicembre 1929 e “Donne in paradiso”
gemello del primo spettacolo, presentato nel Gennaio del 1930, partecipa, fra gli interpreti viennesi,
la prima soubrette Lil Sweet, pioniera di questa nuova figura di spettacolo che muove i suoi primi
passi nel teatro di rivista.
TAV. 1
Maresa Horn e le subrettine della rivista "Buffonate 1950"
Capitolo 1 - La storia del varietà: dal teatro alla televisione
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I due fratelli viennesi ritornano decisamente alla rivista nel 1931, con: “ Bertoldissimo” di Dino
Falconi e Angelo Frattini; ma, con il 9 Giugno 1940, contemporaneamente all‟entrata in guerra
dell‟Italia, i fratelli Schwarz, prevedendo le leggi razziali, abbandonano l‟Italia e si trasferiscono a
New York dove moriranno qualche anno più tardi.
Nel 1941, finalmente, una normale compagnia di prosa, sull‟esempio dato anni prima da Dario
Niccodemi, affronta la rivista; Dina Galli, all‟Olimpia di Milano, mette in scena una prima rivista
scritta per lei da Luciano Ramo e Sandro Dansi: “Questa sera si fa rivista!”.
Il dopoguerra segna l‟inizio dell‟ultimo tempo della rivista italiana; dall‟autunno del 1945 in poi,
non meno di trenta, trentacinque scrittori di riviste, tra Milano e Roma, anziani e giovani, scendono
in campo con spettacoli di grande varietà, talvolta presentati come commedie musicali.
L‟ultimo tempo della rivista è quello annunciato dal particolare genere di spettacolo che, spaziando
sulle vie aperte dal Teatro dei Gobbi di Franca Valeri, Alberto Bonucci e Vittorio Caprioli con
“Carnet de Notes” (1952), propone “lo spettacolo di intelligenza”, rinunciando quasi
completamente alla cornice scenografica, ridotta al minimo necessario.
La produzione più notevole fino al 1956, è quella di: Alberto Bonucci, Franco Parenti, Dario Fo,
Virgilio Riento, Giustino Durano e Walter Chiari, con le riviste: “Il dito nell‟occhio”, “Sani da
legare”, “Senza rete”, “I Saltimbanchi”, “Mille lire a chi lo trova” e “Oh quante figlie Madama
Dorè”.
TAV. 2
Cartellone della rivista “Mille lire a chi lo trova”